Flora della Sardegna

INDICE GENERALE

1. AUTOCTONIA ED ETIMOLOGIA DEGLI AMPELONIMI SARDI 1
1a. Premessa 1
1b. Nota etimologica sui vitigni sardi 4

2. VOCABOLARIO ETIMOLOGICO DEI FITONIMI SARDI 11

3. ELENCO ALFABETICO DEI FITONIMI
(nomi sardi, italiani, scientifici) 92

4. ELENCO ALFABETICO DEI FITONIMI
(nomi italiani, scientifici, sardi) 105

5. ELENCO ALFABETICO DEI FITONIMI
(nomi scientifici, sardi, italiani) 121

1. AUTOCTONIA ED ETIMOLOGIA DEGLI AMPELONIMI SARDI

1a. Premessa

Item ordinamus, chi dognia persona, chi hat a haviri vingia, over ortu, illu deppiat cungiari over de muros, over de fossu, over de clesura; e cungiadu chi hat a esser, illu deppiat fagheri provvidiri peri sos Jurados predittos, chi hant a esser a ciò allettos, e deputados… “Inoltre ordiniamo che ogni persona che avrà vigna, oppure orto, lo debba cingere con muro o fossa o siepe; e dopo cinto lo deve far controllare dai predetti Giurati pubblici, a ciò eletti e deputati…” (Carta de Logu, cap. 134).
Volemus, ed ordinamus, chi cussu pubillu de vingia, over de ortu, chi hat a esser approvadu, e recividu pro cungiatu, …chi hat a acattari bestiamen domadu, over rudi in alcuna dessas dittas vingias, over ortos approvados pro cungiados, siat tentu, e deppiat in poderi suo su dittu bestiamen occhiri… “Vogliamo e ordiniamo che il padrone di vigna od orto che sarà stato approvato e ricevuto per chiuso,… il quale ritroverà bestiame domato o rude in alcuna di dette vigne od orti approvati per chiusi, sia tenuto e debba, per quanto è in suo potere, uccidere quel bestiame…” (Carta de Logu, cap. 135).

Sono numerosi i capitoli ed i passi della Carta de Logu che citano le vigne. Questi due capitoli, assieme ad altri, vi sono espressamente dedicati. Il Giudice Mariano che anticipò il Codice Agrario, e sua figlia Eleonora che perfezionò l’intero Corpus Juris dell’Arborèa nel primo Quattrocento, furono severissimi contro coloro che avessero introdotto il bestiame, o lo avessero lasciato libero d’introdursi, nelle vigne. Le vigne e gli orti venivano accatastati presso i giurati pubblici, e l’evento era reso noto alla collettività (cap. 134). Non si guardava in faccia a nessuno quando si uccideva (obbligatoriamente) il bestiame invasore, fosse pure di proprietà del Giudice.
I commentatori sono rimasti interdetti per questa regola draconiana, mirante ad una protezione assoluta delle vigne (e degli orti) a scapito dell’economia pastorale. Ma costoro non si sono resi conto, a quanto pare, di com’era veramente strutturata l’economia primaria ai tempi di Eleonora d’Arborèa. Gli studi in materia sono carenti nell’indagine del non-detto, nel dare cioè corpo alle ombre lunghe gettate dal testo. L’analisi in filigrana del testo consente di entrare in una storia che sembra appartata nel silenzio, e con l’intuizione e l’interpretazione siamo in grado di capire che il rigore inflessibile nel proteggere le vigne era funzionale a un fatto che le leggi non potevano mettere in chiaro: il Regno di Arborèa aveva un suo peso nel commercio internazionale dei vini, e non aveva alcuna intenzione di rendere carente o insicuro questo comparto.

Peraltro anche l’analisi etimologica degli oltre cento nomi di vitigno (e di vino) ci porta alla stessa conclusione. Più oltre spiegherò che tutti i nomi delle viti presenti in Sardegna (escluse quelle poche introdotte negli ultimi 60 anni) sono autoctoni, sono stati creati su suolo sardo fin da epoca arcaica, forse già 10.000 anni fa. Ciò porta a chiedersi che interesse ebbero i Sardiani a plasmare puntigliosamente oltre cento nomi, se non quello di marcare orgogliosamente un fatto che (letto anch’esso in filigrana) conduce ad una constatazione stupefacente. I Sardiani avevano coscienza che le uve ed i vini prodotti nel territorio sardo erano non solo di una bontà indiscussa, ma che tale bontà era un patrimonio diffuso e documentato da tanti vitigni l’uno dall’altro distinti, conservati e tramandati da millenni, da epoche che sfumavano nel mito.
Ma perchè la Sardegna ha oltre cento nomi di viti autoctone, mentre le altre regioni d’Italia ne hanno molti di meno? Inoltre mi chiedo perché nelle regioni donde si crede originaria la vite i loro nomi siano quasi inesistenti.
Dove ci fu letteratura, in essa si celebrarono pure i vini. Isaia seppe imprimere sensi di alta poesia al celebre Canto della vigna.

Canterò per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva,
ma essa fece uva selvatica. (Is V 1-2)

Non è da meno il Cantico dei Cantici 1,6: Mi posero come custode delle vigne; lo stesso Ct al passo 3,5 recita ancora: Sostenetemi con focacce d’uva passa (pan di sapa), ristoratemi con mele, perché io sono malato d’amore.
Normalmente la vite viene citata dalla Bibbia soltanto col nome generico (Gn 9,20; Dt 8,7-8; Is V 1-2; Amos 9,13; Giov 15,1-2). Possiamo aggiungere però che gli Ebrei dicono tiroš per ‘vino’ ( תִּירוֹשׁ ), da cui pare provenga il nostro ampelonimo (e vino) Ziròne, ambedue con base nell’akk. ṭīru che indica un non meglio precisato genere di ‘alberello’ (ma è meglio l’aggettivo akk. ṣīru(m) ‘esaltato, supremo, splendido, eccellente; di alta qualità’). Dobbiamo inoltre ricordare che l’ebraico nāsaq ( ךּ סַ נַ ) significa ‘versare (il vino), fare libagione, offerta di vino’: tutto ciò riferito specialmente al vino delle offerte, al vino sacro (oggi diremmo vino da messa). Proprio da ciò derivò il nostro ampelonimo Nasco. Non dobbiamo poi dimenticare il vino sardo Pascàle, dal nome autoreferente, che richiama la Pasqua. La Pasχa (ebr. Pesaχ) è la più grande festa ebraica, quella in cui è consentito persino ubriacarsi. Il ‘vino pasquale’ dev’essere dunque il migliore in assoluto.

Isaia scrisse il suo brano intorno al 730 av.C. Ma fu Noè ad introdurre la coltura della vite, secondo il mito biblico. “Noè cominciò a essere lavoratore della terra e piantò la vigna. E bevve del vino e s’inebriò” (Gn 9,20).
L’esistenza del celebre Patriarca risale a molti millenni prima di Cristo: come dire che la coltivazione della vite nel Vicino Oriente si perde nella notte dei tempi. Dal che si capisce quanto fosse espansa la coltivazione nella Mezzaluna Fertile.
Il fatto che spremendo l’uva si ottenesse una bevanda piacevole, è una scoperta che dovrebbe risalire al Paleolitico; la rudimentale vinificazione dell’uva selvatica precedette la coltivazione della pianta. Gli uomini del Neolitico pigiavano l’uva insieme a bacche di rovo, lampone e sambuco, in fosse scavate nella terra e rivestite d’argilla. Secondo scavi condotti in Libano, Turchia e Siria, tracce della parte più interna degli acini d’uva potrebbero essere datate già all’inizio dell’VIII millennio. L’antichità della scoperta del processo è confermata dal recente (1991) ritrovamento di tracce di vinificazione all’interno di vasi fra le strutture del villaggio neolitico (5400-5000) di Hajji Firuz Tepe sui monti Zagros (Turchia). Le più recenti ricerche condotte in varie località dell’arcipelago greco farebbero risalire al III millennio la preparazione del vino in quell’area. Lo stesso può dirsi per l’Antico Egitto, come testimoniano i monumenti egizi con scene di vinificazione.
Da questo excursus si nota che la vite è sempre stata di casa nell’Europa meridionale e nel medio-basso Mediterraneo. Probabilmente già cento milioni di anni fa, con l’inizio dell’Era Terziaria, esistevano le vitacee le quali, dopo le fasi glaciali del Pleistocene, si conservarono solo in alcuni territori, compresi quelli asiatici e americani. La paleontologia dimostra che la vite esiste nella penisola italiana almeno dal principio del Quaternario (ca. 2 milioni di anni).

1b. Nota etimologica sui vitigni sardi

Nonostante l’ampia prospettiva qui su proposta, che suggerisce un’origine policentrica della viticoltura, prevale l’idea che i primi viticultori fossero semiti, precisamente Cananei o Arri (antichi abitatori della Mesopotamia). Facile arguirlo, poichè l’aridità dei loro suoli ha conservato ciò che in Sardegna (tanto per citare) è stato deteriorato dal clima. E le evidenze quantitative fanno assurgere la statistica a ragione dirimente.
Ciò non toglie che i fautori delle origini semitiche cadano in contraddizione. Ad esempio, ammettono a un tempo che tutto ebbe origine nella Mezzaluna Fertile, ma sospettano un’origine indoeuropea della viticoltura, stante la base armena dei nomi ‘vite’ (aiki) e ‘vino’ (guini). A rafforzare l’opinione “indoeuropeista” ci si è messo pure Noè, che andò ad arenarsi sulle montagne dell’Armenia. Ma è proprio dall’episodio del Diluvio che si arguisce, per quei tempi, una cultura comune a tutta l’Eurasia, ivi compreso il Vicino Oriente, se è vero che a tramandare la notizia di Noè sull’Ararat, luogo lontanissimo da Canaan, furono gli Ebrei e con essi i Sumeri (che però chiamarono Noè con altro nome).
Non si è resa però la dovuta giustizia al fatto che la lingua scritta più antica del mondo (quella sumera) contiene già il nome della vite e del vino (vitis = geštin; cantina del vino = ekurun; in ekurun si legge in filigrana la stessa radice di aiki); mentre il neo-babilonese scrive esplicitamente īnu ‘vino’ ripetendo a un dipresso la radice armena guini. Dove sta, quindi, la “origine indoeuropea”?
Quanto alla Sardegna, il termine bìde, ìde ‘vite’ doveva già esistere da tempi arcaici. Quindi è falso che la forma sarda derivi dal latino, poiché anche il latino vītis ha base nell’accadico. Come nota acutamente Semerano (OCE II 616), la vite è un rampicante, ed ha la base in akk. ebēṭu ‘legare; essere avvinto’, da cui ebītu (una pianta non meglio identificata); ma accanto a queste forme c’è ebṭu ‘essere gonfio, turgido, swollen’, ebēṭu(m) ‘to swell up, gonfiarsi, ingrossarsi’, riferito ai grappoli d’uva. Ma a mio avviso Semerano sbaglia. Giusta l’intuizione che la vite è rampicante, il sardo ìde, bìde ‘vitis’ ha la base nell’akk. bītu ‘tenda, abitazione’. Tenendo conto che le abitazioni di molti popoli della Mezzaluna fertile furono spessissimo una mera tenda, è da lì che prende origine il nome della vite, in considerazione che essa cresce e s’espande “a tendone, a pergola”.
Si vede che nell’Eurasia l’effetto “Torre-di-Babele”, pur essendo già in atto, non era ancora stato in grado di sconvolgere tutto; quindi sopra e sotto il 40° parallelo si godeva di una cultura vasta e uniforme, dove la koiné linguistica era un fatto assolutamente normale ed universale, e le parole, sia pure con fonetica alterata a seconda del popolo che le pronunciava, erano molto simili e legavano assieme il Sumer, la catena caucasica, le steppe kirghise, le Colonne d’Ercole, investendo pienamente la Sardegna, fatta salva l’opinione dei detrattori di turno.
Nel leggere i fatti in questo modo non incorriamo in alcun rompicapo linguistico, e nemmeno confinario: basta fare un’ammissione semplice, ossia che i nomi di certi processi culturali e quindi i nomi di certa flora – tanto per rientrare nel tema della vite – furono comuni a tutta l’ampia zona, e risalgono alla Prima Koiné Linguistica euro-asiatica, ossia alla fase culturale del Paleo-Neolitico. Fu però la Seconda Koiné Linguistica, quella accertata come Sumero-Accadica, ad influire profondamente nelle lingue che ora cominciavano a differenziarsi.
In questo secondo processo rimane singolare la posizione della Sardegna, la quale annovera nel proprio lessico attuale più del 50% di termini sumerici e accadici (accadico-assiro-babilonesi), altrove spariti da 2500 anni. Quindi è proprio in Sardegna che dobbiamo recarci se vogliamo scoprire un’eredità sempreverde che si tramanda inalterata a dir poco da 5000 anni (per quanto riguarda la Seconda Koiné) e da parecchie decine di migliaia d’anni per quanto riguarda la Prima Koiné. Che in Sardegna sia ancora viva e parlata gran parte della lingua sumero-accadica non può essere un mistero, bastando a ciò l’insularità, che la relegò per millenni rendendola capace di serbare intatti dei fenomeni culturali e antropici altrove evolutisi. A rinfocolare la vitalità del plancher accadico della Sardegna contribuì la lingua fenicio-cananea (anch’essa imparentata con la lingua mesopotamica, quindi con la lingua sarda), la quale fu di casa nell’isola per ulteriori mille anni. La Sardegna quindi è un forziere che custodisce almeno 2500 anni di storia semitica e di lingue semitiche, ancora oggi in uso. La lingua sarda appare come la più antica tra le lingue oggi parlate nel Mediterraneo.
Nei vitigni sardi è proprio la nomenclatura accadica a irrompere; essa polverizza ogni altro tentativo di trovare, per gli ampelonimi, un’etimologia qualsivoglia. Quella che certi personaggi pretenderebbero d’imporre, risulta essere un’etimologia non scientifica, anzi ideologica, pervicacemente e protervamente ideologica, che si vuole gabellare con pasticciate, assurde, indimostrabili basi latine o romanze.

Di seguito presento in ordine alfabetico i nomi e l’etimologia di tutti i vitigni sardi, raccomandando di leggere la trattazione etimologica completa nel Dizionario Etimologico.

AGRAXÈDA (x = fr. j). Vite a uve bianche. Non è a credere che questa denominazione così intrigante racchiuda una semantica relativa all’aspro, all’acido, all’aceto. Sarebbe un paradosso. Agraxèda è una paronomasia. Il termine è un composto sardiano, con base nell’akk. agû ‘onda, inondazione’ + aḫḫūtu(m) ‘fratellanza’ + epentesi di una -r- eufonica. Il significato sintetico fu ‘onda della fratellanza’, con riferimento alla quantità prodotta e all’effetto del vino.

ALBACANNA. Vite a uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + kannu ‘piantina’, col significato sintetico di ‘piantina dei suoli aspri’.

ALBAPARÁDU. Vite ad uve bianche. Da akk. arbu ‘abbandonato, incolto (per la difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + parattu ‘dry land’, col significato sintetico di ‘(vite) dei terreni aspri e asciutti’. A meno che la base non sia parā’u ‘germogliare’ di pianta: in tal caso l’etimo sarebbe ‘(vite che) germoglia in terreni aspri’.
ALBAPASÀDA. Vite ad uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + pasa’(a)du (a money chest, un forziere pieno di soldi), col significato complessivo di ‘(vite) dei terreni aspri che arreca tanto guadagno’.

ALBARANTZÉULI, albarantzéllu, altrimenti chiamato lacconarzu o licronarzu (vedi). Produce uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + arantu (a kind of grass) + ellu ‘puro, chiaro, limpido’, col significato complessivo di ‘piantina chiara dei terreni ingrati’. L’appellativo sembra riferirsi al fatto originario che il vitigno allignò facilmente in posti ingrati, dove l’agricoltura non era usualmente praticata; ‘chiaro, puro’ sembra riferirsi al fatto che il vitigno produce uve bianche.

ALBEGENIÁDU. Vite ad uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + gennu ‘montagna’ + adû ‘leader’, col significato complessivo di ‘(vitigno) leader delle montagne aspre’ (il riferimento è a certe plaghe dolomitiche dell’Ogliastra o ad altri siti aspri dell’Ogliastra o del Nuorese).
Si badi che questo è un allotropo dell’ampelonimo Alvusignádu o Arvesiniádu.

ALBICELLA. Vite ad uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + ḫelû ‘light(-coloured)’, col significato complessivo di ‘(vite) luminosa (che dà vino chiarissimo) adatta ai siti aspri’. Ma il secondo membro potrebbe avere pure a base l’akk. ḫelû(m) ‘essere allegro’, ‘luccicare intensamente’. In tal caso il significato complessivo sarebbe ‘(vite) dell’allegria che nasce in siti aspri’.

ALBUMANNU. Vite ad uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’ + manû(m) ‘recitare inni, formule incantatorie’, col significato complessivo di ‘(vite dei) suoli difficili che fa fa recitare inni’. Il significato è chiaro: questo vino porta allegria, e nell’alta antichità l’allegria induceva immancabilmente a cantare inni.

ALÓPUS. Vite ad uve bianche. Non credo che la base etimologica sia il greco αλοπούς ‘piede di sale’, perché il significato sarebbe ridicolo ai nostri fini, ed occorrerebbe anche ammettere un fatto non scontato, che tale ampelonimo sia stato introdotto dai monaci bizantini nel primo medioevo.
È molto più congruo pensare ad una base accadica, da ālu(m) ‘village, city’ + pû(m) ‘accesso, ingresso’, col significato sintetico di ‘(vitigno dell’)ingresso al villaggio’. Questo appellativo è tutt’altro che strano. Evidentemente si considerava il vitigno così prezioso, che la sua coltivazione era rigorosamente ristretta alle aree contigue alle abitazioni, da dove poteva essere meglio controllato nei confronti del bestiame pascolante.

ÀLVARA ATZÈSA. Vite ad uve bianche. La base etimologica è l’akk. arbu ‘incolto, abbandonato (a causa delle difficoltà di esercitare l’agricoltura)’ + ašāšu, ešēšu ‘catturare, inghiottire’ di inondazione, marea. Prima di sciogliere foneticamente questi due membri, premetto alcune considerazioni. Il personale Àlvara ‘Barbara’ è distinto dal personale Alváro, Alvára. Quest’ultimo è di origine spagnolo-visigota, fatto conoscere in Italia dal Verdi (La forza del destino) e prima ancora dal Goldoni (La vedova scaltra, 1748). L’ampelonimo Àlvara non ha neppure attinenza col gr. βάρβαρος ‘barbaro’; o meglio, oggi è sentito, causa la paronomasia, come equivalente del nome proprio Àlvara ‘Bàrbara’, ma deriva direttamente dall’akk. arbu ‘abbandonato, incolto, ‘aspro e selvaggio’, con riferimento alla natura delle montagne della Sardegna centrale, impervie e ricoperte di selva, inadatte all’agricoltura. Per l’etimologia di sardo arbu leggi dei vari monti Arbu o Albo, di cui Àlvara è aggettivale. Anche Barbàgia ha la stessa base etimologica, significando “territorio aspro (ossia non adatto all’agricoltura)”. Così, mutatis mutandis, è pure il significato del monte Alváro, presso il villaggio di S.M. a Torres, che è un monte dolomitico.
Ora andiamo a sciogliere compiutamente l’ampelonimo Àlvara atzèsa: àlvara è un aggettivo connesso al fatto che tale vite cresce bene nelle terre aspre; atzèsa riguarda la copiosità delle uve prodotte. Onde il sintetico Alvara atzèsa porta alla circonlocuzione attuale ‘(vite delle) terre aspre che travolge con le inondazioni (ossia con la copiosità dei suoi mosti)’.

ALVU ASTIÁNU. Vite ad uve bianche. La vite dovette essere impiegata sulle terre aspre, poiché ha come primo membro alvu, cfr. akk. arbu ‘incolto, abbandonato (a causa delle difficoltà di esercitare l’agricoltura)’. Il secondo membro non si riferisce al nome proprio Bastiano ma è un antico composto in stato costrutto (akk. aštû ‘trono’ + Anu ‘Dio del Cielo’ = ‘trono di Anu’). Il fitonimo significa quindi ‘(vite delle) rupi (detta) trono di Anu’, evidentemente a causa della bontà del prodotto.

ALVU SIGNÁDU. Vite ad uve bianche. Gli allomorfi sono albegeniádu, arvesiniádu, arvisionádu.
Col nome arvesiniádu è noto principalmente a Benetutti, in area granitica alquanto solatìa, che guarda da mezza costa la valle del Tirso. La sua base etimologica sembra l’akk. arbe ‘quattro’ + siyû una pianta (o se’û ‘pressare’) + nâdu ‘lodato, celebrato’, ‘magnificato’ (di deità). Il significato complessivo del composto può tradursi come ‘pianta quattro volte magnificata’, in subordine ‘(uva) da torchio quattro volte magnificata’.
L’allomorfo albegeniádu, oltre alla base arbu ‘abbandonato, incolto (a causa delle difficoltà di esercitarvi l’agricoltura)’, sembra avere nel secondo membro l’akk. gennu ‘montagna’ + adû ‘leader’. Il significato complessivo sarebbe ‘(vitigno) leader delle montagne aspre’ (il riferimento è a certe plaghe dolomitiche o granitiche dell’Ogliastra o ad altri siti aspri dell’Ogliastra o del Nuorese).

AMANTÓSU. Vite ad uve nere. L’etimologia è tutta un programma, avendo a base l’akk. amtu ‘schiava’, amūtu(m) ‘stato di una schiava’. Non ha quindi la base nel lat. ămāns, amantis ‘amante’ ma in un concetto relativo alla schiavitù. Il nome fu dato, evidentemente, per la forte gradazione alcolica del vino, che ha l’effetto di “schiavizzare”, riproponendo le stesse peripezie accadute al nostro avo Noè e ad altri personaggi biblici.

APESÒRGIA. Sono due vitigni, uno ad uve bianche, uno ad uve nere. La base etimologica è l’akk. a = gr. ana + pesû ‘rallegrarsi, godere di qualcosa’ + urḫu(m) ‘via’. Il significato sintetico del nome del vino e dell’ampelonimo è ‘la via del godimento’.

ARGUMANNU. Vite ad uve bianche. Per l’etimologia, non serve richiamarsi al sardo argu, agru ‘acre, aspro’ + mannu ‘grande’. Non sapremmo che fare di tali semantiche giustapposte: argu, perché? mannu, perché, quando il senso letterale sarebbe ‘grande acido’?
Sembra invece più congruo vedere basi accadiche, dove intanto abbiamo un argamannu ‘(color) porpora, violaceo’. Ma anche questo appellativo sembrerebbe poco congruo, vista la sua banalità. Sembra invece più congruo il composto sardiano con basi accadiche arḫu(m) ‘fast, quick’ + manû(m) ‘recitare’, col significato complessivo di ‘(vino) che affretta la dizione’ (per l’alta gradazione: con ovvio riferimento alla “lingua sciolta” della gente ubriaca).

ARÌSTA. Vite ad uve bianche. Ovviamente non ha alcuna parentela col lat. ărista ‘resta della spiga, la spiga stessa’. L’ampelonimo è sardiano, ed ha la base nell’akk. aru(m) ‘gambo, ramo’ (sineddoche per alberello) + ištēn ‘singolo, singolare’. Il composto significò ‘alberello singolare’ (ovviamente per la qualità del prodotto). A meno che il secondo membro del composto non abbia come base l’akk. išittu(m) ‘magazzino, tesoro’ (stanza del tesoro in un tempio o nel palazzo reale). In tal caso il vitigno avrebbe il significato di ‘alberello del tesoro’ o ‘tesoro d’alberello’.

ARÓFFU. È un composto sardiano, il cui etimo è basato sull’akk. bâru(m) ‘dura, durevole’ + uppu ‘superficie’ o upû, ubû ‘spessore, densità’. Il significato complessivo fu quindi, in origine, ‘(uva) dalla buccia dura’.

ARRAMUNGIÁNU. Vite ad uve bianca. Sembra un allomorfo di Remungiò.

ARVISIONÁDU. Noto principalmente a Benetutti. È un composto sardiano, dall’akk. arbe ‘quattro’ + siyû una pianta (o se’û ‘pressare’) + nâdu ‘lodato, celebrato’, ‘magnificato’ (di deità). Il significato complessivo può tradursi come ‘pianta quattro volte magnificata’, in subordine ‘(uva) da torchio quattro volte magnificata’.

BARBARAXÌNA (x = fr. j). Vite ad uva nera. Ampelonimo sardiano con base nell’akk. arbu. Il secondo membro -raxìna va a sua volta scomposto in akk. raḫû, reḫû(m) ‘versar fuori, cospargere, spruzzare (un liquido magico)’ + suffisso sardiano -ìna. Il significato sintetico fu ‘liquido magico per le cerimonie sacre (prodotto in montagna)’. Per la lunga disquisizione sull’etimo, vedi al Dizionario Etimologico.

BÁRGIU, anche brágiu mannu. Vite ad uve nere. In sardo significherebbe, letteralmente, ‘vario’. Ma è più congrua la base accadica barḫu ‘brillante, splendente’ (con l’ovvio riferimento al nitore traslucido del suo vino rosso).

BARRIADÒRGIA. Vite ad uve bianche; esiste la varietà nera. Composto, con base nell’akk. bâru(m) ‘acchiappare, intrappolare’ + turzu ‘butterfly’, col significato sintetico di ‘acchiappa-farfalle’ (evidentemente per il dolcissimo aroma dell’uva).

BERVECHÌNA. Vite ad uve bianche. Base etimologica nell’akk. berū(m) ‘selected’ + ēqu (a cult object), col significato complessivo di ‘(uva) scelta per le offerte sacrificali’. Ciò lascia intendere che da questo vitigno (probabilmente identificabile in, o simile a, uno fra i più noti: Nasco, Vernaccia, Malvasia…) si otteneva l’uva per il classico “vino da messa”.

BIANKEḌḌA. Vite ad uve bianche. Ampelonimo sardiano che può avere la base nell’akk. anḫullu (a plant) ovvero in anḫu(m) ‘tired’ + ellu ‘chiaro, puro (in quanto simbolo degli incantesimi)’. In questo secondo caso il significato fu ‘(vino) d’elezione per la gente stanca’ (nel senso che dava vigore). Ma vedi discussione nel Dizionario Etimologico.

BISÌNI. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. wīsum ‘pochi’ + īnu ‘vino’, col significato di ‘vino per pochi’ (con ovvio riferimento alla bontà).

BONÉNGIA. Vite ad uve nere. Base nell’akk. būnu(m) ‘bontà’, ‘favore, buone intenzioni’, ‘prominenza, distinzione’ + enēnu(m) ‘accordare favori, essere favorevole’. Il composto in stato costrutto (būn- enēnu > *bunengiu > bonéngia) contiene due termini originari che si ripetono, stanno ambedue nello stesso campo semantico, rafforzandosi a vicenda. Il fitonimo un tempo significò ‘(vite) ricca di bontà’.

BÒRGIO. Vite ad uve nere. Base nell’akk. urḫu(m) un traslato che indica ‘la via della vita’. Il che è tutto un programma.

BOVÁLE. Vite ad uva nera. Base nel bab. bu’’u ‘ricercato, ambito’. Bovale è una denominazione poetica, un aggettivo col suffisso -ale (*bu’’u-ale).

BRÁGIU MANNU. Vite ad uva bianca. Metatesi dell’ampelonimo Bárgiu, base nell’akk. barḫu ‘brillante, splendente’ (con riferimento al nitore traslucido dei chicchi d’uva). Il secondo membro ha base nell’akk. manû(m) ‘recitare inni, formule incantatorie’. Significato complessivo ‘(vino) brillante per le cerimonie sacre’.

BRUSCU BIÁNCU. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. ūru(m) ‘alberello’ + šūqu ‘quantità’ col significato sintetico di ‘alberello della quantità’ riferito alla notevole quantità dell’uva prodotta; stato costrutto ūr-šūqu > *ūr-š(ū)qu *(b)ūru-šqu > metatesi bruscu.

BRUSTIÀNA. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. burussu(m) ‘otre’ + tī’u ‘nutrimento, sostentamento’, col significato di ‘otre del nutrimento’ (forse nel senso che produce uva da tavola).

CAḌḌÍU. Base nell’akk. ḫaddû ‘gioiosissimo’. Il che è tutto un programma.

CAGNULÁRI è uno dei vitigni classici della Sardegna, attestato sulle colline mioceniche del Sassarese, specialmente ad Ùsini. Ha riscontro nell’akk. kanû(m) ‘trattare delicatamente, onorare’ (riferito agli dei) + larû(m) ‘ramoscello’. Significa quindi ‘piantina che onora gli dei’, ‘piantina che tratta gli dei con delicatezza’.

CALABRÈSA. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. ḫalabu ‘mungere’ + rēšu(m) ‘top quality, the best’, col significato sintetico di ‘mungitura (vendemmia) della migliore qualità’.

CANAJÒLA. Vite ad uva bianca. Base etimologica è l’akk. qanû(m), qanā’u ‘to keep possession (of slave)’ + ḫulû ‘strega’. Il significato complessivo è ‘strega affascinante, strega che s’impossessa di te’ (con ovvio riferimento alla bontà del vino).

CANNONÁU in Sardegna è forse il vino più celebre. Base nell’assiro-bab. kannu ‘shoot, sapling, germoglio, alberello’ + na’û(m) ‘nostro’ (aggettivo enfatico usato volutamente al posto del suffisso possessivo).

CARÀNA non è un vitigno oggi noto. Il riu Caràna in territorio di S.Antonio Gallura è un idronimo con probabile base nell’antico assiro karānu, neo-assiro kirānu che riguarda un vino particolare, un’uva da vino particolare. Che pure i pianori del rio Caràna abbiano avuto in illo tempore una piantagione del tipo pregiato, è possibile. Ma è meglio credere che l’alto corso di questo fiume, che scorre in territorio siliceo, fosse così denominato per il tipo di Vitis riparia ivi presente, la quale evidentemente servì agli agricoltori del Neolitico come banca-biologica per gli impianti sulla terra coltivabile. Vedi Carignáno.

CARCANGIÒLA, carcangliòla, caricagiòla. Vite ad uva nera. Base nell’akk. kâru ‘essere stordito, incapacitato’ + kanku ‘escludere, bandire’ (st.costrutto kâr-kank- + suff. sardiano -iòla), col significato complessivo di ‘(vino che) non produce stordimento, ubriachezza’ (forse riferito alla gradazione meno forte).

CARDARÉLLU. Vite ad uve nere. Base nell’akk. qardu(m) ‘valoroso, eroico’ con riferimento al re, al dio + ellu ‘puro’ (in relazione al culto), con epentesi di -r- eufonica. Significato chiaro: è chiamato ‘eroico’ per la bontà del suo prodotto (il vino), il quale a sua volta è (un tempo sicuramento lo fu) una classica bevanda per le cerimonie sacre, per la “messa”.

CARICAGIÒLA è un nome di vite sarda. Vedi carcangiòla.

CARIGNÁNO vitigno ad uve rosse. Base etimologica nell’ant. assiro karānu, neo-assiro kirānu ‘vino particolare, uva da vino particolare’ + Anu ‘Dio supremo’ (composto per stato costrutto karan-Anu), col significato complessivo di ‘vino appartenente al Sommo Dio’ (come dire ‘vino immortale’, ambrosia).

CODDILÒINA. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. ḫūdu(m) ‘felicità, piacere, gioia, soddisfazione’ + lu’u(m) ‘gola, esofago’, col significato sintetico di ‘gioia della gola’.

CÒI ERBÉI. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. qû(m) misura di capacità + erbu ‘reddito, incasso’, col significato sintetico di ‘misura del reddito’ (a causa della certezza del reddito proveniente dal vino di tali viti).

COLOMBÀNA. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. ḫulû ‘strega’ + banû(m) ‘bella, buona’, col significato sintetico di ‘bella sirena, bella incantatrice’.

CORNIÒLA. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. ḫūru, ūru(m)’albero, ramo’ + nīlu(m) ‘prostrato (albero)’, col significato di ‘alberello prostrato’.

CORRÙDA. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. kurrû(m) ‘short’ + ūdu ‘distress, affliction’, col significato sintetico di ‘accorcia-malanni’ (a causa della bontà del vino prodotto).

CRANNÁCCIA. Vite ad uva bianca. Base etimologica nell’akk. karānu ‘vino, vitigno’ + naqû ‘versare (vino in libagione, durante un sacrificio)’, col significato complessivo di ‘vino da libagione (per i sacrifici del tempio)’. Sembra di capire quindi che tra Vernaccia e Crannaccia in origine ci fosse una netta distinzione, e che solo in seguito, causa la paronomasia, si sia giunti alla confusione.

CULPUNTO. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. qullû, qu(l)liu(m) (a vessel) + puttu ‘principe’ (col termine si indica pure un genere di birra). Il significato sintetico dello stato costrutto (qul-puttu, con epentesi di -n- eufonica) è ‘(vino) principe delle giare’ (nel senso che il vino prodotto era tra i più conservabili.

CUSCUSEḌḌA. Vite ad uva nera. L’etimo riposa su un raddoppiamento sardiano (un superlativo) basato sull’akk. qušû (a deity robe): stato costrutto quš-qušû + il solito ellu ‘puro’ per indicarne la magnificenza. Il significato quindi è all’incirca ‘(uva dall’) aspetto simile a un dio’.

ERBA LÌERA. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. erbu(m) ‘guadagno, entrata’ + libbu(m) ‘cuore, organi interni’ anche come sede di emozioni; ‘gioioso’. Il significato sintetico è quello di ‘bevuta di emozioni’, ‘entrata di emozioni’ (con riferimento alla bontà del vino).

ERBA POSÀDA. Vite ad uva nera. Base nell’akk. erbu(m) ‘entrata, guadagno’ + pû(m) ‘bocca’ + sādu ‘lega aurea’, col significato sintetico che, a un dipresso, suona ‘bevuta aurea’, o ‘vantaggio aureo della bocca’ od ‘oro che entra in bocca’.

ERBINÈRA. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. erbu(m) ‘entrata, guadagno’ + nēru(m) (a tree), col significato sintetico di ‘alberello del guadagno’ (evidentemente per la sua produttività).

FORNACCÌNA. Vite ad uve bianche. Base nell’akk. purûm ‘abuso’ + nâḫu ‘riposare, stare a riposo, calmarsi’, col significato sintetico di ‘abuso che rende quieti’ (con riferimento alle bevute da sbornia).

GALETTA. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. galû ‘esiliato; messo da parte (anche nel senso del KO)’ + ettu(m) ‘segno, marchio caratteristico’, col significato sintetico di ‘marchio della sbornia’ (per l’alta gradazione del vino).

GALOPPU. Vite ad uva bianca. È congruo vederci un composto sardiano con le seguenti basi: ebr. ’ahal (הַלאָ) ‘esser chiaro, scintillare, brillare’ + akk. ḫuppu ‘danzatore sacro’. Il significato sintetico fa riferimento alla limpidezza e alla danza sacra (riservata agli déi nelle cerimonie importanti). A meno che non si voglia riprendere un altro lemma ebraico, ’ahal, che nei tempi biblici indicò un legno aromatico. In tal caso i due concetti dell’aroma e della danza sacra (durante la quale si liba coi vini migliori) sono attinenti al nome di questo vitigno.

GIRÒ, Zirone. É un classico vitigno (e relativo vino rosso) del Campidano meridionale, ivi relegato di recente dopo che per millenni era stato coltivato in tutta la Sardegna. Wagner ritiene il fitonimo d’origine ispanica in virtù del corrispettivo catalano girò. Lo stesso Vodret lo ritiene spagnolo, nonostante che il suo libro, proprio in apertura, apparecchi una carta del Mediterraneo con relative frecce, indicanti l’origine semitica dei vini sardi. E in realtà, mentre la Catalogna beneficia, al pari della Sardegna, d’una pletora di lemmi d’origine semitica, dobbiamo cominciare col dire che ancora oggi gli Ebrei dicono tiroš per ‘vino’ ( תִּירוֹשׁ ). Inoltre c’è un preciso lemma akk. ṭīru che indica un non meglio precisato genere di ‘alberello’. Ma dobbiamo prestare attenzione specialmente all’aggettivo akk. ṣīru(m) ‘esaltato, supremo, splendido, eccellente; di alta qualità’.
È evidente l’incrocio delle due forme accadiche, che hanno prodotto il nostro Ziròne. A sua volta Girò è la forma secondaria, importata per il tramite della Catalogna ma pur sempre d’origine semitica, coesistita assieme a Zirone dal 1324, ma solo nelle città reali (dove i Catalani s’insediarono), mentre nelle campagne la forma Ziròne ha sempre imperato senza contrasti.

LACCONARZU, laccanarzu, laccornássiu, vite ad uva bianca. Per l’etimo è possibile considerare il lemma come allomorfo di licronáxu (vedi). Ma è pure possibile evidenziare un etimo specifico, pur mantenendo ferma l’identità tra i due vitigni. In questo secondo caso avremmo la base accadica lāḫu ‘young shoot’ + nāru(m) ‘aureola della Luna’. Col che abbiamo un significato molto sintetico: ‘(piantina) corona del dio Luna’. Il che sarebbe uno dei più alti elogi fatti a un vitigno. In ogni modo è possibile considerare il secondo membro dell’ampelonimo (-narzu) dall’akk. nāru(m) ‘musician’. Col che il senso del lemma antico sarebbe ‘alberello mùsico’ (ossia ‘vino destinato alla musica’, grazie alla sua bontà. Sappiamo quanto fosse importante la musica presso i popoli antichi).

LICRONÁXU (lacconarzu, laccanarzu) è un vitigno che produce vino bianco; ma in ristrette aree esiste pure su licronáxu nieḍḍu. Composto poetico, dall’akk. liqu(m), lāqu ‘palato’ + nāru(m) ‘musico, musicante’, col significato complessivo di ‘musico del palato’ (con riferimento alla gioia che dà ad assaporarlo). Ma può significare pure ‘(vino per il) palato dei musici’.

MALVASÌA. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. malû(m) ‘abbondanza, pienezza’ + (w)aṣu(m) ‘far crescere, germogliare, dischiudersi’ = ‘germoglio dell’abbondanza, germoglio dell’opulenza’.

MANZÉSU. Vite ad uve nere. La base etimologica è l’akk. manû(m) ‘recitare inni, formule incantatorie’ + ḫesû(m) ‘spremere droghe e altro attraverso un telo’. Il significato antico è di pronto apprendimento, anche se ambiguo: o si tratta di una metafora esaltatoria delle sue qualità, oppure tale vino fu usato veramente per le pratiche d’incantesimo, che nell’alta antichità erano del tutto usuali, senza per questo perdere il fascino arcano (erano praticate di notte, possibilmente al chiaro di luna) e l’alta qualità delle procedure.

MARA. Vite ad uva nera. Base nell’akk. amāru(m) ‘fare un sogno, sognare’. Il che è tutto un programma.

MEDRULÍNU. Vite ad uva nera. Il fitonimo ha la possibile base nell’akk. mērû ‘gravidanza’ + tullû ‘decorare’, col significato sintetico di ‘splendida gravidanza’ (con riferimento alla pienezza dei grappoli d’uva). Una seconda opzione sarebbe lo stato costrutto akk. mertû, martû (a tree) + ullû(m) ‘esaltato’ come epiteto della divinità + il suff. aggettivale sardiano -ínu. In questo caso il significato sintetico sarebbe ‘alberello dell’esaltazione divina’.

MÌGIU. Termine usato in alternanza con Semidánu. Abbiamo una base accadica, che dà miḫḫu (a type of beer) used for libation. Col che veniamo a sapere che, laddove mancava il vino, anche la birra veniva usata dai locali per le libagioni sacre: fatto attestato varie volte nei testi mesopotamici.

MOLLE. Vite ad uva bianca. Base nell’akk. mullu(m) ‘riempimento’, mūlu ‘pienezza’. Sembra riferito alla pienezza dei grappoli prodotti.

MÓNICA. Vite ad uva nera. Base nell’akk. muneḫḫu ‘che rende docile, quieto’. Questo appellativo curioso deriva dal fatto che la bassissima acidità fissa del vino lo rende appetibile, al punto che il bevitore varca facilmente la soglia dell’attenzione, restandone… domato, ‘docile, quieto’.

MORA. Vite ad uve nere. Base nell’akk. mūru(m) ‘giovane animale’. Mūru era un epiteto indirizzato al re, e spesso rappresentava la più autentica denominazione del regnante: ‘giovane animale’ al posto di ‘re’. Tanto basta per capire l’importanza di questa vite.

MOSTÁI. Vite ad uva nera. Ha la base etimologica nell’akk. mušta’’û ‘tempo libero, bella vita’. Questo ampelonimo è tutto un programma.

MURÍNU o mùrinu. Vite ad uve nere. Base nell’akk. mūru(m) ‘giovane animale’ + īnu ‘vino’. Vedi mòra.

MURISTELLU. Vite ad uva nera. Base nell’akk. mūru(m) ‘giovane animale’ + šitû ‘il bere, l’atto del bere’. Mūru era un epiteto indirizzato al re; a tale epiteto si aggiunse per stato costrutto il termine šitû + ellu ‘vino da offerta’. Quindi significò, sinteticamente, ‘(vino che) il Re beve nei sacrifici del Tempio’. Non ci sono parole per intessere lodi più valide a questo vino portentoso.

MUSCÁU. Vite a uve bianche. Base nell’akk. mû ‘acqua’ ma anche ‘ordine, regole (cosmiche, con riferimento al culto)’ + ṣūḫu ‘risata’, ma anche droga, incantesimo afrodisiaco, che porta alla risata. Il composto s’aggiustò col tempo in *mu-ṣuḫ-au > muscáu. Quindi il vino Muscáu originariamente fu chiamato ‘acqua dell’incantesimo’ per la sua bontà. In ogni modo possiamo tradurre la base accadica anche come ‘acqua della risata’ poiché, essendo il Moscato un classico vino da donne, la risata è il primo segno dell’ubriachezza muliebre.

NASCO, Nascu, vite ad uva bianca. Base nell’assiro nasāqu ‘to choose, select’ > nasqu ‘chosen, precious; select quality’. Giusto il fatto che moltissimi termini semitici sono condivisi dall’accadico e dall’ebraico, dobbiamo ricordare che l’ebraico nāsaq (נַסַק) significa ‘versare (il vino), fare libagione, offerta di vino’: tutto ciò riferito specialmente al vino delle offerte, al vino sacro (oggi diremmo vino da messa). Ciò lascia intendere quanto fosse importante questa vite per gli Ebrei fondatori di Sìnnai, e c’è da scommettere che furono proprio loro a dare il nome al Nasco.

NEGRAVÈRA. Vite ad uve nere. Base nell’akk. nēru (a tree) + bêru(m) ‘to choose, select’, col significato sintetico di ‘alberello scelto’.

NIEḌḌA. Vite ad uve nere. Base nell’akk. nidnu(m) ‘dono (ricevuto da Dio)’. Il che è tutto un programma.

NIEḌḌA CARTA. Vite ad uve nere. In epoca arcaica l’equivalente di niéḍḍa carta (ossia akk. nēru ḫarāṭum) significò ‘alberello che nutre’, forse perché produceva uva da tavola, o forse perché il buon vino è nutriente comunque, anche quando si è privi d’altra pietanza.

NIEḌḌA MANNA. Vite ad uve nere. Base nell’akk. nēru (a tree), che perdette lentamente il suo significato e fu omologato all’it. nero, da cui occorreva distinguersi pronunciando niéḍḍu, sardo ‘nero’. A sua volta, manna non significa l’attuale ‘grande’, perché non c’è ragione. Anche tale parola ha subito l’omologazione, ma anticamente corrispondeva all’akk. mânu ‘provvedere di cibo’. Infatti niéḍḍa manna significò ‘alberello nutriente’. È lo stesso fenomeno che abbiamo già notato nell’ampelonimo niéḍḍa carta.

NIEḌḌÈRA. Vite ad uve nere. Base nell’akk. nīdu(m) ‘giacente, strisciante’ + ēru(m) (a tree), col significato complessivo di ‘alberello molto piccolo’, ‘alberello molto basso’.

NIEḌḌU ALTZU. Vite ad uve nere. Base nell’akk. nēru (a tree). Perdette lentamente il suo significato e fu omologato all’it. nero, da cui occorse poi distinguersi pronunciando niéḍḍu, sardo ‘nero’. A sua volta, altzu non è altro che l’adattamento fonetico (epentesi di -l-) di un termine sardiano con base nell’akk. (w)aṣu(m) ‘solista’ (cantante del culto). Il composto niéḍḍu altzu significa quindi, nel complesso, ‘alberello solista’, il che, riferendosi all’enorme importanza del cantante solista negli antichissimi templi, è un elogio altissimo.

NIÉḌḌU MANNU. Vite ad uve nere. Vedi nièḍḍa manna.

NIÉḌḌU PORKÍNU. Vite ad uve nere. Base nell’akk. nēru (a tree), perdette lentamente il suo significato e fu omologato all’it. nero, da cui occorse poi distinguersi pronunciando niéḍḍu, sardo ‘nero’. A sua volta, porkínu è un termine sardiano con base nell’akk. puḫru(m) ‘assemblea, riunione’ di clan, famiglia, popolo. L’ampelonimo significò quindi ‘alberello delle assemblee’. Se poniamo mente all’importanza di certe assemblee dell’antichità (normalmente riservate agli uomini), sappiamo quanto vino scorresse. Doveva essere un vino “festivo”, quello buono, delle grandi occasioni. Di qui il nome dell’ampelonimo, che è tutto un programma.

NIÉḌḌU PRUNISKEḌḌA. Vite ad uve nere. Paronomasia originata da un ampelonimo sardiano basato sull’akk. nidnu(m) ‘dono (di Dio)’ + purûm ‘abuso’ + nisḫu(m) (risultato dell’estrazione: spremuta, vinificazione) + ellu ‘puro, limpido’ (riferito a un dio o all’uso nelle cerimonie sacre). L’ampelonimo, già nell’alta antichità, dovette avere un significato estremamente sintetico, che era tutto un programma, riferito al vino la cui spremuta (mosto) sembrava un autentico dono di Dio da usare nei riti sacri (ellu), del quale però si giungeva a fare abuso (a causa della bontà).

NURÁGUS. Vite ad uva bianca. Base etimologica nell’akk. numru ‘brillantezza’ + agû ‘onda, flusso, inondazione’, per cui significa, letteralmente, ‘flusso di brillantezza’. È infatti il bianco più chiaro della Sardegna.

OGU PÙSSIDU vite ad uva bianca. Base nell’akk. ugu ‘power, strength’ + puṣû(m) ‘bianchezza’ anche come designazione di un tipo d’oro + edû ‘onda’. L’antico significato complessivo è ‘onda potente e chiara’ (riferita al vino prodotto).

OLLASTRÍNU. Vite ad uva nera. Base nell’akk. ullû(m) ‘esaltata’ detto di una dèa magnificata + aštaru ‘dèa’ + īnu ‘vino’, col significato sintetico di ‘vino di dea magnificata al sommo grado’.

PALMÌJA. Vite ad uva bianca. Paronomasia creata su un ampelonimo di origine sardiana basato sull’akk. palâmu (una veste regale) + igû ‘prince, leader’. Il significato fu ‘apparenza da principe’ (riferito al grappolo d’uva).

PANSÁLE, pantzále è il nome antichissimo d’una vite sarda, da cui è sortito pure un cognome. Il termine è sardiano con base nell’akk. panū(m) ‘andare avanti, in testa’ + salā’u(m) ‘spruzzare’ (acqua nei riti di purificazione).
Per capire meglio l’etimo, occorre badare al gesto benedicente dei preti cattolici che aspergono l’acqua benedetta, il quale è identico alla gestualità precristiana, poiché anche gli antichi sacerdoti operavano allo stesso modo, specie in Egitto e in tutto il Vicino Oriente. Si dà il caso che per certi riti si aspergeva il vino. Ciò è noto principalmente (ma non solo) per i riti di aspersione nelle cerimonie cimiteriali. Il vino fu sempre un ingrediente importante nei riti sacri dell’antichità. E non fu un caso se Gesù lo santificò, dichiarandolo suo sangue per i secoli a venire.

PANTZALINIÉḌḌU è il nome di una vite sarda, forse distinta da quella nota come pansále (vedi). Per l’etimologia rimando a pansále. Niéḍḍu sembra richiamare il fatto che ci si riferisce a un vitigno produttore di uve nere.

PASCÁLE. Vite a uve nere. Ha un nome autoreferente, che richiama la Pasqua. È il classico ‘(vino) pasquale’. Non dimentichiamo che la Pasχa, la Pasqua (Pesaχ) era ed è la più grande festa ebraica, quella in cui era consentito persino ubriacarsi. Il ‘vino pasquale’ dev’essere dunque il migliore in assoluto. Pascále è da ritenere pertanto un ulteriore tassello di memoria dell’antica Sardegna, dei tempi in cui la presenza ebraica (che data almeno dal 950 a.e.v.) era veramente cospicua ed influente.

PIÁNU. Vitigno a uve bianche. Base nell’akk. pānīu(m), pānû(m) ‘il primo in assoluto’. Il che è tutto un programma.

PREDI OLLA. Vite a uva bianca. Base nel bab. pitru(m) + ullû(m) che significa, letteralmente, ‘terreno esaltato’ (rivolto a una dea), che in questo caso possiamo tradurre “tralcio divino”.

RAMÁSCIU. Vite a uva bianca. Base nell’akk. rāmu ‘amatissimo’ + ašu(m) ‘distinto, nobile’, col significato di ‘nobile e amatissimo’.

RAZZÒLA. Vite a uva bianca. Base nell’akk. râṣu(m) ‘accorrere (in aiuto)’ + ullû(m) ‘esaltata’ di dèa. Il significato originario fu ‘grande dèa soccorritrice’. Il che è tutto un programma.

REMUNGIÓ, Remmungiáu, Ramungiáu è una varietà d’uva bianca del sud-Sardegna. Il termine, basato sul vocabolo remungiádu, deriva dall’assiro rêmum, re’āmum ‘to be merciful, have compassion on’, ‘essere misericordioso, compassionevole’, re’mu ‘amico, unico grande amore’ + ḫadû ‘gioioso’. Il composto è quindi da tradurre come ‘amico gioioso’.

RETAGLIÁDU. Vite a uva bianca. Base nell’akk. rētu ‘forza’ + allatu, illatu(m) ‘famiglia, clan; (dio del) clan’, col significato sintetico di ‘forza del clan’, o ‘forza del dio del clan’: il che è tutto un programma.

RETÁGLIU. Vite a uva nera. Sembra una retroformazione di retagliádu, cui rimando. In ogni modo, nell’ipotesi che l’ampelonimo abbia avuto una formazione autonoma, si può proporre tranquillamente l’etimo accadico rētu ‘forza’ + ālu(m) ‘villaggio’, col significato sintetico di ‘forza del villaggio’ (nel senso che la produzione di tali vitigni doveva essere una garanzia di sopravvivenza, o una sicurezza di scambio, per un villaggio organizzato).

ROSA. Vite a uva nera. Base nell’akk. rusû(m) (un genere d’incantesimo). L’ampelonimo parla da sé.

ROSANÈRA. Vite a uva nera. Per l’etimo di questo ampelonimo, vedi più su rosa, che significa ‘incantesimo’. L’aggettivale nera è alquanto sospetto, essendo italianizzante. Lo si poteva chiamare nièḍḍa. Evidentemente quello che sembra un aggettivale è, in realtà, una paronomasia prodotta su un termine sardiano avente la base nell’akk. nēru (a tree). Quindi rosa nèra significò ‘alberello degli incantesimi’ (a causa della bontà del vino). Nome di stupefacente bellezza.

SATZAPÓRUS. Vite a uva nera. Il termine è sardiano, con base nell’akk. šaṭāpu(m) ‘preservare la vita’ + ūru(m) ‘città, villaggio’. Al pari del vitigno Retagliádu, che significò la ‘forza del villaggio’ (evidentemente perché ha sempre garantito una resa vitale per l’intero villaggio), anche satzapórus significò ‘il salva-vita del villaggio’.

SEMIDÁNU. Vite a uva bianca. La base etimologica è l’akk. šīmtu(m), šēmtu ‘fato, destino’ + suffisso aggettivale sardo -nu. La forma sarda riposa, al solito, sulla desinenza in -a dell’accus. akk. (šīmta). La forma semidánu deriva dunque dalle forme intermedie *šim(i)tum, *šem(i)tum e significa ‘(vino) del fato, del destino’. Tutto un programma.

SINZILLÓSU. Vite a uva nera. Base nell’akk. Sîn, sînu ‘dio Luna’ + sillu(m) ‘protezione del dio’ (stato costrutto sîn-sillu + suff. sardiano -ósu) col significato di ‘protezione del dio Luna’ (il quale in origine fu molto più importante).

SPAREḌḌA. Vite a uva bianca. Base nell’akk. sippirû (a fruit tree) + ellû(m) ‘puro, limpido’: stato costrutto sippir-ellû > *s(ip)par-ella > spareḍḍa. Probabilmente, la piantina produsse uva da mensa: di qui il richiamo all’albero da frutta e alla limpidezza (del vino).

TENÁGI RÙBIU. Vite a uve nere. Base nell’akk. tīnu ‘un cespuglio fruticoso’ + aḫû(m) ‘fraternizzare’. In questo caso il significato sintetico è ‘alberello della fraternità’ (poiché berne il vino porta a… solidarizzare).

TIDOCCO. Vite a uva bianca. Base nell’akk. tîtum ‘nutrimento, cibo’ + akû ‘palo d’ormeggio, d’appoggio’. Col che veniamo a sapere che le due viti titiacca (vedi) e tidocco producono uva da tavola, e che fin dalla più alta antichità i due vitigni furono utilizzati principalmente nelle pergole o appoggiati ad alberi o spalliere (palo d’appoggio).

TITTIÀCCA è un vitigno che produce uva da tavola bianca. Il termine è una agglutinazione, che tutti esplicano in titta de bacca ‘capezzolo di vacca’. In realtà ciò è vero soltanto per il primo membro dell’ampelonimo (titti-) che è il sardo titta, con suffisso -i- per essere in stato costrutto.
Ha un’equivalenza quasi perfetta con l’ampelonimo detto tidocco (vedi). La base etimologica è l’akk. tîtum ‘nutrimento, cibo’ + akû ‘palo d’ormeggio, d’appoggio’. Col che veniamo a sapere che le due viti titiàcca e tidòcco producono uva da tavola, e che fin dalla più alta antichità i due vitigni furono utilizzati principalmente nelle pergole o appoggiati agli alberi, o alle spalliere (palo d’appoggio).

TRIGA. Vite a uva bianca. Base nell’akk. ṭīru(m) (un genere di alberello o cespuglio) + igû ‘principe, leader’. L’antico significato dell’ampelonimo è ‘alberello principe’. Di triga ci sono due vitigni, quello ad uva nera e quello ad uva bianca.

VERMENTÍNO. Vite a uva bianca. Tri-composto accadico: bēru ‘di élite, selezionato, scelto’ + mīnu(m) ‘incalcolabile’ + tīnu (un cespuglio che dà frutti). Il composto si combinò quindi in *ber-min-tinu. Significa pertanto ‘alberello fruttifero altamente selezionato’.

VERNÀCCIA. Vite a una bianca. Base nell’akk. bēru(m) ‘selected’ + naqû ‘versare (vino in libazione, durante un sacrificio)’. Il nome significa quindi ‘(vino di classe) scelto per le libazioni’. Scopriamo così che questo vino prodigioso nell’alta antichità era usato, al pari del Nasco nel sud-Sardegna, per i riti divini: era insomma un classico “vino da messa”.

TZACCAREḌḌA. Vite a uve nere. Base nell’akk. zakāru ‘parlare’ + ellu ‘puro, chiaro’, col significato di ‘parlar chiaro’ (epiteto ironico dovuto alla “parlantina” causata dal vino). Con questo nome abbiamo viti a uve bianche e viti a uve nere.

ZIRÒNE. Vedi Girò.

2. VOCABOLARIO ETIMOLOGICO DEI FITONIMI SARDI

In Sardegna, grazie all’etimologia dei cognomi e dei toponimi, è possibile riesumare numerosi nomi arcaici di piante (o nomi ad esse riferiti), che altrimenti sarebbero rimasti sepolti e tacciuti in eterno. Quest’operazione di messa in luce non vuole affatto avere la pretesa di reintrodurre tali fitonimi tra quelli ancora in uso nell’isola. Certe parole sono oramai morte, ed è giusto che morte rimangano. Però all’etimologo serve anche questo: evidenziare certi fenomeni per mostrare uno “spaccato” di altre epoche, per dare conto delle perdite lessicali e delle nuove formazioni che nel tempo si sono affacciate.
Così ha senso ricordare che la Punta is Aruttas, nella porzione centro-occidentale della penisoletta del Sinis, non attiene alle “grotte”, anche perché il sito ha rocce arenacee, poco adatte ad essere scavate a fondo dal mare. Invece il termine ha base etimologica nel bab. ḫaruttu ‘date palm frond’. Quindi il toponimo va tradotto come ‘Punta delle palme da datteri, Punta delle fronde di palma (da datteri)’. Questa doveva essere la situazione quattromila anni or sono.
Simile operazione di restituzione in pristino è valida anche per Lardòri, un cognome di Ussassái che indicò un fitonimo con base nell’akk. lardu ‘erba’ (prob. il nardo) + urû ‘sostanse aromatiche’. Questo fu un tipico prodotto “da erboristeria”; se era stato il nardo, allora fu importato dal Vicino Oriente, e l’apparizione di un tal cognome a Ussassai (nel sito più remoto dell’isola) può avere un solo significato, che i commercianti di nardo si spinsero anche nelle contrade più interne, ricevendo il cognome dal prodotto venduto.
Altra restituzione in pristino avviene per Altèa, cognome d’origine assai antica, essendo registrato in Sardegna già dal 1410 nel CDS I 833 e II 43; si ha ripetutamente anche in EA. Nel 1600 appare in Sassari e Porto Torres. Un casato con questo nome appartenne alla nobiltà isolana. Nell’isola si ebbe anche il cgn. Altéo. Base etimologica è l’akk. ārā ‘territorio, estensione di campagna’ (pronunciato in sardo, indifferentemente, ara e ala) + tē’u, tī’u ‘fico’. Altèa indicò in origine un ‘territorio piantato a fichi’.
Altra restituzione è il cognome Arzédi, che Pittau fa corrispondere al villaggio medievale Arzedi, Arcedi presso San Sperate. Il termine è un composto sardiano basato sull’akk. arsu, arzānu ‘chicco d’orzo’ + (w)ēdû(m) ‘prominente, importante’. In origine questo fu, evidentemente, il nome dell’orzo migliore della Sardegna, così famoso da dare il nome al villaggio e al cognome.
Bana è cognome di Oristano con base nel sum. bana, indicante una parte della palma da datteri.

Discorsi e puntualizzazioni tipo quelli proposti sono possibili in altri casi. Ma in questa Enciclopedia non c’è bisogno d’insistere. Invece sento l’esigenza d’elencare uno ad uno tutti i fitonimi oggi esistenti, con relativa etimologia, magari ridotta per ragioni di spazio. Tali fitonimi saranno reperibili anche nell’annesso Dizionario Enciclopedico, in forma più completa.

ABRÌḌḌA. Vedi aspìḍḍa.

ACCODRO ‘terebinto’. Vedi còdora e cordra.

ACCUCCA (Isili, Nurri, Illorai), cucca, cucca cucca log. e camp. ‘gramigna’ (Hordeum bulbosum L.), ‘scagliola’ (Phalaris tuberosa L.), ‘bambagiona’ (Holcus lanatus L.), ‘paleo dei prati’ (Festuca elatior L.), ‘mazzolina’ (Dactylis glomerata L.), ‘scagliola campestre’ (Phalaris canariensis L.).
È arduo dare un nome certo e distinto ai fitonimi relativi alle numerose Graminacee. Talché si genera uno stesso nome per parecchie specie tassonomiche, e per alcune specie ci sono più nomi. Questo problema riguarda, con maggiore o minore ampiezza, i fitonimi quali accucca, cucca, cucca cucca, erba de ascùlpi, coedòppi, erba stulàda, mussi mussi, erba gabiḍḍùda, pilìni, erba de braba, erba cuaddàra e altri, che talora si scambiano tra di loro.
Il rappresentante più noto di questo genere botanico è la scagliola (Phalaris canariensis L.), che viene pure coltivata perché i semi sono appetiti dagli uccelli e in particolare dai canarini. Le varie specie campestri, tra le quali rientra la scagliola, hanno pure altri nomi, quale coiáttu (vedi), erba cuaddàra (vedi), e così via.
Invero, la parola (escluse eccezioni rare nella storia della lingua sarda) è nata allorché s’intendeva dare una precisa denominazione e definizione alla cosa, al fitonimo, all’idea. Tenuto conto di ciò che rappresentarono le Graminacee per i pascoli delle età arcaiche, accucca, cucca, cucca cucca va considerato come composto sardiano con base nell’akk. akû ‘umile, debole, senza forze’ + uqu ‘popolazione’ (nel senso di varietà botanica), col significato di ‘genere umile’.

ÀDANU ‘ginestra dell’Etna’ (Genista aetnea L.); cresce in forma arborea ed è tipica della Sicilia e della Sardegna. Nelle lingue semitiche abbiamo forme similari (come fenicio ’dn ‘signore’, ugaritico adn ‘signore, padrone’). L’etimologia proposta da NPPS 303-4, basata sulla forma tardo-latina cadanus ‘erba odorifera’, galiz. cádavo, port. cadávo, ceco kadík, russo kadít ecc. aiuta a completare il quadro.

ÀḌḌARA ‘galla della quercia’. Vedi gàḍḍara.

AÈNA, avèna ‘avena’. Cfr. lat. avēna, lit. avižà, lett. àuza, ant.pruss. wyse, asl. ovĭsŭ. Nell’accadico abbiamo la base etimologica: per sardo aèna e lat. āvēnā, ḫāwû, amû ‘’lettiera per animali’ (un uso ancora attuale) + sum. en ‘signore, maestro’; onde i fitonimi sardi enárgiu, avenárzu, enárzu.

AÈNA MURRA ‘avena selvatica’ (Avena fatua L., Avena barbata Brot., Avena sterilis L.). Nell’accadico abbiamo la fonte di questo fitonimo: essa è, per sardo aèna e lat. āvēnā ‘avena’, ḫāwû, amû ‘lettiera per animali’ + sum. en ‘signore, maestro’; onde i fitonimi sardi enárgiu, avenárzu, enárzu + mūru(m) ‘giovane animale, torello, puledro’. Il significato complessivo è ‘avena per torelli, puledri’ (con riferimento al fatto che i giovani animali appena svezzati avevano bisogno di un primo nutrimento a base di queste foraggere).

AGRAXÈDA (x = fr. j) nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

AJÁCCIU gall. ‘ginepro rosso’. Vai al lemma gjáccia.

AÍΘΘO è il fiore del corbezzolo (Arbutus unedo L.) a Urzuléi, Talàna; a Perdasdefogu aíssu. Base etimologica nell’akk. a, ana (stessi significati della particella greca) + ittu(m) ‘(ominous) sign’, especially good; in composto fa: sardiano a-ittu, col significato di ‘segno divino’ o simili.
Da ciò sembra di capire che anticamente, nonostante il dispregio dei Romani per gli Ilienses che producevano il miele amaro (un miele ostile come il loro carattere…), gli Ilienses medesimi amavano a tal punto i prodotti dell’Arbutus unedo da considerarli un segno di amicizia divina.

ALAPÁTTU, lapattu, lapathu, lampattsu. Si chiamano così vari tipi di ‘romice’ (Rumex o Acetosa). Tali piantine hanno l’acido ossalico e, come si dice, prendono alla gola a causa della forte acidità. Infatti il fitonimo ha base nell’akk. lapātu ‘toccare, afferrare, prendere alla gola’.

ALÁSE, alási ‘agrifoglio’, anche ‘pungitopo’. Vedi olòsi.

ALÁSU ‘gramigna’ (Ogliastra). Vedi etimo al lemma olòsi.

ALATÉRRU, alavérru, ladérru, arridéllu, alidérru, arridéli, litarru ‘alaterno’ (Phyllirea angustiofolia L., Phyllirea latifolia L.). La comune base etimologica dei fitonimi sardo e latino è l’akk. aladiru, ladiru (una pianta).

ALAÙSSA camp. ‘senape bianca’ (Sinapis alba L.). Lo stesso procedimento logico che i Sardiani misero in campo per forgiare la parola giùspinu, fu messo in campo per alaùssa. Infatti questo composto ha base nell’akk. âlu ‘tagliare’, ‘sminuzzare’ + uššu(m) ‘a copper vessel’ per farina o altro, col significato complessivo un po’ simile a quello di giùspinu, ossia ‘(semi) da polverizzare e conservare in vaso’. Si capisce che il procedimento per confezionare la mostarda coi semi della senape fu noto già nelle età più antiche.

ALATHÙKRU, alaθúkru ‘marrubio’ (Marrubium vulgare L.). Così detto a Fonni. NPPS 128 cita da Dioscoride 3,105,2 che la parte della pianta impiegata come antisettico sulle ulcere, e quindi anche sulle scrofole, erano le foglie. Alaθúkru è composto con base nell’akk. ālu(m) ‘villaggio, paese, città’ + ṣuḫru(m) ‘giovinezza, gioventù’, col significato di ‘giovinezza dei borghi’, termine poetico per indicare che la pianta, fiorente specialmente nelle parti umide più accoste ai centri abitati, era usata anche per le malattie di fegato, per intossicazioni e quant’altro.

ALBACANNA è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALBA CAPRÙNA gall. ‘lanciola o piantaggine’ (Plantago major L. o Plantago lanceolata L.). Base etimologica l’akk. kapru(m) ‘villaggio’ + suffisso aggettivale sardiano -na, col significato di ‘erba del villaggio’. Questo significato, comune ad altre erbe della Sardegna, denota che la pianta era addirittura coltivata, o almeno utilizzata al massimo dagli antichi residenti, in virtù delle sue proprietà: era infatti febbrifuga, antivirale, espettorante, vulneraria, etc.

ALBAPARÁDU è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALBAPASÀDA è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALBARANTZÉULI, albarantzéllu, albarantzélla è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ÁLBARU, árvaru log. ‘pioppo bianco’ (Populus alba L.). Wagner lo ritiene di origine italica (albaro, albarello).

ALBEGENIÁDU è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALBICELLA è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALBUMANNU è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALIDÉḌḌU, log. aridéḍḍu ‘lampagione o cipollaccio’ (Muscari comosum Mill.). NPPS 213-14 sostiene che non ad alum (Plinio, N.H. 26,42) bisogna andare per ricercare l’etimo di alidéḍḍu aridéḍḍu, ma al lat. aretillum (citato in CGL 3,26 e Ps.-Diosc. 3,151), che considera attrazione paronomastica di aries, arietinus. L’intuizione di NPPS può essere valida e, se lo è, questo fitonimo ha un’espansione mediterranea, essendo con sicurezza pure sardiano, avente base etimologica nell’akk. ālu(m) ‘montone, ariete’ + te’ītum, tîtum ‘nutrimento (cibo)’, col significato di ‘cibo degli arieti’.
Questa etimologia va bene per la tradizione sardiana, poiché possiamo considerare il secondo membro del composto (te’ītum, tîtum) come la base di -déḍḍu. Sappiamo che per un ricercatore è difficile intuire le basi esatte da cui si evolse l’attuale -ḍḍ-, essendo indifferente un esito da -ll- come pure una lenizione fonetica da un originario -t-. Quanto al lemma latino arietinus, nel caso che fosse la base del nostro fitonimo si dovrebbe supporre una corruzione ed un successivo riadattamento fonetico.

ALIDERRU ‘fillirea’. Vedi alla voce alatérru.

ÁLIGA camp., aħa ‘immondezza’ sass., arga centr. e log. Per l’etimologia vai ad arga. È giunto il momento di rendere giustizia a questo termine, che tutti i linguisti (compreso Wagner) derivano direttamente dal lat. alga (indicante il vegetale del mare). Dalla parte della loro interpretazione c’è non solo l’equivalenza fonetica, ma ci sarebbe pure una posizione ideologica, fomentata dal fatto che i Romani consideravano inutile l’alga marina, chiamandola appunto alga inutilis. Ma quest’indizio ha poco o punto valore, poiché, guarda caso, gli antichi contrapponevano l’inutilità dell’alga all’utilità dell’immondezza, la quale veniva utilizzata con sommo vantaggio nella concimazione dei campi. Quindi mancano le condizioni per creare un parallelo tra l’alga e l’immondizia, anche perché siamo stati soltanto noi moderni, cittadini dello spreco nati nella seconda metà del XX secolo, ad aver parificato ed omologato arbitrariamente quegli antichi concetti e considerato inutili sia l’alga sia l’áliga.
Va ricordato l’uso degli antichi (compresi i Sardi) di accatastare i rifiuti urbani fuori della porta del villaggio o della città, nel luogo chiamato muntunággiu, o muntronárzu. Si badi bene, lo chiamavano muntonággiu, non muntoni ‘mucchio, cumulo’ di qualsiasi cosa. Wagner fa derivare muntòni dal lat. mons, montis, mentre invece l’origine è dal bab. mu’(ud)dû ‘(large) quantity; multitude’ < mâdu ‘diventare o essere molto numeroso’, ma’dû, madû ‘(large) quantity, wealth, abundance’. A tale termine si appose sum. unu ‘sito’. Quanto a muntunággiu, ha la stessa base di muntò-(ni), da bab. mu’(ud)dû + sum. unu + akk. nâḫu ‘riposare’; il composto mu’(n)dû-nâḫu > muntunággiu significò quindi ‘(sito del) riposo dell’abbondanza, riposo della ricchezza’. Infatti è un principio noto, anche nelle moderne discariche, quello di far “riposare” i rifiuti per consentire la loro trasformazione in sostanze organiche utili alla concimazione.
Questo è il concetto che gli antichi avevano di s’áliga. Quanto alla sua etimologia, essa non deriva dal lat. alga ma dall’accad. ālu(m) ‘villaggio, città’ + ikû(m) ‘campo’ (stato costrutto āl-ikû), col significato complessivo di ‘campo comunale’, ‘luogo comune di gettito’. Lo stato-costrutto sardo è capovolto rispetto a quello semitico.

ÁLIMU cistacea cespugliosa di aspetto argentino, con fiori gialli quadripètali puntati di scuro alla base di ogni petalo (Helianthemum halimifolium Pers. = Halimium halimifolium). Pare abbia la base etimologica nell’akk. alimu (di origine sumera) ‘onorevole, di alto rango’, col significato quindi di ‘(fiore) degno di onore’ o simili.

ÁLINU ‘ontàno’ (Alnus glutinosa L.). Wagner e Pittau lo fanno derivare dal lat. alnus. É possibile, ma l’origine comune del fitonimi sardo e latino è nel bab. elinu (albero non meglio identificato).

ALLELÙJA camp. Oxalis acetosa, anche Oxalis pes-caprae. Composto sardiano con base nell’akk. ālu(m) ‘ram, montone, ariete’ + elû(m) ‘risultato’ di un raccolto (stato-costrutto āl-lelû). Il significato originario del fitonimo fu quindi ‘pabulum di arieti’, e solo in era cristiana prese la semantica attuale. Ma forse è più congruo immaginare che già in epoca preromana in Sardinia il fitonimo fosse chiamato ed inteso, per paretimologia, come allelùja, in virtù delle numerose ed importanti presenze ebraiche disseminate in Sardegna.

ALLÒRGIU MALU ‘zizzania’ (Lolium termulentum L.). Vedi lullu malu.

ALÓPUS è nome di vite sarda analizzata più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALÙSSARA ‘salsapariglia’ Smilax aspera, anche ‘clematide’ Clematis flammula e ‘vitalba’ Clematis vitalba. Così chiamata in parte dell’Ogliastra. Da qui il toponimo sul bordo est del Salto di Quirra. Base etimologica il sum. alu ‘ram, montone’ + šar ‘to make splendid’: alu-šar ‘(pianta che) fa splendidi i montoni’ (ossia rafforzante).

ÀLVARA ATZÈSA è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALVU ASTIÁNU è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALVU SIGNÁDU è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ALZU, alsu gall. Morus nigra. Vedi arísu.

AMANTÓSU è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

AMBUATZA. Stando alle sue lievi varianti fonetiche, può indicare a volte la ‘senape bianca’ (Sinapis alba L.: armulatta); a volte il ‘rafano selvatico o ramolaccio selvatico’ (Raphanus raphanistrum L.: armuratta, armuranta, irimulatta, ambulatza, ambruatza).
Per l’etimologia vale tutto ciò che ho scritto di armuratta, base nell’akk. armu ‘coperto; incluso, racchiuso’ + ūrātu (a garment), col significato di ‘(frutto) rivestito di una teca’, com’è proprio del rafano. In ogni modo nella forma ambuatza può avere influito l’antico nome ebraico della Cipolla (Allium cepa), che fa bātzāl, בָּצָל , Nm 11,5-6.

AMBULATZA, ambuàtza. Vedi armuràtta.

AMORÁI, canna de morái, canna de amorái (Iglesias) ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus ferox Lois., Dipsacus fullonum L.). Base etim. nell’akk. amû (a spiny plant) + ra’i ‘decisamente’, col significato di ‘(pianta) totalmente spinosa’.

ANKISA (Wagner) ‘cicerchia’, inkìsa (Nuragus) (Lathyrus cicera et sativus). NPPS 272 propone l’origine dal cat. guixa (cfr. prov. geissa > franc. gesse; alto arag. ĝisa ‘pisello, lenticchia e sim.’). Queste forme sono panmediterranee con base nell’akk. anḫu(m) ‘stanco’ + isu(m) ‘mascelle’, col significato di ‘mascelle stanche’, per il fatto che il frutto deiscente, a maturazione, s’apre mostrando la fila dei semi, allineati come una dentatura.

ANGATURRA, ancaturra (Bosa) ‘baccello dolce che si mangia’. Base nell’akk. anḫu(m) ‘stanco’ di gente e animali + ṭūru (una pianta medicinale delle myrracee, l’Opopanax, esattamente la Commiphora erythraea, in somalo nota come hagar). In origine lo stato-costrutto anḫu-ṭūru ebbe, evidentemente, un significato forte, legato all’ottimo sapore del baccello ed alle sue virtù ricostituenti: onde il nome ‘mirra de(gli animali) deboli’.

ANGÙLI, angùlias ‘cencio minore’ (Linaria elatine Mill., var. spuria Mill.). Base etim. l’akk. anḫullû (a plant).

ANIÀDA è il ‘melograno’ (Punica granatum) nonché il suo frutto. Base etim. l’akk. Anu ‘Dio supremo’ + adû ‘leader’ = ‘Anu conduttore di popoli’ (nome esaltativo, con riferimento al gradevolissimo sapore del frutto). Nell’antica Babilonia più di un frutto ricevette un nome collegato alla magnificenza degli dei.

ANNA E LOCU (Bitti e Siniscola) ‘fiore del rosolaccio’ (Papaver rhoeas L.), composto aggettivale con base nell’akk. Anu, Annum (God of heaven) + elû(m) ‘sorgere’, ‘risorgere’, ‘che ascende’ + suff. aggettivale -cu, col significato di ‘Anu che sorge’. Il riferimento al Dio del Cielo, al Dio-Sole che sorge in una palla di fuoco, è lapalissiano, causa il colore rosso-fuoco del papavero.

ANNÁYU log. ‘siepe, pruno selvatico’ (Prunus spinosa L.), base nell’akk. a, an, ana + nawûm ‘(area di) campo nomade’. Si noti che a, an, ana ha gli stessi significati del gr. aná, e come esso entra in composti connotativi. Quindi an-náyu nell’alta antichità ebbe il significato di ‘(siepe) che circonda il campo’, ‘siepe apposta al campo’ (per la difesa notturna dagli animali di rapina).

ANNÙRCA è una mela sarda (ma non solo). Il Diz. della Lingua Ital. del Devoto la presenta come “varietà di mela poco pregiata, con buccia rosso violacea e polpa bianca, acidula”. Considera annùrca una voce meridionale dal lat. *indulcare ‘far dolce’. Ma tale parola non esiste in latino.Invece è un composto accadico: Anu, Annu ‘Dio del cielo’ + (w)urqu ‘yellow-green colour’. Questa ottima mela, che non è mediocre, come pensa Devoto, significò'(frutto) giallo-verde di Anu’.

ANTUNNA ‘fungo’ (Pleurotus ostreatus var. eryngii o ferulae); nome presente in quasi tutta la Sardegna del nord con varie forme, ivi compreso tùnniu, tunnìu, antunnu, kantunna, tuntunnu, tuntùnniu. Base nell’akk. Anūtu ‘disposizione di An, Anu’ (che è il sommo Dio) + unû (un genere di carne) (stato costrutto Anūt-unû > An(ū)t-unû) = ‘carne di Anu’. L’Antunna è considerato il classico “fungo da carne”, talchè nel sud dell’isola è chiamato espressamente cardulinu e petza ‘fungo di carne’. Sino a due decenni fa, allorché scoppiò pure in Sardegna la fungo-mania, nel nord Sardegna s’Antunna era l’unico fungo raccolto (tutti gli altri non erano né apprezzati né raccolti, e non avevano nome, salvo eccezioni). Infine va notato che i prodotti naturali più pregiati hanno spesso un nome riferito al Dio Onnipotente (vedi Aniada, Aniadedda, Annurca, etc). Va notato che con tuntunnu (allomorfo di antunna) è pure chiamata la ‘morisia’ (Morisia monantha).

ÀP(P)ARA log. e centr. ‘aglio angolare’ (Allium triquetrum L.). Base etim. l’akk. apāru(m) ‘coprire la testa’. La ragione onde l’aglio angolare abbia tale nome è che il suo corimbo, prima di aprirsi, rimane avvolto da una cortina semitrasparente, comportandosi come i funghi della varietà Cortinarius o, se vogliamo, come i funghi della variatà Amanita.

APESÒRGIA è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

APPADEZZONÁDU (Bonorva); padezzonattu log. ‘a forma di cupola, tondo’; anche nome dell’ovolo (Amanita caesarea). Il prototipo cui riferirsi è padeḍḍa (vedi).

ÁPPIU sardo ‘sedano’ (coltivato e selvatico). Ritroviamo lo stesso lemma nel lat. apium ‘sedano’, ed anche in Italia e in Spagna. Il lemma è mediterraneo, e già Dioscóride (II, 175 RV) ci consente d’afferrare il bandolo dell’etimologia (Σέλινον ἄγριον: οἱ δε βατράκιον… Ρωμαĩοι ἄπιουμ… Θοῦσκοι ῥανίνουμ ‘Sedano selvatico: alcuni lo chiamano “ranuncolo” ossia pianta delle rane, i Romani lo chiamano apium, gli Etruschi ranínum’). Da ciò si evince che s’áppiu già in età arcaiche era considerato come pianta dei luoghi palustri e fluviali. Ciò consente di estrarre con facilità la base etimologica, vedendo áppiu come aggettivale da akk. abbu ‘pantano, palude’ (Semerano OCE II 342).

ARABÁTTU sass. ‘romice crespo’ (Phalaris coerulescens Desf., Rumex crispus L.). La base etimologica è la stessa di alapattu e lapathu (dall’akk. lapātu ‘toccare, afferrare, prendere alla gola’). Tuttavia non va taciuto che in questa fonetica può avere influito l’antico nome ebraico del Pioppo (Populus euphratica: ‛arāvāh, עֲרָבָה , Os 4,13).

ARÁRU sass. ‘alloro’. Vedi láru, dove si discute l’etimologia d’ambo i lemmi.

ARBÌḌḌA. Vedi aspìḍḍa.

ARBÙΘΘU, arbùtzu. Questo termine non è da confondere col lat. arbutus, arbŭtum, forma secondaria di arbustus ‘arboreo, con forma d’albero’ che dà la voce Arbutus unedo ‘corbezzolo’. Arbuθθu, arbutzu nelle aree centrali della Sardegna significa ‘asfodelo’ (Asphodelus ramosus vel phistulosus L.). L’origine del nome è dal bab. arbūtu e ḫarbūtu ‘desolazione’. Ciò che l’etimo babilonese impone alla riflessione è l’effetto dell’asfodelo, e ciò che rappresenta per i pastori. S’arbutzu è la “pianticella della morte”, perchè s’insedia nelle praterie dove l’humus, per incendi o eccessi di pascolamento, ha terminato il ciclo vitale creando il deserto.

ARCULÉNTU ‘abrotano’ (Artemisia abrotanum L.), ma anche ‘erba prota’ (Achillea ligustica), e persino ‘millefoglio’ (Achillea millefolium L.). Base etim. nell’akk. (w)arḫu(m) ‘Luna’ + littu(m) ‘sgabello’, col significato di ‘sgabello della Luna’. Questo nome fu assunto in età arcaica, oltre 4000 anni fa, quando la Luna era considerata il sommo Dio della civiltà sumero-accadica. Chiamare poeticamente queste due piante ‘sgabello del Dio Luna’ significa che i nostri antichi padri le consideravano assai utili.

ARENÁDA log. e camp. ‘melograno’ (albero e frutto). Il significato è lo stesso dell’it. (mela) granata, ossia ‘mela granigliosa, a grani’, da arena ‘rena, sabbia’ < sum. ara ‘to grind’ + en (marca di plurale). Il composto ar-en indicò fin dall’origine la pluralità, la moltitudine del minuscolo pietrisco effetto di “macinatura” per azione del sole e del vento.

ARESTA (canna) gall. ‘cannuccia’ (Arundo phragmites L.). Sembra che il fitonimo nasconda una paronomasia, onde aresta potrebbe essere la resa fono-semantica attuale di un composto sardiano basato sull’akk. aru(m) ‘gambo, stelo’ + aštu ‘rami; fogliame’, col significato di ‘(canna) a gambo ramificato, o con fogliame’ (con riferimento al fatto che queste cannucce, oltre alla vistosa pannocchia sommitale, hanno moltissimi rametti laterali).
Da notare che gli Accadici chiamavano la cannuccia qān apu ‘cannuccia degli stagni’.

ARGA centr. e log., áliga camp. ‘alga (marina e fluviale)’; ‘concime, immondezzaio’; argare ‘concimare’; argùmene ‘mucchio d’immondezza’. La base immediata del lemma sardo è il lat. alga, ma esso a sua volta ha base etimologica nell’akk. alaknu (a kind of rush, un genere di giunco).

ARGUMANNU è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ARIÈḌḌA (Tempio) ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum L., Dipsacus ferox Lois., Dipsacus sylvester L.). Base etim. nell’akk. aru(m) ‘ramo, fronda’ + (w)ēdû(m) ‘prominente, elevato’ (stato costrutto ari-ēdû), significante ‘pianta alta’. Infatti questa cardacea raggiunge talora i due metri.

ARIGÁGLIA, aricáglia, aricrária ‘carota’ (Daucus carota L.). Base etim. nell’akk. ariḫu (a plant) + aḫê ‘separatamente, da solo’ (stato costrutto ariḫ-aḫê), significante ‘pianta (con radice) unica’.

ARISARUM VULGARE. Per l’etimo vedi arizáru.

ARÌSTA è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ARÍSU sass. ‘moro nero’ (Morus nigra L.). Cfr. sp. aliso. Base etim. akk. aru(m) ‘gambo, stelo’ + iṣu(m) ‘albero’, significante ‘albero dei gambi, delle verghe’ (per il fatto che i suoi rametti sono utili a costruire cesti e altro).

ARIZÁRU, Arisarum vulgare Targ., chiamato in Toscana arisaro. Base etim. akk. arītu (a knife, dagger) + āru ‘guerriero’, col significato di ‘spada di guerriero’ a causa dello spadice che contraddistingue questa aracea, il quale si presenta quasi “inserito in una guaina”, rappresentata dal petalo avvolgente. Va da sé che pure il nome latino ha basi accadiche.

ARKIMISSA ‘lavanda selvatica o lavandula’ (Lavandula stoechas L.), labiata intensamente aromatica, i cui fiori sono utilizzati anzitutto per profumare la biancheria e salvarla dalle tarme, per fare profumi, estrarre un ottimo miele. A Bitti è così chiamata la ‘canapicchia’ (Helichrysum italicum G.Don.). Arkimissa in quanto ‘canapicchia’ è un composto con base nell’akk. (w)arqu(m) ‘giallo; giallastro’ di pianta + mišu ‘esercito, truppe’, col significato di ‘esercito giallo’ (riferito al fatto che questa pianta produce una pletora di capolini giallo-oro, celebri per i riverberi che indorano gli spazi della gariga: il termine greco helichrysum ‘oro del Sole’ evidenzia soltanto il bellissimo colore, trascurando l’aspetto dell’innumerevole quantità di capolini).
Quanto alla ‘lavanda selvatica’ (Lavandula stoechas), l’omologazione di questa pianta al prototipo su cennato sembrerebbe seriore. tra le due piante manca l’affinità: hanno differente il profumo antitarmico e l’accestimento; i capolini della lavanda sono di colore rosso-violaceo anziché d’un solare giallo-oro. Archimissa in quanto ‘lavanda selvatica’ ha base etim. nell’akk. (w)arḫu(m) ‘(dio) Luna’ + mišu ‘esercito, truppe’, significante ‘esercito del dio Luna’ (con evidentemente dedica di questo cespuglio, utilissimo e straordinario, al sommo Dio dei Sumeri). Forse l’accenno all’esercito è dovuto al fatto che ogni capolino è produttore a sua volta di grandi quantità di micro-fiorellini.

ARMIḌḌA ‘serpillo o pepolino’ (Thymus serpillum L.). NPPS 135 ricorda che esso, «avendo fusti generalmente striscianti e radicanti era chiamato in gr. hérpyllos, da hérpō ‘striscio’, donde il lat. ha preso in prestito (h)erpyllus, (h)erpyllum (André 122). Incrociatosi con armilla, denominazione di una rutacea odorosa (Peganum harmala L.) in Oribasio, syn. 3, 174, questo vocabolo per ‘serpillo, pepolino’ è continuato in tutto il srd. come armíḍḍa (DES,I,113)». Del fitonimo armilla di Oribasio s’ignora l’origine e lo si giustappone al serpillo senza darne conto.
Osservo comunque che la preziosa piantina, apprezzata per l’intenso e gradevole profumo citrino, cresce in habitat di gariga, in montagna fin oltre i 1300 metri. In tal guisa abbiamo la base etim. nell’akk. aru(m) ‘gambo, stelo’ + mēlû(m) ‘altitudine’, ‘luoghi alti’, col significato di ‘piantina delle montagne’. A meno che non sia direttamente dall’akk. armēdu ‘a plant’.

ARMULATTA ‘senape bianca’ (Sinapis alba L.). NPPS 235 ricorda l’identità del nome con la ‘senape nera’ (Brassica nigra Koch), che in Campidano è detta ambulatza. Per la discussione e l’etimo vedi al lemma armuratta.

ARMURATTA, armuranta log., irimulatta nuor., ambulattsa camp. rust. e ogliastr., ambruttatza camp. ‘rafano selvatico o ramolaccio selvatico’ (Raphanus raphanistrum L.). NPPS 233 lo deriva da un lat. ARMORACIA, ARMORACEA, «voce attestata a partire da Celso 4,16,2 e poi in Col. 6,17,8; Plinio, N.H. 19,82; 20,22; Pallad. 4,9,5». Il fitonimo è primamente sardiano, mediterraneo, precedente alle attestazioni latine, con base nell’akk. armu ‘coperto; incluso, racchiuso’ + ūrātu (a garment), col significato di ‘(frutto) rivestito di una teca’, com’è proprio del rafano.

ARÓFFU. è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ARRAMUNGIÁNU è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ARRIDÉLI ‘fillirèa’. Vedi alla voce alatérru.

ARRIDELLU ‘fillirèa’. Vedi alla voce alatérru.

ARRÒDA (spina e) ‘calcattreppolo’. Vedi spina e arròda.

ARRÙBIU (trigu) camp., è un cereale dei tempi remoti. Non significò affatto ‘rosso’, avendo la base in termini babilonesi quali rubbu’um ‘quadruplicare’ (onde il significato di ‘grano che produce 4/1’), oppure rubû ‘principe’ (onde il significato di ‘grano principe’, per la sua qualità).

ARRUD’E GANIS ‘scrofularia’ (Scrophularia peregrina L.). Base etim. nell’akk. arrūtu ‘ruolo di richiamo’ (com’è l’uccello di richiamo o lo specchietto delle allodole) + gannu ‘garden’, col significato di ‘(erba di) attrazione dei giardini’, evidentemente a causa della bellezza.

ARRULLÒNI camp. ‘coccola del ginepro’, base etim. nell’akk. arru ‘decoy bird, uccello da richiamo’ + lumnu(m) ‘misero, di poco valore’. Per capire il significato antico del termine (‘tranello, richiamo di poco valore’), va osservato che gli uccellatori hanno sempre usato due tipi di richiami: o l’uccello vivo (richiamo costoso) o la coccola matura del ginepro coccolone (richiamo dal valore vile). Ancora oggi gli uccellatori sardi nella cattura degli uccelli usano esclusivamente la coccola del ginepro.

ARTIÒCCORO ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum). Vedi sòcciri.

ARU ‘aro o gigaro’. Base etim. l’akk. arû ‘granaio’, oltreché ‘essere incinta’. Dal concetto di ‘granaio’ deriva il nome sardo della pianta chiamata aru (Arum pictum). Infatti lo spadice della pianta porta una pannocchia di frutti della grandezza dei grani di mais che maturando diventano rossi o rosso-gialli, da cui il latino Arum pictum ‘grano dipinto’. Vedi satzaròi.

ARVISIONÁDU è nome di vite sarda analizzato più su nell’elenco degli ampelonimi.

ASCIÒNE, ansciòne, alciòne, askiòne, artzòne, assòni ‘nasturzio’ (Nasturtium officinale). Base etim. di asciòne (e allomorfi) è l’akk. ašû ‘mal di testa’ (ossia influenza) + sum. nu ‘pasto’, col significato di ‘cibo per il mal di testa’. Evidentemente le virtù di quest’erba erano note nell’antichità, visto che guariva da una impressionante serie di malanni (cito Paulis NPPS 242-3: affezioni alla testa, tosse, asma, dolori al petto, disturbi alla milza, piaghe cancerose, parassiti dell’intestino, alopecia, disturbi dell’udito, mal di denti, ulcere fagedeniche, dolori alle anche ed ai lombi, fungosi, sfaldamento delle unghie; in più rafforzava l’intelletto, ed usato bruciato metteva in fuga i serpenti ed era un rimedio contro le punture di scorpione). Il significato di asciòne fu, insomma, quello di ‘pasto rafforzante’.

ASCULPI (erba de) ‘panico’ graminacea mangiata dagli uccelli (Setaria italica L.). Composto sardiano con base nell’akk. asu(m) ‘mirto’ + kuluppû (a bird), col significato di ‘mirto degli uccelli’.

ASMÌLA log. ‘smilace o salsapariglia’ (Smilax aspera L.), termine sardiano dall’akk. asmīdu (a garden plant) agglutinato e contratto con ilû, elû ‘che va in alto’. Da ciò scopriamo che nei giardini di Babilonia, notoriamente creati sui ed attorno ai palazzi costruiti affianco di grandi canali, si coltivava certamente la smilace, causa il suo bellissimo frutto simile a grappoli d’uva color rosso-sangue.

ASPÌḌḌA, asprìḍḍa, abrìḍḍa, arbìḍḍa ‘scilla o cipolla marina’ (Urginea maritima Bak.). NPPS 215 lo considera tout court una derivazione da SQUILLA, e comunica che «il nome, anche sotto forma di derivati, è attestato già nel sardo medievale: CSP 309 Aspilletu; CSMB 5 ki posit Petru Alla in Arsbilledu; CV, XI,4 su erriu de guturu d’esquilla». È importante notare che nel Medioevo in Sardegna si usava, secondo le aree linguistiche, la -q- e la -k- come equivalente di -p- (Lautverschiebung). Ma è ancora più importante notare che l’ambivalenza (fungibilità) di quest’esito fonetico era un fenomeno mediterraneo. Ad esempio, i Latini ed i Greci utilizzavano per proprio conto questa equivalenza (scĭlla, σκίλλα), basandola sulla -p- originaria attestata tra gli Accadi.
Tornando ai Sardiani, è vero che mantennero la fungibilità di tali consonanti, riconoscendo questa legge mediterranea, ma è pur vero che al 99% dei casi conservarono (e conservano ancora oggi) per proprio conto la -p- originaria, come ora vedremo.
In tal guisa, possiamo pensare che proprio aspìḍḍa fosse il prototipo del fitonimo sardiano, che poi generò per corruzione asprìḍḍa, abrìḍḍa, arbìḍḍa (mentre il camp. squìḍḍa è italianismo). A sua volta aspìḍḍa è composto sardiano con base nell’akk. (w)aṣû(m) ‘sollevarsi molto, crescere molto’ + pillû (a plant), col significato di ‘piantina dalla forte crescita’ (com’è tipico della scilla, la quale si caratterizza per il lunghissimo scapo senza foglie, che raggiunge anche 1,5 metri).

ASPRÌḌḌA. Vedi aspìḍḍa.

ASSANGIÒNI ogliastr. (Allium vineale L.). Base etim. nell’akk. as-saḫūnu (a spice or vegetable), con as- assimilativo di akk. a, an, ana, identico alla particella greca aná col significato di ‘su, per, verso, in, fino a, contro, a causa di’.

ASSUḌḌA ‘sulla’; si distingue in assuḍḍa èra (Hedysarum coronarium L.) e assuḍḍa burda (Hedysarum capitatum L.). Il termine sembra squisitamente latino < sulla. Ciononostante, in semitico abbiamo forme assai simili, se non identiche, per quanto esse siano di difficile inquadramento a causa del significato; ma esse sono da accettare poiché la sulla è una foraggera che cresce in terreni aridi o semi-aridi, specie nel Vicino Oriente e nell’Africa del nord. Infatti i linguisti la ritengono di origini prelatine. Vedi i termini accadici sullû(m), ṣullû ‘invocare, supplicare, pregare a’ (con riferimento alla bontà dell’erba), sulu ‘supplica, preghiera’.

ASSUSSÈNA log. ‘giglio bianco’ (Lilium). Wagner ne pone l’origine nello spagnolo azucena; nelle laudi della Vergine e dei Santi, in Sardegna è applicato precipuamente alle Sante, e vale ‘qualcosa di estremamente puro e bello’: Candidissima assussena è santa Greca. Questo epiteto iberico potrebbe essere originariamente anche sardiano. In ogni modo ha base etimologica nell’akk. (w)aṣû(m) ‘solista’ (detto di cantante del culto) + kēnu(m) ‘affidabile, onesto, leale, giusto’. Questo epiteto, ch’era già importante negli antichissimi cori con presenza di un solista, fu evidentemente traslato in epoca cristiana come epiteto della Vergine e di qualche Santa. Da qui l’estensione al giglio bianco, emblema unico di purezza.

ÁSUMA (Lula), sásima (Gallura) ‘alaterno’ (Rhamnus alaternus L.). Paulis NPPS 409 collega il termine col lat. sesamun, sesamus, sesama, sesima (Sesamon indicum L.), in virtù del fatto che il ricino (Ricinus communis L.) è chiamato da Plinio (N.H. 15,125) sesamon silvestre e, parallelamente, in virtù del fatto che ricino ed alaterno sono comunemente usati come purganti. La ricostruzione del Paulis è alquanto intrigante, ma preferisco vedere in ásuma un fitonimo sardiano con base nell’akk. asum ‘mirto’. Sásima non è altro, in tal guisa, che questo vocabolo con l’art. det. sa agglutinato. Si badi che il mirto e l’alaterno hanno le foglie quasi identiche, e gli stessi frutti neri dell’alaterno somigliano un po’ a quelli del mirto.

ASÙNI ‘crescione’ (Nasturtium officinale L.), anche asciòni, askiòne, asùni (da cui il cognome Asùni, Azùni). L’etimologia è già stata discussa alla voce asciòne.

AÙRRI ‘carpino nero e bianco, carpinella’ (Carpinus betulus, Ostrya carpinifolia Scop.). In Sardegna le uniche due foreste naturali di carpino nero si trovano su due fiancate montuose (palas) entrambe con pendenza di rottura, l’una affacciata a nord, l’altra ad est, rispettivamente alla base delle bastionate dolomitiche di Mont’Arbu di Seùi e di Villanovatùlo. A meglio precisare, le due foreste insistono proprio in un sito ubertoso, con ottima terra granigliosa ed aerata, costantemente inumidita dalle micro-scaturigini dell’immensa area carsica. La forma sarda aùrri deriva dal bab. aburriš “in a green pasture”, “to lie/dwell in a green meadow, vivere in un prato verde” o, che è lo stesso, da aburru “water-meadow, prato irriguo, pastura, pascolo”.

AÙSSA fitonimo i cui allotropi sono thurgùsa, thrugùsa, cugùsa e significa ‘cicuta, appio acquatico, crescione, sedanino d’acqua’. Base nell’akk. a’uššu, amuššu, aḫuššu (un vegetale bulboso).

AUSSÀRA, atzàra, autzàra, *lutzàra, alùssara ‘vitalba’ (Clematis vitalba L.) e ‘salsapariglia’ (Smilax aspera L.). Base etim. accadica, poggiante su quattro fitonimi i quali, a quanto pare, si sono fusi e confusi col passare dei secoli: sono a’uššu, amuššu (un vegetale bulboso), donde aussà-ra, autzà-ra; inzarû (an aromatic plant).

AUTTSÀRA ‘clematide’ e ‘salsapariglia’. Vedi aussàra.

AVENÁRZU, enárzu ‘avena selvatica’. Vedi enárgiu.

AYUCCA ‘ononide’ (Ononis spinosa L.). Base etim. l’akk. ayyaku (a type of sanctuary of goddesses). Quali affinità ci siano tra la nostra piantina ed il santuario di una Dea, si capisce leggendo la discussione su stasibòis, stragabòis ed erba nigheḍḍa, che sono gli altri fitonimi indicanti l’ononide. Possiamo solo arguire che questa piantina, con i quattro fitonimi che ne esaltarono in origine, se non la sacralità, almeno l’enorme importanza, dovette essere un’essenza fortemente ammirata tra i Sardiani.

ATTSÀRA ‘clematide’ e ‘salsapariglia’. Vedi aussàra.

ATTSOTTALÌMBA ‘robbia selvatica’ (Rubia peregrina L.). Base etim. nell’akk. asūtum (a kind of cloth) + lippu ‘pallina, tampone, batuffolo’. Per capire il significato originario (‘pallina dei vestiti’) va tenuto conto che il frutto dell’attaccamani (Galium aparine L., una varietà molto simile alla Rubia peregrina L., tant’è che spesso sono confuse) è una capsula quasi sferica, a due teche, ispida per peli uncinati, che si attacca ai vestiti.

BAḌḌAJÓLU, baḍḍerínos (Orune) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.). Base etim. nell’akk. ballu ‘mistura’ di cibo per animali + ullu (a bull), col significato di ‘cibo di tori’. Vedi comunque la discussione al lemma baḍḍerínos.

BAḌḌERÍNOS, baḍḍayólu (Orune) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.). Baḍḍerínos è composto sardiano con base nell’akk. ballu ‘mistura’ di cibo per animali + rīmu(m) ‘wild bull’, col significato di ‘pabulum di tori selvaggi’.

BALANZU ‘caprifoglio delle macchine’ (Lonicera implexa Ait.). Vedi alla voce guadángiu.

BALÁU (bascu) ‘viola’ (Viola hirta L.). Paulis NPPS riporta il termine da Amatore Cossu 60, che a sua volta lo registrò senza accento e senza localizzazione geografica. Il fitonimo, se non è un errore, ha probabile base nel sum. balla ‘headdress’, col che s’indicò, almeno un tempo, la vocazione di questa viola per fare corone. Può anche derivare dall’akk. balatu (un ornamento).

BALCU, barcu, bascu ‘viola’ (Viola hirta L.), ‘violacciocca’ (Mathiola incana R.Br.). Paulis NPPS mette a confronto il fitonimo del Logudoro e della Gallura con i nomi molto simili della violacciocca in toscano, ligure, nizzardo, corso, siciliano, calabrese. Per tutti quanti produce un’etimologia araba, da balaq ‘colore pezzato’, propriam. m. ablaq, f. balqa ‘screziato di due colori, bianco e nero’. La vastita delle attestazioni del fitonimo lascia intendere che in età arcaica fosse mediterraneo. La più antica attestazione scritta è l’akk. (w)arāqu ‘essere verde-giallo; pallido’.

BARBARAXÌNA è nome di vite sarda già discusso nel capitolo degli ampelonimi.

BARCU. Vedi balcu.

BARDU DE ANZÒNE ‘Eryngium campestre’. Vedi cardu de anzòne.

BÁRGIU, anche brágiu mannu, è nome di vite sarda già discusso nel capitolo degli ampelonimi.

BARRACÓCCU log., piricóccu camp. ‘albicocco (albero)’ e ‘albicocca (frutta)’ (Prunus armeniaca). Wagner si limita a trovare i paralleli in còrso, siciliano, francese (abricot). Il camp. piricóccu, giusto Wagner, è corrotto per ingerenza di pira ‘pera’. DELI, in relazione all’etimologia dell’it. albicocco, risale soltanto all’arabo, che fa (al)-barquq (birquq) ‘prugna, susina’, e suppone risalga all’aram. barquqa. L’etimologia di questo composto, pur passando per l’aramaico, si basa sull’akk. barāqu(m) ‘rischiarare, splendere’, ‘divenir giallo (frutta)’, anche ‘colpire (i nemici con luce accecante)’. In sardo, il termine barāqu fu “arrotondato” ed iterato nel suffisso, con riferimento al termine coccu, col quale si denominano tutto le forme rotondeggianti, quali un ‘sasso levigato’, la ‘pastadura tonda’, termine derivante anch’esso dal mesopotamico (ass. kukku, che è un genere di dolce). L’antico significato del sardo barracoccu è dunque quello di ‘(frutto) dolce, dorato e rotondo’. Stupisce notare quanto i Babilonesi amassero questo frutto, il cui bellissimo colore dorato era rapportato ai cromatismi solari.

BARRACCUCCA ‘rafano selvatico o ramolaccio selvatico’ (Raphanus raphanistrum L.). Base etim. nell’akk. bâru(m) ‘acchiappare, intrappolare, racchiudere ermeticamente’ + kukku(m), gukku (a kind of cake), col significato complessivo di ‘(pianta) dai semi racchiusi’.

BARRIADÒRGIA è nome di vite sarda già discusso nel capitolo degli ampelonimi.

BASCU. Vedi balcu.

BASÓLU ‘fagiolo’ (Vigna sinensis Edl.). Paulis NPPS 280 fa una importante precisazione sulle foraggere del genere Vigna, così nominate da Domenico Vigna, professore di botanica a Pisa nel XVII secolo. Vi appartiene appunto la Vigna sinensis Edl., che è la specie cui si riferivano i Greci con phásēlos, phasíōlos, phasíolos e i Romani con l’imprestito phaselus, phaseolus e anche passeolus e passiolus (André 196). Paulis precisa che «Le continuazioni moderne di questo termine sono poi passate nelle lingue neolatine a designare i fagioli (Phaseolus vulgaris var. communis), specie ortense dell’America centro-meridionale, che fu introdotta in Europa soltanto nel XVI secolo. Pertanto quando Wagner (DES,I,506), per esemplificare le attestazioni del log. basόlu ‘fagiolo < PHASEOLUS, adduce un passo degli Statuti Sassaresi (i80 [8 v]: tridicu, orgiu, faua, basolu), lo fa con una qualche imprecisione, perché evidentemente in epoca medievale, anteriore alla scoperta dell’America, basόlu non poteva avere significato di fagiolo. La fissazione del nuovo significato ha comportato una certa ristrutturazione dell’intero campo lessicale relativo ai legumi alimentari, in seguito al quale in logudorese, ove mancano continuatori di CICERE, il semplice basόlu indica il fagiolo, e con basόlu dundu (tondo) o basόlu bittsúdu (col becco) o basόlu de atta (angoloso) si designa il cece detto invece in camp. čížiri < CICERE. Una forma di compromesso tra i due sistemi s’incontra a Fonni, dove il cece è detto fasόlu čížiri (AIS 1384)».
Dopo questa opportuna precisazione, va però affermato che il termine sardo basόlu ha base nel latino, e nel greco φάσηλος che significa ‘barca, scialuppa’ (con richiamo evidente alla forma del baccello aperto), la quale riaccosta ai significati originari di lat. faba, un originario duale che denota le due valve: akk. bābu, aramaico bāb ‘porta’ (specie quella a due ante). Lo stesso greco φάσηλος è calcato su base corrispondente ad ebr. p(e)sālā ‘sbucciare’, pāṣa ‘aprire’, pāṣam ‘to split’. Alla base di pêṣum va ricondotto il lat. pīsum (Semerano, OCE II 516).

BATTILÌMBA log. ‘robbia selvatica’ (Rubia peregrina L.), ‘attaccamani’ (Galium aparine L.). Batti-limba è una classica paronomasia derivata da un composto sardiano avente a base l’akk. bātu ‘half’ + lippu ‘pallina, tampone, batuffolo’. Il significato ‘mezza-pallina’ s’evince dal fatto che il frutto uncinato del Galium aparine L. «è una capsula quasi sferica, a due teche, ispida per peli uncinati partenti da un tubercolo».

BEBBÉI camp. ‘coccola del ginepro’. Il lemma è iterazione sardiana (usata in termini superlativi) dell’akk. be’u (a bird), col significato di ‘(coccola degli) uccelli’. Il nome non ha nulla di strano. Infatti la coccola è usata ancora dagli uccellatori sardi per attirare e catturare al laccio gli uccelli da passo.

BELLÉI DE CAḌḌU (Aritzo) ‘ingrassabue’ (Chrysanthemum segetum L.). L’etimo si chiarisce per la funzione apotropaica del fiore. Infatti belléi non significa in questo ambito ‘giocattolo, balocco’ e non è nemmeno formazione del linguaggio infantile. Belléi è composto sardiano ed ha base nell’akk. bēlu(m) ‘signore, proprietario, padrone, possessore, controllore’ di attributi quali la capacità della divinazione, bêlu(m) ‘prender possesso di, essere signore di, essere responsabile di’ + ewûiš < ewûm ‘rendere qualcuno simile a; truccare’, col significato complessivo di ‘trucco che dà capacità di controllo’ (in questo caso si parla di malocchio). Il composto *bel-ewiš divenne col tempo *bel-ewi (interpretandosi la -š, -s come suffisso plurale) > *beléi, infine raddoppiò la liquida per attrazione dell’it. bello.

BELTIS camp. ‘papavero bianco’ (Spano). Secondo Wagner sarebbe da metterne in dubbio persino l’esistenza, soltanto perché non riesce a raccapezzarsi su questo bellissimo nome. Invero, beltis ha base etimologica nell’akk. bēltu, Bēltiya ‘Signora del firmamento’ (epiteto della dea Astarte).

BERVEKÌNA è nome di vite sarda già discusso nel capitolo degli ampelonimi.

BIANKEḌḌA è nome di vite sarda già discusso nel capitolo degli ampelonimi.

BÌARRÀBA sass., bìarràva (Cagliari, Laconi) (Beta vulgaris L.). A Sassari e dintorni la biarràba è la ‘barbabietola rossa’ (Beta vulgaris var. rubra). Paulis NPPS coglie il parallelo col piemontese barava, accreditandone l’origine italiana. I fitonimi sardo e piemontese hanno la stessa origine panmediterranea, con base nell’accadico. Per quanto mi riguarda, il fitonimo è certamente un composto sardiano, ma è facile capire il significato del secondo membro -ràba, da akk. rabû(m) ‘big’, rabbu(m) (a big kind of cake). È infatti noto che la bietola rossa del Sassarese nei secoli andati fu mangiata come sostitutivo di dolci più raffinati, grazie all’alto tenore in zuccheri. Ancora oggi tale bietola è servita a fettine nei ristoranti sardi. Per il primo membro di biarràba possiamo pensare che, siccome questa barbabietola ha gran bisogno di acqua, sia da riferire all’akk. bī’u ‘sbocco (di corrente)’, od uḫīru ‘weed, bagnato’.

BIḌḌIGHÍNZU, bitikinzu, vitikinzu, pilighinzu ‘vitalba’ (Clematis vitalba L.). Questo è un composto sardiano con base nell’akk. billu ‘complessità, intrico’ + ḫinzu (termine non meglio noto che designa delle immagini), col significato complessivo di ‘immagine intricata’ (o simili), con riferimento appunto all’immenso intrico col quale questo rampicante avviluppa e pervade gli alberi cui s’aggrappa.

BIḌḌÙRI ‘cicuta’ (Urzuléi). Per la discussione e l’etimo vedi buḍḍùri.

BIDE, IDE ‘vite’. Non è detto che la forma sarda derivi dal latino, poiché anche vītis ha base nell’accadico. Il sardo ìde, bìde ‘vītis’ ha base nell’akk. bītu ‘abitazione, tenda’. Tenendo conto che le abitazioni di molti popoli della Mezzaluna fertile erano costituite spesso da una tenda (ancora oggi la tenda è l’abitazione del beduino), è da lì che prende origine il nome della vite, in considerazione che essa cresce e s’espande “a tendone, a pergola”.

BIDE BIANCA log. ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.). Il nome è una paronomasia, che fa pensare a un antico lemma sardiano con base nell’akk. baḫu ‘thin’ of onions and cetera, ‘emaciated’. Significherebbe quindi ‘vite esile’, quale si presenta la pianta, coi rami di diametro assai inferiore rispetto alla Vitis. Bide bianca quindi ha base accadica, da bītu(m) ‘abitazione, casa, tenda’, col significato di ‘tenda gracile’ (sempre con riferimento al fatto che è un rampicante che crea delle “tende” ma alquanto leggere).

BIDÙI. Il toponimo è allomorfo di biddùri, buddùi ‘cicuta’ (Conium maculatum). Anche biduái è un allomorfo della serie. Vedi buddùi.

BILISÒNE, pilisòne, kelleisòne, ghilisòne, lisòne, lisiriòne ‘corbezzola’ (la polposa e dolcissima bacca rossa del corbezzolo). Base etim. nell’akk. billu, pillû (a plant) + isu(m) ‘mandibole’ + unû (a kind of meat) (stato-costrutto bil-is-unu, pil-is-unu), col significato di ‘pianta che dà polpa gioiosa al palato’. È noto che la corbezzola è il frutto selvatico più dolce e più abbondante della flora sarda. Gli antichi dovevano mangiarne moltissimo, anche sotto forma di marmellata.
Le varianti kelleisòne, lisòne hanno un etimo particolare (vedi). Mentre ghilisòne reca la contaminazione reciproca di kelleisòne e bilisòne.

BILLELLA, billèllera, billèllara. In logudorese è l’elleboro (Helleborus lividus Ait.). La Funtana di la Billèllara, a Sorso, prese l’antico nome da tale pianta velenosa. A Sassari si racconta la storiella che i vicini Sorsinchi, i quali sono presentati scherzosamente come pazzi nelle barzellette “etniche”, desideravano ardentemente appropriarsi della Funtana di Ruséddu, la bella fonte cinquecentesca di Sassari, ed avessero tentato di portarla in villa tirandola con le funi. Non essendoci riusciti, la copiarono in parte, creando la loro fontana. In realtà è credenza antica che l’elleboro fosse un rimedio contro la pazzia, e che la locuzione bier s’abba dessa billéllera ‘bere l’acqua dell’elleboro’ valesse come ‘esser pazzo’. L’elleboro cresce nei luoghi umidi e predilige le terre calcaree, com’è appunto il terreno su cui sorge Sorso. Billèlla è sardiano, con base nell’akk. billu (a plant) + lillu(m) ‘idiota’ (st. costr. bil-lillu > billèlla = ‘pianta dei matti’).

BILLÒTTIRI (Oristano, Orroli, Usellus), billòtti (Nuragus), canna de billòtti (Isili, Serri) ‘cardo del lanaiolo’ (Dipsacus fullonum L.): Cossu 204. Base etim. l’akk. billu (una pianta) + ṭerû(m) ‘penetrare’, col senso di ‘pianta spinosa’.

BINU. Flùmini Binu in agro di Sarrok significa ‘fiume dei tamarischi’, dall’akk. bīnu ‘tamarisco’. Il tamarisco o tamerici cresce esclusivamente nelle aree riparie ricche di sali. Vedi Avìni (Abìni) in agro di Teti. Per binu = ‘vino’, vedi l’etimo a suo luogo.

BINTZILLU camp. ‘vitalba’ (Clematis vitalba L.), composto sardiano con base nell’akk. binītu (crescita anormale del corpo, della forma) + ellû, elû ‘parte alta’ < elû ‘crescere alto, sollevarsi’, col significato di ‘(pianta) alta (ossia rampicante) e rigogliosa’.

BISÌNI nome di vitigno sardo a uve bianche. Il termine è sardiano, con base nell’akk. wīsum ‘pochi’ + īnu ‘vino’ = ‘vino per pochi’ (con riferimento alla bontà della produzione).

BITIKÍNZU. Vedi biḍḍighínzu.

BOBBOLLÈḌḌA camp. ‘coccola del ginepro’. Base etim. l’akk. bûm (a bird) (raddoppiato per esaltarne l’importanza: bû-bû-) + lī’um (a word for food), col significato di ‘cibo per uccelli, coccole per uccelli’. È questo l’uso precipuo ancora esistente in Sardegna. Infatti gli uccellatori, che a centinaia frequentano le foreste del Sulcis, le utilizzano per attirare gli uccelli di passo e prenderli al laccio.

BOBBORIKÌNA (Fonni) ‘galla della quercia’. Vedi a bubbukèḍḍa.

BOCCIGUÁḌḌU camp. ‘graziola’ (Gratiola officinalis L.). Vedi alla voce bokicabáḍḍu.

BÒḌḌERO. Vedi bòḍḍoro.

BÒḌḌORO (Dorgali), bòḍḍero (Baunéi) ‘coccola del ginepro’. Base etim. l’akk. budû (a cake) + ūru(m) ‘albero’, col significato di ‘albero dei dolcini’ (riferito alle coccole). Si sa che le coccole del ginepro sono usate in vari manicaretti, e quelle del coccolone sono mangiate direttamente, una volta raggiunto il colore marroncino. In più sono il frutto d’elezione per attirare gli storni e altri uccelli da passo, al fine di catturarli al laccio.

BOKICABÁḌḌU centr. ‘graziola’ (Gratiola officinalis L.), paronomasia originata da un arcaico lemma sardiano con base nell’akk. uqqu (a paralysis) + kabaltu (a plant), significato ‘pianta delle paralisi’.

BOLÓSTIU ‘rosa canina’ e ‘agrifoglio’. Per la discussione e l’etimo vedi al lemma colóstru.

BONÉNGIA nome di vitigno sardo a uve nere. Vedi etimo al capitolo sugli ampelonimi.

BÒRGIO nome di vite sarda ad uve nere. Vedi etimo al capitolo sugli ampelonimi.

BOVÁLE, Bovári è un vitigno a uva nera. Vedi etimo al capitolo sugli ampelonimi.

BRAGHI-BRAGHI sass. ‘corbezzolo’ (Arbutus unedo L.). In questo lemma è descritto lo splendore del frutto, il quale in antico doveva essere uno dei più preziosi della flora mediterranea. Infatti braghi-braghi è fitonimo sardiano, iterato per esprimerne l’importanza, basato sull’akk. barāḫu ‘scintillare, splendere’.

BRÁGIU MANNU vite sarda ad uve bianche. Vedi etimo al capitolo sugli ampelonimi.

BRÉḌḌULA ARESTA gall. ‘edera selvatica ossia salsapariglia o smilace’ (Smilax aspera L.). Il significato del fitonimo si comprende se riflettiamo sul significato del gall. bréḍḍula in quanto ‘donnola’. Questo animale cacciatore vive sui muri a secco, in luogo ombroso, né più né meno come fa l’edera, e com’essa si arrampica. Infatti Pittau OPSE 210 dà bréddula come ‘edera’, e lo pone come originario della Gallura. Il fatto che i Galluresi abbiano abbinato fitonimo e animale può sconcertare, ma non troppo, data l’affinità del modo di vivere sia del rampicante sia di quest’animale che s’arrampica fulmineo come uno scoiattolo. Bréḍḍula in quanto ‘donnola’ e ‘salsapariglia’ hanno base etimologica nell’akk. birtu(m) ‘fort, castle’, ‘area protetta da avamposti fortificati’ + suffisso aggettivale sardo -la. Col tempo si è prodotta la metatesi *bìrtula > *britula, con successiva lenizione della dentale (> brèḍḍula).
L’origine di questo nome sta nel fatto che la donnola preferisce i muri costruiti, essendo animale poco adatto a scavare ed invece adatto ai minuscoli pertugi o fenditure presenti in qualsiasi muro. Lo stesso si può dire del rampicante ‘salsapariglia’. Il significato originario è dunque ‘quella delle mura’, ‘quella dei castelli’, per il fatto che nelle campagne le abitazioni erano normalmente di legno, mentre le uniche costruzioni in pietra erano i castelli o le fortificazioni.

BRENTÈḌḌA (Nuoro) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium). Base etim. nell’akk. berû(m) ‘essere affamato’ + entu(m) ‘alta sacerdotessa’ + ellu ‘puro, splendido’, col significato complessivo di ‘gentile sacerdotessa della fame’ (con quanto di ironico o sarcastico possa rinvenirsi nella definizione).

BRIGANTÌNA ‘’ginestrella comune’ (Osyris alba L.). Base etim. nell’akk. biriḫḫu(m) ‘string, bundle, fascio’ + tīnu (cespuglio che porta frutti); per stato costrutto abbiamo biriḫḫu-tīnu > b(i)riḫḫa-tina > brigantina per epentesi di -n- eufonica. Il significato sintetico è ‘cespuglio fruticoso che ha fasci di verghette’ (tale è appunto l’osiride).

BRODÁU (Meana) ‘asparago’ (Asparagus acutifolius L.). Base etim. nell’akk. burû (a garden plant) + da’û aggettivo sconosciuto, che forse è legato alla natura dell’asparago. Evidentemente già all’epoca dell’antico impero babilonese ed all’epoca dei protonuraghi gli asparagi venivano coltivati.

BRONZEḌḌU gall. ‘betonica glutinosa’ (Stachis glutinosa L.), composto sardiano con base nell’akk. burû (a garden plant) + ṣelû ‘abbruciare, accendere’, col significato di ‘pianta per abbruciare, per accendere’. Quest’uso è frequente. Vedi anche coccìci.

BRUMA gall. ‘corbezzolo’; méli de bruma ‘miele di corbezzolo’. Base etim. di bruma è il sum. bur ‘tree’ + ma ‘sublime, importante’. A quanto pare, i Sardi anticamente consideravano questo miele al contrario di come la pensavano i Romani.

BRUNDEḌḌA (Lodè) ‘ruta caprina’ (Hypericum hircinum L.). Il primo termine che si pone al confronto è l’akk. di Nuzi wurundu, ma sinora i semitisti non sono riusciti a dare un significato al termine. Con circospezione, potremmo allora introdurre urudû ‘(a kind of) copper, un genere di rame’ (riferito al color giallo) + ellu(m) ‘puro, chiaro, limpido, brillante’ (in composto urud-ellu > *uru(n)della > brundèḍḍa), col significato di ‘(pianta dal colore) marcatamente giallo, o aurino’ o simili. A meno che non lo riferiamo all’akk. uruti (a plant) + ellu(m) ‘puro, chiaro, limpido, brillante’ (in stato costrutto urut-ellu > *urutella > bru[n]dèḍḍa).

BRUNDÌNA log. (Gentiana lutea L.). Base etim. nell’akk. urudû ‘(a kind of) copper, un genere di rame’ (riferito al color giallo) + suff. aggettivale sardiano -ina (in composto urud-ina), col significato di ‘giallina, aurina’ e simili. A meno che non dobbiamo riferirci all’akk. uruti (a plant) + suff. aggettiv. sardiano -na.

BRUŠA (erba de) è la ‘stachide’ (Stachys arvensis) e la ‘betonica glutinosa’ (Stachys glutinosa). La stàchide è chiamata in camp. erba de brušas ‘erba delle streghe’ Il termine ha la stessa base etimologica per il sardo e per l’ispanico, derivando dall’akk. rūšu, ruššu ‘sporcizia’, (w)urrušu(m) ‘sporchissimo, insudiciato’; russû(m) ‘dissolvere’ la terra, la persona, mediante un incantesimo, un atto di stregoneria; rušû ‘dissoluzione’ come atto di stregoneria.
Nel campo semantico accadico rientra quindi il concetto di ‘sporcizia’ (poichè ai “faccendieri” non autorizzati non era consentito lustrarsi prima delle cerimonie con l’acqua pura benedetta), e rientra anche il concetto di ‘magia’ (anch’essa non autorizzata quand’era al di fuori delle norme vigenti, le quali la pretendevano esercitata esclusivamente dai sommi sacerdoti o dalle veggenti asservite al sistema); vi rientra inoltre il significato di ‘disintegrare, distruggere, polverizzare’. Il sardo bruša, carico soltanto di connotati negativi, è riferito quindi soltanto alle ‘streghe’, alle ‘fattucchiere’ e non, ad esempio, agli esorcisti del Vaticano. Tale campo semantico negativo è arrivato intatto fino ad oggi, non solo attraverso bruša, ma anche attraverso dei sintagmi che riprendono il significato di russû(m) ‘dissolvere (la terra e la stessa persona)’.

BRUSCU BIÁNCU è l’altro nome dato in Sardegna al vitigno (e vino bianco) chiamato Nurágus (vedi). Vedi etimo al capitolo sugli ampelonimi.

BRUSTIÀNA nome di vite sarda a uve bianche. Vedi etimo al capitolo sugli ampelonimi.

BUBBUKÈḌḌA, bubbulikèḍḍa (Ogliastra), bobborikìna (Fonni) ‘galla della quercia’. Questa escrescenza, normalmente estranea alla pianta, è considerata alla stregua di quanto avviene sul corpo umano con una pustola, vescicola, flittena che è chiamata bùlla, bollonkèdda, bullùcca, bullìcca, bubbulìcca. Queste forme non sono onomatopeiche, fonosimboliche, come crede Wagner, ma hanno la base nel bab. bullu ‘decadimento’, bullûm ‘putrido’; bullûtum ‘stato di decadimento’. Esso s’incrocia con l’altro termine bab. bubu(’)tu(m) ‘foruncolo, pustola’.

BUBBULIKEḌḌA ‘galla della quercia’. Vedi a bubbukèḍḍa.

BUDA log. ‘tifa o sala’ (Typha angustifolia e Typha latifolia L.). Cfr. lat. buda ‘sala’. l lemmi sardo e latino sono mediterranei. Base sembra l’akk. uddû ‘impregnare’, uddû ‘esuberanza’, uno riferito al fatto che la pianta è palustre, l’altro per l’insolita turgidezza (infiorescenza) nella parte sommitale del fusto.

BUḌḌÙRI, biḍḍùri ‘cicuta’ (Conium maculatum), base nell’akk. būdu ‘animale, insetto (o altro) nocivo’ + ūru(m) ‘ramo’, col significato di ‘pianta nociva’.

BULLÁU (Seùi) ‘rosolaccio’ (Papaver rhoeas L.). Base etimologica l’akk. buʼʼu ‘sought for, ricercato’ + lāḫu ‘young shoot, giovane germoglio’.

BUNNÀNNARU, bunnánneru, erba bunnánneru ‘teucrio giallo’ (Teucrium flavum L.) (Bonorva e dintorni). Il nome italiano del Teucrium flavum è camédrio. Non conosco le ragioni onde i botanici abbiano forgiato tale nome, so soltanto che deriva dal greco χαμαι-δρυς, -δρυος, che significa letteralmente ‘quercia nana’. Ovvio che tra la ‘quercia nana’ ed il ‘camédrio’ in quanto Teucrio giallo manca ogni e qualsiasi addentellato. Invero, bunnànnaru è composto sardiano, base nell’akk. būnu ‘figlio’ + nannāru(m) Luna, Dio-Luna; luce del Cielo’: stato-costrutto būn-nannāru col significato di ‘figlio del Dio-Luna’ (evidentemente la pianta presso gli antichi aveva degli usi curativi, tra i quali forse la cura emmenagoga, essendo questa legata al ciclo lunare).

BUREḌḌA gall. ‘lavanda selvatica’ (Lavandula stoechas L.) anche ‘canapicchia’ (Helichrysum italicum G.Don.). Base etim. l’akk. burû (una pianta da giardino) + ellu ‘puro, chiaro’ (nel senso di elettivo). L’avvenenza e l’utilità della pianta portò evidentemente ad utilizzare la lavanda come pianta da giardino.

BURRÁCCIA camp., burráscia (Ogliastra) ‘borragine comune’ (Borrago officinalis L.) ed anche ‘buglossa azzurra’ (Anchusa azurea Mill.), quest’ultima chiamata in sardo, più propriamente, burráccia arésti o linguaràda arésti. Ritengo che il nome sardo della ‘buglossa azzurra’ sia influenzato dal lemma indicante la borragine comune. Quanto alla borragine comune, c’è l’identica forma catalana e quella spagnola, che partecipano, alla pari di quella sarda, di un’unica isoglossa mediterranea, addirittura eurasiatica, con base nell’akk. ūru(m) ‘ramo’ + aḫû, ḫaḫû ‘sputare’, col significato generale ‘ramo mucoso’. È proprio il caso di questa piantina edule, che a qualcuno potrebbe sembrare ostica per le qualità che la fanno somigliare a una produttrice di muco. Talchè a Sassari e dintorni è chiamata muccu-muccu. Va da sé che pure la forma latina Borrago ha la stessa base accadica.

BURTSÈRA, purtsèra, pruttsèra ‘cerfoglio’ (Anthriscus cerefolium Hoffm.). Base nell’akk. buru (a garden plant) + ṣêru(m) ‘espandersi, allargarsi’, col significato di ‘pianta da giardino espansa’ (basta vederla per capirlo).

BUSCADÍNU ‘pungitopo’ (Ruscus aculeatus L.). Base etim. l’akk. ūsu(m) ‘goose’ + ḫati’u (a fruit): stato costrutto ūs-ḫati’u, significante ‘frutto delle oche’ (riferimento forse alle bellissime bacche rosse).

CACCÁCU (Orani) ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.), fitonimo sardiano con raddoppiamento (ca-cacu), base nel sum. kagu ‘bread’ (per la forma della radice). Altro nome è caccamalùne (Fonni).

CACCAÉḌḌU ‘biancospino’ (Crataegus oxyacantha L.). Base etim. l’akk. kakku (a small legume) + ellu(m) ‘pure, clear’ e simili, col significato di ‘legume ottimo’. È noto che i rossi frutti del biancospino si mangiano con piacere, e se ne fanno pure marmellate. Da qui il composto sardiano.

CACCAMALÙNE (Fonni) ‘ciclamino’. Il primo membro cacca- pare riferirsi allo stesso nome di Orani: caccácu (vedi). Il secondo membro -malùne pare riferirsi al ‘secchio da mungere, per lo più di sughero’. Però, essendo arduo capire le ragioni di questo accostamento, potremmo pensare che -malùne sia una paronomasia, forse riferibile al sum. malu (‘esclamazione’, ovviamente di meraviglia, considerata la bellezza del fiore). Vedi anche l’altro nome del ‘ciclamino’, caccasennoreḍḍa, il quale anch’esso è epiteto di omaggio, in questo caso riferito alle margheritine.

CACCARACÁSU (Bosa) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum L. var. rotundifolium Mill.). Base etim. nell’akk. kakkaru (una pagnotta rotonda) + kasû pl.tant. aramaico, pl. kasīyā (a spice plant) ‘mostarda’ quale pianta edule che può essere consumata arrosto, o tritata (a frittata). Il significato del composto è ‘pianta da spezia con pagnottine’ (riferendo queste ultime alla caratteristica delle foglie della rotundifolia, simili per un certo verso a tante frittelle piatte e tonde).

CACCARÁGIU (Aggius) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum L. var. rotundifolium Mill.), bellissimo nome sardiano con base nell’akk. kakkaru (una pagnotta rotonda) + agû ‘corona, anello’, col significato di ‘pagnottina a corona’ (con riferimento al fatto che le straordinarie foglie della rotundifolia cingono “a corona, ad anello” il caule sormontato dall’ombrello dell’infiorescenza).

CACCARÈḌḌA. Vedi al lemma cakkèḍḍa.

CACCASENNORÈḌḌA (Benetutti) ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.). Per sennorèḍḍa in sardo s’intende la ‘margheritina’; il parallelo tra questo fiorellino e le fanciulle è sorretto dal comune denominatore della grande fragilità: infatti una volta colto il fiore avvizzisce in pochi minuti. Di qui il nome sennoréḍḍa dato a Lollove anche al ciclamino, poiché anche questo avvizzisce in pochi minuti.
Per quanto attiene all’etimo di cacca-, è lo stesso del lemma caccácu. Questo è un fitonimo sardiano con raddoppiamento (cac-cacu) ed ha la base nel sum. kagu ‘bread’ (per la forma della radice). Quindi caccasennoréḍḍa significò in origine (con riferimento al bulbo lenticolare) ‘pagnotta-margherita’, ossia ‘pagnotta che produce margherite’.

CACCU frutto e albero che il Devoto presenta come ‘albero delle Ebenacee (Dióspyros kaki) originario della Cina e del Giappone’ ritenendo il nome di origine giapponese. Anche DELI fa le stesse presentazioni, scrivendo che il termine apparve in Italia nel 1836. Invece la base etimologica è il bab. ḫaḫḫu ‘albero da frutta’ (susina o pesca, sostengono i semitisti, mentre io penso proprio al ‘kaki’). Quindi c’è da immaginare che nell’alta antichità sumera l’albero o il suo frutto (meglio, il seme) sia pervenuto in Mesopotamia attraverso le vie carovaniere e da qui si sia espanso nel Mediterraneo. Il nome in babilonese significa anche ‘phlegma, mucus’, e sembra che il nome del frutto sia proprio originato dalla sua consistenza organolettica, dalle caratteristiche “mucose”. Sembra chiaro che, mentre il frutto provenne a noi moderni dall’estremo Oriente, il nome sumerico-akkadico sia migrato in estremo Oriente grazie all’altissima considerazione che in Asia si è sempre avuta per la lingua e la civiltà numerica. Vedi comunque sum. ḫaḫala ‘commestibile’.

CACCÙRIS cognome medievale, contenuto in CSNT 250; sembra un originario nome di albero da frutta, un fitonimo sardiano basato sull’akk. ḫaḫḫu ‘albero dei kaki’ + urû ‘di Ur’. Considerata la bontà del frutto del kaki e la sua certa origine mesopotamica, c’è da immaginare che quelli coltivati ad Ur, la capitale sumerica, furono tra i migliori in assoluto. Quindi è probabile che i semi dei kaki di Ur siano stati commercializzati nel Mediterraneo ed in Sardegna. In questo caso, anche il gentilizio latino (prelatino) può avere la stessa origine, e così pure il toponimo della Magna Grecia.

CADALÀVA log. ‘calcatréppola’. Il termine logudorese è riferito alla nota Centaurea calcitrapa L., ed anche alla Centaurea horrida. Sappiamo la causa del nome sardo, essendo questa Centaurea una pianta pulvinare spinosissima, con aculei talmente forti e penetranti da trafiggere (letteralmente) e ferire in profondità.
Se ho inteso bene, la Centaurea horrida è quella che in Logudoro chiamano cadalàva; base etim. nell’akk. kadāru ‘delimitare un confine’ + apû (una pianta spinosa), col significato complessivo di ‘cardo cingi-confini’ (utilizzato cioè a limitare i campi coltivati).

CADATTU ‘cardo stellato’ (Centaurea solstitialis L., Centaurea calcitrapa L.), composto sardiano con base nell’akk. kādu(m) ‘sentinella’ + atû(m) ‘portinaio’. Per capire il sintetico appellativo significante ‘guardiano degli usci’, basta leggere a cadalava, altro nome della calcatreppola, pianta d’elezione per impedire alle bestie di rapina d’entrare negli ovili.

CAḌḌAMARÍDOS ‘ginestrella comune’ (Osyris alba L.), tricomposto sardiano con base nell’akk. ḫaddû ‘gioiosissimo’ + māru(m) ‘figlio, rampollo, discendente’ + (w)ēdu(m) ‘Asa foetida’ (a medicinal plant) (stato-costrutto ḫaddu-mār-ēdu), col significato complessivo di ‘pianta medicinale simile a rampollo gioiosissimo’.

CAḌḌÍU è il nome di una vite sarda. Il termine è sardiano con base nell’akk. ḫaddû ‘gioiosissimo’. Il che è tutto un programma.

CADÈḌḌA (Escolca, Nuragus) ‘ranuncolo dei campi’ (Ranunculus arvensis L.), composto sardiano con base nell’akk. ḫadû(m) ‘gioia’ + ellu(m) ‘puro’, col significato di ‘pura gioia’ (in relazione alla bellezza del fiore).

CADÒNI ‘farinaccio’ e ‘mercorella’ (Chenopodium album L.), ‘piede anserino’ (Chenopodium murale L.), ‘bieta grappolina’ (Chenopodium polyspermum L.), ‘erba puzzolana’ (Chenopodium vulvaria L.). Il fitonimo è pure registrato nell’akk. qatunu (a mountain plant). Ma può essere pure dall’akk. qadû(m) ‘owl, civetta’ + sum. unu ‘pasto, cibo’, col significato di ‘cibo delle civette’ (termine spregiativo, visto che la pianta infesta a momenti le vigne, trasmettendo al vino sapori sgradevoli).

CADRAMPU ‘ceppita’ (Inula viscosa) (Seùi). Vedi cadùmbu.

CADRÁMPULU ‘bocca di leone’ (Antirrhinum majus L.), base nell’akk. kadrû, katrû ‘regalo; dono di accoglienza; dono delle feste’ + bu’’û ‘to look for, cercare’, col significato di ‘dono ricercato’ (a causa della grande bellezza dei fiori).

CADRÁNZU (de fundos) log. ‘bitorzolo di vite’, composto sardiano con base nell’akk. qatû(m) ‘distruggere; completare (il danno)’ + rangu, raggu(m) ‘wicked, villainous, cattivo, malvagio, malizioso’ of demon. Significa quindi, a un dipresso, ‘danno (creato da) un demone malvagio’. Per gli antichi, ogni malformazione di una pianta (o dell’uomo) era attribuita a spiriti maligni.

CADRILLÒNI, cardillòni camp., cadillòni (Gairo, Cagliari), caližòne (Desulo) ‘asfodelo’ (Asphodelus ramosus L. vel phistulosus L.). Dalla discussione sul lemma arbutthu (vedi), si capisce il valore artigianale e commerciale che l’asfodelo aveva nell’antichità (a Sinnai ed in tanti altri paesi della Sardegna, lo ha ancora oggi). È da questo valore e dall’uso dell’asfodelo che bisogna partire per capire a fondo l’etimologia del fitonimo. Cadrillòni è composto sardiano con base nell’akk. kadrû, katrû ‘regalo; dono di accoglienza; dono delle feste + ilum, illum (a leather bag), col significato complessivo di ‘vaso, contenitore per i regali’. Si presume che nell’alta antichità, così come ancora oggi si fa per i momenti importanti, i doni venissero consegnati entro borse di pelle (nei casi importanti) oppure entro un vaso intrecciato con asfodelo, per il quale ancora oggi l’artigianato della Sardegna ha il primato.

CADRIOTTU camp. ‘cardo coltivato’. Il lemma ha la normale metatesi camp. card- > cadr-. Per l’etimo del primo membro vai a cardu; l’etimo del membro -ottu ha base uguale ai lemmi del tipo Marghinotti < sum. utud ‘to give birth (to), dare la nascita a’. Pertanto cadriottu in origine significò ‘cardo generatore’ (poichè da esso si genera il carciofo). Il significato, essendo antico, precedente l’avanzata degli Arabi (che hanno fatto conoscere il carciofo in Occidente), indica inequivocabilmente due cose: 1 che il carciofo è una produzione più antica di quanto la Conquista Musulmana voglia fare intendere; 2 che nel Medioevo le popolazioni sarde che l’hanno conosciuto sapevano ancora bene qual era il significato basilare.

CADUMBU (Laconi, Meana), cadùmburu (Dolianova, S.Nicolò Gerrei), carùmbulu (Tortolì), e così via. È il ‘verbasco’ o ‘tassobarbasso’ (Verbascum thapsus L. e la numerosa famiglia), pianta bellissima a forma di candelabro complesso, alta fino a 2 metri e oltre. A Seùi per cadrámpu s’intende la ‘ceppita’ (Inula viscosa). Base etimologica nell’akk. kādu ‘guardia, vedetta’ + bu’’û ‘to look for, cercare’, col significato di ‘(pianta che) sta in vedetta’. Sembra di capire che il composto nominante il ‘verbasco’ nacque per la nobile ed elegante bellezza della pianta e per il fatto che sovrasta sempre quelle del luogo dove cresce. Il primo membro accadico kādu fu assimilato col tempo alla fonetica camp. di cadru ‘cardo’. Che questo stesso nome, leggermente variato nella fonetica, sia dato dai Seuesi pure all’Inula viscosa, sembra attenere al fatto che da agosto a ottobre l’Inula è l’unica piantina verdeggiante, che domina sui prati ancora gialli e riarsi dalla siccità.

CAGAMÈNGIA camp. ‘ricino’ (Ricinus communis). Il ricino è una pianta usata come lassativo. Per caggare vai a suo luogo. Quanto a mèngia, probabile base etimologica è l’akk. mindu (a plant).

CAGARANTZU, caragantzu, cacarathu, caragantu è il nome del Chrysanthemum coronarium e del Chrysanthemum segetum (‘fior d’oro’ e ‘ingrassabue’). Il colore giallo strepitoso è la caratteristica del cagarantzu: sovrasta la visibilità delle altre piante presenti. In sovrappiù occorre notare una caratteristica ad essa complementare, che tale giallo viene dispensato copiosamente all’ambiente: per provarlo, basta passare in un folto campo di caragantzos per uscirne letteralmente “impolverati” dai pollini aurei. O basta osservare le api e gli altri insetti bottinatori, che fuoriescono dal capolino del caragantzu letteralmente infarinati, resi irriconoscibili da un manto di pollini aurei che quasi li impastano e gl’impediscono il volo. Caragantzu è composto sardiano con base nell’akk. kalû(m) ‘una pasta minerale gialla’, ‘orpimento’ usato per le statuette fittili, per cosmesi, etc. + ḫamṣum ‘dalla testa calva, cabochon’, col significato di ‘capolino colmo d’orpimento’. Si noti che orpimento deriva dal lat. auri pigmentum ‘placcatura d’oro’.

CAGLIÙGA ‘senecione’ (Senecio vulgaris L.), composto sardiano con base nell’akk. kalû(m) ‘una pasta minerale gialla’, ‘orpimento’ usato per le statuette fittili, per cosmesi, etc. + ugu ‘power’, col significato di ‘potenza d’orpimento’ con riferimento al capolino del senecione, notoriamente infarinato di pollini color dell’oro. Per capire meglio, vedi cagarantzu.

CAGNULÁRI è nome d’uva e di vitigno; per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

CAKÈḌḌA, caccarèḍḍa (Escalaplano, Perdasdefogu, Siurgus) ‘ovolo’ (Amanita cesarea), ‘sorta di tartufo’, ‘porcino’ (Boletus aereus e Boletus edulis), poi ‘fungo’ in generale. Base etim. l’akk. qaqqadu ‘testa’ di umani e animali, col significato di ‘testina’ (perché così sembra quando spunta dall’humus). La variante caccarèḍḍa ha ugualmente base in qaqqadu (+ rotacizzazione della -d-) + suff. diminutivo -èḍḍa, col significato di ‘testolina’.

CALABINGIÀDA ‘caprifoglio’ (lett. ‘foglia delle capre’) (Lonicera caprifolium). Per capire qualcosa su questa pianta occorre vedere come cresce e vive. Essa è rampicante e tende ad ammantare, ricoprire, pervadere in modo intricato gli alberelli o le piante basse dove s’appoggia. In italiano ha preso il significato di ‘foglia delle capre’, dal tardo latino caprifŏlium. Che è una perfetta paretimologia, dovuta alle assonanze. Mentre la base etimologica del termine sardo è accadica, da ḫalāpu(m) ‘ammantare con, aggrovigliarsi (di alberi)’ + gadû ‘giovane capra’ (stato costrutto ḫalāpi-gadû > calabi(n)giàda con epentesi di -n- eufonico) da tradurre come ‘manto delle capre’.

CALABRÈSA è nome d’uva e di vitigno; per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

CALÁBRIKE caralìghe, calarìghe, calávrike, caráviu, coráviu ‘biancospino’ (Crataegus oxyacantha L.). Secondo Wagner e Paulis (NPPS 366) deriva dal lat. calabrix (Plinio). Il lemma latino, al pari del lemma sardo, ha base etimologica nell’akk. kâru ‘tu rub, sfregare (parte del corpo)’ + leqû(m) ‘ricevere, subire’. È tipico di questa pianta spinosa infastidire e ferire chi è costretto a toccarla.

CALACÁSU è la Stachys glutinosa o ‘betonica’; varianti: locásu e lucréžu. Essendo piantina amara ed avendo proprietà coagulanti (è usata primamente come vulneraria), essa non può che basare l’etimologia sull’akk. ḫalabu ‘to milk, allattare, produrre latte’ + kasû(m) ‘rapprendere’, kasû ‘rappreso’. Sembra che nella remota antichità la pianta si prestasse per fare il formaggio. Dal prototipo calacásu è stato generata la variante locásu.

CALARÌGHE ‘biancospino’. Vedi alla voce calábrike.

CAŁDHU sass., cardu log. ‘cardo’, piantina spinosissima che Wagner fa derivare dal lat. cărdus < classico carduum, di etimologia incerta. Invece l’etimo si basa sul bab. garādu(m), qarādu ‘strappare’, ‘ficcare, piantare’, anche ‘essere rognoso, spregevole’. Vedi cognome Gardu.

CAŁDHU MIGNÒNI sass. ‘Sonchus oleraceus’. Vedi camingiòni.

CÁLIKE. Vedi càlighe, sàlighe e sarga.

CÁLIGHE, sálighe è il ‘cascolino delle ghiande’; ma principalmente l’Umbilicus Veneris, erba grassa amante dell’ombra e dell’umido, nel sud chiamata arìja e para ‘orecchio di prete’ (per la forma simile a un orecchio) e nel nord cálighe (per la somiglianza a un ‘calice’ o ad una ‘coppetta’). Da quest’ultima forma derivano le altre tre: sálighe nel nord, sarga nel centro, sáliga nel sud, dovute ad agglutinazione di su (c)álighe, sa (c)áliga > sa (c)árga. In tal guisa il fitonimo ha subito lo strano destino d’essere foneticamente e semanticamente confuso per un verso col ‘salice’: sálighe (forma italianizzante scaturita per giustificare l’agglutinazione dell’articolo determinativo, non più compresa), e per altro verso con s’áliga, s’arga nel senso di ‘l’alga’ e più spesso ‘la spazzatura’. Per tale ragione sono stati sempre interpretati male i fito-toponimi sparsi nell’isola, che sono esclusivamente riferiti all’Umbilicus Veneris (vedi per tutti Scala Sargas nel Supramonte di Dorgali). Fanno eccezione alcuni toponimi costieri riferiti alle alghe (Punta s’Aliga, S’Alighèra, etc.). In Sardegna non esiste nemmeno un immondezzaio con uno di questi appellativi, poiché per essi, com’è noto, si preferisce l’appellativo muntonalzu. Tanto meno il lemma sopporta il confronto col greco chalix, icos ‘ciottolo’. L’origine del nome è nell’ass. kallu(m) (coppa per liquidi e cibi) < sum. kallu ‘bowl’.

CAMBIRÙYA ‘parietaria’ (Parietaria officinalis L.), base etim. nell’akk. ḫabû(m) ‘to draw (water)’ o qābu ‘dyke, diga, argine’ + rubû(m) ‘prince’, col significato di ‘(pianta) d’elezione dei posti umidi’.

CAMINGIÒNI ‘lattuga pungente o cicerbita’ (Sonchus oleraceus o arvensis L.), chiamato in camp. simingiòni ‘capezzolo’ perché, spezzandolo, versa lattice bianco. Base etim. nell’akk. kamû(m) ‘legare’ + inḫu(m) ‘difficoltà, fastidio’, col significato di ‘(erba che) lega con fastidio’, a causa proprio della quantità di lattice amaro che impedisce di cibarsene a sufficienza. Che Plinio (NH 22,89; 26,163) abbia affermato che la pianta mangiata dalle puerpere produca un ottimo latte, non è discutibile. Ma è discutibile quanto ne deduce Paulis NPPS, che l’erba sia appetita pure dal bestiame e dai maiali. Per esperienza posso dire il contrario. E ciò depone a favore dell’etimologia accadica. Dal prototipo camingiòni si sono differenziati, area per area, gli altri nomi sardi di questa pianta, come simingiòni, cardu mingiòni, cardu minzòne, caldhu mignòni, etc.

CANAJÒLA è nome d’uva e di vitigno; per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

CANASTURZA log. ant. (CSMB 189, 190): sa figu canasturza; (Catanzaro) calestruzzi ‘specie di fichi’, dal Wagner derivato dal gr. καλλεστρούθιον. Osservo che quel lemma greco significa alla lettera ‘passero bello’. Migliore base è l’akk. kanû ‘prendersi cura di’, ‘essere coccolato, tenuto in gran pregio’ + turzu ‘butterfly’, col significato di ‘coccolato dalle farfalle’.

CANNA ‘canna’ (Arundo donax). Cfr. lat. canna, gr. καννα. Come l’equivalente latino, greco e italiano, il fitonimo ha varie accezioni. Indica la pianta ed altre piante del genere, con tutti i diminutivi del caso. Metonimicamente può indicare un oggetto fatto con la canna o che somiglia alla forma tubulare di questa. In Sardegna su cannòni è lo ‘scarico a tubo di una sorgente’. Il termine, con tutte le sue accezioni, deriva direttamente dall’akk. qanû(m) ‘canna’ (sumerico kan ‘recipiente’, ebraico qāne, qanè קָנֶה ‘canna’, 1Re 14,15, ugaritico qn, arabo qanā: OCE II 360), da cui anche il cognome sardo Canu. Quest’ultimo infatti non deriva dal lat. canus ‘dai capelli grigi, canuto’, ma dal termine su detto, il quale poi per suo conto ha prodotto kanû ‘condotto, canna; vulva, vagina’.

CANNA ÁVRINA ‘cannuccia’ o ‘canna di palude’ (Arundo phragmites L.). Questo nome indica una pianta che serve a costruire o per fare intrecci; è composto sardiano con base nell’akk. kannu(m) ‘ripostiglio’, ‘armadio’, ‘legame’ + abru(m) ‘forte, robusto’, col significato di ‘(pianta per) contenitori robusti’, in virtù della versatilità della cannuccia nei manufatti d’intreccio.

CANNA DE AMORÁI. Vedi amorái.

CANNA DE MORÁI. Vedi amorái.

CANNAJÒNI camp. ‘gramigna’ (Cynodon dactylon Pers.). Per l’etimologia verrebbe da rimandare direttamente a quella della canna, anche perché la gramigna, in quanto graminacea, ha lo stesso comportamento radicale-vegetativo della canna. Ma ci allontana dall’ipotesi la differenza di natura e portamento della canna. L’etimo di cannayòni sembra l’akk. kannu ‘germoglio, piantime’ + ḫunnû(m) ‘dare riparo, rifugio, alloggio’ alle pecore, col significato poetico di ‘rifugio delle pecore’, per l’alto valore nutritivo ed ecologico. Col nome di cannayòni abbiamo pure la ‘caprinella o dente canino’ (Agriopyrum repens P.B.).

CANNAJÒNI CÀMBAS LÒNGAS ‘miglio selvatico’ (Millium multiflorum Cav.). La piantina nell’antichità era usata, come ancora oggi, per la cattura degli uccelli, per i mascheramenti delle trappole. In tal guisa possiamo interpretare cannayòni cambas longas come quadri-composto sardiano avente a base l’akk. kannu ‘germoglio, piantime’ + ḫunnû(m) ‘dare rifugio’ + ḫābilu ‘trapper’ (cacciatore che piazza le trappole) + ugu ‘morte’ (kannu-ḫunnû-ḫābil-ugu > *kanna-gionni-kabil-ugu > cannagiòni ca[m]bi lu[n]gu), col significato complessivo di ‘germogli-rifugio per trappole mortali’.

CANNAJÒNI DE AQUA è una graminacea, il Paspalum distichum L. var. paspalodes Thell. Per l’etimo vedi cannayòni.

CANNAJÒNI DE CRESÙRI (San Gavino Monreale) ‘miglio selvatico’ (Millium multiflorum Cav.). Il lemma sembra sardiano, con base nell’akk. kannu ‘germoglio, piantime’ + ḫunnû(m) ‘dare riparo, rifugio, alloggio’ alle pecore + kiṣru ‘nodo, chiusura’ + ūru(m) ‘tetto’ (composto kannu-ḫunnû-kiṣru-ūru > canna-iòni de cresùri). Il significato originario fu, all’incirca, ‘piantina (utile ad) legare il tetto’ dell’ovile.

CANNA ÙRPINA log., canna gùrpina (Nuoro) ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum L., Dipsacus ferox Lois., Dipsacus sylvester L.). Base etim. l’akk. kannu ‘shoot, sapling, germoglio, alberello’ + ḫurpu(m) ‘blood clot, grumo di sangue’. Infatti il capolino tinge i suoi numerosi minuscoli petali di un intenso color sangue.

CANNAVÁGLIO centr. ‘canapa’, gall. canna áglia, sass. canáglia. Il fito-toponimo Su Cannaváglio, che si trova in agro di Oliena, è tipico di certi luoghi umidi. Il sardo centrale ci fornisce cannavárgiu, che significa ‘il sito della canapa’. Ricordo che un flumen de cannavaria era già citato nel condaghe di S.Maria di Bonarcado, I, c.3 t; e figura anche nel condaghe di S.Nicola di Trullas, 140, 12. A Dorgali però canaváriu significa ‘canuto’. Poiché il nome Cannabis è di origine orientale, anche per il termine sardo abbiamo quel referente territoriale, dall’akk. kannu ‘shoot, germoglio’ + baliu ‘lord’, ossia ‘signore delle piantine’, considerato che nell’antichità la sua funzione tra i sacerdoti e gli sciamani fu identica a quella che oggi ha dilagato tra la gente drogata.

CANNONÁU. è nome d’uva e di vitigno; per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

CARACÙTU ‘agrifoglio’ (Ilex aquifolium L.). Base etim. il sum. ḫara ‘ornamento’ + kul ‘pianta’ + tu ‘leader’: ḫara-kul-tu ‘pianta leader per gli ornamenti (le corone)’.

CARAGÁNTZU. Vai a cagarántzu.

CARAKÍNU a Chiaramonti è il Phaseolus caracalla. L’etimologia è l’akk. karāku ‘avvolgere’, ‘essere assemblato’, con richiamo alla cista che racchiude i semi, ed ai semi medesimi.

CARALÌGHE. Vai a calábrike.

CARÁVIU, coráviu, calábrigu, calábriu, coárviu, calábriche, calarìghe (vedi). A cominciare dal prototipo caralìghe, la base etimologica sta nell’akk. kâru ‘tu rub, sfregare (parte del corpo)’ + leqû(m) ‘ricevere, subire’. È tipico di questa pianta spinosa infastidire e ferire chi è costretto a toccarla.

CARCANGIÒLA, carcangliòla nome di vite sarda ad uve nere; per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

CARCÁNGIU LONGU (Nuragus) ‘caprinella o dente canino’ (Agriopyrum repens P.B.). Composto sardiano con base nell’akk. karku ‘spianato, espanso; ammassato’ (fenomeno tipico dei rizomi della graminacea, che si espandono in superficie con un fittissimo intrico) + anānu, enēnu(m) ‘essere favorevole’ (stato costrutto kark-anānu > carcángiu). Longu ‘lungo’ sembra ripetere la stessa semantica di carcángiu, relativa alla “espansione”.

CARCULATZU. Su fenu carculatzu in agro di Villagrande è il “fieno” di su craccùri, gli alti steli della Ampelodesma mauritanica (che è il ‘saracchio’, da qualcuno chiamato in latino Arundo aegyptiaca), i quali sono chiamati anche busa (vedi siciliano busa e arabo bûs), dal cui stelo si facevano le ‘cannucce’ che servivano a confezionare le calze. Per l’etimologia vai a curcùri.

CARCÙRI. Vedi curcùri.

CARDÁNGIU. Vedi cadrántzu.

CARDARÉLLU nome di vitigno sardo ad uve nere. per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

CARDASSU camp. ‘fico immaturo’. Paulis NPPS 429 lo fa derivare dal lat. chordus ‘tardivo’. Può darsi. Ma sembra più congruo pensare a un fitonimo spregiativo sardiano, con base in akk. ḫarādu(m) ‘onagro, asino selvaggio’ + -ássu (< akk. aḫû ‘strange’), col significato di ‘(frutto) da asinacci’.

CARDEDÒNNA (Sarule) ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.). Il termine è agglutinato da cardu e dònna, arcaica forma sardiana basata sull’akk. dunnu ‘fattoria fortificata’, col significato di ‘cardo per recingere i siti coltivati’. Per capire la funzione “difensiva” del calcatreppolo nell’antichità, vedi ai lemmi cardu de anzòne nonché cima de pastòri.

CARDU ‘cardo’, piantina spinosissima che Wagner fa derivare dal lat. cărdus < classico carduum, di etimologia incerta (secondo lui che scava soltanto nel latino). Invece l’etimo dei lemmi sardo e latino si basa sul bab. garādu(m), qarādu ‘strappare’, ‘ficcare, piantare’, anche ‘essere rognoso, spregevole’.

CARDU ANZONÍNU, cardu/bardu de anzòne, cardu matzòne log. ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.). Vedi cardu de anzòne.

CARDU ARRÁNGIU ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.). Non si capisce l’etimologia di cardu arránğu senza capire la vera natura del calcatreppolo (per le spiegazioni, vedi ai lemmi cardu de anzòne e cima de pastòri). Cardu arránğu è un termine sardiano con base nell’akk. rangu, raggu(m) ‘malvagio, scellerato, infame’, ‘malfattore, criminale’, col significato complessivo di ‘cardo scellerato’ a causa delle sue temibili punture.

CARDU CABIḌḌU nel Marghine e nel Goceano è il nome della Carlina gummifera. L’etimologia di (cardu) cabiḍḍu sta nel composto a base accadica hâpu ‘temere, aver paura di’ + iddum pl. ‘punte, punta acuminata’, col significato complessivo di ‘punte terribili’.

CARDU CANDÈLA ‘cirsio’ (Cirsium scabrum). Questa è una paronomasia basata su un composto sardiano riferito all’akk. kādu ‘guard, watch, guardia, sorveglianza’ + elû(m) ‘alto’ (riferito alla pianta). Quindi è ovvio che su (cardu) candèla fu utilizzato nelle antiche età per fare siepi a difesa delle greggi durante il riposo notturno. Vedi, per una ulteriore puntualizzazione, al lemma cardu castréḍḍu.

CARDU CANNITZU ‘onopordo maggiore’ (Onopordum illyricum). Ci troviamo davanti ad una paronomasia. La caratteristica dell’Onopordo è quella di avere la maggioranza delle infiorescenze sulla ed attorno alla cima. Sembra proprio quest’aspetto ad aver prodotto l’aggettivo cannitzu, il quale ha base nell’akk. kannu ‘germoglio’. Ma vedi, per una puntualizzazione, ai lemmi cardu castréḍḍu e cardu candèla.

CARDU CASTREḌḌU ‘cardo mariano’ (Silybum marianum) è un tri-composto sardiano basato sull’akk. garādu(m), qarādu ‘strappare’, ‘ficcare, piantare’ + ḫaštu ‘trap’ + urû(m) ‘stalla’ + ellu ‘puro, chiaro’ (nel senso di eccellente); in composizione: ḫašt-(u)r-ellu > castréḍḍu. Il significato sintetico fu ‘cardo d’elezione per i recinti’. Non è un caso, poiché il cardo mariano è la pianta spinosa più imponente della flora mediterranea. Si noti che un tempo (nel Supramonte ancora oggi) i pastori non creavano le stalle, quelle che noi immaginiamo come edificio coperto, ma semplicemente recingevano il luogo di riposo del bestiame, assicurandosi che le piante da recinzione fossero spinose per allontanare le bestie da preda. Ancora oggi a Nuoro il cardo mariano è chiamato kardu de corte ‘cardo dei cortili’ ed a Orani kardu vakkìle ‘cardo dei recinti per le vacche’.

CARDU DE ANZÒNE, cardu anzonínu, bardu mattsòne ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.), composto sardiano con base l’akk. garādu(m), qarādu ‘strappare’, ‘ficcare, piantare’ + azû(m) ‘to sigh, sospirare’ (in composto garādu-azûm) col significato di ‘cardo dei sospiri’, causa le spine micidiali.

CARDU DE CASTEḌḌU. Variante fonetica di cardu castréḍḍu.

CARDU ILÒΧE ‘cardo mariano’ (Silybum marianum) (Dorgali). Base etimologica l’akk. illukku (una pietra preziosa), da cui il traslato come termine di stima. Quindi cardu ilòχe significa ‘cardo assai stimato’ ossia il ‘cardo migliore’. Questa è la stessa identica etimologia di Perda Iḍḍocca, il sito del Sarcidano dove furono ritrovati i menhirs iconici della Sardegna.

CARDULÍNU in camp. è il nome generico del ‘fungo’. A Siniscola è cárdula. Il generico cardulínu è composto sardiano con base nell’akk. ḫarû ‘germoglio’ + tullû ‘decorare’ (stato costrutto ḫar-tull- + sumerico innuš ‘pianta’), col significato di ‘germoglio decorativo’ (causa la strana bellezza dei funghi).

CARDU MATTSÒNE ‘Eryngium campestre’. Vedi cardu de anzòne.

CARDU MINZÒNE ‘Sonchus oleraceus’. Vedi camingiòni.

CARDURÉU ‘cardo selvatico’ (Cynara cardunculus L. var. silvestris Lam.) è detto (Nuoro) karduvréu, (Bitti) karduréu, (Siniscola) garduléu; log. karduéru, barduéru, barduréu; camp. karduréu, karduguréu, guréu, uréu. Paulis NPPS ritiene che queste varianti derivino dal lat. VERU (seguendo Wagner). Ma va resa giustizia a questo (sinora) misterioso carduréu, guréu e varianti, il cui secondo membro è considerato dai linguisti alla stregua dell’it. ‘vero’. Prima però occorre attenzione al fatto che in Sardegna non c’è una persona (escluse le famiglie di città) che non vada in campagna, d’inverno o nell’incipiente primavera, a cogliere le lunghissime foglie del cardo selvatico al momento della massima potenza vitale. Esse vengono ripulite della fila di spine ai lati della costa, ripulite del delicatissimo tomento superficiale che ne accentua il sapore amaro, spezzettate, prebollite, messe sott’olio (o sotto spirito): costituiscono in tal guisa una leccornia con la quale imbandire la mensa dell’ospite.
Se è vero che il carciofo fu importato in Europa dagli Arabi nel Medioevo e poi fatto conoscere dagli Iberici, allora possiamo dire che su carduréu prima di allora era l’unico cardo utilizzato nella mensa dei Sardi. Ma ciò non autorizza a intendere guréu, uréu come ‘vero’, anche perché tutti gli altri carciofi, cardi o pseudo-cardi non sono ‘falsi’. Guréu e varianti (carduréu etc.) è un termine preromano, un aggettivale con base nell’akk. gūru ‘fogliame, foglie’: accompagnato al fitonimo cardu ne dichiara la caratteristica: le foglie lunghe, succose, digestive, medicinali.

CARGÙRI è allomorfo arzanese di cruccùri, ‘saracchio’ (Ampelodesma mauritanica). Per l’etimologia vedi curcùri.

CARICA E PORCU centr. ‘aro o gigaro’ (Arum italicum Mill.). Cárica, cálighe sembrerebbe a tutta prima una voce dotta, portata in Sardegna dai Romani (călyx, călycis ‘calice’) quale imprestito del gr. κάλυξ ‘cavità, bocciolo, guscio’, κύλιξ ‘vaso da bere’. Ma in realtà il termine sardo attuale ha soltanto la “sovrastruttura” riferibile al latino, mentre la base etimologica è il sum.-akk. kalakku ‘vaso, cassa, cella, grotta vinaria’ (Semerano, OCE II 131).

CARICAGIÒLA è un nome di vite sarda. Vedi carcangiòla.

CÁRIGA sass., log. ‘fico secco’. Il suffisso sardiano -icu-, -igu, -iga < sum. igi ‘qualità, quality’ (cfr. lat. -icus, gr. -ikos) ha il riscontro etimologico nell’akk. ikku(m) ‘umore, temperamento; mood, temperament’. Questo suffisso è mediterraneo.
Il fitonimo lat. Ficus carica ‘fico della Caria’ indica la qualità migliore in assoluto, da cui il sardo cáriga ‘fico secco’ (ossia, per antonomasia, il fico che per la qualità apprezzata si presta ad essere conservato). Ma oltre a questa è possibile una etimologia propriamente sardiana, basata nell’akk. kârum ‘to be dazed, stordito’ + suffisso sardiano -icu-, -igu, -iga < sum. igi ‘qualità, quality’.

CARIGNÁNO è il classico vitigno (e vino) del Sulcis. L’etimo è discusso al capitolo degli ampelonimi.

CARRISEGÀDA erba non registrata nei dizionari né identificata, la cui foglia era utilizzata per estrarre la papàia, ossia il piccolo tappo interno del foruncolo dopo che esso era stato spremuto. Per quanto questo lemma sia quasi identico a carrisegàda ‘distorsione, slogamento’, la base etimologica sembra diversa, e infatti è dall’akk. ḫarru(m) ‘canale d’acqua’ + seḫû(m) ‘sollevarsi’. Si noti la figura del canale d’acqua per indicare lo scolo del pus.

CARRUBBA nome del noto albero mediterraneo e della sua siliqua, con base nell’ant. akk. ḫarūbu(m) ‘albero del carrubo’.

CASTANÁRGIU, castenágliu, castanáriu, casthagnággiu, castanárzu ‘Erica scoparia’ ed ‘Erica arborea’. Composto sardiano con base nell’akk. qaštu, qištu(m) ‘bosco’ + nawum ‘pasturage, steppe’, numu ‘wasteland, territorio abbandonato’ (in composto: qaštu-nawum > casta-nágliu). Chi conosce queste piante, sa che formano boscaglie in purezza, specialmente in Gallura, dove addirittura ci sono dei siti che prendono il nome dalla pianta (come Scupétu in quel di Tempio). Ovviamente la boscaglia di eriche non è un fenomeno primario ma è prodotta dai reiterati incendi, i quali nel sud dell’isola fanno prevalere le boscaglie di cisti, nel nord le boscaglie di eriche. Di qui la denominazione di origine accadica.

CASTANGIÒLA, castanzòla ‘zafferanetto selvatico’ (Romulea bulbocodium Seb. Et M. var. ligustica Parl.). Proprio l’ampiezza territoriale di questo lemma ne dimostra un’origine antichissima, che con la castagna non ha alcun rapporto (anche perché il castagno non è autoctono della Sardegna). Base etimologica di castangiòla, castanzòla è l’akk. qaštu, qištu(m) ‘bosco’ + gullu(m) ‘coppetta’, col significato di ‘coppetta di bosco’. Si badi che in Sardegna è tutt’altro che difficile trovare dei toponimi del tipo Costa Sas Castanzas inseriti nel più profondo delle foreste primarie, tra le ingenti asperità dei sistemi montuosi, in aree recondite e deserte, pressoché inaccessibili (vedi il Monte Lattias), regno incontrastato di porcari o caprari, dove i castagni (tipici alberi che marcano l’antropizzazione del territorio) non sono mai cresciuti.

CASTANZA log., castángia camp. ‘castagna’; cfr. lat. castănea, gr. κάστανον. Base etimologica è il sum. kasu ‘calice’, ḫaštum ‘buco’ + suff. aggettivale mediterraneo d’origine -nea.

CASUGÓTTU ‘orchidea’ del genere Ophrys e Orchis, composto sardiano riferito alla rara bellezza dell’orchidea, fenomeno che fa il paio con la lunga durata del fiore, capace di non appassire per decine di giorni dopo essere stato colto. La straordinaria bellezza di questo fiore (di questi fiori, poiché in Sardegna ce ne sono parecchie decine di varietà) deve avere turbato la fantasia degli antichi, i quali non ebbero però l’indelicata trovata di Linné, botanico propenso a dare ai fiori ed ai funghi i nomi più triviali, onde a questo fiore spettò quello di orchidéa (che in greco significa simile ai testicoli). Casugóttu ha base nell’akk. qaššu(m) ‘holy, dedicated’ + ḫutul (a magical formula), col significato, altamente poetico, di ‘magia sacra’. Ma potrebbe anche avere la base nell’akk. qâšu ‘regalare, donare’ + quttû ‘completo’, col significato complessivo di ‘regalo perfetto’ (in relazione alla sua bellezza e alla lunga durata dopo il raccolto).

CÁURA, cáula ‘cavolo’ (Brassica oleracea): nome strano. Lo si fa derivare dal latino senza capire che è un nome mediterraneo, quindi anche sardiano (oltreché latino). Vedi i seguenti corrispettivi: tardo lat. cāulum, gr. kaulós, sardo cáula, it. càvolo. Il nome italiano apparve nel sec. XIII nel Novellino e nel 1847 Giusti indicò con esso una “cosa da nulla”. DELI lo accomuna al termine it. càule ‘parte terminale di un ramo, appena germogliata’, ma poi resta indeciso circa l’etimo; e ritiene che la voce si sia diffusa dall’Italia meridionale, come dimostrerebbe la conservazione del dittongo au, nel quale si è inserita una -v- epentetica.
In realtà il termine è antichissimo, avente base nell’akk. ka’’ulu(m) ‘prendersi cura di’, ‘essere a disposizione di qualcuno’. In tale semantica scopriamo un concetto che è l’esatto opposto di quello introdotto dal Giusti. Quello scrittore si riferiva al fatto che di cavoli in Italia c’era abbondanza, mentre taceva sul fatto fondamentale che l’abbondanza delle coltivazioni non era dovuta all’esuberanza della pianta o dei terreni, ma alla precisa volontà dell’agricoltore, in quanto si è sempre saputo, fin dalla notte dei tempi, che il cavolo è un alimento miracoloso per la conservazione della salute, parimenti miracoloso nelle applicazioni topiche e nei cataplasmi.

CAΘEDDÌNA ‘cocco gnidio’ (Daphne gnidium L.). Paulis NPPS 175 pensa si tratti «di una neocreazione sarda. Infatti nella terminologia botanica popolare relativa alle lingue e ai dialetti più disparati le piante tossiche e quelle non mangerecce sono chiamate assai spesso con nomi significanti ‘bacca del cane, frutto del cane, pianta del cane, ecc.’, per segnalare spregiativamente la dannosità o la qualità inferiore della specie. Tra gli esempi veramente innumerevoli, mi limiterò a citarne soltanto alcuni atti a dare un’idea della vitalità e della produttività di questa matrice lessicogenica». Segue una lista che comprende il giusquiamo nero, l’uva ursina (Arctostaphylos uva ursi), il rovo (Rubus caesius), la dulcamara (Solanum dulcamara), il solano nero (Solanum nigrum), la cicuta (Conium maculatum), il sorbo selvatico (Sorbus aucuparia), il bagolo (Vaccinium uliginosum), il tarassaco (Taraxacum officinale), che in vari paesi d’Europa hanno nomi riferiti al cane o ad altri animali. Fatti questi ragionamenti, Paulis afferma che «converrà derivare kaθeḍḍìna e varr. ‘dafne gnidio’ da centr. kaθéḍḍu ‘cagnolino’» dal lat. catellus.
Il ragionamento di Paulis è giusto per la cornice culturale documentabile in Europa, sbagliato riguardo al lemma sardo. Anzitutto va chiarito che c’è una differenza sostanziale tra il cane ed il cagnetto. Le denominazioni spregiative sarde sono sempre riferite all’animale adulto, non al suo cucciolo: e ciò è ovvio, considerato che il cucciolo si alimenta di latte, e comunque è oggetto di attenzioni al fine di una buona crescita, senza bisogno (se mai ce ne fosse) che sopravviva cibandosi di piante selvatiche. Va ribadito che il cocco gnidio è una pianta velenosa in tutte le sue parti. Quindi sembra più facile considerare kaθeḍḍìna come lemma sardiano con base nell’akk. ḫazzum ‘goat’ + ellu ‘puro, chiaro’ (in tutti i sensi in cui ci sia da esaltare una cosa), col significato di ‘(fiore) elettivo dei caproni’; oppure da ḫaṭṭu, ḫaṭu(m) ‘cattivo, criminale’ + ellu ‘puro, chiaro’ (in tutti i sensi in cui ci sia da esaltare una cosa), col significato di ‘(fiore) esclusivamente cattivo, velenoso’.

CIBUḌḌA DE COGA ‘scilla o cipolla marina’ (Urginea maritima Bak.). Base etim. per coga è l’akk. quqû(m) (un tipo di serpente). Sappiamo ch’essi erano fra gli ingredienti fondamentali degli intrugli delle streghe; cibuḍḍa de coga significò, almeno alle origini, ‘cipolla dei serpenti’ (attributo spregiativo).
Paulis NPPS dà informazioni sulle streghe in rapporto alla scilla. «Già nell’antichità la scilla era considerata pianta apotropaica. Essa veniva appesa, a guisa di amuleto universale, al disopra della soglia di casa, per tenere lontani i malefici (Plinio, N.H. 20,101: Pythagoras scillam in limine quoque ianuae suspensam contra malorum medicamentorum introitum pollere tradit; Diosc. 2,171: Έστι δε και αλεξιφάρμακον ‘όλη προ τῶν θυρῶν κρεμαμένη). A causa della sua connessione con Ecate, signora delle potenze infernali, la scilla era piantata spesso nelle tombe (cfr. Theocr., id., V,121). Inoltre in Arcadia, durante i periodi di carestia, i ragazzi percuotevano con questa pianta la statua di Pan, per punire il dio dello scarso cibo dato agli abitanti della regione (Schol. Theocr., id., VII,106). Anche in Ionia la cipolla marina veniva impiegata in una situazione analoga. Per allontanare pestilenze o altri mali dalla città, si faceva uso, come capro espiatorio, di un uomo – per solito un malfattore – che, dopo essere stato percosso nei genitali con piante di scilla e fichi secchi, veniva arso e si spargevano le sue ceneri ai venti e nel mare (cfr. Tzetze chil. 5, 726, in Diehl AL 3, Hipp. Fr. 6-11). Il bulbo dell’Urginea maritima, generalmente sporgente dal terreno e molto grosso (pesa in media 1-2 chili, ma può arrivare fino a 8), capace di sopravvivere alla siccità estiva e da cui spunta, coi primi freddi autunnali, lo scapo alto circa un metro, terminante in un lungo grappolo di fiori, simboleggia la forza vitale, che con la magia s’intende trasferire agli uomini e alle loro case».

CICCIULÌA (Désulo) ‘rosolaccio’ (Papaver rhoeas L.). Base etim. nell’akk. kī ‘like, how, as’ + kulu’u(m), kulû(m) (male cultic prostitute) + suff. aggettivale sardiano -ìa, col significato complessivo di ‘(fiore) dei prostituti sacri’. Sembra che questo bellissimo fiore rosso-scarlatto fosse preferito dai prostituti, per distinzione o abbellimento, o per farne corone. Ma potrebbe essere riferito ai prostituti (che in genere erano adolescenti) esclusivamente in virtù della forte attrazione che la prostituzione maschile esercitava presso i popoli orientali (e presso i Greci). In questo caso significherebbe tout court ‘simile a un prostituto sacro’.
Quanto a sitzìa in quanto ‘pratolina’, non è variante omofona riferita al papavero (zitzìa, sisìa, tsittsìa, giggìa), quindi non deriva da cicciulìa. Essa ha base etim. nell’akk. šī ‘ella, colei che, proprio quella che’ + ṭēḫû aramaico plurale ‘propagatore di briciole di pane’, col significato di ‘quella che propaga (nei prati) le briciole di pane’. La figura poetica nasce dal fatto che le pratoline riempiono interi prati di capolini bianchi, in questo caso somiglianti a briciole di pane.

CIGRÀXIA. Vedi sugràxia.

CIMA in italiano è la ‘parte più alta, vertice, sommità’. Vedi lat. cyma(m), gr. κῦμα. La forma greca sarebbe secondaria da κύημα < κυεῖν ‘concepire, portare nel seno’, secondo DELI. Ma ciò non ha senso, anzi è addirittura una contraddizione in termini. Che c’entra un vertice con la concezione? Invece va detto che κῦμα è forma secondaria di χῶμα ‘diga, duna, accumulazione di terra’, voce ricondotta a χέω; v. χώννυμι ‘ammonticchiare, accumulare’, ebr. qōmā ‘altura’, qīmā ‘il levarsi’, qīm ‘uprising’ (Semerano, OCE II, 321). La forma più arcaica è il sum. kimaḫ ‘un luogo di culto, sepolcro’ (non è un caso che nella Mezzaluna fertile tutti i luoghi di culto erano creati sulle alture, nei siti più elevati).
Se ho accolto tale termine in questo dizionario, è perché esso è pure un termine autenticamente sardo e, come si vedrà più sotto, entra in sintagma per denominare alcune carduacee. Ma al riguardo osservo che a indicare le carduacee fortemente pungenti (come il calcatreppolo) i Sumeri dovettero utilizzare il termine kimu ‘magazzino’, ‘stanza-magazzino’ quindi luogo protetto’ (da noi poi confuso, e fuso, con l’altro termine sumerico kimaḫ ‘luogo di culto (elevato). Fu questa l’origine prima del concetto di ‘magazzino’, ‘sito per la conservazione’ e simili, poiché il primo requisito per la conservazione dei prodotti fu quello della protezione, la quale dovevasi attuare coi mezzi dissuasivi a disposizione, che erano le calcatreppole o altre piante pungenti. Il concetto che oggi abbiamo di magazzino come luogo chiuso e nascosto fu, evidentemente, secondario.

CIMA DE CIBÍRU ‘scarlina’ (Galactites tomentosa), così chiamata in varie parti del sud Sardegna. Nella ricerca dell’etimologia degli antichi fitonimi va dato risalto agli aspetti che possono avere suscitato la formazione della parola. Per il caso della scarlina, a mio avviso è il fatto che essa apparì ai nostri progenitori simile alla stella pluripetale usata per marchiare il bestiame (vedi, come paragone, la nota pintadèra usata per marchiare il pane). Di qui la base accadica kibirru(m) (uno strumento per marchiare a fuoco); onde cima de cibíru = ‘apice dello strumento per la marchiatura’. Vedi etimo di cima.

CIMA DE PASTÒRI ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.). Va osservato il vero uso che nell’antichità si fece di questa pianta micidiale, che una volta secca conserva intatto per anni il proprio “apparato di difesa”. Essa aveva funzione di siepe, di recinto. Sino a ieri i pastori sardi utilizzavano più che altro i rami degli alberi spinosi, come il prugno selvatico, il biancospino, la calicòtome e simili, e la millenaria tradizione del muro a secco limitava l’uso dei rami spinosi al solo varco. Dobbiamo però allargare lo scenario ai tempi in cui la Sardegna aveva pochi muri a secco, ed espandere lo scenario all’Euro-Asia per capire l’uso più adatto del calcatreppolo; nelle steppe e nella pianura mesopotamica, dove mancavano i muri a secco e gli alberi, i recinti venivano composti esclusivamente di pianticelle spinose, e pure per il riposo di una notte il bestiame ebbe necessità di rigorosa protezione dagli animali da preda (linci, leoni…), oltreché dagli uomini. La rapida confezione di un recinto di calcatreppoli era un sistema comodo, a portata di mano, veloce, facilmente smantellabile, efficacissimo contro ogni animale, considerata la sua natura terribilmente infesta.
Cima de pastòri è un sintagma in cui il primo termine (cima) significa anche ‘cardo’ (vedi lemma); pastòri è paronomasia risalente a un composto sardiano con basi nell’akk. pātu(m) ‘bordo, orlo’ + urû(m) ‘stalla’ (in quanto ricovero del bestiame) (stato costrutto pāt-urû ‘stalla bordata’, ‘stalla difesa’).
Si badi che cima de pastòri è detto pure in sardo il ‘cardo dei lanaioli’, sotto la cui voce sono raggruppati Il Dipsacus fullonum L., Il Dipsacus ferox Lois., il Dipsacus sylvester L. Noto che il franc. verge de berger rispecchia la semantica della denominazione neolatina virga pastōris, ma le denominazioni neolatine sono influenzate semanticamente da quelle latine, e quelle latine sono paronomasia ricalcate sull’akk. pātu(m) ‘bordo, orlo’ + urû(m) ‘stalla’.

CIMA GORITTA (cima coritta) ‘visnaga maggiore’ (Ammi majus L.), composto sardiano con base nell’ebr. qīmā (vedi cima) + akk. kurû, f. kurītu ‘lamentela per la salute (es. del cuore)’: ‘(cuore) corto’ ossia che palpita veloce, male, che è sofferente, che sta per cedere. Nel passato questa pianta fu usata per le cure cardiache.

CIMÒNIDA erba non identificata (Cossu 275) usata per curare la malaria. La base etimologica è l’akk. ḫimû (un tampone d’emergenza per le ferite) + nītu(m) ‘incartare, involgere’. Forse siamo di fronte a un nomen omen.

CIMORIÀNA (Sulcis) ‘Cardo asinino’ (Carduus pycnocephalus); a Samugheo detto kimbáju e jana. Significa ‘Pianta delle Janas’.
Cima in italiano è la ‘parte più alta, vertice, sommità’. Vedi lat. cyma(m), gr. κῦμα. La forma greca sarebbe forma secondaria di κύημα < κυεῖν ‘concepire, portare nel seno’, secondo DELI. Ma ciò non ha senso, anzi è addirittura una contraddizione in termini. Che c’entra un vertice con la concezione? Invece va detto che κῦμα è forma secondaria di χῶμα ‘diga, duna, accumulazione di terra’, voce ricondotta a χέω; v. χώννυμι ‘ammonticchiare, accumulare’, ebr. qōmā ‘altura’, qīmā ‘il levarsi’, qīm ‘uprising’ (Semerano, OCE II, 321). La forma più arcaica è il sumerico ki-maḫ ‘luogo eccelso’, kimaḫ ‘un luogo di culto, sepolcro’ (non è un caso che nella Mezzaluna fertile tutti i luoghi di culto erano creati sulle alture, nei siti più elevati).
A indicare le carduacee fortemente pungenti (come il calcatreppolo) i Sumeri dovettero utilizzare in origine il termine kimu ‘magazzino’, ‘stanza-magazzino’ quindi luogo protetto (da noi poi confuso, e fuso, con l’altro termine sumerico kimaḫ ‘luogo di culto (elevato)’. Fu questa l’origine prima del concetto di ‘magazzino’, ‘sito per la conservazione’ e simili, poiché il primo requisito per la conservazione dei prodotti fu quello della protezione, la quale dovevasi attuare coi mezzi dissuasivi a disposizione, che erano le calcatreppole o altre piante pungenti. Il concetto che oggi abbiamo di magazzino come luogo chiuso e nascosto fu, evidentemente, secondario.
Nel secondo fitonimo, kimbáju e jana, a me pare che kimbáju sia corruzione di cima. In Sardegna si arriva spesso – zona dopo zona – a contraffare disperatamente il lemma originario. Insomma, questa carduacea si chiama anch’essa ‘Cima (ossia pianta) delle Janas, Pianta delle fate’.

CIÒCCIRI, čòcciri ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum). Vedi sòcciri.

CÌPPARI è detto in sardo il ‘rosmarino’ (Congia). Il fitonimo è un composto sardiano con base nell’akk. ḫīpu(m) ‘fragile’ + aru(m) ‘gambo, stelo’ (stato costrutto ḫīp-aru) col significato di ‘gambo fragile’. Riferito al rosmarino, che è una pianta fragile per eccellenza, è appellativo molto azzeccato.

CITRUS < qudru, qutru, qudratu (in babilonese indica una pianta medicinale: vedi anche lat. Citrus).

CIUFFI-CIUFFI ‘acanto’ (Acantus mollis L.). Col raddoppiamento, che è spia di forma sumerica esprimente totalità, può aver base nel sum. ḫub ‘pianta’, o forse nel sum. ḫubi ‘acrobata’, akk. ḫuppû ‘danzatore del culto’, ‘danzatore sacro’, con riferimento alle strane sfrangiature di questa bellissima pianta, le cui volute stimolarono i Greci ad inventare il “capitello corinzio”.

CIURIŽÈḌḌA, sorižèḍḍa. I vecchi Armungesi pronunciano ciurixèra. Il loro ríu Ciurixèḍḍa denomina la ‘robbia’ (Rubia tinctorum L.), ma principalmente la ‘robbia selvatica’ (Rubia peregrina L.) e l’attaccamani (Galium aparine L.), attestate nel sud dell’isola principalmente come sorixeḍḍa, ciorixeḍḍa. Dalla radice della Rubia, che ama i luoghi freschi, le nostre nonne estraevano l’alizarina per tingere di rosso-fuoco le stoffe dei loro meravigliosi costumi. Era la gioiosa alternativa alla porpora, più costosa e dal colore rosso-marron-tetro, che poteva essere colta nelle lagune costiere grazie ai murici (is buccònis).
Il fitonimo sardo ha base etimologica nel sum. ḫurium ‘plant’ + ḫedu ‘ornament’. Lo stato costrutto ḫurī-ḫedu in origine indicò la ‘pianta per gli ornamenti’.

CIXIREḌḌU (trigu). Nei luoghi dove la vocazione al grano fu sentita in sommo grado (parlo della Marmilla e della Trexenta), lì si coltivò su trigu cixireḍḍu, il cui nome è un superlativo assiro, di derivazione sumera, col raddoppiamento esprimente il sommo valore della coltivazione. La sua base è akk. kirû ‘(grano) dei giardini, delle piantagioni organizzate’, su cui si produsse il superlativo ki-kirû + ellu ‘puro, luminoso’ (di coltivazione); onde sardo *ki-kir-éḍḍu > ci-xir-éḍḍu. Nella sua sintesi significò ‘grano bellissimo, purissimo, adatto ad essere coltivato nei giardini (ossia in terreni protetti dalle greggi con alti muri a secco)’.

COA DE GATTU (Reseda alba L., Reseda lutea L.). Base etim. l’akk. quddadu (a tamarisk product). Còa de gattu potrebbe anche essere un composto sardiano basato sull’akk. ḫūdu(m) ‘gioia, piacere, soddisfazione’ + (w)atû(m) ‘trovare, scoprire, riscoprire, incontrare’, col significato di ‘trova-piacere’. In questo caso l’unica ragione del composto può essere il fatto che l’infiorescenza allungata e morbida venisse usata per gioco a solleticare la pelle.

CÒA DE MARGIÁNI ‘viperina maggiore’ (Echium italicum L.). Fitonimo sardiano con base etimologica nell’akk. ḫu’a ‘civetta, gufo’ + marza’u designante un prete, da intendere come ‘prete-gufo, prete malvagio o del malaugurio’. Si sa che gli uccelli notturni erano emblemi del malaugurio, e se l’epiteto era riferito ad un sacerdote raggiungeva l’acme della negatività.
Sfugge la ragione che indusse le antiche popolazioni sarde ad attribuire questo nome ad una pianta che notoriamente è rifiutata dal bestiame. A meno che la ragione non sia la stessa (il colore poco allegro del fiore) che le ha indotte a chiamare erba de sproni (vedi) la ‘vedovina’.

COCCÌCI ‘betonica glutinosa’ (Stachis glutinosa L.), così chiamata a Seùlo.
Coccìci ha un ambito etimologico simile a quello di coccoinìnni ‘ingrassabue’ (Chrysanthemum segetum) (vedi), con base l’akk. kukku(m) ‘(un genere di) dolce’ + igû ‘principe, leader’, col significato di ‘(piantina) leader per i dolci’, nel senso che nel forno preparato per i dolci si preferiva bruciare (previa conservazione di grandi quantità allla stagione giusta) questa piantina già secca.

COCCOINÌNNI ‘ingrassabue’ (Chrysanthemum segetum) (Meana Sardo); è nome diverso rispetto al comune caragántzu. È opportuno chiarire un aspetto del Chrysanthemum: a dispetto del nome italiano ingrassabue, esso, al pari di tante altre piante eduli, non viene mangiato dal bestiame. Ciò non significa che faccia male. La pianta, nelle sue parti fresche e succose, può essere ingerita dall’uomo in quantità, senza alcun danno, ed in tal caso essa libera dei principii attivi medicinali. Ma, tutto sommato, il sapore di questa pianta non è tra i più appetibili, tanto meno è appetibile il capolino. Ciò serve a far capire che nel rapportarsi ai fiori i nostri antenati hanno costruito spessissimo delle parole poetiche, a prescindere dall’uso umano od animale.
L’it. ingrassabue è termine poetico, come lo è còcco-, coccòi-, dall’akk. kukku(m) ‘(un genere di) dolce’ (vedi lo stesso nome applicato a numerosissimi pani sardi). Quindi è con sicurezza che presento l’etimologia di questo fitonimo, che ha la base nell’akk. kukku(m) ‘(un genere di) dolce’ + ninnu, nīnû (una pianta medicinale), col significato sintetico di ‘pasticcino’, o ‘pasticcino curativo’.

COCCORÈḌḌA barbar. ‘galla della quercia’. Base nell’akk. kukku(m) (un genere di dolce). Vai però a còccoro.

CÒCCORO barbar. ‘noce’ (Juglans regia L.). Considerato il grande piacere nel gustare i suoi frutti, sembrerebbe persino ovvio che la base mediterranea comune sia l’akk. kukku(m) (un genere di dolce; vedi anche lat. coccum) + ūru(m) ‘albero’, col significato complessivo di ‘albero dei dolci’.

CODDIGÙLTU log. ‘campanella maggiore’ (Leucojum aestivum L.). Non si capirebbe mai un’etimologia relativa alla piantina dell’aglio (poiché di aglio selvatico si tratta) se non andassimo ai tempi arcaici, visto che la sua conoscenza si perde nella notte dei tempi. Gli Egizi lo stimavano al punto di acquistare uno schiavo maschio e sano pagandolo con circa 7 kg di aglio; esso peraltro costituiva la base dell’alimentazione degli operai che lavoravano alla costruzione della piramide di Cheope. Ma se è per questo, l’aglio è sempre stato il companatico d’elezione, così in Cina, in Sardegna, tra gli agricoltori che in tal guisa passavano la giornata al lavoro, resi sani e robusti da questa piantina miracolosa, eletta tra le piante medicinali più salutari.
Ed allora ecco il vero significato, la vera etimologia: coddigultu, koddi kultu, è un composto sardiano con base nell’akk. ḫūdu(m) ‘felicità, piacere, gioia, soddisfazione’ + kulūtu ‘ruolo di un prostituto sacro’, col significato di ‘prostituto della gioia’, ‘ragazzo che dà felicità’ e simili. Si capirà meglio il significato se, considerando questa amarillidacea dall’aspetto verginale, si vorrà ricordare, nell’ottica dei piaceri sessuali dell’antichità, che i prostituti sacri erano dei fanciulli neppure adolescenti, o al massimo adolescenti, quindi piacevolissimi agli occhi di chi li avvicinava.

CODDILÒINA nome di vite sarda ad uve bianche. Composto sardiano con base nell’akk. ḫūdu(m) ‘felicità, piacere, gioia, soddisfazione’ + lu’um ‘gola, esofago’, col significato di ‘gioia della gola’.

CÒDORA, accòdro, Urzulei còdora, Baunei accòdro ‘terebinto’ (Pistacia terebinthus), che NPPS deriva dal gr. ακρóδρυα ‘frutti a pericarpo indurito e legnoso’, come le melagrane, i pistacchi, le castagne. Anche i pistacchi (frutti del terebinto) sono chiamati in bizantino ακóδρυα. Tuttavia il termine còdora, accodro non è bizantino nè greco, ma penetrò nella parlata greca sin dal I sec. a.e.v. provenendo dalla quarta sponda mediterranea. Il più antico attestato si trova nel neo-bab. e neo-ass. kudurru, kadurru, kudāru, pl.m. e femm. col significato ‘che ha una struttura, una montatura, un telaio, un involucro’. Ma vedi pure cordra.

COEDÒPPI, còa de toppi ‘gramigna’ (Alopecurus bulbosus L., Alopecurus pratensis L., Phleum pratense L., Cynosurus cristatus L.), composto sardiano con base nell’akk. ḫu’’u(m) ‘prendersi cura di’ + ṭupu (designation of a plant), col significato di ‘pianta delle cure’ o simili. Le radici della gramigna nel passato (e nel presente) sono state la base per una pozione miracolosa che salvava la gente dalle intossicazioni alimentari.

COGA (cibuḍḍa de) ‘scilla’ o ‘cipolla marina’ (Urginea maritima Bak.). Abbiamo discusso la questione al lemma cibuḍḍa (de coga).

COGÒDI (Buddusò) ‘afaca’ (Lathyrus aphaca L.), composto sardiano con base nell’akk. kuku (un genere di dolce) + udu ‘afflizione, dolore’, ‘effetti cattivi’ da morsi o punture o indigestioni; significò quindi, nel complesso, ‘dolce delle indigestioni’, o ‘dolce (contro i) dolori’, e simili.

COI CRISPA (Alà) ‘salvastrella’ (Sanguisorba minor Scop.). Base etim. nell’akk. qu’’û(m), quwwû ‘prendersi cura di’ + gurištu ‘vulva’, col significato di ‘cura-vulva’. Con quest’etimo ci atteniamo al campo delle applicazioni citate da Paulis NPPS, che ritiene la pianta elettiva come emostatico, impiegata specialmente per le emorragie interne.

CÒI ERBÉI nome di vite sarda ad uve bianche, per il cui etimo rinvio al Dizionario Etimologico.

CÒI LÒRIGA (Luras) ‘viperina maggiore’ (Echium italicum L.), fitonimo sardiano, facilmente ancorabile al sum. kul ‘pianta’ + urig ‘diadema, corona’, col significato di ‘piantina per confezionare corone da testa’. Il trapasso della fonetica e del significato dal periodo sumerico al periodo accadico è rimasto nitido e leggibile nell’intero lemma còi lòriga, che ha mantenuto il sum. ku(l) ed ha tradotto il restante -l urig col sardiano lòriga ‘anello, corona’; a sua volta lòriga ha base nell’akk. lutû ‘twig, virgulto’ di mele, pioppo e simili + egû ‘negligente’ (stato costrutto lut-egû > *luregû per rotacizzazione sardiana > lòriga per influsso del sum. l urig), mantenendo il significato di ‘anello, corona’.

COLALÁTTI (Bortigiadas) ‘robbia selvatica’ (Rubia peregrina L.). NPPS traduce alla lettera ‘cola-latte’ e ne dà la seguente giustificazione: «Il nome allude all’impiego dei fusti della pianta per formare un filtro a mo’ di graticcio, con il quale viene colato il latte, al fine di trattenere peli, caccole e altre impurità. Questa usanza è documentata da Dioscoride 3,90 per il Galium aparine: khrôntai d’autêi kaì hoi poiménes antì ēthmoû epì toû gálaktos pròs éklēpsin tôn en autôi trikhôn. Per questo stesso motivo l’aparine si chiama Saideok, Suideok a Ravensberg in Germania, in quanto i suoi fusti servono da Seihtuch, cioè da filtro per colare il latte (Marzell,II,575)».
La notizia tramandata da NPPS, per quanto interessante, ha qualcosa di ostico, poiché la Rubia non nasce dappertutto ed ha bisogno di luoghi assai umidi, non sempre rinvenibili in Sardegna, in specie nella Sardegna meridionale. Peraltro le montagne un tempo più vocate alla pastorizia (Gennargentu e Supramontes) non hanno fioriture di Rubia. Inoltre con la stagione siccitosa la Rubia tende ovviamente a seccare e scomparire. I pastori per colare il latte avrebbero trovato più comodi i vari tipi di setaccio che un tempo venivano costruiti con giunchi e con fieni di vario spessore.
Ma ammettiamo che, come strumento di soccorso, i pastori usassero anche la Rubia, meglio ancora il Galium aparine, come “cola-latte”, poichè le varie parti sono ruvide per spine riflesse. Va da sé che cola-latti è un rara paronomasia perfettamente riuscita, da un composto sardiano che ha la base nell’akk. kulum, kalû ‘all, totality’ + latû, letû(m) ‘to split, divide’, col significato complessivo di ‘separa-tutto’.

COLOMBÀNA nome di vite sarda ad uve bianche; per l’etimo rinvio al Dizionario Enciclopedico.

COLÓSTRU ‘’rosa di monte’ (Rosa canina L.), specialmente ‘agrifoglio’ (Ilex aquifolium L.). C’è una serie di varianti del fitonimo, che ha parentela pure col basco korosti, gorosti ‘agrifoglio’: golóstiu a Bitti, Orosei; colóstri a Nuoro; golósti’e a Olzai, ‘olósti’e a Orgosolo; kóstiu a Orani; colóstri a Fonni e a Mogoro; olóstru a Bonorva, Borore, Giave, Mores, Oschiri; olóstiu a Bono; olósti a Dorgali; olostríghe a Santulussurgiu. Corósti e varianti è un antico termine sardiano con base accadica. La fonte è kuruštû(m) ‘cibo da ingrasso’.

CONCÙDA ‘pratolina’ o ‘margheritina’ (Bellis perennis L.). Fiore che suscita tenerezza; non a caso i Greci la chiamarono margaríta ‘perla’. Il log. concùda, cuncùda non ha alcuna parentela con sa conca ‘capo’ ma con la base akk. kukku(m), gukku ‘un genere di dolce’ + u’du (un gruppo di lavoranti a corvée); dal che si estrae il significato complessivo ‘gruppo di produttrici di dolci’. Infatti le pratoline nascono in gruppi, talora a migliaia di esemplari.

CORAŽÉDU ‘acetosa’, anche ‘acetosella’ (Rumex acetosella e Oxalis acetosella), composto sardiano con base nell’akk. ḫuru, ūru(m) ‘ramo’ + sd. ažédu, col significato di ‘piantina dell’aceto’. Ma forse è più congruo pensare a un composto interamente sardiano con base nell’akk. ḫuru ‘ramo’ + aḫītu(m) ‘sfortunato, avverso’, ‘disgrazia’, ‘diffamazione’, col significato di ‘erba avversa’ (per il fatto che, per il gusto, è rifiutata dall’uomo e dal bestiame).

CORCORÌGA. Vedi crucurìga.

CORIÁNDRU ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium Mill.). Trattando la scheda relativa al corinoli (o smirnio di Candia), NPPS 155-156 presenta dieci nomi dialettali dell’ombrellifera, che sono nell’ordine brentèḍḍa (Nuoro), caccarágiu (Aggius), caccaracásu (Bosa), culuèbba (Siniscola), preiderìssa, preiderìna (Lula), pibirìna (Alà dei Sardi), petralìša (Tempio), occicánu (Orani), coriándru (Sardegna settentrionale). Rinvio ai singoli lemmi per far conoscere l’etimologia. Qui tratto quella di coriándru (pianta citata da A.Cossu per tutto il nord Sardegna) che NPPS sostiene essere il nome del coriandolo (Coriandrum sativum L.). Ma ciò è paradossale perché in Sardegna il vero coriandolo non cresce, mentre in sua vece è conosciuta come coriandolo una pianta assai diversa.
La questione si può sanare. Ma certamente non nel senso di omologare l’antico nome dialettale dello smirnio di Candia a quello moderno del coriandolo. Infatti coriándru è un nome assai antico, e quando Amatore Cossu scrisse la sua Flora pratica Sarda nel 1978, le erboristerie in Sardegna non esistevano ancora (si sa che il coriandolo è stato reso noto a livello di massa proprio dalle erboristerie, che sono le botteghe d’elezione per la promozione dei fiori e dei semi esotici).
Quindi dobbiamo ammettere che coriándru è nome prettamente sardo, anzi sardiano. Infatti ha la base nell’akk. kūru ‘depressione, torpore’ + andurāru(m) ‘libertà, esenzione’, col significato di ‘togli-depressione’.

CORNIÒLA nome di vite sarda ad uve bianche; per l’etimo rinvio al Dizionario Enciclopedico.

CORÒE Reseda luteola? Vedi alla voce crocòe.

CORÓSTI ‘agrifoglio’ e ‘rosa canica’. Vedi al lemma colóstru.

CORRA log. ‘Eryngium campestre’. Vedi spina e corra.

CORRÙDA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo rinvio al Dizionario Enciclopedico.

COSCOS. La ‘santolina’ (Santolina chamaecyparissus, ma anche Santolina corsica) è chiamata èrva e coscos nel centro-Sardegna. È un composto sardiano con base nell’akk. ḫusû (un uccello del malaugurio, es. gufo) + ugu ‘morte, paralisi’ (composto: *ḫus(u)gu > cuscu > cosco), col significato, riferito alla santolina, di ‘(pianta che cura dalla) morte prodotta dall’uccello del malaugurio’ (con riguardo agli effetti deleteri che un tempo la verminosi aveva sugli animali e sull’uomo). Si ricordi che nell’alta antichità pressoché tutte le malattie, specialmente quelle degli animali utili all’uomo, erano considerate come assalti di spiriti maligni o di uccelli del malaugurio.

COSTI ‘acero’, anche ‘agrifoglio’ e ‘rosa canina’. Vedi al lemma colóstru.

COTONÒSA ‘viperina azzurra’ (Echium vulgare L.). NPPS sostiene che questa borraginacea prenda il nome dal cotone per le setole che ricoprono la pianta. Ma sbaglia: intanto perché la pianta non è ricoperta di setole, poi perché il cotone in quanto pianta non era conosciuto in Sardegna nell’era arcaica, quando nacque il fitonimo. In realtà cotonosa è composto sardiano con base nell’akk. ḫubūtu ‘boscaglia’ + nušu(m) (a plant), col significato di ‘pianta delle boscaglie, delle sterpaglie’. Il che va bene per questa pianta.

CRABIÒNE log. ‘siconio immaturo’, quello che tarda a maturare o non arriva a maturazione. Nel CSP 378 è caprione. Wagner lo propone dal lat. ficus caprius = capreus nei gromatici (ThLL III, 357). I termini sardo e latino hanno base nel bab. ḫarāpu(m), ḫarābu ‘essere in ritardo’ (nella maturazione del frutto, con riferimento a tutte le specie di fruttiferi) > ḫarpu ‘(autunno) che ritarda’.

CRABUVÍGU log. ‘caprifico’, ‘fico selvatico’. Per la discussione e l’etimo vedi crabiòne e fígu.

CRACCÙRI ‘saracchio’ (Ampelodesma mauritanica). Vedi curcùri.

CRANNÁCCIA. Per la discussione e l’etimologia rinvio al Dizionario Enciclopedico.

CRAPIKEḌḌU ‘strigolo’ (Silene inflata). Base etim. nell’akk. kapru ‘forato + īgu(m), īku ‘diga’, col significato di ‘diga forata’: stupenda immagine del seno, che è deputato a trattenere il latte e nel contempo a cederlo con altrettanta facilità attraverso un foro.

CRASTA CANES pianta acquatica del genere Sparganum Lemna, composto sardiano con base nell’akk. karāṣu ‘tagliar via, staccare, spezzare, rimuovere, togliere’ + qanû(m) ‘canna’, col significato di ‘canna tagliente’, oppure di ‘canna da rimuovere’ (in quanto invasiva dei fondali dei corsi acqua).

CROCÒE (Tonara) ‘guaderella’ (Reseda luteola L.), base nell’akk. kurkû(m) ‘oca’, col significato di ‘(pianta delle) oche selvatiche’. La supposta variante coròe ha base nell’akk. kurūbu (a bird), col significato di ‘(pianta del) kurūbu’ (sarà la gru?).

CROCORÌGA camp. ‘zucchina, zucca’. Base etimologica l’akk. ḫuruḫuru (a kind of bread) + ikū ‘campo coltivato’: Il composto ḫuruḫur-ikū significò in origine ‘pane dei campi irrigui’ (evidentemente era considerato un ottimo ortaggio, così chiamato per distinguerlo dal grano da pasta, che non era coltivazione irrigua).

CUCCA ‘gramigna’. Vedi accucca.

CUCCA CUCCA ‘gramigna’. Vedi accucca.

CUCCU ‘ciclamino’ (Alà). Vedi al lemma cukkéḍḍu.

CUCCÙI ‘ciclamino’ (Desulo). Vedi al lemma cukkéḍḍu.

CUCCUMÉḌḌU sass. ‘fungo’. Vedi al lemma cuguméḍḍu.

CUCCUMMIÁU (Dorgali) ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.), composto sardiano basato sull’akk. kukku(m) ‘(a kind of) cake’ + ma’û(m) ‘respingere’, col significato di ‘dolce che respinge’ (per il fatto che, nonostante la bella forma simile a un dolcetto, il suo tubero non è edule).

CUGUMÉḌḌU, cuccuméḍḍu in log. è genericamente il nome del ‘fungo’. Il fitonimo è un composto sardiano con base nell’akk. kukkûm ‘buio, tenebre’ come designazione del mondo infero + (w)ēdu(m), mēdu ‘free-standing; single, alone’ of plant, col significato di ‘(piantina) solitaria che sortisce dagli Inferi’. Così credettero gli antichi, per il fatto che i funghi sortiscono improvvisi e inaspettati, ex abrupto, specialmente di notte. Fino a 40 anni fa il popolo sardo ha avuto coi funghi un rapporto di totale distacco. Nel Logudoro si è sempre mangiata s’antunna (Pleurotus ostreatus, var. ferulae o eryngii). Nessun altro fungo è mai stato colto, poiché di essi si è avuto un sacro terrore, derivato non solo e non tanto dal fatto che si è sempre conosciuta la velenosità di certi funghi, ma proprio perché li si è sempre considerati fioriture infernali, a causa del loro magico apparire su sostanze morte, sulla terra nuda, sulle scorze degli alberi, in forme molto spesso parassite.

CUGÙMMARU, cugùmene, cugùmbiu ‘cetriolo’ (Cucumis sativus L.). Tanto per essere chiari, la corrispondenza sard. cugùmmaru = it. cetriolo riguarda un ortaggio erbaceo, strisciante, irriguo, il cui frutto oblungo e verde-scuro, nientaffatto dolce, ha forma somigliante ad una lunga (o corta, secondo varietà) baguette francese, la quale a sua volta è un pane noto in Italia come ‘filone’ o ‘filoncino’. Wagner fa derivare cugùmmaru da un lat. cŭcŭmis, -mĕris ‘cocomero’, anche se sembra da preferire cŭcŭmer, -mĕris ‘cetriolo’. Ma sull’alternanza italiana cocomero/cetriolo (che opera fianco-a-fianco con altre forme quali angùria, melòne, popòne) va fatta chiarezza; una chiarezza che sinora è mancata un po’ dovunque; e se in Sardegna sembra essere più netta la corrispondenza semantico-fonetica, non così avviene in Italia, e neppure nel resto d’Europa (a parte forse l’ingl. cucùmber ‘cetriolo’, che ripete la stessa corrispondenza della Sardegna).
È proprio in Italia ad esserci grande confusione sul termine cocòmero, definito dal DELI come ‘pianta erbacea delle cucurbitacee, con frutto a polpa rossa e semi neri’. Ed ecco cominciare le complicazioni, poiché il frutto indicato dal DELI ha colore verde-scuro, forma a pallone, diametro di 25-40 cm, polpa rossa dolcissima ed acquosa, che in Sardegna e Spagna è chiamato sìndria. Mentre in italiano al sardo-sp. sìndria corrisponde ‘angùria’ < gr. tardo angóuria, pl. di angóurion, che però significa… ‘cetriolo’. In certe regioni italiane (es. Romagna) per angùria (in quanto frutto a palla, polpa dolce e rossa) si alternano due definizioni equivalenti: angùria e cocòmero. A Napoli questo cocomero (in quanto frutto a polpa rossa e forma di pallone) è detto melone d’acqua, mentre quello che in Sardegna si chiama melone (frutto zuccheroso a polpa gialla dalla forma di una palla da rugby) a Napoli è chiamato popòne. Assistiamo, come si può notare, a un gioco d’interpretazioni e definizioni incrociate, che rappresentano un guazzabuglio linguistico, un conflitto fonetico-semantico millenario nientaffatto risolto, una coesistenza di termini diversi dai significati indissolubilmente incrociati, anche per influsso seriore dell’elemento bizantino.
Occorre fare chiarezza una volta per tutte. E comincio proprio da cugùmmaru, cugùmene, cugùmbiu, la cui base antichissima sembra l’akk. ququbinnu (a medicinal plant), innestato e contaminato a sua volta dall’aggettivo autonomo marû(m) ‘grasso, tozzo’ < marû(m) ‘fare ingrassare’. Il cetriolo in quanto frutto oblungo, non-dolce, ha la caratteristica di essere, oltreché buono, un prodotto curativo (non solo perché drenante ma perché un tempo doveva essere più amaro di oggi), e in più ha la caratteristica di essere tozzo. Ma l’essere tozza è pure prerogativa della grande “palla” a polpa rossa chiamata angùria (sardo sìndria), la quale però ha l’etimo greco-bizantino già notato, da cui proviene l’attuale confusione italiana tra cocòmero, cetriòlo e angùria.
Quanto allo sp. e sd. sìndria ‘anguria’ (ossia ortaggio a frutto verde-scuro a forma di grande palla e polpa rossa acquosa e dolcissima), sinora nessuno era riuscito a capirne l’etimo, che è l’akk. sēdum ‘rosso’ (con seriore epentesi di -n-) + re’û(m), rē’ium ‘pascolo’, ‘pascolare’, con stato-costrutto sardiano se(n)d-rea > sìndria col significato di ‘nutrimento rosso’.
Quanto a it. cetriòlo (= sardo cugùmmaru), che è l’ortaggio oblungo amarognolo molto acquoso, la base etimologica è chiara: essendo un ortaggio irriguo, è da confrontare con akk. kitturru ‘rospo, rana’ + sum. ulum ‘fruttifero’ (composto: kit[tu]rr-ulum), col significato di ‘rana fruttifera’, uno stato-costrutto sintetico per dire che l’ortaggio ha bisogno di molta acqua. Bella figura poetica inventata dagli antichi coltivatori mesopotamici.
Quanto alla forma italiana melòne, il sardo mabòni, melòni, miròni indica l’ortaggio reptante dal frutto zuccheroso a polpa gialla e forma di pallone da rugby, a Napoli chiamato popòne. Anche popòne, termine più che altro toscano, ha origine greca (πέπων ‘cotto al sole’). Essa è voce dotta, dal lat. tardo (sec. III in autori di medicina) melōne(m) al posto del pliniano melōpepon < gr. mēlopépōn, letteralmente mela-popone. L’Alberti registra mellòne per quel frutto simile alla zucca lunga, nel colore e sapore simile al cetriolo, ma dolciastro. In ogni modo melòne, mellòne ha base accadica: mīlu(m) ‘acqua alta, inondazione’ anche nel senso di allagamento del campo, poiché quello era l’unico modo di adacquare, prima dell’invenzione delle porche; ma mīlu(m) significa anche ‘pienezza’ con evidente senso di ‘turgidezza’.

CUGÙSA, thrugùsa, thurgùsa ‘cicuta’, ‘crescione selvatico’, ‘sedanino d’acqua’ (Apium graveolens e simili). Cugùsa, cucùsa per ‘sedano selvatico’ è un fitonimo con base nell’akk. kukku(m), gukku (un genere di dolce) + ūsu(m) ‘goose’, col significato di ‘dolce delle oche’ (riferito evidentemente al crescione, e passato a denotare pure la cicuta allorché si era perso il significato originario). L’etimo è alquanto diverso da quello di thurgùsa (vedi).

CUKKÉḌḌU centr., cuccu (Alà), cuccùi (Desulo), cuccummiáu (Dorgali) ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.). Composto sardiano con base nell’akk. kukku(m) ‘(a kind of) cake’ + ellu ‘puro, chiaro, nitido’, col significato di ‘dolce perfetto’ (in considerazione della forma del tubero, simillimo a un piccolo hamburger). Ma -éḍḍu può essere pure il suffisso diminutivo sardo. Per cuccummiáu vai a suo luogo.

CULPUNTO nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo rinvio al Dizionario Enciclopedico.

CULUÈBBA ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium Mill.). Questo è un composto sardiano con base nell’akk. kulūlu ‘corona, merlatura’ o ḫullu ‘collana’ + ebbu(m) ‘brillante, puro, splendido’, col significato di ‘corona, collana splendente’ (con riguardo al fatto che la rotundifolia ha le foglie che chiudono “a corona” lo stelo, ed esse sono bellissime).

CULURÁSSU, cunnurássu, sonnurássu, fundurássu ‘favagello’ (Ranunculus ficaria L.). Base etim. l’akk. kundirāšu (un capo di vestiario prezioso; un ricamo di abito talare, un ornamento); oppure ha la base akk. kunnû ‘aver caro, coccolare’ + rāšu ‘sceicco, capo carismatico’. Dal che si capisce che in accadico i nomi delle piante non furono mai riferiti a termini volgari, specialmente in questo caso, poiché il Ranunculus ficaria è un vero gioiello che inebria gli occhi e lo spirito. Di qui il suo nome sardo, che possiamo significare nel complesso come ‘sceicco carissimo’, ‘capo-popolo carissimo’. Va da sé che gli antichi Romani, avendo presente il primo lemma del composto accadico (kunnû o kundi-), da loro male interpretato, ed avendo assemblato già da secoli le semantiche di cunnus e di fīcŭs, favorirono nel tempo la nascita del fitonimo scientifico Ranunculus ficaria (con ficaria riferito a quello che a loro sembrava, senza esserlo, il significato dell’akk. kunnû).
Mutatis mutandis, anche il fitonimo sardo culurassu non ha alcun rapporto con i ‘culi grassi’, ma ha la base nell’akk. ḫullu ‘collana’ + rāšû(m) ‘ricco’, col significato di ‘collana ricca’, ‘collana della ricchezza, della sontuosità’, in riferimento al fatto che il Ranunculus ficaria ha i petali laccati di un giallo intenso che annoverano questo fiore tra i più belli della Terra.
Stesso discorso va fatto per sonnurássu, che è un composto sardiano con base nell’akk. sūnu ‘tessuto lavorato a trine’ + rāšû(m) ‘ricco’, col significato complessivo di ‘tessuto riccamente trinato’ (sempre in omaggio alla rara beltà di questo fiore).
Pari discorso pure per la variante fundurássu, che è composto sardiano con base nell’akk. budû (un dolce) con successiva epentesi di -n- + rāšû(m) ‘ricco’, col significato di ‘ricco dolce’ (sempre a riguardo della rara beltà del fiore).

CUMPÍNGIU a Fluminimaggiore è il ‘pino’, anche il ‘pinolo’. In sardo non c’è altra parola per ‘pino’, se non pínu, e per questo fitonimo la derivazione sembra dal lat. pīnŭs. Ma intanto va detto che la base etimologica di pinu e pīnŭs è l’ass. pīnu, pinnu ‘borchia, bottone’. Che cosa c’entri una ‘borchia’ o un ‘bottone’ col pino, ce lo indica proprio cumpìngiu, il quale sembra composto dal lat. cum + ass. pinnu a indicare un insieme di borchie o di bottoni (con riferimento alla pigna, che ha proprio tale figura).
Va pure detto, per completezza, che Semerano (OCE II 518), nel dare l’etimologia di pīnŭs, vede il lemma come forma aggettivale da pix, pĭcis ‘pece, resina’: akk. peḫûm ‘impeciare, calafatare le navi’.

CUNNURÁSSU ‘favagello’ (Ranunculus ficaria L.). Vedi al lemma culurássu.

CURCÚRI, craccùri, carcùri camp. ‘saracchio’ (Ampelodesma mauritanica Dur. et Schintz). Nessuno ha mai proposto l’etimologia. Il nome di questa pianta spettacolare che predilige i suoli ed i poggi marnosi ed aridi, con le dure aste lunghe persino tre metri e oltre, ha per base l’akk. kūru ‘asta, canna’, raddoppiato (kūr-kūr) proprio per esprimere la pluralità di aste fornita da ogni cespo.

CURCURÌGA, croccorìga, corcorìya etc. ‘zucca’ (Cucurbita pepo L.). Le basi etimologiche possono essere due: 1 qurqurû (a soup) + rīqu(m) ‘aromatic substance’ (stato-costrutto qurqur-riqu), col significato di ‘(piantina per) zuppe aromatiche’ (ciò è vero specialmente per la zucca gialla); 2 ḫurru(m), ‘hole’, ‘burrow’ (raddoppiato: ḫur-ḫurru)+ rīqu(m) ‘’empty’ (stato-costrutto ḫur-ḫurr-rīqu), col significato sintetico di ‘tana vuota’ (con riferimento alle zucche le quali, data la loro natura, vengono usate come contenitori di acqua o di vino).

CURMA, cùruma (Lodè, Siniscola) ‘ruta’ (Ruta graveolens L.). Paulis NPPS resta sorpreso nel constatare che il termine è semitico: «è sorprendente constatare che l’etimo di questo misterioso vocabolo dei dialetti centro-orientali è punico. Lo provano le interpolazioni sinonimiche al testo greco del De materia medica di Dioscoride (3,45) che, parlando della ruta hortensis, ossia della ruta coltivata per la cucina e per numerosi impieghi medicinali, adducono, tra le altre equivalenze, anche quella riguardante il punico: Áphroi khourmá». Lo stesso NPPS cita poi l’Akkadisches Handwörterbuch di W. Von Soden, p. 359, riportando ḫurmu come nome di pianta in accadico.
Paulis riporta il vero. Lo stesso è riportato nel CAD (Chicago Assyrian Dictionary).

CUSCUSEḌḌA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo rinvio al Dizionario Enciclopedico.

CUSCUSÒNE. Con questo nome in Sardegna sono indicate varie piantine, una parte delle quali ha la caratteristica di avere dei frutti globoidi, a forma di ovetti o sassolini, uncinati o no. La principale di queste è la ‘bardana o lappa’ (Arctium lappa L.); altre sono lo Xanthium spinosum L. (‘lappolina’), lo Xanthium strumarium L., lo Xanthium italicum L., la Torilis nodosa L., la Caucalis daucoides L. e il Bromus sterilis L.. Paulis NPPS 85-86 confronta il nostro fitonimo coi nomi dialettali catalani (Tarragonès) dello spino d’asino (Xanthium spinosum), chiamato coscorros. Paulis ha colto nel segno. Infatti ambo i fitonimi sardo e catalano godono della stessa etimologia, che poi vedremo.
Ma prima va lasciata la parola a Paulis, che precisa a fondo la questione, sostenendo che «il termine catalano non può separarsi dallo spagn. coscorrón ‘colpo alla testa, che non produce né sangue né dolore’, da KOSK- onomatopea del colpo dato a un oggetto duro (DCELC,I,923). A questo radicale, non senza interferenze di altre famiglie lessicali, Corominas (loc.cit.) assegna vari nomi denotanti oggetti duri o induriti, quali spagn. cuscurro ‘crostino di pane piccolo e molto cotto’, basco coxco, koskor, kozkor; ecc. ‘crosta del pane’, labord. kuzkur ‘torsolo di cavolo’, Arrens couscoúrro ‘pigna dell’abete’, alto nav., basso nav., guip. kozkor ‘pannocchia del grano, del mais’, kusku ‘capsula di vegetale, pannocchia del mais’ (Lhande 635-36)». NPPS, dopo queste esaurienti premesse, s’invola nella dimostrazione etimologica, sostenendo che «dal punto di vista semantico, la derivazione di catal. coscorros e srd. kuskusòne, -i dal radicale KOSK- ‘colpo alla testa, che non produce né sangue né dolore’ si spiega con l’usanza dei ragazzi di lanciarsi in testa i capolini della lappa, in modo tale che questi rimangano attaccati ai capelli: da qui denominazioni della bardana quali abruzz. indreccia capille, piem. scarpiona-cavèi», franc. tire-poils, ted. Haar-Balle, Harkotze, ingl. hardock, e tira-cavèi in alcuni dialetti dell’Italia settentrionale.
Sono grato a NPPS di aver prodotto certe basi iberiche, le stesse della base sarda, indice – se mai ci fosse bisogno – della comunità linguistica insediatasi in età precristiana e prelatina sulle coste del Mediterraneo centro-occidentale. Paulis avrebbe dovuto fermarsi a tali testimonianze, quelle raggruppate in un preciso campo semantico, senza inquinarle con altri campi semantici (peraltro sostenuti da fonetiche incompatibili con quelle del primo campo semantico) che in ogni modo colluttano acerbamente con le basi sardo-iberiche.
La sua dimostrazione etimologica diviene fallace proprio perché confonde due campi semantici antipodici. Da una parte, assieme a quello sardo, sta il campo semantico che comprende i termini relativi alla “durezza”, quali sono i crostini del pane molto cotti (briciole), il torsolo del cavolo, la pigna d’abete, la pannocchia del mais. Dall’altra sta il campo semantico relativo al ‘colpo indolore alla testa’, o al ‘tirarsi in testa i capolini della lappa’.
Non tratto, per non appesantire il discorso, del secondo campo semantico che ha depistato il discorso di Paulis. Sosto nel primo campo semantico, rimarcando che Paulis produce soltanto paralleli, senza andare ai significati arcaici capaci di riunire semanticamente gli stessi. Le basi arcaiche esistono anche in questo caso, e sono relative al cus-cus (di cui cuscusòne è compagno di viaggio da millenni).
Il cus-cus è la nota vivanda araba a base di semola grossa di grano duro, la quale viene fatta gonfiare con attento procedimento manuale mirato a inzuppare d’acqua i singoli frammenti della cariosside, che in tal guisa assumono l’aspetto di tanti sassolini traslucidi e morbidi. Il procedimento manuale termina al momento in cui ogni frammento di semola perde la facoltà di agglutinarsi agli altri frammenti. Il prodotto viene quindi posto nella “cuscusiera”, una pentola bucherellata, posata sopra un pentolone fumante al fine di terminare l’operazione di rigonfiamento e ammorbidimento dei singoli frammenti di cariosside. Il cus-cus viene mangiato in salsa piccante assieme a carne, o pesce, e verdure (vivande che sono cotte e aromatizzate a parte).
Il termine arabo kus-kus non è mai stato indagato. Esso è un raddoppiamento con senso superlativo, basato sull’accadico di Mari qūšum (a stone), col significato sintetico di ‘pietroline’. Ecco da dove proviene il campo semantico di cuscusòne. Il fitonimo sardo (specialmente quello relativo alla bardana), ci rientra perché alcune di queste piantine producono dei frutti somiglianti a tanti sassolini tondeggianti od ovoidali.

CUTTÒNI è il ‘cotone’ ed è pure il cognome sorsense Cottòni. Esso, in realtà, non è altro che un relitto di un’antichissima testimonianza ebraica in Sardegna, relativa al ‘cotone’ (Gossypium sp.v.: kutnāh, כוּתּנַה [Artom]), Est 1,6, il quale nella Bibbia ebraica è anche chiamato ‘stoffa bianca’.

DORADÍGLIA log. Asplenium trichomanes L. ‘specie di felce’; cfr. sp. doradilla ‘idem’, cat. doradella; a quanto pare il nome deriverebbe dalle spore dorate che si notano nella pagina inferiore delle foglie (Wagner). Ma ne dubito assai. È probabile che in origine significasse ‘capelli d’asino’, da sum. dur ‘asino’ + dilib ‘hair’.

ÉJBA CRÁBUNA sass. ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.). Per la discussione e l’etimo vedi lemma èrba grábina.

ÉJVA DE SA MADALÈNA log. ‘acanto’ (Acantus mollis L.), termine sardiano con base nell’akk. madālu ‘to preserve in salt’ meat, e per estensione ‘preservare’ tout court. Evidentemente le qualità revulsive dell’acanto non erano utilizzate soltanto per estrarre il pus dai foruncoli del viso; le foglie servirono in origine per ricoprire la carne e conservarla.

ÈLAMU log. ‘alimo’ (Atriplex halimus L.) pianta arbustiva dei suoli salsi e arenosi marittimi. Paulis NPPS, nel ricordare che le foglie carnoso-subcoriacee sono appetite dalle pecore e dai maiali, fa una lunga disquisizione sulla base etimologica del fitonimo, concludendo: «Pertanto è chiaro che srd. èlimu, èramu, ecc. deve l’è all’érymon ricostruito da Wellmann, ed è probabilmente un grecismo di epoca bizantina o una forma tardolat. influenzata dal greco, mentre la variante log. sett. èlma, con l’apparente sincope di -i-, fenomeno del tutto eccezionale in sardo, risente della denominazione Hermoῦ básis, com’è facile ammettere dal momento che in log. sett. -rm- > -lm-».
Stante questa ricostruzione, abbiamo la certezza che questo fitonimo era largamente noto nel mediterraneo, avendo già una base accadica: alimu ‘onorevole, di alto rango’ riferito in questo caso alla pianta; oppure ālum ‘montone, ariete’, col significato di ‘(pianta) degli arieti’.

ÈLEME ‘alimo’. Vedi alla voce élamu.

ELVA MUTTSÒNE log. ‘trifoglio striggine’ (Trifolium angustifolium L.). Base etim. nell’akk. muṭṭû ‘very little, too little’.

ENÁRGIU, avenárzu, enárzu ‘avena selvatica’ (Avena fatua L., Avena barbata Brot., Avena sterilis L.). Paulis NPPS scrive che l’origine etimologica è l’aggettivo latino āvēnārius (cit. da DES,I,154). Āvēnārius a sua volta è un aggettivale ricalcato sul fitonimo latino āvēnā ‘avena’, sorta di ‘biada’, ‘avena selvatica’, ‘stelo dell’avena’; è termine sineddottico, che comprende vari elementi ma pure tutti questi elementi assieme, a prescindere dall’uso. Così āvēnā, quale graminacea, portò per metonimia ad indicare pure qualunque tipo di zufolo, di strumento musicale ricavabile dalle piantine cave, quali sono l’avena e la canna. La base etimologica dei termini latino e sardo è l’akk. ḫāwū, ḫāmū ‘paglia, pula, loppa, foraggio’, anche ‘lettiera per animali’, ‘spazzatura’ + sum. en ‘lord’, col significato di ‘foraggio d’elezione’, ‘signore dei foraggi’.

ENI ‘tasso’ (Taxus baccata) in Ogliastra. Quest’albero fu un vero signore delle foreste (lo fu, ahimè, sino a che i tagliatori di fine Ottocento non lo prelevarono ab imo, lasciandone per errore qualche esemplare nel Supramonte, ad Orthakis, presso la vetta del Monte Rasu, uno soltanto nel Monte Lattias, in una forra donde fu impossibile prelevarlo. La base etimologica del fitonimo sardo è, a mio parere, l’akk. enu(m) ‘lord’, perché un tempo dovette essere proprio il signore degli alberi.

ERA ‘edera’. La base etim. è nell’akk. ēru(m) (a tree). Paulis NPPS ritiene a torto che il fitonimo sia influenzato dall’italiano e dal latino hedera.

ERA, ERU è un aggettivo che determina talora i fitonimi sardi. Paulis NPPS, seguendo Wagner, ritiene che l’aggettivo sia dal lat. verum nel senso di ‘autentico, caratteristico’, come dire che altri aggettivi (es. burda) darebbero connotazioni di ‘falso, selvatico, poco utile, etc.’. Una delle tante attestazioni di Paulis riguarda assuḍḍa era (Hedysarum coronarium), contrapposta a assuḍḍa burda (Hedysarum capitatum). A tale interpretazione contrappongo che quest’apparente aggettivo risale all’akk. ēru(m) (a tree). Proprio i due tipi di ‘sulla’ qui indicati lo testimoniano: infatti il primo tipo tende ad essere molto più alto del secondo.

ERBA camp., éiba log., sass. ‘erba’. Wagner (DES) e Paulis (NPPS) credono che questa parola abbia la diretta ascendenza nel lat. herba. Lo credono tutti i linguisti. Invece in Sardegna il lemma si forgiò autonomamente, per quanto in seguito sia andato di pari passo con quello latino e poi se ne sia lasciato plasmare. Ma lasciamo parlare Semerano (OCE II 425): «L’intuizione (Ernout-Meillet) che si tratti di una sopravvivenza di termine rurale prelatino fa giustizia di tutte le ipotesi, come quella della rad. i.e. *gher-dhā». Semerano cita come base etimologica l’akk. ḫarpu ‘early harvest’, ma c’è pure da indicare ḫarpū nel senso di ‘primo-autunno’. Col che veniamo a conoscere la caratteristica principale dell’erba in Sardegna, che cresce all’inizio dell’autunno e quindi rappresenta psicologicamente il primo raccolto dopo quello importantissimo delle messi nel mese di giugno.
Per intendere il significato di primo-raccolto, serve far notare che dopo le prime piogge autunnali e quindi dopo la semina dei cereali, la tradizione della Sardegna è quella di farne brucare i nuovi germogli una o due volte, rispettandone definitivamente la crescita soltanto dopo le piogge di metà gennaio. Da qui il significato arcaico di erba nel senso di primo-raccolto, early harvest, considerato che nelle economie agro-pastorali dell’antichità nulla, proprio nulla, veniva lasciato crescere senza un uso razionale del pabulum.

ERBA D’AQUA ‘miglio selvatico’ (Millium multiflorum Cav.). Paulis NPPS traduce alla lettera ‘erba d’acqua’ perché pensa che si trovi ai margini dei fossi. Ma ciò ha poco senso, anche perché i fossi in Sardegna recepiscono e trattengono rare volte dell’acqua piovana. Accetto invece l’idea capovolta, ma più produttiva, che il miglio abbia bisogno di suoli umidi. Ma chiamarlo erba d’aqua è troppo. Ci troviamo sicuramente di fronte ad una paronomasia. Stanti così le cose, c’è da pensare che, in ossequio al fatto che talora i nomi di certe erbe sono termini poetici alludenti a qualche animale, (erba de) aqua sia un termine sardiano con base nell’akk. akû ‘civetta’, col significato di ‘(erba delle) civette’. Ma il termine può avere pure come base l’akk. daqqu(m) ‘minuto, fine’ di erbe o altro, con l’evidente significato di ‘erba fine’ (a quanto pare in omaggio al suo valore).

ERBA DE ASCULPI. Vedi ascùlpi.

ERBA DE BRABA camp. ‘barboncino’ (Andropogon hirtus L.), aggettivale sardiano oramai corrotto, che ha base nell’akk. bāru, baru, indicante un tipo di cereale, ed in più è sinonimo di ‘campo aperto’, ossia di ‘pascolo naturale’ (il luogo dove appunto si trovano le graminacee). A baru si è aggiunto il suffisso sardiano -a, onde baru-a > *barba > per metatesi braba.

ERBA DE BUḌḌAS (Glinus lotoides L.), composto sardiano con base nell’akk. pūdu(m), būdu(m) (design. of sheep), col significato di ‘erba delle pecore’.

ERBA DE CANI ‘sonaglini’ (Briza maxima L.), ‘gramigna dei viottoli’ (Koeleria phleoides Pers.). Paulis NPPS fa notare che «pure i Romani denominavano la gramigna (Cynodon dactylon Pers.) (herba) canaria e collegavano tale denominazione al fatto che i cani si servirebbero della pianta per vincere la nausea (Plinio, N.H. 25, 91: inveniunt et canes qua fastidium vincunt eamque in nostro conspectu mandunt, sed ita, ut numquam intellegatur, quae sit; etenim depasta cernunt) o per purgarsi (Gal. alf. 36: agrostis herba est quae in campis nascitur… Canes etiam quando volunt purgari, hanc herbam manducant). Sulla base di quella tradizione antica, simili proprietà sono state attribuite successivamente anche ad altre graminacee, quali la Dactylis glomerata L. e l’Agropyrum repens L., donde i nomi, tutti significanti ‘erba dei cani’», in neerlandese, inglese, danese, svedese, tedesco, polacco, serbo, ruteno, sloveno, ungherese, siciliano.
La denominazione latina, che ha dato la stura alle pari denominazioni in tutte le lingue europee, è una lampante paronomasia, alla quale si sono attenuti, producendo conseguenti paretimologie, tutti i popoli del Medioevo e dell’Età contemporanea; questa etimologia popolare è stata presa per buona anche dagli attuali linguisti indoeuropeisti o romanzi.
La base fonetica più antica si trova nell’accadico, ovviamente col vero significato, che non è correlato al fatto che la gramigna viene mangiata dai cani. La questione sta in altro modo. La gramigna è un’erba talmente taumaturgica, che persino i cani si sono trasmessi l’attitudine a mangiarla al fine di stare meglio. Ma la prima denominazione scritta sumero-accadica ebbe la sua brava sanzione per il fatto che la gramigna faceva (e fa) benissimo anzitutto al genere umano. L’etimologia si basa sull’akk. kanû(m) ‘trattare con cura se stessi’, ‘trattare con delicatezza’, ‘rendere onore a’, ‘prendersi cura di’. Lo stesso autore del presente libro è stato educato, sin dall’infanzia, a non privarsi mai di un decotto di gramigna.

ERBA DE CORÒNA camp. ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.). NPPS traduce alla lettera ‘erba per corone’ «probm. in rapporto con usanze simili a quella per cui in Francia si adornano gli altari della Madonna con serti di caprifoglio (Kögler 13)». È probabile che NPPS colga nel segno, non tanto per certe usanze francesi ma per l’usanza degli antichi di coronarsi coi fiori più belli prima di andare ad un simposio, ad una festa, ai sacrifici. In questo caso la Lonicera implexa si presta benissimo, considerata la facilità di creare serti, anche per la bellezza del fiore, oltreché per il profumo.
Eppure avrei una forte riserva, considerato che questa pianta rampicante ha dei nomi originari che tendevano a descriverla come “cumulo, abitazione, tenda, e simili” (vedi ad es. bide bianca). Se l’intuizione è giusta, erba de corona è un appellativo sardiano con base nell’akk. ḫarpu ‘early harvest’ + qurunnu(m), gurunnu(m) ‘cumulo, mucchio’, col significato di ‘cumulo del raccolto primaticcio’. Il ‘raccolto primaticcio’ non è altro che l’arcaico significato di erba (vedi il suo etimo); qurunnu riguarda invece l’ammasso che la Lonicera implexa crea ovunque s’installi. Non è un caso se le famiglie che la coltivano in giardino sono costrette, ogni tre-quattro anni, a sradicarla o sfoltirla drasticamente.

ERBA DE FÉMMINAS ‘borsa del pastore’ (Capsella bursa-pastoris L.). Per la discussione e l’etimo vedi a sperra-pillittu.

ERBA DE FERRU (Villanova Monteleone), erba férrina (Illorai) ‘miglio selvatico’ (Millium multiflorum Cav.), paronomasia basata sull’akk. per’u, perḫu, perwu ‘bud, shoot, rampollo, germoglio’. Quanto a erba férrina, sembra un aggettivale basato sul prototipo di (erba de) ferru. Erba de ferru è pure il nome della Atriplex hastata L.

ERBA DE NÉRBIUS. Vedi al lemma nerviàda de abba.

ERBA DE PIPAS ‘aro’ (Arisarum vulgare) (Congia). Con tutto che il fitonimo richiami le pipe, sappiamo bene ch’esse sono fatte con radici assai diverse, a cominciare da quella dell’erica. Quindi questo fitonimo è una paronomasia. Esattamente, è fitonimo sardiano con base nell’akk. pipi, pû(m) ‘apertura, entrata, accesso’. Il richiamo alla profonda conicità del grande petalo dell’aro, simile a un imbuto, è lapalissiano.

ERBA DE PIRICÓCCU camp. ‘iperico’ (Hypericum perforatum L.). Piricoccu in camp. è pure la ‘perlina minore’ (Bartsia trixago L. o Bellardia trixago L.).
Piricóccu è un composto sardiano con base nell’akk. per’u ’germoglio’ + quqû(m) (designation of a snake), col significato di ‘germoglio dei serpenti’. I Babilonesi usavano spesso il primo membro (per’u) nei composti a indicare un tipo di pianta: vedi ad esempio per’u kalbi = ‘germoglio di cane’.
Un problema nasce invece a riguardo di camp. piricóccu in quanto ‘albicocca’ (chiamata in Logudoro barracóccu). Per quanto il termine sardo sembri corruzione dell’it. albicocco, va chiarito che è lo stesso lemma albicocca a meritare una rigida indagine etimologica. DELI ne pone l’etimo nell’arabo (al)barqūq ‘prugna, susina’, «che pare risalga (attraverso l’aramaico bārqūqa) al gr. praikókion, dal lat. persica praecocia». Da quanto scritto, discende che il log. barracóccu deriva direttamente dall’aramaico. A sua volta piricóccu ha subìto l’influsso di píru ‘pero’.

ERBA DE SANTU LENARDU (Montiferru) ‘digitale’ (Digitalis purpurea L.). A mio avviso (erba de) santu Lenardu è paronomasia basata su un tri-composto sardiano dall’akk. sāmtu(m) ‘rossore’ + le’û(m) ‘capace, potente, competente, maestro’ + nārtu(m) ‘female musician’. La ricostruzione sembra: ‘maestra di musica vereconda’ (per il verginale rossore dei fiori), o qualcosa del genere. È ovvio che il richiamo alla maestra di musica fu fatto perchè le campanule sono simili agli antichi zufoli. Vedi al riguardo pure l’altro nome sardo della digitale, pitiólu.

ERBA DE SPRONI (Cagliari) ‘vedovina’ (Scabiosa atropurpurea L.), composto sardiano con base nell’akk. esu, eššu ‘sepolcro’ + pûru ‘(stone) bowl’ (stato-costrutto es-puru + sum. unin ‘pianta’), col significato complessivo di ‘erba per vasetti da sepolcro’. Sembra evidente che la ‘vedovina’, così chiamata per il colore viola-purpureo dei petali, fosse già usata in età arcaica per abbellire i sepolcri.
Intendo ora soffermarmi proprio sul termine italiano ‘vedovina’ = ‘piccola vedova’, che ha il suo corrispettivo semantico in spagnolo, francese, inglese, danese, russo, serbocroato, tedesco, ecc. Le lingue moderne hanno riportato quasi intatta la semantica che qualificò questo fiore già in età arcaica.

ERBA DE ULE ‘bupleuro cespuglioso’ (Bupleurum fruticosum L.). Base etim. accadica; essa può essere individuata in due modi: 1 considerando erba come termine originario (ed attuale) e traducendo solo ule, che si richiama all’akk. ullu (a bull); 2 considerando anche erba come paronomasia dall’akk. erēbu(m) ‘corvo, taccola; corvo imperiale’ + ullu (a bull), col significato di ‘(erba di) corvi e tori’.

ERBA DE TZERRAS è una papaveracea, la ‘celidonia’ o erba da porri’ (Chelidonium majus). La forma più appropriata per capire l’etimologia è tzèrra, ‘vespaio o favo (sulla nuca)’ generato da stafilococco piogeno (Zonchello 64, 128), ma è pure l’eczema. Zonchello (non citando Wagner, da cui però attinge) riporta il termine al tardo lat. zerna e serna (Dioscoride; Cassio Felice), sarna in Isidoro. Cita pure sp. e port. sarna, basco sarra, zarra. Zonchello a tutti questi termini trova l’origine indoeuropea. Wagner per ataerra, tzerra produce anche il significato di ‘erpete’ e suppone per tutti i termini qua citati un’origine preindoeuropea. In ogni modo, questi due autori si sono guardati dal presentare materialmente l’etimo. Non avendosi l’etimo ie., per queste forme viene automatico produrre l’etimo sum. zir ‘to be troubled; to break, destroy’.

ERBA D’INSICCATÙRI (Luras) ‘salvastrella’ (Sanguisorba minor Scop.). Il fitonimo è composto sardiano con base nell’akk. inzum, enzu ‘femmina di capra’ + katurû, kitturru ‘rospo, rana’, col significato complessivo di ‘erba di capre e rane’.

ERBA E ARRÙNGIA ‘piombaggine’ (Plumbago europaea L.), fitonimo sardiano con base nell’akk. ruḫû(m) ‘sorcery, filtre’, col significato di ‘erba degli incantesimi’. Evidentemente in passato ebbe un preciso ruolo nelle magie nere e nelle pratiche sciamaniche.

ERBA E CIRRAS camp. ‘piombaggine’ (Plumbago europaea L.), fitonimo sardiano con base nell’akk. kerru(m) ‘male sheep’; il significato è ‘erba dei caproni’.

ERBA E MURÈNAS ‘cinquefolio’ (Potentilla reptans L.). Paulis NPPS 367 lo traduce alla lettera ‘erba delle emorroidi’ (murénas, munègas). Wagner lo considera derivato dal cat. morenes ‘emorroidi’. Invece i due termini catalano e sardo hanno la stessa base etimologica nell’akk. mūru(m) ‘young bull, foal (of donkey, horse)’ + enû(m) ‘alterare’. Nel passato questa pianta aveva fama di guarire di morsi dei serpenti o altri animali velenosi. Ma vedi anche murránias ‘emorroidi’ (Sulcis), amorrànas, murènas ‘emorroidi’. Wagner fa derivare i lemmi dal cat. morenes, e ricorda anche la pianta murèna log. ‘cinquefolio’ (Potentilla reptans L. e Tormentilla Neck) l’infusione delle cui radici ha proprietà astringenti; essa è quindi legata di necessità al fenomeno emorroidario.
Oltre all’etimo su prodotto, è possibile anche la base akk. murrānu(m), u(r)rānu, burrānu (un albero o un cespuglio). A sua volta la malattia elle emorroidi sembra derivare da mû ‘acqua’, ‘secrezioni o fluidi corporali’ + ramû(m), remû ‘allentare(si), diminuire, calare’; ‘che si stacca, che ciondola”; ‘rilassare; aprire la serratura’.

ERBA E PERDA ‘paleo comune’ (Brachypodium pinnatum P.B.). Base etim. nell’akk. perdu (un genere di equidi); significò ‘erba dei cavalli’.

ERBA E PORCUS ‘viperina piantaggine’ (Echium plantagineum L.). Base etim. nell’akk. burḫu ‘bufalo’, significante ‘erba dei bufali’ (termine spregiativo, considerato che tutto sommato il bestiame non la appetisce). Anche la paronomasia che l’assimila ad un’erba dei porci ha gli stessi connotati spregiativi.

ERBA E PUDDAS ‘erba delle galline’ o ‘burinella’ o ‘saggina’ (Sagina procumbens L.), ‘spergola o renaiola’ (Spergula arvensis L.). Ha questo nome anche il ‘centocchio’ (Stellaria media Cyr.) e il ‘cencio molle’ (Cerastium glomeratum Thuill.). Il ‘centocchio’ è detto in Ogliastra erba puggionìna ‘erba degli uccelli’. Il fitonimo non ha relazioni con le galline, alle quali oggi si riferisce per mera paronomasia. La base è l’akk. pūdu(m) (designazione di pecora). Quindi il significato antico fu ‘erba delle pecore’.

ERBA E PÙLIGHE log., erba e pùliži camp. ‘pulicaria’ (Plantago psyllium L.). NPPS traduce alla lettera ‘erba delle pulci’, e conforta l’interpretazione con le similari interpretazioni di Dioscoride 4,69 (psýllion), di Plinio N.H. 25,140 (pulice) e altri, donde la trafila consimile di fitonimi italiani ed europei.
Questo fitonimo è influenzato proprio dal riferimento latino alla pulce, a sua volta oggetto di paronomasia: pùlighe da akk. būlu(m) ‘animali, bestiame’ + uqu ‘people, populace’, col significato di ‘specie (di erba) da bestiame’. A sua volta pure il gr. psýllion da psýlla ‘pulce’ è una paronomasia, da akk. bu’’û ‘ricercato’ + sullû, šūlû(m) ‘viuzza’, col significato complessivo di ‘(erba) ricercata delle viuzze’. La pianta, evidentemente, un tempo era più rintracciabile lungo i viottoli dei villaggi.

ERBA E SÒLI ‘eliotropio’ (Heliotropium europaeum L.). Paulis NPPS 202 riporta quanto già notato da Plinio NH 22,57 sul «prodigioso comportamento, per il quale essa gira seguendo il sole, anche col tempo nuvoloso, tanto è grande il suo amore per l’astro… A questa proprietà si ispirano i nomi latini solaris herba Celso 5,27, 5B); solastrum (Ps.-Diosc. 4,33), solago maior (Ps.-Apul. 63,3; Dynamid. 2,92; CGL 3,537,26; Gloss. Med. 71,21, ecc.); vertumnum da vertere ‘volgersi’ (scil. verso il sole) in Ps.-Apul. 49,11; Ps.-Diosc. 4,33; CGL 3,554… In tale tradizione onomasiologia s’inserisce il nome camp. +erba e sòli ‘erba del sole’ (Cossu 115), che ha riscontri amplissimi» in francese, siciliano, tedesco, rumeno, ceco, serbocroato. Prima di procedere nell’esame intendo ricordare l’etimologia dei seguenti fitonimi (vedi discussione ai rispettivi lemmi):
1. δίψακος, termine mediterraneo, base akk. dišpu(m) ‘miele, sciroppo’ + saqqu ‘sacco’: significato ‘sacco di miele’;
2. (erba de) spròni, ispròni, composto sardiano con base nell’akk. esu, eššu ‘sepolcro’ + pûru ‘(stone) bowl’: significato ‘(erba per) vasetti da sepolcro’;
3. cima de pastori, akk. pātu(m) ‘bordo, orlo’ + urû(m) ‘stalla’ = ‘cardo per recinzioni’.
Questi tre fitonimi (ma l’elenco è lungo, com’è evidente in ogni pagina di questo trattato di etimologia botanica) sono paronomasie, che li hanno fatti intendere, in greco ed in sardo, il primo accomunato alla sete (δίψάω), il secondo accomunato allo sprone, il terzo accomunato al (bastone del) pastore.
Invito a seguire la problematica leggendo la trattazione dei tre lemmi. Non mette conto tenere il filo delle ragioni di NPPS, che per rafforzarle cita, quando può (come nel caso di erba e soli), frasi o fitonimi di autori antichi o meno recenti, nonché le similari denominazioni di altre lingue europee, senza neppure rendersi conto che alla base del fenomeno, pure negli autori antichi, ed anche nelle lingue straniere, ci sono sempre delle paronomasie, confortate dall’autorità della lingua latina. Ad esempio, il franc. verge de berger rispecchia la semantica della denominazione neolatina virga pastoris, ma le denominazioni neolatine sono influenzate semanticamente da quelle latine, e queste dall’akk. pātu(m) ‘bordo, orlo’ + urû(m) ‘stalla’ (composto pāt-urû, onde la paronomasia lat. pastore(m).
Qualunque popolo, moderno o antico, è stato vittima della paronomasia. I Greci non se ne salvarono mai, ed il fitonimo sardo erba e soli, da loro chiamato heliotrόpion e dai Romani solaris herba, non fa eccezione. Va da sé che, laddove i Greci hanno prodotto la propria paronomasia, gli altri popoli antichi e moderni, che dai Greci, attraverso i Romani e poi attraverso la cultura neolatina, hanno ripreso spesso molte semantiche, non hanno fatto che ricreare nella propria lingua le formazioni fonetiche connesse alla semantica adottata.
Tale è stato il destino dell’eliotropio sia nelle lingue greca e latina sia nelle lingue moderne, compresa quella sarda. Le lingue che hanno adottato la semantica di ‘eliotropio’ ossia di ‘(erba) che si volge al sole’, ‘erba del sole’, hanno pure adottato la stessa credenza riportata da Plinio, ossia che i suoi fiori seguano la curva dell’astro solare. Il che ha dell’incredibile, visto che tutti i fiori si rivolgono naturalmente verso il sole, sebbene in modo affatto diseguale, mentre è puerile ammettere un fatto inesistente, cioè che i loro capolini seguano realmente la curva solare per i 140-180-200 gradi d’arco di circonferenza. Lo stesso è stato sempre affermato del girasole, ma la credenza è ascientifica. Se un linguista andasse a controllare, riderebbe di se stesso per anni, e capirebbe che Plinio ripeteva delle ciance tanto per giustificare la paronomasia e quindi la paretimologia.
Tornando al nostro erba e sòli, esso è termine sardiano con base nell’akk. ṣulû(m) ‘via, viuzza’, col significato di ‘erba delle vie’. Infatti è noto che l’habitat di questa pianta è presso i ruderi ed i bordi delle strade, oltreché nei terreni incolti.

ERBA E VENTU centr. ‘parietaria’ (Parietaria officinalis L.). Per ritrovare l’etimo giusto va notato che la parietaria è un’erba dai molteplici usi, uno più importante dell’altro. Basti leggere Atzei 461 (Le piante nella tradizione popolare della Sardegna) per capire quanto sia stato, ed ancora sia ampio, l’uso di questa pianta miracolosa, specialmente per cure muliebri. Solo così possiamo risalire al suo significato profondo ed all’alta considerazione che la piantina aveva nell’antichità. Erba e véntu è un fitonimo sardiano con base nell’akk. entu(m) ‘alta sacerdotessa’, col significato sintetico di ‘erba dell’alta sacerdotessa’. Il fitonimo – che è tutto un programma – richiama addirittura la più alta figura delle gerarchie sacerdotali, ciò che sottintende tutta una prassi erboristica che fu (e ancora è) appannaggio dei templi e dei conventi.

ERBA FÉRRINA ‘miglio selvatico’. Vedi erba de ferru.

ERBA GABIḌḌÙDA, erba gabittsuda camp. ‘spicalora’ (Triticum villosum L. = Haynaldia villosa Schur.), aggettivale sardiano con base nell’akk. gabīdu (un genere di pascolo); significa quindi ‘erba dei pascoli’, ‘erba pascoliva, pabulare’.

ERBA GRÁBINA (Meàna) ‘miglio selvatico’ Milium multiflorum; aggettivale sardiano per il quale sono valide due interpretazioni etimologiche: akk. ereb garabū(m) (che sono dei generi di piante: vedi CAD alla voce garabū); oppure akk. karapḫu, karpaḫu ‘terra a maggese’, col significato complessivo di ‘(erba delle) terre non-coltivate’.
Altro discorso va fatto invece per l’omologo sass. éiba crábuna (Lonicera implexa Ait.), dove la paronomasia non opera ed il significato è proprio ‘erba per capre’. In questo caso sarebbe il caso di dire: “due pesi e due misure”. Infatti Meana sta al centro della Sardegna, al centro delle Barbagie, inclusa ed assorbita in un sistema montuoso (l’acrocoro del Gennargentu) che nel lontano passato, quando ogni comunicazione era preclusa, non lasciava scampo al tipo di vita dei residenti, dediti esclusivamente alla pastorizia e alla possibile transumanza verso il Campidano. Quivi non penetrò alcun tipo d’influsso dei conquistatori di turno, e la fitonimia fu una elaborazione esclusivamente autonoma, dettata dalla civiltà e dalla lingua comune dei Sardi dell’epoca. Per i Sassaresi il discorso si capovolge.

ERBA GUADDÀRA ‘scagliola’ (Phalaris canariensis L.). Il termine è sardiano ed ha due possibilità etimologiche: o akk. ḫū’atum (un pasto), col significato di ‘erba edule’, oppure akk. ḫuballu(m) ‘fosso, trincea’ (+ suff. sardiano -ra), col significato di ‘erba dei fossi’ (perché prevale nei siti freschi).

ERBA LÌERA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo relativo agli ampelonimi.

ERBA MOḌḌI ‘valeriana’ (Valeriana officinalis L., Valerianella olitoria Polich). Nel tentativo di trovare un etimo, va anzitutto precisato che la Valeriana officinalis non è presente in Sardegna. Aldo Domenico Atzei (PTPS 469-473) fa però osservare che parecchi Sardi sono pienamente coscienti del contrario, per quanto poi, messi alla prova, hanno segnalato le piante più disparate, diverse comunque dalla valeriana. Ma è così forte la credenza nella autoctonia di questa pianta, che su di essa sono da sempre esistite pure delle procedure magiche, per il fatto ch’essa è considerata magica per eccellenza, quindi capace di combattere il Diavolo, di riannodare i rapporti amorosi, di pacificare i nemici, e così via.
Fatta questa premessa, forse non è un caso che la pianta sia chiamata erba moḍḍi. Se nel fitonimo riconosciamo una paronomasia, allora non può che essere sardiano, con base nell’akk. muddû, mūdû(m) ‘saggio’, col significato di ‘erba dei saggi’.

ERBA NIÈḌḌA ‘pulicaria’ (Plantago psyllium L.). NPPS traduce alla lettera ‘erba nera’ «per la macchia scura del seme, descritto come mélan da Dioscoride 4,69». Ma nieḍḍa da nigheḍḍa è paronomasia. Il fitonimo ha base nell’akk. niqittu ‘satisfaction’, col significato di ‘erba della soddisfazione’. Le possibilità etimologiche potrebbero essere pure le seguenti: akk. nigītum (a resinous plant), nigûtu(m) ‘joyful song, musical celebration’, niḫittu (desig. of precious metal).
La seconda opzione, altamente poetica, sembra più adatta alla pulicaria, ma la terza opzione intriga col richiamo ai metalli preziosi (ciò ha qualcosa in comune con l’acqua benedetta, chiamata in sardo àqua madàlla ‘acqua miracolosa’, madàlla come lo furono i metalli al loro primo portentoso utilizzo).

ERBA NIGHEḌḌA (Ogliastra) ‘ononide’ (Ononis spinosa L.). Questa piantina per gli antichi Sardi era assai preziosa. Ma per la denominazione di (erba) nighèḍḍa non è facile trovare la base etimologica, essendoci tre possibilità dall’accadico: nigītum (a resinous plant), nigûtu(m) ‘joyful song, musical celebration’, niḫittu (desig. of precious metal). La seconda opzione, altamente poetica, sembra adatta all’ononide, ma la terza intriga col richiamo ai metalli preziosi (ciò ha qualcosa in comune con l’acqua benedetta, chiamata in sardo àqua madàlla ‘acqua miracolosa’, madàlla come lo furono i metalli al loro primo portentoso utilizzo).

ERBA POSÀDA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo relativo agli ampelonimi.

ERBA PÙDIA camp. ‘avena selvatica’ (Avena sterilis L.), fitonimo sardiano ormai contaminato dalla paronomasia, con base nell’akk. pūdu(m), būdu(m) (designazione di una pecora), col significato di ‘erba di pecore’.

ERBA PUGGIONÌNA (Ogliastra). Vedi erba e puḍḍas.

ERBA STULÀDA (è una graminacea, Vulpia geniculata Lk.), composto sardiano con base nell’akk. siyû (a plant) + tuldu (a medicinal plant) (stato-costrutto siy-tuldu > s(iy)tuldu > stul[a]du), col significato di ‘piantina utile’ (o simili).

ERBINÈRA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo relativo agli ampelonimi.

ERBIÒI (Perdasdefogu) ‘papavero o rosolaccio’’ (Papaver rhoeas L.), composto sardiano con base nell’akk. bu’’û ‘(fiore) ricercato, apprezzato’, con riferimento alla rara bellezza del papavero. Ci fu, evidentemente, la commistione-fusione tra erba e bu’’û.

ERVA LUZZA (Bonorva) Oxalis acetosa. Paulis NPPS pensa sia sardizzazione dell’it. erba lucciola (Luzula Forsteri). Può darsi. Ma può avere pure la base nell’akk. lušu ‘grasso, unto’, con riferimento ai suoi steli.

FABA, fàa ‘fava’ (Vicia faba). Per capire l’etimo di lat. faba occorre prima vedere quello di lat. faseolus, sardo basόlu, gr. φάσηλος che significa ‘barca, scialuppa’ (con richiamo evidente alla forma del baccello aperto), la quale riaccosta ai significati originari di lat. faba, un originario duale che denota le due valve: akk. bābu, aramaico bāb ‘porta’. Lo stesso greco φάσηλος è calcato su base corrispondente ad ebr. p(e)sālā ‘sbucciare’, pāṣa ‘aprire’, pāṣam ‘to split’. Alla base di pêṣum va ricondotto il lat. pīsum (Semerano, OCE II 516).

FARRÁINA log. e sass. ‘orzo in erba’. Vedi ferrágine.

FARRÁNI camp. ‘erba d’orzo’. Vedi ferrágine.

FARTSÍA camp. ‘capelvenere’ (Adiantum capillus Veneris L.) (specie di felce) = cat. falsía ‘idem’. Base etimologica è il sum. par ‘canal, irrigation ditch’ + zi ‘life’. Il composto par-zi è un nome poetico significante ‘vita dei pozzi’ (con riferimento alla capacità del capelvenere di crescere nell’ombra umida).

FAŽÓRU ‘fagiolo’ (Vigna sinensis Edl.), log. basólu. Paulis NPPS 280 fa una precisazione sulle foraggere del genere Vigna, così nominate da Domenico Vigna, professore di botanica a Pisa nel XVII secolo. Vi appartiene appunto la Vigna sinensis Edl., che è la specie cui si riferivano i Greci con phásēlos, phasíōlos, phasíolos e i Romani con l’imprestito phaselus, phaseolus e anche passeolus e passiolus (André 196). Paulis precisa ancora che «Le continuazioni moderne di questo termine sono poi passate nelle lingue neolatine a designare i fagioli (Phaseolus vulgaris var. communis), specie ortense dell’America centro-meridionale, che fu introdotta in Europa soltanto nel XVI secolo. Pertanto quando Wagner (DES,I,506), per esemplificare le attestazioni del log. basόlu ‘fagiolo < PHASEOLUS, adduce un passo degli Statuti Sassaresi (i80 [8 v]: tridicu, orgiu, faua, basolu), lo fa con una qualche imprecisione, perché evidentemente in epoca medievale, anteriore alla scoperta dell’America, basόlu non poteva avere il significato di fagiolo. La fissazione del nuovo significato ha comportato una certa ristrutturazione dell’intero campo lessicale relativo ai legumi alimentari, in seguito al quale in logudorese, ove mancano continuatori di CICERE, il semplice basόlu indica il fagiolo, e con basόlu dundu (tondo) o basόlu bittsúdu (col becco) o basόlu de atta (angoloso) si designa il cece detto invece in camp. čížiri < CICERE. Una forma di compromesso tra i due sistemi s’incontra a Fonni, dove il cece è detto fasόlu čížiri (AIS 1384)».
Questa precisazione è sfuggente e non va all’origine del fenomeno, precludendo la possibilità di attingere alla vera etimologia. Basόlu ha il corrispettivo nel latino, oltreché nel gr. φάσηλος, e significa ‘barca, scialuppa’ (con richiamo alla forma del baccello aperto), la quale riaccosta ai significati originari di lat. faba: vedi più su.

FENAÌLE, enaìle, anaìle, fenáulu ‘avena selvatica’ (Avena fatua L., Avena barbata Brot., Avena sterilis L.). È congruo vedere in fenaìle una paronomasia con base sull’akk. banûm ‘fieno’ (vedi) + awīlu(m), abīlum, a’īlu ‘uomo’, col significato di ‘piantina (per uso) umano’. Se i conti tornano, questo fitonimo è arcaico, sortito almeno 10.000 anni or sono agli albori dell’Età Neolitica e relativo ad una piantina che venne selezionata (a discapito di altre selvatiche) per produrre delle cultivars di avena coltivabili ad uso umano.

FENÁPU ‘avena selvatica’ (Avena sterilis L.), composto sardiano con base nell’akk. ban apu ‘fieno degli stagni’ (stato costrutto di banûm: vedi lemma fenu) + apu ‘degli stagni’. Questa costruzione è strutturalmente identica all’akk. qān apu ‘cannuccia degli stagni’.

FENÁULU ‘avena selvatica’. Vedi fenaìle.

FÉNU ‘fieno’, termine identico al lat. fēnum, faenum che è considerato di etimo incerto. In realtà l’uno e l’altro termine hanno base etim. nell’akk. banûm ‘generare, produrre’ (OCE II 400).

FÉNU ÁVRINU è una graminacea (Brachypodium pinnatum P.B.), così chiamata a Tempio. Termine sardiano con base nell’akk. banûm ‘(piantina per) creare’ + abru(m) ‘forte, robusta’. Il fieno in ogni epoca (certi fieni), oltreché essere una graminacea appetita dai ruminanti, è sempre stato usato dalle donne per costruire cestini. Ma forse qui il concetto della forza si riferisce a quella ricevuta dagli animali pascolanti.

FÉNU BÓNU ‘paleo odoroso’ (Anthoxanthum odoratum L.). Il fatto che in mezza Europa la semantica del fitonimo sardo fénu bόnu abbia riferimenti al buon odore, merita una ricerca appropriata, che purtroppo non può iniziare da basi latine poiché esse negli autori antichi non sono riferite. Queste basi stanno nella lingua accadica, che presenta būnu(m), bunnu ‘bontà’ (donde il lat. bŏnus).

FÉNU PÙDIU camp. ‘avena selvatica’ (Avena fatua L., Avena barbata Brot., Avena sterilis L.). Anticamente ogni fitonimo aveva significati ben precisi. E se è vero che in Sardegna, secondo le aree geografiche o linguistiche, la stessa piantina ricevette nomi diversi, ogni nome ebbe però in sè stesso la specificazione delle qualità o dell’aspetto che più colpiva la fantasia del pastore. La dimostrazione sta proprio nell’ampia casistica relativa alle graminacee (vedi fenaìle, fenápu, fenáulu, fenu ávrinu, fenu traínu, ferrágine, e così via). Fénu pùdiu è fitonimo sardiano con base nell’akk. banûm ‘(pianta per) creare, produrre’ + pūdu(m), būdu(m) (designazione di una pecora), col significato di ‘fieno di pecore’.

FÉNU TRAÍNU è un’erba forte, una graminacea infestante, una ammofila, che cresce nei siti di ristagno dell’acqua piovana o lungo certe golene dei ruscelli, o addirittura sulle dune sabbiose (Phleum arenarium secondo Puddu, ma non corrisponde!), erba che nell’antichità (in molti paesi sardi ancora oggi) era prelevata per legare strettamente e compattare i fieni più grossi coi quali venivano creati i cestini. Non c’è dubbio che la prima parte del composto sia il sardo fénu ‘fieno’, e la seconda il sardo traghínu, traínu ‘piccolo rivo’. Ma va osservata l’origine dei due termini: fénu (lat. fēnum) < akk. banûm ‘(pianta per) creare, produrre’; traínu < sum. tir (a plant) + a ‘acqua’ + gina ‘stringere con un morsetto’ (composto tir-a-gina > sardo *t(i)raghìna, masch. traghínu), col significato di ‘piantina d’acqua per annodare’. Questa è precisamente la funzione del fénu traìnu, utilizzato per annodare robustamente le commessure dei cestini.
Va da sé che il sardo traínu, traghínu, indicante il ruscello, nel nostro caso è una metonimia; da essa nel Medioevo occorse ripartire per ricostruire il termine e la semantica originarie, oramai obnubilate, onde l’originario traghínu che indicava il ‘fieno per annodare’ ebbe bisogno di giustapporsi al pleonastico fénu (divenendo fénu traghínu) al fine di ricomporre il fitonimo originario.
A Sìnnai tale erba, che cresce nelle dune marine di Solanas, è detto fenu tranu: Cossu 89.

FENU TRANU ‘ammofila’ (Ammophila arenaria). Vedi fenu traínu.

FERRÁGINE centr., farráni, forráni camp., farráina log. ‘erba ricavata dall’orzo per il nutrimento del cavallo’. Cfr. lat. farragō. Il termine latino e quello sardo hanno origini concordi e sono pressoché identici all’akk. paraḫu, parā’u(m) ‘mietere il foraggio’; parā’u ‘germogliare’ di piantina.

FÉRULA fitonimo usato da vari autori latini, compreso Plinio, per quanto si riferisca ad una pianta ritenuta endemica e forse autoctona della Sardegna (ma esiste anche nel nord-Africa). I linguisti non hanno prodotto alcuna etimologia, forse in virtù del fatto che la pianta, considerata autoctona della Sardegna, è quasi il simbolo della flora sarda. Per poter afferrare l’etimo, occorrerebbe anzitutto osservare questa strana pianta erbacea, alta persino quattro metri, eretta e bellissima, che s’accampa solitaria tra le erbe prevalenti o tra la macchia rada. Essa predilige i suoli vulcanici, dove cresce superbamente, ma non disdegna di vivere in ogni altro tipo di suolo.
L’analisi etimologica consente di considerare férula un composto sardiano con base nell’akk. per’u(m) (una pianta) + ullû(m) ‘elevato, alto’, col significato di ‘pianta alta’. Questa opzione rende conto degli allomorfi di férula, quale camp. féurra e feùrra. Quest’ultimo sembra proprio l’erede diretto di per’u ullû, che in stato-costrutto deve aver dato *per-ullu, ed in seguito *perullu deve aver prodotto la metatesi con trasferimento di -r- dalla prima sillaba alla seconda (*pe-urra > feùrra).

FÉURRA BURDA ‘Tapsia’ (Thapsia garganica). Per l’etimologia vedi férula, cui qualcuno la rassomiglia.

FEURRATZU centr. e camp. ‘fungo carnoso’ (Pleurotus ostreatus var. ferulae). Per l’etimo vai a feùrra, rispetto a cui feurratzu ha aggiunto l’akk. aḫu ‘brother, fratello’. Feurratzu significa ‘affratellato alla ferula, consanguineo della ferula’ (infatti nasce sulle radici della ferula).

FEURRATZU ‘basilisco’ (Magydaris pastinaca). Per l’etimologia vedi férula, cui qualcuno la rassomiglia.

FIGU log. ‘fico’ (siconio ed anche albero) è un lemma sardo soltanto parallelo al latino fīcus, espresso in greco con σύκον. Nonostante che le ricerche sinora fatte dai linguisti abbiano approdato al nulla etimologico, intendo comunque discutere l’ultima posizione, quella del Semerano (OCE II 403), che pone a base l’akk. sīqu ‘stretto, narrow’. Questa origine è indiretta, dovuta al fatto che questi lemmi sono la vera base di ficca, figa ‘vulva’ (vedi), chiamata in lat. anche fīcus (OCE II 403) per quanto ciò non appaia registrato nei vocabolari in virtù della ottusa verecondia dei linguisti. Da fīcus, figu, ficca in quanto ‘vulva’ ebbe origine derivata anche il ‘siconio’, per la sua morbidezza e per il fatto che, al termine della fioritura, si apre mostrando (quasi come una vulva) la straordinaria polpa rosso-rubino.
In ogni modo, la base più congrua è il sum. peš ‘fico’ + gu ‘nutrire’, quindi il composto peš-gu significò fin dall’origine ‘fico nutriente’.

FIGUERGA ‘fico polposo, bello’. Nel Sinnaese è un sito famoso per le sorgenti; nell’area ci sono ben tre toponimi: Figuèrga, Riu Figuèrga, Cuile Figuèrga. Cfr. Pisuèrga.
Erga deriva direttamente dal babilonese erḫu ‘aggressivo, provocante’ (per l’evidente bellezza del siconio). Per il resto, vedi etimologia al lemma figu.

FIGU MORISCA ‘ficodindia’. In Sardegna c’è un concorrere di linguisti, a loro volta influenzati dai botanici, che sostengono l’origine del termine dalla Spagna, dove l’Opuntia ficus-indica è chiamata higuera de moro (cat. figuera de moro): Wagner DES 128. Si sostiene che gli Spagnoli chiamarono in tal modo il fico d’India “perché importato dagli Arabi”. Ma tale diceria osta col fatto che gli Spagnoli sono gli scopritori dell’America, gli stessi importatori dell’Opuntia ficus-indica, ch’era espansa in tutta l’America con focus negli altipiani messicani. Come mai avrebbero dovuto chiamarla “fico degli Arabi”, “fico dei Mori”? Quello della higuera de moro è il più grossolano equivoco della storia della linguistica. Certamente è da pensare che questo fu uno dei primi frutti gustati dagli equipaggi, visto che la scoperta dell’America avvenne il 12 ottobre, quando ai Tropici il fico d’India contiene il massimo della polposità e, specialmente nei luoghi d’origine, si presenta nel massimo vigore.
Va fatta attenzione alla differenza tra higuera de moro / figuera de moro e il sardo figu morìsca. Per quale ragione i Sardi, che erano una colonia catalano-aragonese, avrebbero dovuto tradurre diversamente dai loro dominatori, inserendo quello strano suffisso -ìsca, per giunta credendo che il prodotto provenisse… dagli Arabi? Ecco come la paronomasia (o l’equivoco che dir si voglia) ha agito indisturbata sino ad oggi. In realtà moriscu è un aggettivo sardo, che non significa ‘moresco’ ma ha base nell’akk. mūru(m) ‘giovane animale; giovane toro’ + išku ‘testicolo’, col significato di ‘testicolo di torello’. Fu la strana forma del frutto a colpire i Sardi. A sua volta, higuera de moro significò, per gli Aragonesi, ‘fico del torello’ (sempre con riferimento ai suoi testicoli).

FILA-FILA ‘latte di gallina’ (Ornithogalum umbellatum L.). I fitonimi pili-pili e fila-fila sono sardiani, con base nell’akk. pilpilû ‘amante omosessuale’.

FOLLA camp. ‘foglia’. Vai a fozza.

FOLLA DE CASARÈSA camp. ‘aro o gigaro’ (Arum italicum Mill.). Questa è una paronomasia originata da un fitonimo sardiano con base nell’akk. ḫâsu ‘installare’ + aru ‘gambo, stelo’ + -ša ‘colei che’ (stato costrutto ḫâs-ari-ša). Il fitonimo campidanese nacque col significato di ‘quella dallo spadice innestato’ (il richiamo all’idea dello stelo che “trafigge” il grande petalo e vi s’installa sopra, è lapalissiano, vista la forma singolare dell’aro).

FOLLA DE FERRU camp. ‘acanto’ (Acantus mollis L.), composto sardiano con base nel sum. bir ‘locust’, come dire ‘piante delle locuste’ (forse perché i suoi bordi sono notevolmente tortuosi, quasi fossero brucati dalla locusta).

FOLLA DE NÉRBIUS. Vedi al lemma nerviàda de abba.

FOLLA DE SANTU JORGI camp. ‘acanto’ (Acantus mollis L.). Come ho già scritto per ciuffi-ciuffi (vedi), che è un altro nome dell’acanto, preciso ch’esso predilige i suoli molto umidi, addirittura i siti sorgentiferi, con humus profondo. Non a caso la pianta cresce principalmente a settentrione dell’isola, dove la piovosità è doppia rispetto al meridione e dove i suoli (specialmente quelli di calcare tenero, ma pure quelli delle onnipresenti vulcaniti) creano per l’acanto un humus d’elezione. Quindi folla de Santu Jorgi va visto come una classica paronomasia sortita da un composto sardiano con base nell’akk. šatû(m) ‘tessere, impigliare, intersecare, incrociare’ + urḫu(m) ‘sentiero’, col significato di ‘pianta (folla) impigliante dei sentieri’. Infatti questa pianta grande, rigogliosa e molto aperta, cresce lungo gli antichi viottoli, impedendo fortemente la deambulazione.

FOLLA DE SANTU NICOLÁU camp. ‘acanto’ (Acantus mollis L.). Il fitonimo è un composto sardiano con base nell’akk. šatû(m) ‘tessere, impigliare, intersecare, incrociare’ + nīqu ‘copulation’ + lawûm ‘assediare, circondare, involgere’, col significato complessivo di ‘pianta (folla) che immobilizza in un abbraccio di copula’ (per l’ingombro e la tenacità della pianta, che dove alligna crea delle colonie che invadono i sentieri). Ma l’etimo potrebbe pure avere nel terzo membro componente l’akk. la’û(m) ‘small child’, col significato di ‘pianta che avviluppa e fa all’amore coi bambinetti’ (per il fatto che i bambinetti che procedono in un sentiero ingombro di acanti ne restano letteralmente prigionieri).

FOLLA DE SETTI ENAS (erba ignota le cui foglie erano applicate al vespaio: Cossu 213). La base etimologica sembra l’akk. šettu ‘peccato, atto di negligenza’ + enu(m) ‘signore’ (inteso anche come deità). Anche il vespaio, come peraltro tutte le malattie dell’uomo, era visto come effetto di un peccato contro il Signore.

FOLLA FURISTÈRA (Cossu 238) pianta non meglio identificata che veniva piantata nel cortile ed usata contro i gonfiori o le pre-gangrene. Non registrata nei dizionari. La base etimologica sembra essere akk. purûm ‘abuso’ + išû(m) soffrire di’ malattia + ter’u (a plant), col significato di ‘pianta che cura le sofferenze create dal cattivo uso del corpo’. È normale che in accadico il termine purûm ‘abuso’ venga usato per indicare le intemperanze che l’uomo opera contro di sé, commettendo peccato.

FORNACCÌNA nome di vite sarda ad di uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo riservato agli ampelonimi.

FORRÁNI. Vedi ferrágine.

FOSSONE (Nuorese) ‘campanellino comune’ (Leucojum vernum L.). In ogni modo, fossòne, ossòne sono parole sardiane con base nell’akk. pusūnum, pusummu ‘velo’ (della sposa). È probabile che nell’alta antichità il campanellino fosse scelto per adornare il velo delle spose; oppure il campanellino fu così chiamato perché poteva assomigliare al velo che un tempo dovette ricoprire le donne che andavano alle nozze: basta osservare questo candidissimo e bellissimo fiore per rendersene conto.

FOZZA log., folla camp. ‘foglia’; cfr. lat. folia ‘foglia’, folium ‘petalo’. Se ne ignorò l’origine. Base etimologica è il sum. bul ‘to shake, far tremare, agitare’ (tutto un programma). In Sardegna il prototipo fu il camp. folla.

FOZZA LIGÀDA log. ‘acanto’ (Acantus mollis L.), composto sardiano con base nell’akk. pūṣu(m) ‘bianchezza, macchia bianca’ (riferito specialmente al grano già maturo) + liqtu(m) ‘gleaning, brillante, lucente’ di grano (al plurale). L’appellativo richiama il biancore dei fiori dell’acanto che occhieggiano dalle brattee e s’arrampicano sul fusto quasi come una pannocchia di grano.

FRÁMIU ‘Erica scoparia’ ed ‘Erica arborea’, fitonimo sardiano con base nell’akk. par’um ‘bud, shoot’ of tree, plant + suff. aggettivale sardiano -iu. In accadico il termine è usato ad indicare certe piante, come per’um kalbi ‘dog’s shoot’ (a plant).

FRANCA DE TZIRULÍA o ungra de tzurrulíu o orròs’e gogas ‘peonia’ (Paeonia officinalis L.). Paulis NPPS fa una interessante esposizione delle credenze antiche relative a questa ranuncolacea, creduta peculiare all’uso dei maghi, delle streghe, della dea Ecate, quindi traduce alla lettera i tre nomi qua di seguito riportati come ‘zampa di nibbio’, ‘unghia di nibbio’, ‘rosa delle streghe’. La facile traduzione ha comunque bisogno di una postilla: pure queste parole sarde hanno base accadica.
1. franca, farranca in sardo significa ‘presa molto salda’, ed ha base nell’akk. parāku(m) ‘impedire, ostacolare, bloccare’;
2. tzirulìa, tzurrulìa, tzurrulìu significa ‘nibbio, poiana’ ed ha base nell’akk. ṭerû ‘penetrare, imprimere, battere forte’ + le’û(m) ‘essere potente, capace, padroneggiare’;
3. coga ‘strega’ ha base nell’akk. kukkûm ‘buio, tenebre’ (anche come designazione del mondo sotterraneo) e quqû(m) (designazione di un tipo di serpente): sappiamo che i serpenti erano uno degli ingredienti degli intrugli delle streghe.
Quindi coga ‘strega’, col masch. cogu, non deriva dal lat. cocus per coquus ‘cuoco’ (per il fatto che le streghe sogliono stare in cucina a cuocere erbe e preparare filtri), come sostengono erroneamente Wagner e Paulis. E franca non ha base nell’it. branca ‘zampa’ da un lat. tardo (S.Agostino) col significato di ‘zampa’.

FRASSU ‘frassino’ è forma tipicamente sarda, interpretata da Wagner come regressione dal lat. frāxinus. Ma non sono d’accordo. A mio avviso, la base è sardiana; non a caso ha l’etimo nell’akk. baršu, burāšu, ebr. b(e)rōš ‘un genere di ginepro’ (Juniperus). La forma latina frāxinus per ‘giavellotto’ (Ovidio) denota che il suffisso -ĭnus (cfr. carpĭnus) corrisponde a una forma originaria con funzione determinativa, ‘quello fatto di ginepro’, di frasso appunto (OCE II 410).

FRISA, frissa è la ‘ceppita o énula’ (Inula viscosa vel graveolens). Paulis NPPS ricorda che lo Pseudo Apuleio la chiamava già afrissa. Grazie a quello scrittore, abbiamo la possibilità di scendere alla fase più antica del termine, che è l’akk. abāru(m) ‘abbracciare, abbracciare intensamente’, ‘legare’ + issu ‘donna’, col significato di ‘abbraccia-donne’ a causa della sua viscosità.

FRUSKIAJÒLOS ‘licnide’ (Lychnis alba Mill.), composto sardiano con base nell’akk. būru(m) ‘(bull) calf’ + suḫḫu ‘a mat’ (composto: būr-suḫḫu + sum. ulu ‘fruttifero’ > būr-suḫḫi-ulu), col significato di ‘giocattolo fruttifero per torelli’.

FRUSTICÁJA, ustricàta centr. ‘ortica’ (Urtica dioica ed altre varietà), composto sardiano con base nell’akk. būru(m) ‘(bull) calf’ + sūtu ‘rovo, rosa selvatica’ + sum. iku ‘unità’ (stato costrutto būr-sūt-iku). Il significato è ‘erba (pungente) dei vitelli’.

FUNDURÁSSU. Vedi al lemma cunnurássu e principalmente culurássu.

FUSIGHÍTTU (Sassari) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.), composto sardiano con base nell’akk. pūṣu(m) ‘macchia bianca’ + kittu(m) ‘saldezza, affidabilità, stabilità di condizioni, verità’ etc., col significato di ‘macchia bianca vera’ o simili. Col fitonimo si volle intendere, insomma, l’importanza ed il profumo di queste rose selvatiche.

GÀḌḌARA (Laconi), àḍḍara (Baunéi), gràḍḍara (Nuoro, Dorgáli), làḍḍara log. e camp. ‘galla della quercia’. Secondo NPPS deriva dal lat. gallula. Ma il termine della latinità a sua volta è più antico. Lo abbiamo in akk. gallû(m) (a demon) + suff. sardiano -ra, perché così era considerato questo corpo estraneo in un albero fruttifero.

GALETTA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo relativo agli ampelonimi.

GALLAÙNA cagliar. ‘loto edule’ (Lotus edulis L.), angaturra (Bosa). Gallaùna è composto sardiano con base nell’akk. kalû(m) ‘orpimento’ (una pasta minerale gialla) + unû (a kind of meat), col significato di ‘carne color oro’, causa il color oro del fiore e l’appetibilità della pianta da parte del bestiame.

GALOPPU nome di vite sarda ad di uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo relativo agli ampelonimi.

GALU ‘áloe’ (Aloe vera L.). Paulis NPPS presenta un quadro completo di questa pianta grassa, secondo cui il fitonimo log. galu nient’altro è che il garo di Malacca, a sua volta riflesso dal sanscrito agaru ‘legno dell’Aquilaria agallocha’. «Questo legno, menzionato nella Bibbia insieme alla mirra, al balsamo e ad altre piante aromatiche, è nominato per la prima volta in Europa da Dioscoride 1,21 come gr. agállokhon, termine che si confronta con l’ebr. ’ahalim, ’ahālōth ‘id.’ e con il sanscrito agaru ‘id.’. In origine questo legno aromatico non aveva niente a che fare con la sostanza ottenuta dall’aloe, pianta delle Gigliacee; ma ben presto insorse una confusione, credendosi erroneamente che la droga dell’aloe fosse ricavata dal legno dell’Aquilaria (Miller 65-67). Così, il Vocabolario del Premoli (I,65) spiega la voce aloe: “Pianta gigliacea, perenne, con sostanza fibrosa (canapa d’aloe) e legno odoroso (agalloco). Specie: l’aloe di Barbada, caballino, soccotrino, l’agare, la carata, il garo di Malacca, ecc. – Aloina, il principio amaro dell’aloe, usato per bocca e per iniezioni”». Aloe (Aloexyllon Agallochum nell’Antico Testamento corrisponde a ’ahālōth, אֲהָלוֹת , Sal 45,8; Ct 4,14; Gv 19,39-40 (’αλόης).

GÉSPULA è cognome medievale contenuto nel CSPS 337. La base etimologica sta nel sum. eš ‘albero’, ‘terebinto’ + akk. pūlu ‘calcare’, col significato di ‘albero del calcare’ (si sa che il terebinto è vocato a crescere esclusivamente sul calcare).

GHERDÒNE ‘sugheraccio’. Vedi bardòne.

GHIḌḌOSTRU (Olzai, Orgòsolo), iḍḍòstro (Busachi) ‘Erica arborea’. Il termine è sardiano, basato sull’akk. iddum ‘punto, angolino’ + ūsu(m) ‘goose’ + tūru(m) ‘rifugio’, col significato di ‘luogo di rifugio delle oche’. Evidentemente questa pianta, che predilige i suoli alquanto umidi, in tempi arcaici fu notata come sito di nidificazione delle oche selvatiche.

GHINÌPERU, tzinnìbiri, nìbbaru ‘ginepro’. L’equivalente latino è jeniperus, juniperus, di cui l’Ernout-Meillet non dà l’etimologia. Neppure il DELI. Ha base etimologica nell’akk. ginnû, gennu, kinnû ‘montagna’ + epēru, apāru(m) ‘coprire la testa, indossare, ricoprire; mettere la corona, l’elmo’. A mio avviso il significato del composto è semplicissimo, e per capirlo occorre fare uno sforzo d’astrazione per immaginare come dovevano essere le montagne sarde prima delle grandi deforestazioni, col leccio ch’era il sovrano delle foreste fino a una certa altitudine, la roverella raggiungeva quote superiori, il ginepro arrivava alle vette di quasi tutte le montagne, che in Sardegna raramente superano quota 1000. Ancora oggi il Gennargentu, da quota 1500 sino alla vetta, è privo d’altri alberi, ma non di ginepri: ha infatti moltissimi boschetti di ginepro nano, che lo ricoprono come una miriade di lenzuoli dal tenebroso colore verde-cupo.

GHISÒNI cognome che ha origini sardiane, con base nel sum. ḫiz ‘vegetale’ (sembra: lattuga) + unin ‘pianta’, oppure unu ‘territorio’; il significato fu ‘pianta di lattuga’, oppure ‘terreno ortivo’.

GJÁCCIA, jáccia, jacciòne gall. ‘ginepro fenicio’ (Juniperus phoenicea L.). In Gallura abbiamo anche la variante ajácciu ‘ginepro rosso’ (cfr. lig. agáyžu ‘ginepro rosso’).
I primi due fitonimi (gjáccia, jáccia) hanno la comune base accadica ḫakê avverbio ‘storto, tortuoso; di traverso’, con riferimento ai ginepri sardi (e della Corsica: da cui il toponimo Ajácciu) che non hanno una sagoma diritta come il ‘ginepro fenicio’. In Gallura la denominazione dei ginepri è stata invertita, come si nota. A controprova abbiamo il sardo sabínu ‘ginepro fenicio’ (vedi). L’altra controprova è proprio ajácciu, che ha il prefisso negativo akk. ai (posto davanti alle consonanti), che in composto fa aiḫakê ‘non-storto, privo di tortuosità’. Sembra incredibile che già parecchi millenni addietro la differenza di portamento e d’uso dei due generi di ginepri (quello spinoso e quello non-spinoso) fosse distinta anche nominalmente. Jacciòne a sua volta sembrerebbe un vero superlativo, ad indicare l’uso elettivo del ginepro fenicio in carpenteria. Vedi al riguardo la discussione al lemma sabínu.

GIÀLLARA ‘guaderella’ (Reseda lutea L.), fitonimo sardiano con base nell’akk. ḫallā (a plant name) + sum. ra ‘puro, chiaro’ (in senso di ‘bello’), col significato di ‘pianta incantevole’ (basta vederla per capirlo). Sembra di capire che in origine la parola era accentata come giallàra. Di essa si è fatto il cognome Giallàra, che in origine fu certamente un nome muliebre.

GIAMPÀNA sass. ‘pervinca’ (Vinca difformis), composto sardiano con base nell’akk. ḫanāpu ‘adulare, corteggiare, donare’ + pānu(m) (a basket) [stato-costrutto ḫan(a)p-panu], col significato di ‘(fiore per) cesti adulatori’ (ossia per farne dono alle ragazze sotto forma di bouquets).

GIORÌCA log. ‘chiarella minore’ o ‘salvia minore’ (Salvia verbenaca L.). Il fitonimo è composto sardiano, da akk. ḫūru ‘son’ + ikû(m) ‘campo’, col significato di ‘figlio dei campi’.

GIRÒ, Ziròne. Per l’etimo vai al capitolo relativo agli ampelonimi.

GIUNKÌGLIU ‘narciso’ (Narcissus tazetta L.) ma anche ‘giunchiglia’ (Narcissus Jonquilla L.). Cfr. sp. junqillo, cat. jonquill. Le forme iberiche, quella italiana e quella sarda hanno base comune nell’akk. gukku ‘dolce’ + ilu(m) ‘dio’ (stato costr. gukk-ilu ed epentesi di -n- eufonica), col significato di ‘dolce degli déi’ con riguardo alla rara bellezza del fiore.

GIÙRU ‘nasturzio, crescione d’acqua’ (Nasturtium officinale L.); sass. giùru-yùru. Per giù-giùru o log. giùru-giùru dobbiamo rinunciare a prendere l’etimo da una parola accadica, questa volta a causa della distanza semantica: si tratta di ḫuruḫuru (un tipo di pane). Invece accediamo al vero etimo che è akk. ya(‘u)ru, ayyaru(m), iyarum ‘fiore, rosetta; un certo tipo di fiore’. Con questo nome sono indicati una serie di fiori importanti. Il raddoppiamento della parola sassarese è di tipo superlativo ed attiene al fatto che l’erba è notissima e cura una lunga serie di malanni. In ogni modo è possibile che il raddoppio presente nell’area sassarese (ma non solo) non sia altro che un calco dell’akk. ḫuruḫuru ‘pane’, per il fatto che questa piantina nel passato dovette essere usatissima come companatico e, se del caso, almeno in periodo di carestia, dovette fare le momentanee veci del pane.

GIÙRU-GIÙRU, giù-giùru ‘nasturzio’. Per l’etimo vedi giùru.

GIÙSPINU ‘senape bianca’ (Sinapis alba L.). Propendo a vedere in giùspinu un lemma sardiano con base nell’akk. ḫušu(m) ‘pezzetti, semi’ + pênu ‘macinare’, col significato di ‘semi macinati’ (giusto com’è la procedura di confezione della senape in quanto condimento).

GOLÒSTIU. Vedi bolòstiu.

GRÀḌḌARA ‘galla della quercia’. Vedi gàḍḍara.

GRÁMENE centr., rámine, erámine log., rámini sass., trémimi (Isili); log. ramínzu, eremínzu, (Milis) arramanárzu; è la ‘gramigna’ (Cynodon dactylon Pers.). Giusto NPPS 266, la discendenza diretta è dal lat. gramen ‘stelo, erba’; arramanárzu ha il suffisso lat. -arius. Ma in questo caso va notato che l’adattamento alla forma latina è un fatto seriore, rispetto alla base sum. gurun ‘seme’ (v. lat. granum, gramen con la suggestione di basi come il sum. gar-, egara ‘immagazzinare, to store’, akk. garānum, qarānum ‘immagazzinare’) (Semerano, OCE II 418).

GRANU ‘grano’, collaterale ma non subordinato al lat. grānum. Ambo i termini hanno la base nel sum. gurun ‘frutto, seme’, akk. garānu(m), qarānu(m) ‘impilare’, ‘ammucchiare’ le granaglie sull’aia, ug. grn, ebr. gōren ‘aia, luogo per trebbiare’ (OCE II 420).

GRANÚDU ‘ortica’ (Urtica dioica). La base del fitonimo sta nell’akk. garānu(m) ‘creare un sollevamento, un mucchietto’ + ūdu ‘distress, affliction’ (stato costrutto garān-ūdu > g(a)rān-ūdu), col significato di ‘(pianta che) affligge con sollevamenti (cutanei)’. È tipico dell’Urtica essere particolarmente urticante.

GRAVELLÍNU ‘garofano selvatico’ (Dyanthus sylvestris). Gravellínu, gravéllu partecipano a pari titolo dell’etimo del cat. clavell, avendo la base comune nell’akk. karab-ellû (karābu ‘preghiera, benedizione’, ellû ‘alto, esaltato’), col significato di ‘preghiera all’Altissimo’ per il gradevole profumo.

GRAVELLU camp. ‘garofano’. Per la discussione e l’etimo vedi gravellίnu.

GRÙSPINU. Vedi gùspinu.

GUADÁNGIU camp., balanzu log. ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.), composto sardiano con base nell’akk. ḫadû ‘joy’ + annu(m) ‘(parola di) assenso, approvazione’ negli omina. Il significato è quindi ‘consenso gioioso’, ‘gioiosa empatia’, oppure ‘gioiosa positività’. La ragione del nome poetico sta nell’uso polivalente ed intenso che si faceva di questa pianta profumata, nella medicina popolare anzitutto ma anche nella medicina magica (vedi Atzei PTPS 47-48). La forma logudorese balánzu si spiega facilmente, partendo dalla stessa base accadica, secondo le leggi fonetiche logudoresi.

GUÁDU ‘erba guado’ (Isatis tinctoria L.). Paulis NPPS dà per il sardo il nome simil-italiano, citando DELI che ritiene la parola ‘guado’ un imprestito dal longobardo *waid ‘erba tintoria’. Se le cose stessero così, in Sardegna la parola sarebbe pervenuta per via colta sul finire del Medioevo, per quanto un’ammissione del genere resti gravida di perplessità. Vale in ogni modo far notare che tale base fonetica dovrebbe essere passata ai Longobardi attraverso i Popoli delle Steppe, che sono gli unici ad aver conservato e propagato nell’Eurasia dei termini che risalgono quasi sempre alla Koiné Neolitica. In questo caso, la base fonetica più antica è testimoniata dall’akk. ḫadû ‘gioioso’, ḫadû(m) ‘gioia’, col significato di ‘(erba della) gioia’ a causa del suo portamento alquanto simile a quello delle ombrellifere ed a causa dei fiori dal bel colore giallo.

GURÉU ‘cardo selvatico’. Vedi carduréu.

GUSÁJU barbar. ‘aglio angolare’ (Allium triquetrum L.), termine sardiano con base nell’akk. guzû (a medicinal plant), con suffisso anch’esso sardiano. Ma può avere pure la base accadica ūsu(m) ‘buona pratica, uso, tradizione, costume’, col significato di ‘(piantina della) buona pratica’ (nel senso che si mangiava usualmente, serviva a curare, serviva all’appetito sessuale, ai condimenti, persino all’acquisto di schiavi o di altra merce a causa del suo alto potere d’acquisto). Per capire il valore commerciale dell’aglio nell’antichità, vedi al lemma coḍḍigùltu.

GÙSPINU barbaric., grùspinu (Bitti), òspinu (Bolòtana) ‘nasturzio, crescione’ (Nasturtium officinale L.). Paulis NPPS fa notare che nello Pseudo Apuleio ed in alcune glosse è scritto che i Cartaginesi chiamavano il nasturzio cusmin. E deduce che cusmin sia la base fonetica donde si giunse, attraverso una certa corruzione, all’attuale gùspinu. Prima di trarre una conclusione osservo che il Dizionario Fenicio di Fuentes Estanol dà la sola voce fenicia cumin come ‘cumino’. Con ciò non metto in dubbio la precisione delle notizie tardo-latine né la correttezza della forma cusmin per ‘nasturzio’. Evidentemente in fenicio-punico esistevano due forme alquanto simili (cumin e cusmin) per indicare due piante alquanto diverse. Non è una sorpresa, essendo un fenomeno che ha riguardato le lingue di tutti i popoli, e pure la lingua sarda attuale.
Il problema è un altro: tra cusmin e gùspinu o grùspinu c’è una forte differenza fonetica, ed è difficile dimostrare l’originaria vicinanza delle forme. Tutto qui. NPPS fa pure altri ragionamenti, cui rinvio. Qui mi pare di dover aggiungere che gùspinu, grùspinu, òspinu non sono nemmeno allomorfi di giùspinu ‘senape bianca’ (vedi). Allora sembra ovvio che il vero etimo del fitonimo sardo si trovi in un composto sardiano con base nell’accadico. Per grùspinu abbiamo ḫuruššu (a vegetable) + pīnu ‘gold’, col significato sintetico di ‘piantina d’oro’ (per le alte virtù curative dovute al grande apporto in vitamine); per gùspinu, la base sardiana si resse sull’akk. ḫusû (a kind of owl) + pīnu ‘gold’, col significato di ‘oro delle civette’ (sempre con riferimento all’alta virtù terapeutica della piantina).
Per tornare alla voce cartaginese cusmin, essa è certamente un composto, e rilevo che per i Babilonesi kūṣu(m) era un aggettivo significante ‘invernale, dell’inverno’ (in relazione alle pecore, ai vegetali); giustapponendola all’akk. mēnum ‘love’, abbiamo lo stato costrutto kūṣ-mēnum che deve aver significato a un dipresso ‘(erba dell’)amore invernale’ (nel senso che l’energia ed il benessere trasmessi dall’erba garantivano la riuscita dell’accoppiamento degli armenti.
Per capire meglio l’etimologia qui proposta, occorre pensare che ogni regione geografica ha i propri climi. Poiché il nasturzio cresce soltanto nei rivi che scorrono perennemente o almeno in gran parte dell’anno, va sottolineato il fatto che nel vasto territorio soggetto a Cartagine, in territorio africano, quasi ogni rivo, in estate, era secco. I rivi scorrono dall’Atlante al Mediterraneo soltanto d’inverno e in primavera. Di qui l’origine del fitonimo punico, poiché è durante l’inverno che gli armenti riescono a cibarsi della piantina miracolosa, e ricevere così un forte impulso all’estro.

ÌLIXI camp. ‘leccio’. Per la discussione e l’etimologia vedi ixi.

INKÌSA ‘(Nuragus) ‘cicerchia’, ankìsa (Wagner) (Lathyrus cicera et sativus). Paulis NPPS ne propone l’origine dal cat. guixa (cfr. prov. geissa > franc. gesse; alto arag. ĝisa ‘pisello, lenticchia e sim.’). In realtà tutte queste forme sono panmediterranee ed hanno base nell’akk. anḫu(m) ‘stanco’ + isu(m) ‘mascelle’, col significato di ‘mascelle stanche’, evidentemente per il fatto che il frutto, deiscente, a maturazione s’apre mostrando la fila dei semi, allineati come la dentatura in una bocca stanca.

INTÉRTSU ‘vitalba’ (Clematis vitalba L.). Vedi istérzu.

INTRÉTTSU ‘vitalba’ (Clematis vitalba L.). Vedi istérzu.

INTRÍTSU ‘vitalba’ (Clematis vitalba L.). Vedi istérzu.

IPPÀRRA-PACCIÒCCIU. Vai a sperra-pillittu.

IRIMULATTA, ambuàttsa. Vedi armuratta.

ISÁPPIU ‘enante crocata’ (Oenanthe crocata L.). Paulis NPPS 143-149 fa una lunghissima disamina di questo fitonimo, registrato dal Camarda ad Orani e nell’area del Monte Albo (a Bitti indica la ‘cicuta’). Paulis identifica nell’isáppiu la celeberrima “erba sardonica” o “sardonia”. «Di tutte le specie di Oenanthe questa è la più velenosa. Provoca intossicazioni mortali, caratterizzate da fenomeni di violenta infiammazione gastro-enterica, accompagnati da brividi, sudore freddo, midriasi, angoscia respiratoria, convulsioni, delirio, stupore e talora anche sincope. Il succo della pianta fresca, quando entra in contatto con l’aria, assume un caratteristico colore giallo zafferano. Cresce nei luoghi umidi, soprattutto presso i corsi d’acqua… Possiamo arrivare alla soluzione… (del)… problema etimologico considerando la ricca tradizione del mondo classico relativa ad un’erba velenosa… la cui ingestione provocava la morte attraverso un quadro clinico caratterizzato da spasmi muscolari e contrazione delle labbra, con messa in evidenza dei denti come quando si ride, donde, a detta di molti autori antichi, l’origine dell’espressione gr. sardónios gélōs ‘riso sardonico’… Dioscoride, alex. 14, descrive l’erba sardonica come simile ad un ranuncolo… caratteristico della Sardegna (De materia medica 2, 175,1)». Paulis cita vari passi di Dioscoride, nonché del suo interpolatore, e pure di Paolo Egineta 5,51, di Sallustio (hist.frg. II,10, apud Serv. Ad Bucol. VII,41), di Plinio (N.H. 20,116). «Da tutto ciò discende la conclusione che l’”erba sardonia” dell’antichità era l’Oenanthe crocata, la quale essendo un’ombrellifera molto somigliante al sedano selvatico, era definita da tutti gli autori antichi simile al sedano ed in particolare al sedano selvatico».
Paulis, nella (falsa) convinzione che, al pari di quasi tutti i fitonimi presentati nelle pagine da lui riferite, anche isáppiu abbia origini greco-latine, conclude così: «Dopo tutto ciò che abbiamo visto sulla tradizione del riso sardonico connesso con l’Oenanthe crocata, non può esservi il minimo dubbio sul fatto che isáppiu, voce oscura per il Wagner, in effetti derivi da risáppiu ‘sedano che provoca il riso’».
Ma Paulis sbaglia. Nel dargli merito di avere operato una vasta disamina delle fonti (i cui passi qui non cito), evidenzio ch’egli non va oltre, si accontenta delle lingue classiche.
La voce latina apium ‘appio delle paludi’ è detta da Dioscoride II, 175 RV σέλινον ΄άγριον· ΄οι δε βατράκιον… ΄Ρωμαῖοι ΄άπιουμ… Θοῦσκοι ΄άπιουμ ρανίνουμ, ossia: “sedano selvatico: alcuni lo chiamano batrachio, i Romani lo chiamano apio, gli Etruschi apio delle rane (ranuncolo)’. Semerano OCE II 343 s’intromette nella questione ritenendolo di origine etrusca, da *ap (acqua), vedi akk. apsû (deep water), akk. abbû ‘stagno, pantano’. Ma se è per questo, pure il gr. σέλινον ha base accadica: salā’u ‘bagnare, versare’, sil’u ‘lo sgorgare’ + īnu ‘sorgente’. In ogni modo, Semerano non ha analizzato la radice is- di isáppiu, la quale deriva dal sum. eš ‘water’; ed è probabile che anche il secondo membro -áppiu non sia altro che il sum. abdu ‘vegetable’. Se le cose stanno in questo modo, allora isáppiu in origine significò tout court ‘pianta acquatica’. Nient’altro. In verità, la Oenanthe crocata è stata da me mangiata parecchie volte senza conseguenze.Quindi sarebbe ora di smettere di cianciare sulla famigerata erba sardònica. Tutto quanto precede indica che il problema è stato affrontato dai linguisti e dai botanici con procedure meramente congetturali. In più, hanno esaminato soltanto un corno della questione, senza affrontare l’etimologia del gr. sardōnios ghélos. Affascinati dall’ideologia che la lingua greca avesse il privilegio della partenogenesi (cosa impossibile nel campo delle etimologie), non si sono accorti che sardōnios ghélos è una paronomàsia. Base etimologica di sardōnios è il sum. šar ‘vacca’ + du ‘imprigionare’: il composto significò ‘imprigionato entro la vacca’. Conosciamo bene il supplizio egeo d’imprigionare la gente entro una vacca di bronzo e dargli fuoco. Il gr. sardōnios ghelos indica le urla straziate di quel disgraziato. Dobbiamo assolvere l’Enante.

ISCHATZOFFA sass., cartzoffa log., iscartzoffa (Bitti, Dorgali), iχχatzoffa (Ploaghe, Sassari); cancioffa camp. ‘carciofo’; anche catalano. Base etimologica è l’ar. ḥaršūf (DELI) < sum. ḫara ‘germoglio, shoot’ + šub ‘to lay down, deporre; to fall, cadere; to drop, tagliare’. Quindi in origine il composto ḫar-šub significò ‘capolino da tagliare’.

ISCÒVA E PRÉIDI ‘ginestrella comune’ (Osyris alba L.), composto sardiano con base nell’akk. isqu ‘lotto’ come eredità + ubû ‘spessore’ + per’u(m), par’um ‘bud, shoot’ (composto: isq-ubû-par’um), col significato sintetico di ‘virgulto vocato alle funi, a fare spessore’. Da notare che par’um somiglia molto al camp. para ‘frate’, e da qui prese le mosse la forma log. prédi ‘prete’ con cui oggi è conosciuta.

ISCRARÉIA, iscarèa in Ogliastra significa ‘stelo dell’asfodelo’, ma con minime varianti fonetiche significa, qua e là in Sardegna, ‘asfodelo’ (Asphodelus ramosus vel phistulosus). Iscraréia è composto sardiano con base nell’akk. ḫesru, ḫasrum ‘strappato e fatto a brandelli, a listarelle’, come vien fatto allo stelo dell’asfodelo per farne cestini. La seconda parte -réja deriva dall’akk. rē’û(m) ‘pastore’. Quindi iscarèa, iscraréja significa ‘stelo tessile dei pastori (usato per i cestini)’. Si deve notare principalmente la base akk. saḫāru(m) che esprime l’insistito concetto di ‘girare attorno, contornare, circuire’, in questo caso riferito al fatto che il gambo dell’asfodelo viene usato (anche intero) curvandolo e costruendo a spire ogni tipo di cestino a forma di vaso.

ISCULABADÈḌḌA log. ‘cocco gnidio’ (Daphne gnidium L.). Il cocco gnidio è una pianta velenosa in tutte le sue parti, e nelle epoche passate fu maneggiato con cautela soltanto dagli alchimisti.
Isculabadèḍḍa è composto poetico sardiano con base nell’akk. šuqlu (una pianta degli stagni) + badillum (a bird), col significato di ‘pianta degli uccelli’. Per l’evoluzione fonetica di šuqlu vedi a isculacàcca.

ISCULACÀCCA centr. ‘euforbia’ (Euphorbia dendroides L.). Composto sardiano, certamente nome di fantasia ma non volgare, con base nell’akk. isḫu, išḫu ‘braccio’ (con accezione traslata di ‘ramo’) + lāḫu ‘giovane germoglio’ + akkû ‘gufo, civetta’: stato costrutto isḫu-lāḫ-akkû; il significato arcaico dovrebbe essere, a un dipresso, ‘virgulto di giovane gufo’. A meno che il sardiano iscula- non venga considerato con base nell’akk. šuqlu (una pianta degli stagni) (con possibile evoluzione sardiana *(i)sc(u)la-, col che avremmo come traduzione ‘pianta dei gufi’). Data l’arcaicità del termine sardiano, che può risalire al 2-3000 a.e.v., si può tranquillamente ammettere che nel lungo lasso di tempo di 4-5000 anni la pianta, che normalmente cresce in boschetti solatii, su suoli in pendenza e non proprio umidi, abbia subito l’assimilazione fonetica del nome a quello di una pianta più propriamente idrofila.
Quindi le due possibili traduzioni con base accadica sembrano migliori rispetto ad un italianismo relativo al culo ed alle purghe, anche perché questa pianta fortemente allergizzante e notoriamente velenosa (usata per uccidere i pesci con la tecnica “mordi-e-fuggi”), è sempre stata scartata per uso interno.

ISPÁRTU, anche θinnìga (Lygeum spartum L.) ‘alabardina o sparto’. La voce italiana e quella sardiana hanno base nel bab. išpartu ‘donna che intreccia steli d’erba’, e questo nome deriva da išparum ‘intrecciatore’ e ‘atelier degli intrecciatori’. Lo sparto è una tipica piantina da intreccio.

IŠÒCCORO. Vedi issòkkoro.

ISPÉLIU (Siniscola, Nuoro), istéli (Dorgali) ‘piombaggine’ (Plumbago europea L.). La piombaggine nell’antichità serviva a sanare la vista. In tal guisa, ispéliu risulta essere un fitonimo sardiano con base nell’akk. išû, ešû(m) ‘offuscare’ occhi etc. + belû(m) ‘estinguere’ una malattia, col significato sintetico di ‘sana-occhi’.

ISPERRA-COZZÒNES. Vedi sperra-pillittu.

ISPERRA-CULU ‘borsa del pastore’ (Capsella bursa-pastoris L.). Per la discussione e l’etimo vedi sperra-pillittu.

ISSÒKKORO. Due fitonimi (Helminthia echioides e Dipsacus fullonum o Dipsacus sylvester) ‘cardo dei lanaioli’, convergono in questo nome misterioso del centro-nord (al sud chiamato soččiri o čoččiri). Išòccoro, issòkkoro, istiòccoro, artiòccoro sono reciproche varianti fonetiche. La base etimologica sembra il sum. aš ‘curse, maledizione’ + ukul ‘weed, erbaccia’: in composto aššukul = ‘erbaccia maledetta’. Per una ulteriore discussione vedi sòcciri.

ISSOPU, isopu ‘isopo’ (Hyssopus officinalis L.), piccolo arbusto medicinale il cui aroma ricorda vagamente quello del timo. L’antica pronuncia doveva essere *zupu, da akk. zūpu ‘isopo’ o ‘maggiorana’; cfr ebr. ezòv, אֵזוֹב, Es 12,22; 1Re 5,13; Sal 51,9; Gv 19,29.

ISTÉLI (Dorgali) ‘piombaggine’ (Plumbago europea L.). Per l’etimo vedi ispéliu.

ISTÉRZU, stérzu, intréttsu, intértsu, intrittsu ‘clematide’ (Clematis vitalba L.). Il vocabolo è sardiano con base nell’akk. terṣu(m) ‘tendersi, allungarsi, estendersi’, con riferimento al fatto che la pianta è un formidabile rampicante. Tutti i restanti allomorfi, ivi compreso istérzu, sono evidenti variazioni, talora paronomastiche, di sterzu, che in origine aveva la forma *terzu.

ISTIÒCCORO ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum). Vedi issòkkoro e sòcciri.

IXI (x come nel fr. bijou) ‘leccio’ (Quercus ilex). Forma contratta, tipica del sud Sardegna. La forma intera è ìlixi, centr. e sett. élike, élighe. Il raffronto immediato è col lat. īlex, di cui Semerano (OCE II 432) rintraccia l’etimologia nell’akk. elû, ilû ‘salire, risalire; essere alto’ + eṣṣu, iṣṣu, iṣu ‘tree’. A queste forme dobbiamo abbinare iliš, eliš ‘come un dio’; ricordo anche l’esordio del celebre poema sumero-babilonese Enuma eliš, che significa ‘quando in alto…’. Da tutto ciò immaginiamo due cose: primo, che i lecci in Sardegna anticamente crescevano in modo superbo (non a caso i loro boschi furono chiamati per antonomasia anche nái ‘nave’, costituendo il serbatoio delle travi necessarie a costruire le flotte); secondo, che il leccio era l’albero d’elezione scelto per adorare il Dio supremo e la Dea suprema. Con esso si facevano i pali o totem per adorare la dea della natura Ištar, e con esso si facevano i pali che rappresentavano, sugli altari e nelle processioni, il fallo, l’emblema del Dio maschio (vedi la processione sassarese dei Candelieri). Il leccio, infine, veniva scelto tra quelli più grandi e grossi, tagliato, portato in processione e infine bruciato all’inizio dell’anno (oggi accade in periodo carnevalesco, alla notte di S.Antonio) come rito di adorazione e purificazione: il fallo infatti era il generatore della Natura, la quale presto avrebbe fiorito.
La discussione fatta sinora non è alternativa ma complementare all’altra etimologia di élighe, ìlixi, dall’akk. lūku (a tree: che doveva essere proprio il ‘leccio’). Con tutta evidenza, col passare dei secoli ci fu l’identificazione tra il fitonimo ed i suoi appellativi qua discussi.

JÁCCIA gall. ‘ginepro fenicio’. Vai al lemma gjáccia.

JACCIÒNI gall. ‘ginepro fenicio’. Vai al lemma gjáccia.

KELLEISÒNE, bilisòne, ghilisòne, pilisòne, lisòne, lisiriòne ‘corbezzola’ (la polposa e dolcissima bacca rossa del corbezzolo). Questo nome è sardiano, con base nell’akk. ḫelû(m) ‘essere allegro, brillante, vivace, splendente’ + isu(m) ‘mandibole’ + unû (a kind of meat) (stato-costrutto ḫel-is-unu), col significato sintetico di ‘polpa gioiosa al palato’. È noto che la corbezzola è, in assoluto, il frutto selvatico più dolce e più abbondante della flora sarda. Le varianti bilisòne, pilisòne, lisòne hanno un etimo particolare (vedi). Mentre ghilisòne reca la contaminazione reciproca di kelleisòne e bilisòne.

KERCU log. ‘quercia’ (Quercus pubescens). Il termine è sardiano ed ha la base nell’akk. kerḫu ‘vallo di chiusura, area rinchiusa, fortificata’. Il lat. Quercus può indifferentemente avere la base nell’akk. kerku ‘bloccaggio’, o kerḫu ‘area chiusa da una fortificazione’, da cui sortì la metonimia che trasferì a quest’albero il concetto del blocco, della fortificazione fatta coi robustissimi pali di quercia.

KÉRIGU, kìrigu log. ‘afaca’ (Lathyrus aphaca L.). L’etimo di kérigu si può evincere soltanto se badiamo al suo uso pabulare e, difettando di termini latini o greci, lo scopriamo soltanto aprendo i dizionari semitici. Il fitonimo è un composto sardiano con base nell’akk. qerû(m) ‘to call, invite’ person to meal, deity to offering + igû ‘prince, leader’ < sumero, col significato di ‘(piantina) leader che invita al pasto’. Conosciamo l’alto valore alimentare che la piantina ha per il bestiame.

KESSA, kersa ‘lentisco’ (Pistacia lentiscus) indicato nel DES come relitto paleosardo o nuragico. Sembra proprio così, stando al fatto che appare anche tra i cognomi, registrato nei documenti medievali sardi come Cersa, Kersa, Kessa, Quessa. L’esperienza insegna che quando un termine comune appare anche tra i cognomi registrati nei condaghes o nelle Carte Volgari, allora abbiamo la certezza di un’antichità che supera al volo l’era della colonizzazione romana per attestarsi nell’epoca fenicia e addirittura in quella sardiana. Base etimologica nel bab. qīšu(m), qēšu significa ‘foresta, legna’.
Curioso ma non troppo, anche l’it. cisto ha etimo mesopotamico, derivando dal bab. qištu < qīšu, ed anch’esso originariamente significò ‘foresta, legna’. È ancora più semplice capire il perché di questa semantica: anticamente la foresta d’alto fusto fu un fenomeno sacro e come tale rispettato, al punto che persino la cantieristica navale era praticata in modo da non abbattere l’albero intero ma semplicemente potarlo di un solo ramo portante, affinchè la pianta potesse continuare a vegetare intatta nella sua potenza. Talché furono i rami portanti, non gli alberi in quanto tali, a ricevere nel sardo il nome antonomastico di nài ‘nave’. Ebbene, il cisto divenne per antonomasia la maquis, la macchia, quella parte di vegetazione che potevasi estirpare ad abundantiam per gli usi del focolare, del pane, dell’arrosto, del riscaldamento, senza tema di dissacrare il bosco nobile.

KIMBÁJU E JANA (Samugheo) ‘cardo asinino’ (Carduus pycnocephalus). Per l’etimo vai a cimoriàna.

KIPUḌḌA centr., kibuḍḍa log., cibuḍḍa camp. ‘cipolla’. La voce è simile anche nel lat. tardo cepŭlla, considerato diminutivo di cēpa. In realtà kibuḍḍa è parola mediterranea, con base etimologica nell’akk. ḫībum ‘beloved’ + ullûm ‘exaltated’: il composto ḫīb-ullûm denotò nell’alta antichità una pianta estremamente ‘amata ed esaltata’. Assieme all’aglio fu il companatico dei nostri padri.

KIRIÈLLE ‘crisantemo campestre’ (Nuorese), esattamente si tratta del Chrysanthemum segetum e del Chrysanthemum coronarium. Composto sardiano con base nell’akk. qerû(m) ‘richiamare, invitare’ la divinità all’offerta + ellu(m) ‘brillante, splendente’ (sempre riferito alle cose sacre, oltreché alle cose più pure della natura), col significato di ‘richiamare (la divinità) mediante lo splendore’. Va notato al riguardo che i prati di crisantemi in Sardegna sono spesso immensi, colonizzano interi campi di grano, i maggesi, i prati non pascolati e li ammantano del colore giallo-oro, un vero inno alla gioia dello spirito.

LABRU centr. e log. ‘alloro’. Per la discussione vedi láru.

LACCONARZU, laccanarzu, laccornássiu è una vite sarda produttrice di uve bianche. L’etimo è già stato esaminato al capitolo relativo agli ampelonimi.

LÀḌḌARA ‘galla della quercia’. Vedi gàḍḍara.

LAḌḌÉRIGHE (Bonorva, Borore) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.), composto sardiano con base nel sum. lam ‘tree, sapling, alberello’ + dirga ‘bond, aderenza’: lam-dirga ‘alberello che lega’ (essendo spinoso).

LAMA (Gallura) ’rovo’ (Rubus fruticosus L.). Paulis NPPS lo confronta col còrso lamma ‘rovo, spino’, senza produrre l’etimo. Il fitonimo sardo-còrso è sardiano con base nell’akk. lāmû ‘circondante’ per il fatto che il rovo è un rampicante che s’intrufola nella selva rendendola impenetrabile.

LAMPAJÒNI ‘lampagione o cipollaccio’ (Muscari comosum Mill.), piantina dai numerosi fiorellini bulbosi color blu-violetto che risalgono nel fusto. Base etim. sum. lam ‘to flourish’ + pad ‘to choose’: lam-pad ‘fiore scelto, elegante’ + suffisso sardiano -òni. Lampayòni è detta in Campidano anche la ‘saponaria’ (Saponaria vaccaria), che è tutt’altro fiore, anch’esso bello.

LAMPATTSU. Vedi lapáθu.

LANDE log., lándiri camp. ‘ghianda’, cfr. lat. glāns, glāndis. La forma levigata e ovale richiama i “missili” (sassi da lancio di fiume o di mare, rotondeggianti e capaci di reggere una traiettoria di lancio). Base etimologica è l’ug. ql‘, ebr. q(e)la‘, qāla‘ ‘lanciare’ (OCE II 419).

LÁNDIRI MARRU nell’Iglesiente è la ‘quercia spinosa’ (Quercus coccifera), con etimo nell’ass. marû ‘ingrassato’ o ‘che ingrassa’ (in questo caso, i maiali).

LAPAΘU, lapattu, lampattsu. Si chiamano così vari tipi di ‘romice’ (Rumex o Acetosa). Tali piantine hanno l’acido ossalico e, come si dice, prendono alla gola a causa della fortissima acidità. Infatti il fitonimo deriva direttamente dall’akk. lapātu ‘toccare, afferrare, prendere alla gola’.

LÁRU sass. e log. ‘alloro’; nel Sassarese s’usa prevalentemente aráru. In corrispondenza del termine italiano allòro (derivato dal lat. laurus), esistono in sardo più varianti fonetiche, alcune simili alla forma latina, altre dissimili. Curiosamente, varie forme fonetiche concorrono nelle stesse sub-regioni. Wagner riporta anzitutto la forma lavru centr., log. e camp.; poi laru log.; lau camp.; loweri (Villacidro); egli propende a vedere in lavru o labru la forma iniziale sarda (< lat. laurus), e cita a sostegno il CSP 5: badu de labros; 311: s’iscala dessu labru; 403: flumens de Lauros; CSNT 70: binia in Labros; 95: sa binia de Llauros; Stat.Sass. I, 34 (14r): dessu molinu de lauros. Puddu invece predilige come prototipo la forma aláru, aráru, cui seguono láru, labru, látiu, láu, lóru, louéri.
L’impostazione del Wagner è ideologica: è convinto che il prototipo sardo riferito all’alloro sia lavru o labru per la sua netta somiglianza col lat. laurus; Puddu invece è più libero da schemi, e registra come capostipite la forma più ricorrente che è aláru. Prima di procedere, va chiarito che le forme latineggianti presenti nei condaghes e negli Statuti Sassaresi sono scritte da monaci di cultura latina da poco trasferiti in Sardegna; è quindi ovvia la loro propensione ad attenersi allo schema grafico latino, anche perché gli allomorfi sassaresi o logudoresi erano già in qualche misura simili alla forma latina.
Ma dobbiamo precisare che il latino è soltanto una delle lingue mediterranee che usarono un termine (ed un semantema) già in uso da millenni nella più vasta area eurasiatica. Stando così le cose, non è congruo presentare la forma sassarese e logudorese aráru, aláru come corruzione dal lat. laurus, anche perché in tal caso non si potrebbe dare conto della a- protetica.
La base etimologica di tutti i termini qui presentati sta nell’accadico. Ma prima di procedere occorre ricordare gli usi di questo albero straordinario; mi riferisco agli usi greci e latini (in quanto notissimi), dai quali però sono in grado di dedurre la ragione universale onde quest’albero si chiami laurus, laru e pure alaru ed araru.
L’alloro è la pianta sacra ad Apollo, il cui tempio era circondato da boschetti di allori; i suoi rami ornavano il capo di Apollo e dei poeti, e pure il capo dei flamini in determinate feste; nelle feste e negli avvenimenti di varia origine se ne ornavano anche le immagini dei genitori e degli avi morti; lo stesso avveniva per ornare le case (Cicerone e Tacito); si usava specialmente come segno di vittoria nei trionfi, dove il trionfatore aveva il capo incoronato di alloro e ne teneva in mano un altro ramo; d’alloro erano rivestiti i fasci dei littori; eccetera. Perché questo speciale riguardo per un albero? Anzitutto perché era profumato, ed infatti si usa ancora oggi ad insaporire le pietanze e conservare gli alimenti; poi perch’era sempreverde e se ne potevano staccare i polloni in qualsiasi momento; terzo, l’alloro è l’albero da cui pollonano incessantemente un gran numero di virgulti, talché risulta essere il più ombroso in assoluto nella flora mondiale: quindi esso può essere “alleggerito” costantemente senza danno; quarta considerazione è che i suoi polloni, al pari dei polloni del pioppo e del salice, sono dritti e flessibilissimi, adatti quindi a creare ogni foggia di corona; quinto, l’alloro è il simbolo sempreverde dell’immortalità.
Queste considerazioni a riguardo dell’etimologia sono basilari. Infatti è nell’accadico che abbiamo le forme fonetiche fondamentali riferite alle qualità di questa pianta prodigiosa. Anzitutto abbiamo aru(m) ‘ramo, fronda’ di alberi; ‘gambo’; fu da questa base che sortì il sardiano ar-aru come classica ripetizione superlativa d’origine accadica, ad indicare per antonomasia “l’albero da fronda” (quindi utile per le corone, po sas lótturas). Per inciso ricordo che il nome greco dell’alloro è δάφνη, dall’akk. dapnu ‘aggressivo’, e ciò rammenta l’aggressività di Apollo nel tentare lo stupro della ninfa, la quale si salvò a durissimo prezzo, poiché sua madre, ch’era una dea, la trasformò in alloro. Apollo originariamente fu un dio che puniva, fu un dio guerriero (non a caso ha l’arco e la freccia); la sua protezione fu invocata dai Romani durante la Seconda Guerra Punica, nel 212 a.e.v., istituendo i Ludi Apollinares.
Ma pure la forma sarda láru ha una diretta parentela accadica (senza bisogno di transitare per il latino laurus), da larûm ‘rametto, virgulto’ usato come ornamento. Ne consegue che soltanto le forme centrali e barbaricine (lavru, labru), pur essendo anch’esse di base accadica, sono le uniche ad aver subìto un tardivo influsso latino: la spia è l’inserzione della -b-, -v-.
Prima di chiudere debbo tornare all’inizio della discussione, dove ho segnalato il nome sassarese dell’alloro, aráru, forma fonetica che sembra inusuale, ma trova conferma se la confrontiamo col nome biblico dell’alloro, che è ’ōren, אוֹרֶן (Is 44,14). In tal caso la fonetica sassarese appare chiara: ha base nell’akk. aru ‘ramo’ (sineddoche di albero) + ebr. ’ōren, col significato di ‘albero dell’alloro’. In stato costrutto fa ar-ōren, ma nel Medioevo subì l’influsso del lat. laurum, mutando la -ō- in -ā-.

LARU GRÁBINU (Escalaplano), láu grábinu (Campidano) ‘bupleuro cespuglioso’ (Bupleurum fruticosum L.), composto sardiano con base nell’akk. larû(m) ‘rametto, virgulto’ + garābu(m) ‘scabbia, crosta rognosa’, col significato complessivo di ‘pianta della scabbia’. Sembra probabile che nell’alta antichità questa pianta fosse usata per farne poltiglie da applicare contro la scabbia.

LATÌTERA, letìtera, litìtera centr. ‘cicerchia selvatica’ (Lathyrus silvester L.). È un composto sardiano con base nell’akk. lītu(m), lātu ‘cow’, al pl. anche ‘bestiame’ + ter’u (a plant), col significato di ‘pianta da vacche’. Sappiamo, al riguardo, che questa piantina è quanto di meglio un ruminante possa desiderare (essa, per la stessa ragione, è ricercata anche dall’uomo).

LATTIÈḌḌA PROCEḌḌÌNA camp. ‘cicoria selvatica’ (Cichorium intybus L.). Base etim. di proceḍḍina è l’akk. pulḫu ‘rispetto per’ + (w)ēdû(m) ‘di alto rango’ (stato costrutto pulḫ-ēdûm) col significato di ‘(lattughina tenuta in) alta considerazione’ a causa del ricercato uso gastronomico.

LATTÒRIGHE, lattòricu e simili ‘euforbia’ (Euphorbia). NPPS lo presenta come un derivato di lacte(m), perché l’euforbia distilla un succo lattiginoso, ed è perciò che in latino ed in varie lingue romanze e pure in tedesco è chiamata con epiteto riferito al latte. Semerano OCE II 445 fa notare però che non esiste in indoeuropeo un termine comune per il latte. Il lat. lac corrisponde alla base che ritroviamo in ant.akk. lakûm, femm. lakītum ‘lattante’, ant.bab. lêkum ‘succhiare, lambire, to lick’. Quindi in lattòrighe abbiamo un composto sardiano con base nell’akk. lakûm ‘lattante’ + turqu (a plant) (stato-costrutto lak-turqu), col significato di ‘pianta del latte’, che solo in seguito ha subito per paronomasia l’influsso latino producendo un composto che sembrerebbe scomponibile in *latto-righe.

LATTUCA sass. ‘lattùga’. DELI, manco a dirlo, lo fa derivare dal lat. lactūca, fatto derivare a sua volta da lăcte(m) per il suo umore latteo. I Latini per proprio conto pensavano a tale origine perché non avevano altri termini di paragone. Ma un termine esisteva, era l’akk. laqtu ‘raccolto, accestito’: ciò è tipico delle foglie della lattuga.

LÁU camp. ‘alloro’. Per la discussione vedi láru.

LÁU ‘sedanina d’acqua’ (Apium nodiflorum). Base etim. è il sum. la ‘allagamento, inondazione’ + u ‘dono’, col significato di ‘dono dell’inondazione’. Il nome è tutto un programma, essendo una pianta edule. Quanto al suo nome lat. silaus, ha base nel sum. si ‘to draw water’ + la ‘allagamento, inondazione’ + u ‘dono’, col significato seguente: ‘che attinge il dono dell’inondazione’.

LAVRU centr. e log. ‘alloro’. Per la discussione vedi láru.

LÉPPURI SPOSU (Orroli) ‘loto dei prati’ (Lotus tetragonolobus L.) e (Aritzo) ‘cicerchia selvatica’ (Lathyrus silvester L.), ad Isili ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.). I fitonimi chiamati léppuri sposu sono corruzioni di un fitonimo sardiano basato sull’akk. līpu(m), lēpu ‘discendente, rampollo’ di re o deità + re’û(m) ‘pastura, pabulum’ + šūpû(m) ‘risplendente, famoso’ di deità ecc. + ūsu ‘oca’ (stato costrutto lēpu-re-šūp-ūsu). Il significato complessivo è ‘rampollo di celebri pasture per oche’.

LESTINCU. Vedi listincu.

LETÌTERA, latìtera, litìtera ‘cicerchia selvatica’ (Lathyrus silvester L.). Vedi latìtera. Il nome letìtera si applica in sardo anche ad un’altra cicerchia, la ‘galletta’ (Lathyrus articulatus L.).

LÌBIDA, libidàna centr. ‘ginestrella comune’ (Osyris alba L.): bellissima piantina che produce un frutto rosso in cima ad ogni rametto. Il nome sardo è un composto sardiano con base nell’akk. lī’bu(m) (a serious disease with associated fever) + (w)ēdu(m) ‘Asa foetida’ (a medicinal plant). Il significato complessivo è, a un dipresso, ‘pianta delle malattie gravi’. Per capirne la semantica, occorre sapere che l’Asa foetida è ancora oggi una pianta i cui principi attivi curano una pletora di malattie, le più svariate, a cominciare proprio da quelle che s’accompagnano a febbre. Evidentemente le virtù di questa pianta miracolosa erano già conosciute nell’alta antichità, donde il nome che è tutto un programma. Va da sé che libidàna è un aggettivale di lìbida.

LIBIDÀNA, lìbida centr. ‘ginestrella comune’ (Osyris alba L.). Per la discussione e l’etimo vedi lìbida.

LICARISSU ‘liquirizia’ (Glicyrrhiza glabra), chiamata anche licarìssa, dalle cui radici dolci si ricava, direttamente o per trasformazione, una caramella. Dobbiamo intendere la forma greca (= ‘radice dolce’) conforme all’originale, non rotacizzato, di origine mesopotamica, ch’era *licalissu. Nel nord Sardegna con licalissu/licarissu s’intende più che altro un ‘dolce’ preparato in casa con vari ingredienti. Il termine ha base nel bab. līqu ‘palato’ + lišdum, lildu ‘crema’, lišu ‘impasto’.

LICRONÁXU lacconarzu, laccanarzu vitigno ad uve bianche. Si può leggere l’etimo al capitolo riservato agli ampelonimi.

LIDÒNE ‘corbezzolo’. Vedi al lemma liòni.

LIDU (Muravera) ‘correggiola’ (Polygonum aviculare L.), in subordine anche ‘pepe d’acqua’ (Polygonum hydropiper L.), fitonimo sardiano con base nel sum. li ‘rametto, ‘rampollo’ + du ‘costruire, fare’, col significato di ‘rametto da costruzioni’ (forse da qui prese il nome italiano di correggiola ‘legaccio’): il nome in ogni modo gli perviene dal fatto che si ramifica quasi come un rete attaccata al terreno.

LIGADÒRJA centr. ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.). Essa forma una siepe che tende a “sommergere” la pianta portante. Composto sardiano, dall’akk. lī’um ‘toro’ + dūru(m) ‘siepe, recinto’, col significato di ‘siepe dei tori’.

LILLU camp., lίzzu log., lίggiu (Desulo), lίžu (Gallura) ‘giglio’ (Lilium). In Sardegna le varianti del fitonimo lillu sono numerose: lillu biancu, lollòi, lillu e sant’Antòni, erba e sant’Antòni, lillu e sant’Aléni, assussèna, lillizeddu grogu, lillizeddu, fila-fila, lillu persianu, lillu arrùbiu, lillu e sartu, lillu e s’Assunta, lillu e mari, lillu e campagna, ecc. Va da sé che sotto la nomenclatura di lillu, lizzu ci sono, oltre alle liliacee, alcune amarillidacee, l’Ornithogalum, la Scilla, l’Hemerocallis, il Pancratium, il Narcissus, il Gladiolus. Cfr. il lat. līlĭum. Base etimologica è l’akk. ēlilu, ellilu ‘Seifenkraut, saponaria‘, dalla base elēlu ‘essere puro’; ovvero il sum. lili ‘pianta’ (non meglio identificata), o lilia ‘offspring, rampollo, prole’.

LILLU SPOSU (Gladiolus segetum L.), termine sardiano con base nell’akk. suppû ‘pregare, supplicare’ + suff. sardiano -su. Evidentemente questa iridacea sarda era usata nell’antichità come fiore da portare sull’altare della divinità per le suppliche di rito. Per lillu vedi lemma.

LIMBA DE CANE ‘cinoglosso o lingua di cane’ (Cynoglossum officinale L. o Cynoglossum creticum L.), anche ‘viperina maggiore’ (Echium italicum L.). Paulis NPPS fa notare che la semantica relativa alla lingua del cane è comune un po’ a tutta l’Europa antica e moderna, a cominciare dai Greci e dai Romani per giungere sino alla Svezia, alla Polonia, alla Romania, alla Spagna.
Aggiungo che pure la lingua accadica 4300 anni fa aveva, per il Cynoglossum, la stessa definizione (lišānu kalbi = ‘lingua di cane’). Ciò lascia intendere che nella fitonimia mediterranea ed eurasiatica il significato prevalse spesso sulla fonetica, onde ogni popolo abbandonò presto o tardi la fonetica originaria (neolitica?, paleolitica?) in favore dei significanti della propria parlata.
Va da sé che la lingua sarda, avendo lo zoccolo duro immerso nella lingua accadica, prese direttamente da quella il significato di questo fitonimo.
Si noti che per limba de gane in sardo sono note anche le varie specie di Rumex.

LIMBA DE PUḌḌA ‘orchidea’ dei generi Ophrys e Orchis. Composto sardiano con base nell’akk. libbu(m) ‘internal organs’, ‘womb, utero, vulva’ + pūdu(m), būdu(m) (design. of sheep), col significato di ‘vulva di pecora’ (causa la particolare forma). In questo caso, ci possiamo esimere dall’indicare il nome esatto del fiore poiché, a ben vedere, tale sagoma fu vista dagli antichi in più di una orchidea, quelle del tipo Ophrys, del tipo Orchis, del tipo Epipactis, del tipo Serapias. Se ne discostano un po’ quelle del tipo Platanthera e del tipo Aceras.

LIMBA DE BÒES ‘buglossa azzurra’ (Anchusa azurea Mill.), ma anche ‘viperina maggiore’ (Echium italicum L.). Paulis NPPS traduce tout court come ‘lingua di bue’, che sarebbe ispirato dalla forma e ruvidità delle foglie. Indubbiamente lo stesso nome italiano farebbe propendere per questa interpretazione, la quale è rafforzata dal gr. boúglōssos ‘lingua di bue’ e da vari autori latini che richiamano sempre una lingua bovis o simili, nonché dall’intera Europa, Russia compresa, che nominano la pianta con termini riferiti alla lingua di bue.
Anche qui abbiamo lo stesso processo uniforme del tipo limba de cane (vedi), che dal Neolitico propagò nell’Eurasia una semantica identica, espressa però da ogni popolo con la fonetica propria. Il fatto che i popoli moderni abbiano conservato tale semantica, è dovuto all’influsso della lingua latina (lingua bovis, lingua bovina); infatti è proprio la lingua latina il focus da cui si è espanso il concetto nell’Europa moderna, a causa dell’affinità di lingua bovis con la base accadica che di seguito spiego. La Sardegna è la sola area linguistica dove rimasero intatti, dall’accadico, significante e significato, anche qui per influsso della lingua latina. Infatti la base è li’bu(m) (una malattia seria con febbre associata) + bu’’û ‘ricercato, molto richiesto’, che crea un composto sintetico col significato di ‘(pianta) di elezione per combattere le malattie con febbre associata’.

LIMBÒINA log., limbònia (Gairo, Oschiri) ‘borragine comune’ (Borrago officinalis L.), composto sardiano con base nell’akk. li’bu(m) (una malattia seria con febbre associata) + ni’u ‘lord, master’, col significato di ‘(erba) maestra per la cura di gravi malattie con febbre’. Si conoscono le virtù di questa piantina.

LIMBÒNIA ‘borragine comune’. Vedi limbòina.

LIMBÙDA (Montresta) ‘viperina piantaggine’ (Echium plantagineum L.). NPPS sostiene che sia un nome analogo a quello della borragine comune (limbòina). Ma tra i due fitonimi c’è una certa differenza fonetica, e comunque limbùda nel sardo attuale ha un preciso significato, letteralmente ‘linguacciuta’. Siamo in presenza di una paronomasia. Limbùda è composto sardiano con base nell’akk. li’bu(m) (una malattia seria con febbre associata) + ūdu ‘dolore, pena, afflizione’. Sembra di capire che in età arcaica questa pianta fosse utilizzata per lenire i dolori causati da malattie gravi.

LIMÒNE, limòni ‘limone’ (Citrus limonum o limonia). Il terrmine sardo è stato sempre inteso di origine italiana, ma tutti hanno sbagliato, poiché il fitonimo limòne, limòni in Sardegna è sempre esistito per proprio conto, avendo basi sumero-accadiche e dunque essendo lemma mediterraneo. Già il DELI precisa che tale lemma nel Dizionario della Crusca apparve, con la riluttanza dei puristi, soltanto dopo il 1612, per quanto già usato dal Bandello prima del 1544 e presente in testi latini medievali del 1327 a Caserta e del 1360 a Ragusa. DELI precisa che l’etimologia è riconducibile a una voce araba e persiana limūn, «probabilmente da una lingua orientale, introdotta in occidente assieme al frutto, che designa, con i Crociati». Non credo assolutamente alla sua introduzione da parte dei Crociati, per quanto si debba ammettere che questo frutto da intenditori (diciamo pure per uso medico) fosse riservato – tale è la sua natura – esclusivamente alle cure miracolose delle quali è capace, e che solo dai Crociati s’intese l’opportunità di estenderne la coltura. Comunque DELI s’è avvicinato molto alla vera etimologia, della quale purtroppo non ha capito che la base fu il sum. li ‘spremere’ + munu ‘malto’, col significato di ‘malto da spremere’: tale fu, sempre, la coscienza dell’altissimo potere curativo di questo frutto. Vedi l’akk. lêmu(m) ‘consumare, mangiare e bere’ associato al sum. umun ‘forza rivitalizzante’.

LIMPIDEḌḌA ‘maggiorana’ (Origanum majorana L.). Paulis NPPS crede che l’etimo sia dal lat. limpidus “perché col suo decotto si ripulisce l’utero”. Mettendo da parte il facile gioco della paronomasia, diciamo che NPPS si è avvicinato alla vera base etimologica, che è l’akk. lippu ‘tampone, batuffolo’ + ittu(m) ‘caratteristica, natura speciale’, col significato di ‘(erba) per tamponi’; ma sembra più congruo l’etimo akk. lippu ‘tampone, batuffolo’ + dilum ‘(secchio, ciotola) per irrigazione’, col significato di ‘erba-tampone per irrigazioni (vaginali)’. Fra i tanti usi dei tamponi medicinali nell’antichità c’erano anche la cura delle mestruazioni dolorose, e naturalmente delle perdite vaginali dovute ad infezioni.

LIMPORRA ‘cicerbita’ (Sonchus oleraceus L.), ‘lattaiola’ (Chondrilla juncea L.), entrambe cicoriacee ed eduli, mangiate dagli animali da pascolo e pure dai conigli d’allevamento e dalle lepri. A Sassari la cicèrbita è detta całdhu mignòni. Limpòrra, lippòrra ha base nell’akk. līpum, lēpu, lipû(m), lipium ‘grasso (detto di un animale)’ + urrû, urû(m) ‘stallone’ (in quanto animale da monta, sia esso cavallo o toro o animale di bassa corte, compresi i conigli, ma non le lepri che sono imprendibili animali selvatici).

LINGUARÀDA ‘borragine’ (Borrago officinalis). Composto sardiano con base nell’akk. li’bu(m) (una malattia seria con febbre associata) + aradu, (w)ardu(m) ‘servitore, schiavo’, col significato sintetico di ‘(pianta) utile alle malattie con febbre’. Anche per linguaradèḍḍa ci troviamo di fronte a una pianta che gli antichi progenitori utilizzavano contro le malattie con febbre. Quello che oggi sembra un suffisso (-èḍḍa) ha base nell’akk. ellu ‘puro, limpido’ riferito a un dio o all’alto valore di una cosa.

LINGUARÀDA ARESTI camp. ‘buglossa azzurra’ (Anchusa azurea Mill.), composto sardiano con base nell’akk. li’bu(m) (una malattia seria con febbre associata) + aradu, (w)ardu(m) ‘servitore, schiavo’, col significato di ‘(pianta) utile alle malattie con febbre’.

LINGUARADÈḌḌA ‘erba-perla azzurra’ (Lithospermum purpureocaeruleum L.), composto sardiano con base nell’akk. li’bu(m) (una malattia seria con febbre associata) + aradu, (w)ardu(m) ‘servitore, schiavo’, col significato sintetico di ‘(pianta) utile alle malattie con febbre’. Anche per linguaradèḍḍa ci troviamo di fronte a una pianta che gli antichi progenitori utilizzavano contro le malattie con febbre. In essa quello che oggi sembra un suffisso (-èḍḍa) ha base nell’akk. ellu ‘puro, limpido’ riferito a un dio o all’alto valore di una cosa.

LÍNGU’E CANI camp. (Cagliari) ‘lanciola o piantaggine’ (Plantago lanceolata L. o Plantago major L.). Paulis NPPS traduce alla lettera ‘lingua di cane’, adducendo pure dei sinonimi da Pseudo-Dioscoride 2,126, da alcuni dialetti italiani e da alcune lingue europee. Ma questa è una paronomasia, in questo caso di origine latina, contaminata dall’omonimo greco kynóglōsson. La base antica è l’akk. li’bu(m) (malattia seria con febbre associata) + kanû(m) ‘trattare delicatamente’, col significato complessivo di ‘(erba che) tratta delicatamente una malattia febbrile’. Evidentemente nell’alta antichità questa pianta, oggi conosciuta per notevoli qualità (febbrifuga, emolliente, vulneraria, antivirale, espettorante, etc.), era una delle piante elettive contro le malattie gravi produttrici di febbre.

LINNARBU (Urzulei) ‘orniello’ (Fraxinus ornus L.). Paulis NPPS traduce alla lettera ‘legno bianco’, con riferimento al legno da lavoro che è molto chiaro. Ma forse questo fitonimo sembra fare riferimento al fatto che l’albero nasce solitamente sui detriti di falda scoscesi, impervi e fortemente pietrosi che si trovano alla base delle poderose pareti dolomitiche dei territori di Urzuléi, Villanovatulo, Seùi. Ancora oggi, le uniche foreste di ornielli esistono presso gli ultimi due paesi.
Linnárbu è composto sardiano con base nell’akk. elû ‘alto; altura’ + arbu(m) ‘selvaggio, incolto’, col significato complessivo di ‘(albero delle) alture impervie’. La e- originaria di elû si elise per paronomasia, quando il fitonimo fu percepito come ‘legna bianca’ e fu letto (e)linarbu > linnarbu.

LINO, Linu ‘lino’, pianta tessile (Linum usitatissimum); di essa una volta in Sardegna si avevano grandi produzioni al fine delle tessiture casalinghe. Il termine è mediterraneo, comune anche al latino, avente la base nel sum. li ‘ramo, germoglio’ + nu ‘tessere’, col significato di ‘pianta da tessere’.

LIÒNI, oliòne, olliòni, olidòne, lidòne ‘corbezzolo’ (Arbutus unedo L.), fitonimo sardiano con base nell’akk. lī’um (a word for food), oppure lī’um, lûu(m) ‘bull’, col significato sintetico, nel primo caso, di ‘cibo’ (per antonomasia), e nel secondo caso di ‘(frutto di) tori’ + suff. sardiano -ni, -ne. Ma può anche avere origine dal sum. li ‘ramo (pianta)’ + dun ‘profitto’, col significato di ‘pianta del profitto’ (per l’abbondanza e il piacere dei suoi frutti).

LIPPORRA. Vedi limpòrra.

LISANDRU (Ploaghe) ‘macerone’ (Smyrnium olusatrum L.). Per l’etimo vai a olisandru.

LISIRIÒNE (Busachi) ‘corbezzola’, frutto dell’Arbutus unedo L., composto sardiano con base nell’akk. lišu ‘impasto’, ‘marmellata’ + re’û(m), reyum ‘shepherd’, col significato di ‘marmellata dei pastori’.

LISÒNE, bilisòne, pilisòne, kelleisòne, ghilisòne, lisiriòne ‘corbezzola’ (la polposa e dolcissima bacca rossa del corbezzolo). Base etim. nell’akk. lišu ‘impasto’, col significato di ‘marmellata’ (per antonomasia) + sumerico unu ‘cibo’. È noto che la corbezzola è, in assoluto, il frutto selvatico più dolce e più abbondante della flora sarda. Le varianti kelleisòne, bilisòne, pilisòne hanno un etimo particolare (vedi). Mentre ghilisòne reca la contaminazione reciproca di kelleisòne e bilisòne.

LISTINCU, lestincu, lostincu camp. ‘lentischio, lentisco’ (Pistacia lentiscus). È termine già noto dai primi testi volgari: CSMB 105, 106; CV II 2. L’etimologia originaria del fitonimo sardo va cercata nel sum. li ‘oil, to press’ + eš ‘tree’: li-eš significò ‘albero dell’olio’ (ancora oggi in Sardegna dai frutti di questa pianta si estrae un ottimo olio nutritivo e curativo). In seguito tale nome si fuse col nome accadico della stessa pianta, da tīnu ‘un cespuglio fruttifero’ + qû ‘filo, verga’: stato costrutto tīn-qû ‘pianta da verghe’ (i rami della pianta sono utilizzata in Sardegna per confezionare ottimi cestini). Dalla fusione dei due nomi sumero e accadico si ebbe li-eš-tīn-qû, da cui sardo listincu e lestincu e lat. lentiscus.

LITÌTERA, latìtera, letìtera ‘cicerchia selvatica’. Vedi latìtera.

LITTARRU, Litarru gall. ‘fillirea’. Paulis (NPPS 434) dà anche le varianti foniche alatérru, alavérru, ladérru, arridéllu, alidérru, arridéli, litarru ‘alaterno’ (Phyllirea angustiofolia L., Phyllirea latifolia L.). Egli produce l’etimo dal lat. alaternus, che designava non già la fillirea, albero rotondeggiante dal fitto fogliame, alto fino a 9 m, bensì il Rhamnus alaternus L., arbusto inerme, alto da 1 a 5 m, appartenente alla famiglia delle Ramnacee. In particolare nelle foglie e nelle drupe rosso scure, quest’arbusto somiglia alla fillirea. La precisazione è opportuna.
La comune base etimologica dei fitonimi sardo e latino è l’akk. aladiru, ladiru (una pianta).

LOCÁSU ‘betonica glutinosa’ (Stachis glutinosa L.). Per la discussione e l’etimo vedi calacásu.

LOCONÁRI nome di vite sarda ad bianche. Per l’etimo vai al capitolo sugli ampelonimi.

LOCRI (Busachi) ‘verbasco’ (Verbascum thapsus L., ma anche Verbascum blattaria L., Verbascum conocarpum Moris, Verbascum creticum L., Verbascum pulverulentum Vill., Verbascum sinuatum L.). Composto con base nell’akk. lû(m), lī’um ‘bull’ + gūru ‘foliage, leaves’, col significato di ‘foglie dei tori’.

LOLLOIÒSA (Paulilatino) ‘viperina piantaggine’ (Echium plantagineum L.). Base etim. akk. lullu ‘arricchire, dotare di abbondanza’, a quanto pare per la vistosa e bellissima infiorescenza.

LONGUFRÉSU ‘tasso delle montagne’ (Taxus baccata L.). Base etimologica l’akk. lukū (a tree), con seriore epentesi di -n-, + bēru ‘selected’ + esu, eššu ‘sepolcro’ (stato costrutto lukū-bēr-esu). Il significato fu ‘albero scelto dei sepolcri’ (per i frutti mortali, o forse perché anticamente era scelto per ornare i siti sepolcrali: oggi lo si preferisce per ornare il Natale, assieme all’agrifoglio).

LÓSTIA ‘agrifoglio’ (Ilex aquifolium). Vedi sardo lóstiu, retroformazione di numerose varianti colóstri(u), olóstrighe, etc., da confrontare col greco kélastros ‘agrifoglio’ e col navarrese colostia, basco korosti. Il toponimo Sos Ostis, nel Supramonte di Orgosolo, significa ‘(il bosco de)gli agrifogli’. Badu Osti nel Supramonte di Urzuléi è il ‘guado degli agrifogli’. In agro di Alà c’è la località Bolòstiu. Per l’etimologia occorre partire da osti ‘agrifoglio’.
C’è corrispondenza tra costi-golosti-colostri (‘agrifoglio’; è anche nome dell’acero sardo) e il basco korosti, gorosti. Ma in ciò dobbiamo vedere un mero fenomeno di conservazione parallela (remota è la Guascogna, remota la Sardegna: entrambi territori vocati a conservare lemmi che un tempo dovevano essere pan-europei). Base comune del basco-sardo kolostri è l’assiro-bab. kullu ‘mettere il velo (alla sposa), la corona (al re); guarnire di merletti’; anche ‘sostenere (un baldacchino o una corona di re)’ + uštu, ištu, (w)āṣû(m) ‘(di vegetazione) nascere da, essere la conseguenza di’, anche ‘prominente, alto (corpo, vegetazione)’ (stato costrutto kull-uštu > golòstiu). Qua e là, a macchia di leopardo, la Sardegna ha conservato in purezza il secondo membro uštu ‘(albero) prominente, alto’ > òsti, còsti, mentre lòstia è retroformazione di kull-uštu, come abbiamo visto.
Dobbiamo vedere in koròsti, golòstiu (da kull-uštu) un albero deputato a confezionare le corone e altri sacri ornamenti. Con ciò veniamo a sapere che il bellissimo agrifoglio, nella Sardegna degli Šardana, era utilizzato per le incoronazioni, al posto del più banale lauro (che peraltro in natura mancava e che invece nel Lazio abbondava), ed al posto dell’ulivo, prediletto dai Greci.

LÙA ‘euforbia’ (Euphorbia). Cfr. lat. lues ‘veleno, peste in genere’. Il termine latino, da cui non necessariamente deriva quello sardo, ha base mediterranea, condivisa pure dagli Accadici. Infatti, Semerano (OCE,II,461), osserva che si trova anche l’akk. lu’’û (marciume, sozzura, dirty, unclean, sullied), lu’tu (putrefazione, decay: as a disease).

LUCRÉŽU, lukésu (Aritzo) ‘betonica glutinosa’ (Stachis glutinosa L.). Paulis NPPS 115 fa una lunga disquisizione sul lemma, concludendo «che lukréžu riflette il nome “elicriso”, probabilmente attraverso il tosc. elicriso, ricriso, con l’influsso di luži, lughe < LUX, LUCE e con i > e in sede tonica per ipercorrettismo, come in altri imprestiti. Poiché in ligure (Bordighera) varie specie di elicriso si chiamano fiori che fan luce e pure in catalano… sono detti flor de santa Llúcia, si ha buon motivo per ritenere che anche srd. locáu contenga la parola per luce…».
Anche Paulis, nella ricostruzione tramite le lingue romanze, giunge alla stessa conclusione nostra, collegando lukréžu a luce. Ma la nostra ricostruzione è diversa, la stessa fatta per il verbo sardo lùkere, lùghere, lùere ‘rilucere, splendere’. Wagner lo fa derivare dal lat. lūcēre, onde il composto sardo allùere, allùiri (vedi) ‘accendere’, con dileguo secondario del -g-; allùttu ‘acceso, infiammato’. Però la realtà è molto più complessa. Il lat. lūceo ha una vastissima base etimologica, della quale partecipa a pari titolo – non certo in posizione dipendente – anche il termine sardo. All’uopo riprendo la parte essenziale dell’analisi del Semerano (OCE II 459), che richiama l’antichissima radice sumera luḫ- (purificare, v. λευκός candido), gr. λεύσσω vedo, itt. luk-zi ‘divenir chiaro’, sanscr. rocáyati ‘fa brillare’, toc. B lkāsk-au, lat. lūcēscit, gr. *λύκη in ἀμφιλύκη la notte: che annunzia intorno la luce, «diluculum»: è il più bel titolo della notte e occorre accostarlo a quello di Apollo: λυκεῖος che manda il giorno, che sarà stato originariamente attributo di Lucifero, la stella del mattino; più che le basi semitiche richiamate per λύχνος, occorre akk. āliku ‘messaggero’, alāku ‘venire, avanzare, ardere’; con le forme atalluku, italluku ‘to be in motion’, ebr. hālak ‘to wander’, aram. helak; cfr. ebr., ugar. lḥ, radice lwḥ ‘splendere’, arabo lāḥa ‘scintillare, lampeggiare’, ebr. lāhaṭ ‘ardere, accendersi, tu burn, to kindle’. Il lemma sardo attinge alla base etimologica semitica, più che a quella indoeuropea.

LUKÉSU (Aritzo) ‘betonica glutinosa’ (Stachis glutinosa L.). Vedi lucréžu.

LUKKITTU, lukkéttu. Paulis NPPS 115 ricorda «che in alcune località la parola catalana lluquet è passata a designare i funghi usati come esca per il fuoco (bolet d’esca), mentre in altre, partendo dalla nozione di filo d’erba, foglia lineare e sim., ha potuto denominare, nella forma lluqueta, una pianta particolare dei luoghi sassosi e delle rocce calcaree, la Globularia cordifolia L., prostrata e radicante, a scapi nudi o con 1-2 squame, foglie coriacee, lucide, capolini emisferici con denti lanceolato-acuminati e corolla azzurro-carnea. Insomma si è verificato in territorio catalano lo stesso processo semantico che ha avuto luogo in sardo a proposito di ùngos ‘santolina’ < FUNGUS. Nel passo citato (N.H. 16,208), Plinio sottolinea come la scintilla prodotta dall’attrito fornisca il fuoco per mezzo di materiali inzolfati, funghi secchi o foglie… è uno sviluppo semantico naturale, fondato sulla metonimia, quello per cui il nome spettante propriamente al materiale inzolfato o ai funghi possa essere esteso alla pianta che dà le foglie atte alla stessa funzione, cioè all’accensione del fuoco».
È interessante osservare che anticamente certi funghi secchi costituivano un’ottima esca per il fuoco. Il ragionamento di Paulis è giusto, ed è congruo sostenere che il termine catalano lluquet abbia un deciso riferimento alla luce, lat. lux. Paulis giustamente apparenta il termine sardo lukkittu a lukréžu (Aritzo) ‘betonica glutinosa’ (Stachis glutinosa L.), anch’esso legato alla base lux per quanto la sua funzione sia assai diversa.
Va comunque precisato che in sardo, specialmente nel nord dell’isola, lukkittu, lukkéttu indica un’esca solforosa (oggi prodotta industrialmente) accesa e introdotta nelle botti vuote per purificarle prima della vendemmia. Con tutta evidenza, i nostri più antichi vinificatori per purificare le botti prima della vendemmia accendevano ed introducevano in esse proprio le esche composte da funghi secchi. Questi dovevano essere un’esca facile da tenere in tasca al fine di produrre fiamma e luce in qualsiasi istante. Poiché, come detto, la base etimologica di lukkittu è la stessa di lukréžu, rimando a questo termine.

LULLU MALU log., allòrgiu malu camp. ‘zizzania’ (Lolium termulentum L., anche Lolium perenne L.). Il termine è certamente di origine latina (lŏlĭum) con immistione, per camp. allόrgiu, di όrgiu ‘orzo’. Ma la commistione tra fitonimo latino e sardiano avvenne in periodo assai seriore rispetto all’iniziale impiantarsi della lingua latina nelle città della Sardegna. Ciò è dimostrato dal fatto che pure il lat. lŏlĭum ha le basi nel semitico: ebr. lō ‘no’ (negativo) + lĕḥĕm ‘grano, ‘food, grain, bread’, akk. lā ‘no’ (negativo) + lemû ‘to take food’. Per lullu malu avemmo il composto lō-lemû + suff. -lu > *lō-lemû-lu > lullumalu per paronomasia. Come si può notare, il divieto di assumere il loglio come cibo è antico quanto il mondo, essendo legato al fatto che la piantina è parassitata da un fungo velenoso: il fenomeno era noto pure ai Romani (Virgilio, Georg. 1,153 e Plinio N.H. 18,156), oltreché dalle pagine dei Vangeli.

*LUTTSARA ‘clematide’ e ‘salsapariglia’. Vedi aussàra.

MADRÙNCULA bonorvese ‘astragalo’ (Astragalus tragacantha L.p.p.), composto sardiano con base nell’akk. maṭrû ‘livido’ < ṭerû ‘penetrare’ + unqu(m) ‘sigillo di stampa’. La denominazione è in relazione alla vistosa spinosità della piantina: certi animali riescono a mangiarla, ma con estrema cautela.

MALAMÌDA ‘vilucchio’, ‘vilucchio maggiore’, ‘vilucchiello’, ‘cavolo di mare’, ‘campanelle’ (Convolvolus arvensis L., Convolvolus sepium L., Convolvolus cantabrica L., Convolvolus soldanella L., Convolvolus althaeoides L.); secondo Cossu 136, Congia 123, la stessa denominazione (melamìda burda) compete anche alla ‘vite bianca’ e al ‘cencio molle’ (Linaria elatine Mill., var. spuria Mill.). Base etim. nell’akk. malû(m) ‘full, complete, sated’; ‘abbondanza, pienezza’ + mēdû, (w)ēdû(m ‘high placed’, col significato di ‘(pianta rampicante che) risale verso l’alto con abbondanza’.

MALAYÀNA Viburnum tinus. Vedi meliàna.

MALVASÌA, malvagìa vitigno a vino bianco, dolce aromatico. Per la discussione e l’etimologia vai al capitolo degli ampelonimi.

MAMMACCICCA ‘lattaiola’ (Bitti). Per la discussione e l’etimo vedi mammalucca.

MAMMALÌNNA ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.), composto sardiano con base nell’akk. māmū ‘water’ + elû ‘alto’ + suff. sardiano -ina > (diventato -inna dopoché, perdutosi il significato originario, ci fu il disperato bisogno di procedere per paronomasia e identificare il fitonimo con termini noti attualmente). Il significato complessivo del fitonimo originario fu ‘(pianta) alta acquatica’, ‘(pianta) alta delle ripe umide’. Per chiarire i passaggi etimologici, va ricordato che questa pianta predilige i luoghi umidi.
Quanto all’agg. akk. elû ‘alto’, è lo stesso che soprassiede alla formazione dell’oronimo Monte Linas (Gonnosfanadiga, 1260 m). Esso è il più alto della Sardegna meridionale e significa ‘monte delle alture’ (infatti ha una decina di cime affastellate quasi alla stessa altezza): dal bab. elû ‘alto; altura’. Infatti la e- originaria di elû si ritrova attualmente in Mont-e (sardo monti e, monti de), che tradisce un Mont(i) eli-nas ‘Monte delle alte vette’.
Originariamente mammalinna dovette essere pronunciato mam-el-ìna, poi mam-el-ìnna, infine fu sentito come mamm-e-lìnna, mammalinna (che nel sardo attuale significherebbe ‘mamma della legna’: lemmasenza significato).

MAMMALÙCCA ‘lattaiola’, varietà di cicoria. Prima di affrontare il fitonimo, liquido il toponimo Costa Mammalucca (nel Supramonte) dove mammalucca è composto da māmū ‘acqua’ + mālaku ‘passaggio, via’, col significato di ‘la via dell’acqua’ (stato costrutto mām-mālaku). Il toponimo in seguito si è uniformato per paronomasia al fitonimo mammalucca. Per capire l’utilità del toponimo, ricordo che sopra la Gola di Gorropu il Supramonte è veramente terrificante, non tanto e non solo per la difficoltà di deambulare su una marea di sassi mobili e taglienti, o per la quasi certezza di perdersi nei meandri di forre e canaloni dalle forme indistinte, ma principalmente morire per assenza d’acqua. Questo passaggio (sa mammalucca, o Costa mammalucca) era per i Nuragici l’unico ‘accesso all’acqua’ contenuta nella Gola, nel laghetto che sta alla base della mammalucca.
Torno alla lattaiola, un composto con base nell’akk. māmū ‘acqua’ + luku ‘un albero’ (e per estensione una pianta in genere), col significato di ‘pianta d’acqua’, che nella sua generalità si riferisce a certi suffrutici od erbacee le quali hanno bisogno di umidità.
A sua volta una variante del fitonimo mammalucca, il bittese mammaccikka, ha base nell’akk. māmū ‘acqua’ + ḫīqu ‘mescolato, diluito’. Considerata la forte umidità e la conseguente ubertà dell’altopiano bittese, i cui suoli, situati presso quota 1000 e composti di areniti da granito disfatto, che diventano fresche per propria natura, si può capire la causa onde originariamente il nome della lattaiola e di altre cicoriacee abbia esasperato la semantica dell’acqua.

MAMMARÁIDA ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.), composto sardiano con base nell’akk. magru ‘insultante, insolente’ (raddoppiato con finalità superlative: ma-magru + abītu, ebītu ‘una pianta’: stato costrutto ma-magr-abītu), col significato di ‘pianta insultante’, per la cui discussione vai al lemma cima de pastori. Il composto divenne, per stato-costrutto, ma-magr-ábitu/a.

MANTEḌḌOS. Vedi munteḍḍos.

MANZÉSU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MARA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MARMARÍSCU ‘malva arborea’ (Lavatera olbia o arborea). Per l’etimologia non è possibile il confronto con narba ‘malva’. È invece più utile richiamare la denominazione italiana di ‘bastone di S.Antonio’ e simili (con cui la malva arborea o malvòne è nota in Sardegna). È pianta poliennale forte e robusta. Infatti questo fitonimo sardiano ha base etimologica nell’akk. marmaru ‘strong’ + iṣu ‘albero’ + qûm ‘filamento’: marmar-iṣ-qûm = pianta dai forti filamenti’. Nelle poche passate, quando il filo ritorto di cotone era un lusso, questa fu una delle piante d’elezione per ricavare i fili per cucito o per l’intreccio.

MARRAÒLA (Fonni) Rumex acetosa, Rumex acetosella, composto sardiano con base nell’akk. marû(m) ‘ingrassare’ + ullu ‘bull’, col significato di ‘ingrassa-tori’.

MARRÙBIU ‘marrùbio’. La piantina, di sapore amaro, è adatta alle cure del fegato. Base etimologica nell’akk. marru(m) ‘bitter’ (of food, drink) e marruru(m) ‘bitter flour’. Il fitonimo sembra un composto dal bab. marru ‘marra, vanga’ + bi’u ‘drenaggio; squarcio in una parete’, ‘scaturigine d’acqua’. Il toponimo Marrùbiu indica forse i lavori di bonifica che già tremila anni or sono venivano fatti attorno al grande stagno di Marrùbiu, sulle cui sponde si svolgeva l’intensa attività agraria.

MARTIGÙSA (Anela), mattigùsa (Bono), mathricùsia (Nuoro), mathicrùya (Bitti), mathigrùda (Oliena), marthigùsa (Talana), mattsigùsa (Busachi), massigùssia (Jerzu), ecc. NPPS nota che il fitonimo designa estesamente la ‘lerca’ (Cytisus villosus Pour. o triflorus), ma le stesse denominazioni si applicano anche al ‘citiso di Montpellier’ (Cytisus monspessulanus).
Paulis NPPS sostiene che l’etimo di questa parola è il gr.-biz. μερδηκούση ‘maggiorana’, proveniente da merdekuš, merdkuš dell’arabo di Algeri e Tunisi, a sua volta derivato dal persiano marzangúš, mardangúš. I nomi quindi sono pressoché identici, mentre varia la pianta designata, che in Sardegna si riferisce, secondo Moris,II,181, alla Magydaris tomentosa Koch, un’ombrellifera dall’odore greve detta comunemente in log. tùmbaru fémina. Paulis aggiunge che l’identificazione come martigusa della Genista candidans e della Magydaris tomentosa non è stata confermata dai botanici moderni.
In ogni modo, le basi fonetiche ivi proposte possono bastare (per quanto occorra aggiungere che sono anche sardiane), ma al solito alle basi fonetiche manca il significato. Questo può essere appreso dall’akk. martû (a tree) + (w)uṣṣû(m) ‘stendersi, dispiegarsi’, col significato di ‘pianta per fare stuoie’.

MARTINEḌḌA è un tipo di fico. Per l’etimologia e la discussione occorre vedere anche martinìcca.
Base etimologica di sa figu martineḍḍa è l’akk. martu (a plant) + ni’lu ‘seme d’albero, semenza’, che produsse il classico stato costrutto marti-ni’lu onde il sardo marti-neḍḍa. Questa forma lascia intendere che tale siconio fosse proprio quello che gli antichi utilizzavano per inseminare (e con essi creare le barbatelle delle) nuove piantagioni di fichi: era, insomma, il classico fico d’esportazione, quello per la cui preservazione gli antichi Greci (gelosi custodi delle proprie piantagioni) si batterono accanitamente, tanto che nacque la figura del sicofante, colui che denunciava quanti osavano esportare il frutto prelibato. Ma tale frutto era conosciuto anche dai Babilonesi e dai Fenici, ed è tramite loro che arrivò in Sardegna, divenendo per antonomasia Sa figu Chìa, ‘il fico di Chia’.
Sa figa mattìa è una normale variante di martineḍḍa, avvenuta quando oramai si era perso il significato originario e si cominciava ad abbinare martineḍḍa a Martinella (‘piccola Martina’); quindi figa Mattìa = ‘fico Martina’: Mattìa è l’esito fonetico locale da Ma(r)tì(n)a, dovuto alla normale caduta della -r- in molte parlate meridionali + la iper-nasalizzazione e successiva sparizione della -n- (colpo di naso). Il sennorese martinikka per ‘fico’, al posto di martineḍḍa, è una corruzione nell’ambito di una parlata periferica: ecco perché esso è inteso come ‘fico delle scimmie’.

MASAÓCCU camp. ‘rapa selvatica’ (Brassica campestris L.). Questo è certamente un composto sardiano, e sembra avere la base nell’akk. mesū(m) (a type of tree) + uqu ‘people’, col significato di ‘pianta del popolo’.

MATTA log. e camp. ‘albero, pianta, cespuglio’; ma è usatissimo anche nel senso di ‘macchia, maquis’. Nessun linguista è riuscito a trovare la base etimologica del termine, che viene considerato preromano, con ampio utilizzo sino al nord Africa. È assai strano che il Corominas abbia voluto distinguersi e riferire il lemma al lat. matta ‘stuoia di giunco’, senza pensare che manca qualsiasi relazione semantica tra la ‘stuoia di giunco’ e le piante e gli alberi delle foresta, cui matta si riferisce.
Matta è termine sardiano con due basi accadiche: mātu(m), che indica le parti molli, ossia l’area degli intestini, l’area polposa del pollice, e così via (da ciò il sardo matta o matza); e maṭû(m) ‘crescere poco, avere scarse possibilità, abbassarsi di livello, essere impedito’: questi concetti sono tipici della ‘macchia mediterranea’, chiamata in Sardegna proprio matta.

MATTAFALÙGA camp., matafilùga log., matafilùka centr. = cat. matafaluga ‘anice’ (Pimpinella anisum L.), mattafanùga nel Sulcis; è composto sardiano con base nell’akk. maṭû(m) ‘crescere poco’ (onde il sardo matta ‘maquis’), e mātu(m), che indica le parti molli + ballukku(m), palugu (un albero), (una sostanza aromatica prodotta dall’albero ballukku) < sumerico.

MATTÌA (figu mattìa). Per capire l’etimologia vai al lemma martineḍḍa.

MATZUNGA sass., matzùngara log. ‘astragalo’ (Astragalus tragacantha L.p.p.). È un nome di qualità, un predicato che mira in forma sintetica a descrivere la pianta. Sembra congruo considerare matzunga un composto sardiano con base nell’akk. mātu(m) ‘land, country, territorio’ + unqu(m) ‘sigillo da impressione’ (con probabile riferimento al fatto che la piantina presenta molte spine infeste).

MATZÙNGARA. Vedi matzùnga.

MAΘÙΘURU, mathùthuru ‘nasturzio’ o ‘sedanino d’acqua’ (Nasturtium officinale L.), composto sardiano con base nell’akk. maṭû(m) ‘small, little, low-value’, ‘grow scarce’ + ṭuru (medicinal plant), col significato complessivo di ‘piantina dalla scarsa crescita’ (o ‘piantina di poco valore’: se è così, si deve considerare il nome quasi come scaramantico, visto che l’ottimo valore alimentare-curativo della piantina fu senz’altro noto dalla notte dei tempi).

MEḌḌÀCCA (Tonara) ‘acetosella’ (Rumex acetosa L.), composto sardiano con base nell’akk. mertû, martû (a tree) + akû ‘umile’, col significato di ‘piantina umile’.

MEDRULÍNU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MELA DE JANAS Viburnum tinus. Vedi meliàna.

MELAMÌDA ‘vilucchio’. Vai a malamìda.

MELARGA. Vedi miliàcra.

MELEÀNA Viburnum tinus. Vedi meliàna.

MELIÀNA, malayàna, meleàna, miliàna, mela de yànas ‘laurotino o lentaggine’ (Viburnum tinus L.), pianta amante dei boschi e dell’ombra, che cresce altissima, sino a 5 metri. Sembra di vederne l’etimo nell’akk. mēlû(m) ‘altezza’ + anu (sinonimo di albero), col significato di ‘pianta alta’.

MELÒNI ‘melone, popone’ (Cucumis melo). Vedi discussione ed etimo al lemma cugùmmaru ‘cetriolo’.

MÉNDULA ‘mandorlo’ e ‘mandorla’ (Prunus communis); ha origini, secondo i più, dal lat. amygdăla, tardo lat. amandŭla < gr. amygdálē. Il termine è mediterraneo. Nessuno sinora aveva evidenziato l’etimo, che ha base nell’akk. mindu (una pianta) + sum. ul ‘frutta’ = ‘albero fruttifero’.

MERÁPIU sass. ‘un genere di mela’. Il significato sembra, letteralmente, ‘mela-sedano’. In realtà la base del secondo membro -ápiu è il sum. abum ‘a festival’, anche ‘funerary mound’. Per il primo dei due significati, dobbiamo ammettere che tale mela era considerata un prodotto festivo, per la sua bontà. La prospettiva cambia poco col secondo significato, dovendosi intendere che tale mela veniva offerta ai defunti durante le ricorrenze mortuarie. Per l’etimo del membro -ápiu inteso come ‘sedano’, vai invece ad áppiu.

MÌGIU nome di vite che s’alterna con Semidánu. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MILIACRA (Nuoro), miliàgra (Logudoro), melàrga (Nule, Bono) Rumex acetosella. Il primo membro del composto ha base nell’akk. mil’u ‘salnitro’, il secondo ha la base sarda agru ‘acre, acido’. Il significato sintetico non è quindi ‘agro-dolce’ ma ‘salato-acido’, ed è ciò che si percepisce masticando tale erba.

MILIÀNA Viburnum tinus. Vedi meliàna.

MILLÁNO, millánu ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum). Milláno ha base nel sum. mi ‘invocazione’ + la ‘mostrare’ + nu ‘Creatore’, col significato di ‘invocazione presentata al Creatore’. Questa figura poetica si capisce meglio per il fatto che ogni invocazione, preghiera era rivolta a Dio mediante delle offerte.

MIRINZÀNA sass. e log. ‘melanzana’, ‘melenzana’. Manco a dirlo, Wagner crede che il fitonimo sia traslato direttamente dall’italiano. Italo-centrismo imperdonabile, anche perché il DELI non riesce a trovare l’etimo, mentre l’ipotesi di un’origine dal gr. mélan ‘nero’ lascia parecchio perplessi.
In realtà il termine è mediterraneo, quindi anche sardiano, ed ha base nell’akk. mīlu(m) ‘pienezza’ + za’ānu(m), zânu ‘essere adorno’, col significato di ‘pienezza ornata’ a causa della turgida bellezza di questo ortaggio.

MIRÒNI ‘melone, popone’ (Cucumis melo). Vedi discussione ed etimo al lemma cugùmmaru ‘cetriolo’.

MOḌḌITZI. Vedi muḍḍitza.

MOLE MOLE ‘spino d’asino’ (Xanthium spinosum L.). NPPS precisa che lo spino d’asino è una composita originaria dell’America meridionale, oggi diffusa ovunque come malerba, che cominciò ad apparire in Portogallo poi in Europa alla fine del XVII sec. Erba richiamante il colèra per antonomasia (Choleradistel, etc.), se ne fece un medicamento vano eppure ritenuto miracoloso contro quel malanno. NPPS sostiene pertanto che, «stando così le cose, il nome mòle mòle dev’essere ricondotto nella sua motivazione semantica a su male e mòle mòle ovvero al termine indicante la malattia che si manifesta con la rotazione di anse intestinali provocante occlusione. Di fronte alla diarrea provocata dal colera tale occlusione era desiderata e la pianta che si credeva potesse produrla, lo spino d’asino, fu chiamata mòle mòle».
Ho ripreso quanto scritto da NPPS senza ulteriori indagini, non conoscendo la malattia. E riprendo senza commento anche l’altra asserzione, secondo cui mancherebbero le ragioni di chiamare questa pianta in tal modo, poiché con mòle mòle è già chiamato (qua sì giustamente, secondo NPPS) il ‘ginestrino giallo’ (Lotus corniculatus L.) da molère ‘girare la macina’ e da qui ‘attorcigliare girando’ (nome applicato propriamente ai legumi della genistacea che si aprono e si torcono a spirale, liberando i semi). A me compete soltanto far notare che l’etimologia di mòle mòle in questo caso non può essere basata su molère ma piuttosto sull’akk. mūlu ‘pienezza’, mūlû(m) ‘peso’, mullû(m) ‘riempimento totale’, onde mūlû(m) ‘collinetta’ che ha prodotto il sardo mullòni ‘mucchio di sassi’.

MOLLE nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MÓNICA nome d’un vino rosso (e relativo vitigno). Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MORA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MORÁI, canna de morái. Vedi amorái.

MORTU NIEḌḌU ‘bocca di leone’ (Antirrhinum majus L.) e ‘gallinaccio’ (Antirrhinum orontium L.). NPPS traduce alla lettera ‘morto nero’ senza altra giustificazione, se non quella che in altre aree italiane ed europee ci sono analoghe denominazioni: it. testa de morto, franc. tête de mort etc. In Egitto fu chiamata, secondo Plinio N.H. 30,18, osiritis (pianta di Osiride). D’accordo che Osiride regnava nel mondo dei morti; ma perché in Sardegna abbiamo la denominazione mortu niéḍḍu inteso quale ‘morto nero’? Sembra che alla base di tutto ci sia un composto sardiano con base nell’akk. mūtu ‘morte’ + nīqdu (una pianta), col nome sintetico di ‘pianta dei morti’.

MOSTÁI nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MÙCCIU gall., sass., log. ‘cisto’. Base etim. nell’akk. muk, muku (a plant); ma può essere pure da muqqu, mukku ‘qualità povera; lana deteriorata’. Per questo secondo significato gioca il fatto che il cisto in Sardegna è considerato pianta d’infima qualità, utile (anzi utilissima) soltanto per gli usi del forno o di un fuoco momentaneo. Ma vedi mutrécu.

MUCCU MUCCU sass. ‘borragine’ Borago officinalis. Questo fitonimo ha la base etimologica nell’akk. muk (a plant).

MUḌḌITZA sass., moḍḍìθθa (Fonni), moḍḍittsi camp. ‘lentisco’ (Pistacia lentiscus L.), base etim. nell’akk. mullû(m) ‘compensazione’ o muddû ‘deficit’ + iṣu(m) ‘albero’, col significato di ‘albero del deficit’ (con riferimento al fatto che dalle bacche del lentisco fu sempre estratto l’olio alimentare, ma soltanto nella misura in cui alla famiglia non bastasse l’olio d’oliva o quello di olivastro).

MUDÉGIU log., mudrécu, murdégu, murdéyu centr., mudégu camp. ‘cisto’. Vedi mutrécu e mùcciu.

MUĺTTSU (Isili) ‘visnaga’ (Ammi visnaga Lam.). Base etim. nel bab. mudiṣṣum ‘ingannevole, ingannatore’.

MUMMUÉU ‘betonica glutinosa’ (San Vito); variante fonetica di murguléu (vedi).

MUMMULÉU ‘erba da gatti’ (Lula); è variante fonetica di murguléu (vedi).

MUNTEḌḌOS log. ‘elicriso o canapicchia o tignamica’ (Helichrysum italicum G.Don.). Sembra proprio che i nostri antichi padri utilizzassero con successo l’infuso dei fiori contro le malattie dei piedi. Infatti munteḍḍos è composto sardiano con base nell’akk. munû (a foot disease) + tele’û ‘very competent’, col significato antonomastico di ‘(pianta) per la cura dei piedi’.

MURDÉGU, mudrécu, murdéyu ‘cisto’. Vedi mutrécu e mùcciu.

MURGUÉUS ‘elicriso’. Vedi murguléu.

MURGULÉU ‘erba da gatti o maro’ (Teucrium marum L.); è pure la Satureja tymbra o altro genere di Satureia. Base etim. nell’akk. muḫru ‘richiamo, appello’ + le’û(m) ‘essere potente, capace’. Il composto significa quindi ‘quello che richiama potenza’, con evidente riferimento alla sessualità, poiché la Satureja (< lat. satyrus) è nota come erba d’elezione per la potenza sessuale.
Sue varianti fonetiche, che denominano spesso altre piante, sono: murguéus ‘elicriso’ (Laconi), murguéu ‘santolina’ (Seulo), murmuréu ‘santolina’ (Arzana, Dorgali, Oliena, Villagrande), murmuréu ‘betonica glutinosa’ (Escalaplano), mummuéu ‘betonica glutinosa’ (S.Vito), mummuléu ‘erba da gatti’ (Lula), murguléu ‘erba da gatti’ (Campidano), murga de bovis ‘santolina’ (Aritzo), muguòes ‘teucrio marsigliese (Meana), mammuléu ‘santoreggia greca’ (Laconi, Meana).

MURÍNU o mùrinu nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MURISTELLU è uno dei tre nomi del Bovále. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MURMULÉU, murmuréu ‘santolina’ (Villagrande); variante fonetica di murguléu.

MURRU BÁSCIU (trigu). Altro cereale noto nei secoli passati in Sardegna, oltre a su trigu cossu, su trigu cixireḍḍu, su trigu arrùbiu, fu su trigu murru básciu, che secondo le facili paronomasie popolari significava ‘(grano) grigio corto’ (murru ‘grigio’, básciu ‘basso, corto’), poiché le spighe e le reste erano, secondo il dire comune, bionde con qualche striatura di grigio, ed in più avevano il culmo corto.
In realtà le cose non sono mai state in questi termini. È arduo credere a un culmo corto, che soltanto da pochi decenni il Centro Agrario Sperimentale della Sardegna ha ottenuto con la nuova varietà Karále. E pure la colorazione grigia della spiga o della piantina lascia scettici. Basterebbe citare, non fosse altro, le frasi poetiche sortite a centinaia, dalla Bibbia in poi, passando per Virgilio e per una massa di poeti medievali e moderni, riferite costantemente ad un prodotto biondo, aureo, giammai grigiastro. Quindi ancora una volta è la lingua accadica che ci toglie d’impaccio, producendo tre parole tra loro concorrenti: mūru (erium) ‘naked’, ‘empty’; mūru(m) ‘puledro’; bāšu(m), bāšiu(m) ‘disponibile’ di grano, ‘produzione’ di grano. Il significato di mūru bāšiu sarà pertanto uno dei tre: ‘produzione nuda’ (riferita al chicco nudo), o ‘produzione vuota’ (riferita al culmo), o ‘produzione per puledri’ (riferita al valore del cereale, utilizzato al posto dell’avena per svezzare i puledri prima d’immetterli al pascolo).

MURTA log. e camp., mułta sass. ‘mirto’. I linguisti fanno derivare questo fitonimo da un lat. myrta < gr. μύρτος. Ma la formazione sarda sembra autonoma e più antica, la più congrua sembra l’akk. mūrtu ‘femmina di giovane animale’, che dà per il fitonimo sardiano il significato di ‘(pianta) per femmine di giovani animali’ (dando a intendere che i suoi frutti profumati erano degni anzitutto delle femmine appena svezzate).
Anche murtaùcci, nome campidanese del mirto, va saputo interpretare. Si è inteso come ‘mirto dolce’, confortati specialmente dal fatto che in parecchi paesi il secondo membro -ùcci viene letto per paronomasia -ùrci (inteso tout court come ‘dolce’). Ma non è così. Ucci si basa sull’akk. uklu(m) ‘cibo, nutrimento’, sul quale si è esercitata la metatesi e la rotacizzazione (uklu > ulku > urci). Col che veniamo a sapere che murtaùcci ‘mirto’ un tempo significò ‘nutrimento per giovani femmine’.

MURTAÙCCI camp. ‘mirto’. Vedi al lemma murta.

MUSCÁU è un vino della Sardegna (e relativo vitigno). Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

MUSCIURÌDA, musciurìlla ‘Carlina acaulis’, pianta carduacea. Base etim. l’akk. mūšu(m) ‘notte’ + rīdu ‘persecutore’, col significato di ‘persecutore della notte’. La Carlina, per essere quasi incastonata nel terreno, è facilmente calpestata dai pastori, che nei tempi antichi erano spesso scalzi. Che ciò avvenisse era usuale, poiché i pastori muovono il gregge almeno una volta durante la notte.

MUSCIURÌLLA ‘Carlina acaulis’. Vedi musciurìda.

MUSSI-MUSSI ‘piumino’ (Lagarus ovatus L.). Il fitonimo, raddoppiato in termini superlativi, sembra una corruzione, una paronomasia creatasi nel Medioevo sul suono emesso per richiamare il gatto. Base etim. nel sum. mu ‘incantesimo; incantation, spell’ + si ‘ricordare; to remember’: mus-si = ‘incantesimo da ricordare’ (causa la poetica forma di questa piantina).

MUSSÒRGIA ‘clematide cirrosa’ (Clematis cirrhosa L.) (Iglesias, Teulada). Paulis NPPS sostiene che il nome «proviene da *MORSORIA, letteralm. ‘che morde’, non tanto perché si tratta di pianta rampicante (così DES,II,146), quanto perché le foglie applicate sulla pelle provocano ulcerazioni e un rossore bruciante e quindi ‘mordono’. I mendicanti incalliti le adoperavano per procurarsi delle ulcere e impietosire così i passanti». Non convince. Ammetto però che senza la descrizione relativa ai mendicanti non sarei riuscito a cogliere l’etimo, che ha base nell’akk. mūṣu ‘essudazione’, onde l’aggettivale sardiano mussòria, mussòrgia ‘(pianta) ulcerosa, essudativa’.

MUTRÉCU, mudrécu, murdégu, murdéyu, mudégu, mudégiu ‘cisto’. Premetto quanto già scritto per mùcciu gall., sass. e log. ‘cisto’. Il ‘cisto’ è pianta d’infima qualità (non serve alle costruzioni, agli intrecci, ai materassi, a niente, se non a tingere d’un colore tetro): è valida soltanto per i fuochi, per riscaldare, per la cottura del pane, per produrre cenere, e simili, e in più si lascia facilmente estirpare. La pianta, pur venendo brucata dalle capre in penuria di foglie più appetibili, viene normalmente scartata dagli animali. Essa non dà frutti eduli, e per giunta è infestante, avendo delle ciste seminali (da qui il nome italiano e latino) che durante gli incendi scoppiano lasciando cadere i semi pronti a germogliare. Le sue ingombranti foreste sono tristemente note in Sardegna, terra maledetta dalla piaga dei piromani. Questo fenomeno doveva essere noto già ai tempi dei Sardiani, che nominarono la pianta mutréku dall’akk. mūtu(m) ‘morte’ + ekû(m) far patire la fame’, come dire ‘fame mortale’ o ‘(pianta della) morte da fame’.
Ma è pure possibile che l’antica semantica fosse legata al fatto che la pianta infestante, disponibile in grandi quantità, facile da estirpare e produttrice di poco fumo e molta fiamma, fosse preferita per le pire sacre o per bruciare i cadaveri, onde l’akk. mūtu(m) ‘morte’ + rīqu(m), riqqu ‘sostanza aromatica’, col significato complessivo di ‘pianta aromatica per le pire’ (il cisto ha un gradevole aroma).

MUTTÙTTURU (Bosa e Cuglieri) ‘giusquiamo’ (Hyosciamus niger L. e Hyosciamus albus L.). Muttùtturu ha base nell’akk. mūtu(m) ‘morte’ + ṭuru (medicinal plant) col significato complessivo di ‘pianta della morte’. Infatti la pianta è totalmente velenosa, produce un certo numero di alcaloidi usati per sedare, per modificare l’iride, per le malattie mentali, ecc. Ma proprio le spiccate proprietà sedative possono aver prodotto, al posto di mūtu(m) ‘morte’, muṭû(m) ‘deficit, difetto, carenza’, onde il significato globale in questo caso sarebbe ‘pianta dei deficit (fisici)’. Per il significato di maθùθuru ‘crescione’, vai a suo luogo.

MUTTSÒNE. Vedi elva muttsòne.

NAIBÙTTSA sass. ‘malva’ (Malva silvestris L., Malva parviflora L., Malva Nicaeensis L.); le varianti sono: (Bitti) parmùttsa, (Orune) parmùggia, (Lula) parmarèḍḍa. Base l’akk. narbûtu ‘grandezza’, ‘grandi azioni’, ‘impresa, prodezza’. Tale etimo sardiano si può capire soltanto se poniamo mente all’importanza che la malva ha avuto, essendo una panacea per molti malanni esterni ed interni (vedi al lemma narba). Quanto a parmuttsa e simili, la base è l’akk. pâru(m) ‘ricercato’ + muṭû ‘deficiency, shortage’: il composto pâr-muṭû indicò una pianta ‘ricercata per le deficienze fisiche’.

NAPPA sass. ‘rapa’ (Brassica rapa); base nell’akk. nappu, che significa letteralmente ‘rete’ (e come rete è registrato pure nei dizionari sardi, mentre di napa, napu in quanto ortaggio si dice che il nome derivi dal catalano); invece esso esistette pariteticamente nel Mediterraneo, col significato ambiguo sia di ‘rete’ sia di ‘rapa’. Un tempo i Sassaresi coltivavano le rape sugli stessi terreni coltivati in precedenza a grano; dopo la raccolta del cereale, la presenza nel terreno dei residui delle stoppie conferiva alle rape un aroma e un sapore particolari. La base etimologica di nappa in quanto ‘rapa’ sta nel sum. na ‘pestle’ + pa ‘branch, frond’; il composto nap-pa significò ‘piantina a forma di pestello’.

NARBA (Nuoro e S.Vito) ‘malva’ (Malva silvestris L., Malva parviflora L., Malva Nicaeensis L.); varianti del fitonimo: mafra, marma, màrmara, narbèḍḍa, narbigheḍḍa. Base etim. l’akk. narbu(m) ‘soffice, morbido’, non solo per il riferimento alle foglie di questa pianta miracolosa, ma per il fatto che i suoi cataplasmi sono quanto di meglio si possa avere per sanare ferite, malattie della pelle, principalmente i problemi della dispepsia.
Una curiosità: la Malva (Malva rotundifolia) è detta in ebraico biblico ’ōrōth, אוֹרוֹת. Sappiamo che gli Ebrei residenti in Sardegna dal 1000 a.e.v. ci hanno lasciato pochi fitonimi diretti. Comunque la Malva, da essi chiamata ’ōrōth, è presente nel toponimo del Supramonte Orottecànnas, che letteralmente significa ‘malva e canne’, per il fatto che la relativa feracità ed umidità del suolo in quel preciso sito pastorale favoriva la crescita sia della Malva sia della Canna (entrambi elementi utilissimi al pastore, una per le cure interne ed esterne, l’altra per gli strumenti da lavoro).

NARBEḌḌA variante diminutiva di narba ‘malva’.

NARTUTZU ‘nasturzio’. Vedi nasturnu.

NASCO, Nascu varietà di vite ad uva bianca. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NASTURNU ‘nasturzio’; anche nastrùttu, nartùssu, nartùtzu, martùcciu (Nasturtium officinale L.); a prima vista sembra di origine latina. Ma intanto il lat. nasturtium è di etimologia incerta. Tuttavia ci possono aiutare nell’indagine gli effetti quasi miracolosi della pianta, in grado di curare, con la sola ingestione, malattie quali la tosse, l’asma, i dolori al petto, i disturbi alla milza, le piaghe cancerose, ma anche affezioni alla testa, e infine rende la vista più chiara (NPPS 242).
Nasturtium ma specialmente il sardo nasturnu, nastruttu e allomorfi vari, ha base nell’akk. nassu ‘gemente, misero, disgraziato, infelice’ + tūrtu(m), turrūtu ‘giramento, reversione, rovesciamento’, col significato di ‘(erba che) rimette in piedi gli infelici’.

NEGRAVÈRA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NERBIÀTTSA camp. ‘spazzaforno’ (Thymelaea irsuta Hendl.), composto sardiano con base nell’akk. nēru (a tree) + biatum ‘stare svegli di notte per preparare farmaci’, col significato di ‘pianta degli alchimisti’.

NERVIÀDA DE ABBA (Sparganum sagittaria, Sparganum alisma, Sparganum damasonium), composto sardiano con base nell’akk. nēru (a bird) + adû ‘leader’, col significato di ‘(pianta di) elezione per uccelli’. Ne consegue che erba de nèrbius, folla de nèrbius significa ‘erba degli uccelli’.

NEULAKE centr., neulaxi camp. ‘oleandro’ (Nerium oleander). Base etim. nell’akk. nebû(m) ‘brillare, luccicare, scintillare’, nebû ‘shining, brilliant’ + laqû(m), leqû(m) ‘ricevere, impossessarsi di, diventare dominatore di’. Neulake significa in tal caso ‘padrone della brillantezza’ (lo si usa in oculistica).

NÌBBARU nella Sardegna del nord, specie in Logudoro e Gallura, indica il ‘ginepro’ lat. jeniperus, juniperus. Indica pure il ‘Taxus baccata’. Monti di Lu Nìbbaru (agro S.Teresa Gallura) doveva avere in altri tempi un bosco in purezza di ginepri (considerata l’altezza del sito, che non aveva tassi). Per l’etimo vedi ghinìperu.

NÌBBERU ‘ginepro’; anche ‘Taxus baccata’. Vedi nìbbaru, ghinìperu.

NIEḌḌA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NIEḌḌA CARTA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NIEḌḌA MANNA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NIEḌḌÈRA è, secondo i più, l’altro nome del Bovale. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NIEḌḌÒNE ‘nigella scapigliata’ (Nigella damascena L.). Per quanto il nome latino ripeta l’uguale fonetica e l’uguale semantica suggerita da Linneo, sostengo che pure il latino, al pari dell’attuale lemma sardo, ha subito l’influsso di un fitonimo accadico con base in nīdu(m) ‘giacente, strisciante’ + dunnu ‘potenza’, col significato di ‘potente rampicante’.
Va piuttosto chiarito un aspetto che forse nessun botanico o linguista ha sinora valutato. La Nigella damascena è una ranuncolacea alquanto simile alla più nota Passiflora, che però è importata da pochi secoli dal Centro-America ed utilizzata cone rampicante da giardino. Paulis NPPS sostiene che il nome di questo fiore selvatico della Sardegna, chiamato in logudorese fiore de passione o passioneḍḍa, sia da ricercarsi nel fatto che la corolla rotata del fiore ricorda la ruota, strumento del supplizio cui sfuggì miracolosamente santa Caterina. Invece io penso che cotale denominazione sia attribuita proprio per la somiglianza del fiore selvatico sardo alla Passiflora.
Il nome ‘Passiflora’ dato formalmente da Linneo nel 1753, deriva dal sintagma latino Flos Passionis, ‘fiore della passione’, con riguardo alla passione di Gesù Cristo. Tale denominazione fu attribuita (così sembra) a questi rampicanti dai primi missionari che seguirono i viaggi di Cristoforo Colombo. Ad essi, esaltati dalla accesa volontà di convertire i popoli americani, non sarà sembrato vero di ‘vedere’ in un fiore di quel continente i segni della Passione. Guglielmo Betto, nel suo libro ‘I frutti tropicali in Italia’ cita un ‘Erbario o Storia Generale delle piante’ di Pietro Antonio Michiel pubblicato tra il 1553 ed il 1565 nel quale è presente la P. già allora coltivata in Italia. Il missionario Padre Giacomo Bosio nel ‘Trattato sulla Crocifissione di Nostro Signore’ del 1610 aveva descritto i simboli della passione di Cristo presenti nei suoi fiori. Nella tradizione i 3 chiodi sono rappresentati dai 3 stigmi, la corona di spine dalla corona dei filamenti, i 5 petali ed i 5 sepali simboleggiano i 10 apostoli rimasti fedeli a Gesù Cristo, l’androginoforo richiama la colonna della flagellazione ed i viticci ovviamente rappresentano i flagelli; le 5 antere sono le 5 ferite; la leggenda ha trovato altri riferimenti, altre fantasiose e suggestive analogie.
Nieḍḍòne è pure detto in Logudoro il ‘gittaione’ (Agrostemma githago L.) ed il ‘mazzettino’ (Silene gallica L.).

NIEḌḌU ALZU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NIÉḌḌU MANNU è il nome di una vite sarda ad uve nere. Vedi nièḍḍa manna.

NIÉḌḌU NURAGHE (Macomer) ‘licnide’ (Lychnis alba Mill.). Il fitonimo è un composto sardiano con base nell’akk. nidnu(m) ‘gift’, ‘(divine) gift’ + raqqu(m) ‘fine’ (di vaso da offerte), col significato di ‘vaso delicato per doni alla divinità’ (con riferimento evidente alla bellezza della sua capsula).

NIÉḌḌU PORKÍNU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NIÉḌḌU PRUNISKEḌḌA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NINÌ camp. ‘veronica’ (Veronica hederaefolia, Veronica cymbalaria Bod., Veronica persica); fitonimo sardiano con base nell’akk. nīnû(m) (a medicinal plant). Questa base etimologica è la stessa di ninniéri ‘rosa canina’ (vedi).

NINNIÉRI ‘rosa di macchia’ (Rosa canina L.). Il fitonimo fonnese è un composto sardiano con base nell’akk. nīnû(m) (a medicinal plant) + erû(m) ‘aquila’ (stato costrutto nīni-erû), col significato di ‘pianta delle aquile’. Non a caso questo fitonimo è nato nel paese più alto della Sardegna, sull’acrocoro del Gennargentu, dove le aquile reali erano numerosissime, ed ancora oggi volteggiano indisturbate.

NOROḌḌÁSILE (Gavoi), oroḍḍásile (Olzai), oroḍḍásu (Ovodda) ‘gramigna’ (Cynodon dactylon). Composto sardiano con base nell’akk. uru(m) ‘ramo’ + uddû ‘esuberanza’ + aslu ‘ram, sheep’, col significato di ‘erba esuberante per montoni, pecore’. Il termine, dalla semantica complessa e dalla fonetica sintetica, racchiude in sé tutto un mondo pastorale di cui gl’indigeni sono stati sempre consci.

NUGHEḌḌA log. ‘carota’ (Daucus carota L.). Nugheḍḍa è una paronomasia; in origine fu un composto sardiano con base nell’akk. nug, nuk (a plant) + ellu(m) ‘puro, chiaro; splendido’, col significato di ‘piantina splendida’, con evidente riferimento alle sue proprietà pressoché miracolose, evidentemente riconosciute come tali fin dalla più alta antichità. Si sa, infatti, che l’uso alimentare costante della parte fittonante reca giovamenti al limite del miracolo alle malattie del bulbo oculare e della retina; inoltre la carota è alimento d’elezione al fine di migliorare la purezza e la salute dell’epidermide. Infine la carota è uno straordinario regolatore della digestione e quindi migliora complessivamente le funzioni digestive e la stessa funzionalità epatica.

NUGHE-NUGHE ‘lingua di cane’ (Cynoglossum creticum L.). Nome sardiano, basato sull’akk. nuḫḫulu ‘coperto di cicatrici’, che in sardo medievale ed attuale si è preferito chiamare nughe-nughe, ripetitivo col significato originario di ‘tutto (pieno di) cicatrici’. La denominazione potrebbe (chissà) stare nel fatto che i fiori del Cynoglossum, specialmente del Cynoglossum creticum L., hanno striature retiformi che potrebbero dare l’idea di cicatrici. In ogni modo, l’opzione più congrua sembra l’akk. nuk (una pianta non meglio identificata).

NUKKI orist. ‘erba palustre’ non meglio identificata (Cossu 201), usata per placare la linfadenite inguinale. La base etimologica sembra essere l’akk. nuḫḫu ‘calma’ di acque ed altro < nuāḫu(m), nâḫu(m) ‘calmare, pacificare, sedare’.

NURAGUS. Nome di vino bianco (e relativo vitigno). Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

NURÌLE ‘erba parassita che si attacca alle zolle del terreno non coltivato’. Paulis NPPS, nell’ipotesi che il termine spetti alla ‘correggiola’ (Polygonum aviculare L.), ritiene «probabile che nurìle provenga da nudìle, quale derivato di lg. nodu, nudu ‘nodo’».
Può darsi che Paulis colga il vero. Ma va osservato che questa pianta ha tante applicazioni medicinali, onde sembra congruo vedere il fitonimo come composto sardiano con base nell’akk. nūru(m) ‘luce’ + i’lu(m) ‘bandana, corona’, col significato di ‘corona di luce’ per gli effetti benefici che produce all’uomo.

OCCIÁU. Vedi orciáu.

OCCICÁNU (Orani) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum L. var. rotundifolium Mill.), vocabolo poetico, ma non attiene ad un “occhio grigio”; è invece un composto sardiano con base nell’akk. uqqû ‘dipinto’ + kanû(m) ‘aver cura di’, ‘avere caro’, ‘trattare delicatamente’, riferito a questa bellissima pianta col significato di ‘delicato dipinto’, ‘delicata opera d’arte’, in virtù delle sue stupefacenti foglie avvolgenti. Ma forse è più congruo che il primo membro della base accadica sia uklu(m) ‘cibo, nutrimento’, in questo caso significa ‘nutrimento delicato’. La pianta infatti è edule.

OCRU MALU centr. ‘caprifoglio delle macchie’ (Lonicera implexa Ait.), appellativo sardiano con base nell’akk. uqu ‘popolazione’ nel senso di genere di piante + malû(m) ‘abbondanza’, col significato di ‘genere abbondante’ (causa il fitto espandersi del rampicante).

OḌḌÀNA, oḍḍoàna (Fonni, Seui, Sadali), oḍḍoène (Dorgali) ‘nocciola’ (Corylus avellana L.). Paulis NPPS traduce direttamente col lat. AVELLANA. Può darsi. Ma sembra più congruo considerarlo un fitonimo sardiano con base nell’akk. ullû(m) ‘esaltato’ + Anu ‘sommo Dio del Cielo’, col significato di ‘Anu Altissimo’ (riferito alla bontà dei frutti di questa pianta).

OGU E BÒI ‘adonide annua’ (Adonis annua L.), composto sardiano con base nell’akk. uqqû ‘dipinto’ + bu’’û ‘ricercato’, col significato di ‘dipinto straordinario, ricercato, raro’. Non a caso il termine fenicio-greco-latino è riferito al dio fenicio Adone, che muore ogni anno straziato, perdendo il sangue col quale tinge la natura e la rigenera per la rinascita. Adone è un dio di esemplare bellezza, non a caso amato dalla Dea dell’Amore, ed il sangue ne è l’emblema. Di qui il significato pregnante del nome sardo di questo fiore dai colori meravigliosi.

OGU PÙSSIDU nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

OLIDÒNE ‘corbezzolo’. Vedi al lemma liòni.

OLIÒNE ‘corbezzolo’. Vedi al lemma liòni.

OLISANDRU (Ozieri) ‘macerone’ (Smyrnium olusatrum L.); alisandru (Cuglieri, Orosei); lisandru (Ploaghe); lisáu (Iglesias). In alcuni luoghi si chiama così l’Oleandro. A quanto pare, olisandru è voce dotta accattata dall’Italia.

OLLASTRÍNU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

OLLIÒNI ‘corbezzolo’. Vedi al lemma liòni.

OLOSI, alási, aláse, alásiu ‘agrifoglio’ (Ilex aquifolium L.). Cresce specialmente sul Gennargentu, oltre la quota 1000, ed ha foglie marcatamente spinose. Base etimologica nell’akk. alluzu (una pianta spinosa). Localmente il fitonimo si riferisce pure al ‘pungitopo’ (Ruscus aculeatus L.).

ORCIÁU camp., occiáu (Usellus, Gesturi, Siurgus, Muravera) ‘ortica’ (Urtica dioica, etc.). Il fitonimo orciáu, occiáu, ha base distinta da quella di urtìca. Per urtica abbiamo avuto il concorso di akk. uruti (a plant), urṭû, uriṭû (a plant) + suff. sardiano -ìca. Per orciáu, occiáu abbiamo akk. uriḫu (a thorny plant) + suff. sardiano -atu, onde *uriḫ-atu > *urḫatu > orciá(t)u. Va da sé che il lat. urtīca ed il corrispondente italiano ortìca non hanno la base etimologica da urō ‘bruciare’, ma la base qui evidenziata.

ORÌGA DE GANI camp. ‘cinoglosso’ (Cynoglossum creticum L. e Cynoglossum officinale L.), composto sardiano con base nell’akk. ūru ‘ramo’ + ikû ‘field’ + kanû ‘trattare delicatamente’, col significato di ‘piantina di campo che tratta delicatamente’ evidentemente per le sue virtù medicinali.

ORÌGA DE PARA camp. ‘licnide’ (Lychnis alba Mill.). Siamo di fronte alla antica paronomasia di un composto, da akk. urû(m) ‘stallone’ + ikû(m) ‘campo’ + parā’u ‘germoglio’, col significato di ‘germoglio di campo per stalloni’.

ORRÒALI (Triei) ‘quercia o roverella’ (Quercus pubescens Willd.), composto sardiano con base nell’akk. urû(m), urrû ‘stallion’ nel senso di maschio (riferito a cavalli, arieti, tori) + ālu(m) ‘montone, ariete’, col significato di ‘(albero di) stalloni’.

ORROLÁRIU (Desulo, Laconi) orruláriu (Villagrande, Perdasdefogu, orrolári (Meana), orròsa gullári (Busachi) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.), composto sardiano con base nell’akk. urû(m), urrû ‘stallion’ nel senso di maschio (riferito a cavalli, arieti, tori) + larû(m) ‘branch, twig’ of plant, col significato di ‘virgulto degli stalloni, degli arieti’. Quanto a orrosa cullári, è da akk. ḫulālam, ḫulālu (designation of horse): il significato fu ‘rosa dei cavalli’.

ORRÒLI ‘quercia o roverella’ (Quercus pubescens Willd.), fitonimo sardiano, base nell’akk. urû(m), urrû ‘stallion’ nel senso di maschio (riferito a cavalli, arieti, tori) + ullu (a bull), col significato di ‘(pianta di) stalloni e tori’.

ORRÒSA CULLÁRI (Busachi) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.). Per la discussione e l’etimo vedi orroláriu.

ORRÙ, arrù, ru ‘rovo’. La base etimologica è stata attribuita al lat. rŭbus (fruticōsus). Ma la vera base è il sum. ur ‘imprigionare’ + bur ‘strappar via’: ur-bur > met. seriore ru-bur, col significato di ‘imprigiona e strappa’ (terribile è la natura di questa pianta: ho visto pecore imprigionate senza scampo, destinate a morire di fame o uccise dalla volpe: tutto ciò per un semplice contatto-aggancio laterale con la pianta). Dopo questa precisazione, va da sé che tutti i restanti lemmi similari hanno subìto degli influssi reciproci: il sardo rùbiu, arrùbiu ‘rosso’ prende dal lat. rubeus ‘rossiccio’; e il lat. rŭbus (fruticōsus), quasi identico a rubeus ‘rossiccio’ e rŭber ‘rosso’, portò inesorabilmente al sardo ru, arrù, orrù nel senso di ‘rovo selvatico’. È stata la lingua latina a generare in se una stretta parentela fonetica di rubeus ‘rossiccio’ e rŭber ‘rosso’ con rūbidus, rōbidus ‘scuro’, rōbigō ‘ruggine’, (pānis) rūbidus ‘(pane) scuro’, in considerazione del fatto che il sangue da rosso diviene, col passare delle ore e dei giorni, sempre più scuro; l’esatto fenomeno della ruggine.

ORRUBÌNA (Tonàra) ‘lampagione o cipollaccio’ (Muscari comosum Mill.), altrimenti detto in sardo alidéḍḍu o lampayòni. È un composto sardiano con base nell’akk. urrû ‘spuntato, potato’ + bīnu(m) ‘figlio’, col significato di ‘bimbetto potato’ (con riferimento al fatto che il lampagione ha uno stelo tutto-fiori, con le foglie situate soltanto nella parte basale). Per capire questa spiegazione, va osservato che gli Accadici indicavano con urrû specialmente la palma potata dei suoi rami. Per essi potarla fu una necessità, al fine di arrampicarsi per cogliere i caschi di datteri. Per estensione, il termine è andato ad indicare in Sardegna questo stelo senza foglie. Quanto a bīnu ‘figlio’, questa non è la prima piantina selvatica ad avere tale nome ipocoristico, correlato alla bellezza.

ORTIÉḌḌU e padénti camp. ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.). Ci troviamo davanti a una paronomasia (facile in questo caso), derivata da un composto sardiano con base nell’akk. urṭû (una pianta colorata) + ellu(m) ‘puro, chiaro’, col significato di ‘piantina tutto-colore’, o ‘pianta colorata tutta-purezza’. Con questo fitonimo gli antichi vollero mettere in evidenza un fiore per antonomasia (peraltro coloratissimo), con un capolino che si staglia sul gambo direttamente, senza altre componenti quali sepali, corimbi o altri appesantimenti visivi.

ORTÍGU ‘sughera’ (Quercus suber L.). Vedi al lemma urtígu.

OSSÒNE ‘campanellino comune’ (Leucojum vernum L.). Per la discussione e l’etimologia vedi fossòne.

OSTI ‘agrifoglio’ (Ilex aquifolium). Paulis NPPS riporta la corrispondenza tra costi-golosti-colostri (‘agrifoglio’; che è anche l’acero sardo) e il basco korosti, gorosti. Ma in ciò dobbiamo vedere un fenomeno di conservazione parallela (remota è la Guascogna, remota la Sardegna: entrambi i territori vocati a conservare dei lemmi che un tempo dovevano essere pan-europei). Le basi comuni dei lemmi basco e sardo sono il bab. ḫuruššu (un vegetale non meglio identificato) o l’assiro-bab. kullu ‘mettere il velo (alla sposa), la corona (al re), guarnire di merletti’, anche ‘sostenere (un baldacchino o una corona di re)’ + uštu, ištu, (w)āṣû(m) ‘(di vegetazione) nascere da, essere la conseguenza di’, anche ‘prominente, alto (corpo, vegetazione)’.
Vedo in korósti, golóstiu ‘agrifoglio’ un albero deputato a confezionare le corone o altri sacri ornamenti. Con ciò veniamo a sapere che il bellissimo agrifoglio nella Sardegna degli Šardana era utilizzato per le incoronazioni, al posto del più banale lauro (che peraltro in natura mancava e che invece nel Lazio abbondava), ed al posto dell’ulivo che invece era prediletto dai Greci.

OZZA E CASADÌNA ‘aro o gigaro’ (Arum italicum Mill.). Paulis NPPS traduce alla lettera ‘foglia per caciotte’, «in quanto le foglie del gigaro (fòlla, òdza) venivano utilizzate per fare formelle di formaggio ricavato dal colostro (kasadìna, kasarèsa, derivv. di kasu ‘formaggio’ < CASEUS: DES,I,317). Questo impiego è già attestato in Plinio, N.H. 24,149: in foliis ari caseus optime servari traditur».
Prima di passare all’etimo, occorre fare delle precisazioni su quanto scrive Paulis. Anzitutto c’è differenza tra conservare il formaggio tra le foglie dell’aro (Plinio) e fare formelle di cacio con le foglie dell’aro. Quindi è arbitrario quanto desunto dal testo di Plinio. Poi c’è da capire cosa si intenda con colostro. Al riguardo, egli avrebbe fatto bene a citare la fonte dell’informazione secondo cui il gigaro serve “per fare formelle di formaggio ricavato dal colostro”, e spiegare perché proprio dal colostro, ed in che modo le foglie dell’aro sono utilizzate nella caseificazione.
Quanto a casadìnas, Wagner (che è la fonte di NPPS) traduce con caciotte, ma avrebbe fatto meglio a specificare che nel Logudoro per casadìnas s’intendono principalmente le formaggelle, ossia quei dolci confezionati con una formella di pasta entro cui si mette formaggio fresco impastato con uvette, zafferano e scorza d’arancia. Soltanto dopo questo chiarimento si capisce bene che òzza e casadìna (letteralmente ‘foglia di formaggella’) è un non-senso, per conseguenza una paronomasia da interpretare alla luce delle lingue che hanno preceduto il sardo attuale. Base etim. nell’akk. kasû ‘bound, rappreso’ + dinû (a kind of flour), col significato di ‘farina rappresa’ (con riferimento allo spadice giallastro, che appare come cosparso di farina rappresa a grumetti).

PABANTSÓLU log. ‘tarassaco’ (Taraxacum officinale Web.), composto sardiano con base nell’akk. papānu (riempimento esofageo, gonfiore di stomaco) + ṭūru (una pianta medicinale della myrracee, l’Opopanax, esattamente la Commiphora erythraea, in somalo nota come hagar). In origine lo stato-costrutto papān-ṭūru ebbe, evidentemente, un significato forte, legato all’ottimo sapore del tarassaco, prediletto dagli uomini come cibo ma principalmente come pianta digestiva, essenziale nei “gonfiori di stomaco”; significò quindi, a un dipresso, ‘mirra digestiva’.

PABASÓLU, pappasόlu. È allomorfo di pabantsόlu (vedi).

PABULÓSU (Gavoi) ‘viperina maggiore’ (Echium italicum L.). Questa pianta ha relazioni col malaugurio; non a caso pabulósu è semanticamente collegato con gli allotropi còi lòriga e còa de margiáni (vedi) designanti sempre la ‘viperina maggiore’ ed anch’essi legati al malaugurio. Quindi si può ritenere che pabulósu sia una paronomasia risalente ad un composto sardiano con base nell’akk. pa’û(m) (a bird) + lu’’û ‘sporco sudicio, lurido’, col significato di ‘uccello del malaugurio’. Sfugge la ragione che indusse le antiche popolazioni sarde ad attribuire questo nome ad una pianta che notoriamente è rifiutata dal bestiame. A meno che la ragione non sia la stessa (il colore poco allegro del fiore) che li ha indotti a chiamare erba de sproni (vedi) la ‘vedovina’.

PÁDRIMU, párdimu, párdumu ‘erba prota’ (Achillea ligustica All.). L’Achillea era una pianta vulneraria per eccellenza (non a caso fu così detta da Achille, l’invulnerabile). Era usata infatti per disinfettare e rimarginare le ferite da taglio. In italiano è nota al riguardo come sanguinella. Base etim. è l’akk. patrānu ‘pianta-lancia’ > patru ‘lancia’, con riferimento alle ferite d’arma che riusciva a curare.

PÀJMMA sass., prama log. pramma camp. ‘palma’ (Phoinix dactylifera). L’etimologia del lat. palma (femminile) richiamerebbe secondo alcuni il masch. ‘palmo’ della mano; ma a ben vedere fu il palmo della mano a trarre nome e semantica dal nome della palma da datteri, nota per le caratteristiche branche. Il termine originario del fitonimo passa in ogni modo per il gr. παλάμη ‘palma’, ma questo a sua volta ha il corrispettivo nel composto akk. palû, pelû ‘uovo’ + amû ‘a spiny plant, una pianta spinosa’ (st. costrutto pal-amû), col significato di ‘pianta spinosa che produce uova’. Il composto accadico si riferisce proprio alla pianta da datteri, coi rami dalle foglie fortemente aculeate. Alcune palme producono notoriamente dei frutti molto grandi, somiglianti alle uova dei grandi uccelli tipo il corvo.

PAJMITZU log. e sass. ‘palmizio’, ‘palma nana’ (Chamaerops humilis). Base etim. è la stessa di palma (gr. παλάμη, akk. pal-amû ‘pianta spinosa produttrice di uova’) + iṣu, iṣṣu ‘albero’. Paimítzu va pure raffrontato con l’ass. alamittu (una specie di palma selvatica, che poi è proprio la palma nana sarda).

PALMÌJA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

PANDERÈḌḌA (Nuoro) ‘digitale’ (Digitalis purpurea L.). Penso che panderèḍḍa sia una facile paronomasia, derivata da un composto sardiano con base nell’akk. bāmtu(m) ‘torace’, cassa toracica’ + ellu(m) ‘puro, nitido, chiaro’, ‘brillante’, ‘puro’ negli incantesimi (in composto: > *bantum-ella > *bandur-ella > banderèḍḍa). Infatti le campanule della digitale possono aver richiamato la cassa toracica per il loro aspetto molto simile; in questo caso il concetto di puro, mero, brillante, oggetto d’incantesimi e simili nacque dalla bellezza intrinseca dei fiori.

PANSÁLE, panzáli, panzále nome di vite sarda. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

PANZALINIÉḌḌU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

PAPÁULE (Ovodda) ‘papavero’ (Papaver rhoeas L.). Secondo le aree linguistiche dell’isola, ha varianti fonetiche di poco conto: pabáule, pappáile, pappái, papáu, papárre, pabáiri, pabáiru, babbaòi, pappaósu. Il termine ha base nell’akk. papallu, sum. pa-pal (germoglio, ‘Schössling’), con attenuazione e scomparsa della liquida finale + ebr.ant. beēra (fuoco, ‘fire, burning’), bā‛ar בָּער ‘ardere’ ‘tu burn’, cfr. latino būrō, da cui bustum, che fu, a torto, ritenuto da comb-ūrō.

PÁRDIMU ‘erba prota o achillèa’. Vedi pádrimu.

PARMUTTSA ‘malva’. Per l’etimologia vai a naibuttsa.

PASCÁLE nome di vino (e relativo vitigno). Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

PEBARÒNI sass. e log. ‘peperone’ (Capsicum annuum), pianta erbacea delle solanacee. Wagner lo fa derivare direttamente dall’italiano, peccando al solito di italo-centrismo. DELI ritiene che la base di partenza dell’it. peperone (considerato un accrescitivo) sia pepe, il noto arbusto rampicante di cui si usano i frutti come droga. Il termine latino è pĭper, gr. péperi, ed è considerato, giustamente, di origine orientale. Ovviamente, il termine si è espanso nel Mediterraneo. In Sardegna esso risulta autonomo ed ha la base nell’akk. per’u(m) ‘germoglio’, col raddoppiamento esaltativo pe-per’um.

PEDRUVÈGHE log. ‘senecione’ (Senecio vulgaris, un’asteracea), composto sardiano con base nell’akk. pitru ‘terreno incolto, campo abbandonato’ + pigû (a plant), col significato antonomastico di ‘pianta dei terreni incolti’.

PÉI DE GÁNI ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L. ed Eryngium tricuspidatum L.), composto sardiano con base nell’akk. piddu ‘imprigionamento’ (padu ‘confinare’, ‘prendere prigioniero’, ‘tenere qualcuno legato’) + gannu ‘giardino’ (dall’aramaico), col significato di ‘(pianta) recingi-giardini’, in virtù delle sue caratteristiche, per le quali leggi al lemma cima de pastòri.
Si dovrà osservare, per quanto su scritto, che le parti coltivate di un territorio nel passato furono sempre protette da recinti alti o comunque dissuasivi. In Sardegna si usarono quasi sempre i muri a secco, ma nei territori eurasiatici dove la pietra era inesistente o poco abbondante (le steppe, la pianura mesopotamica), fu il calcatreppolo ad avere la funzione principe di recingere le proprietà coltivate o di difendere i ricoveri del bestiame dall’assalto delle belve.

PÉI DE COLUMBU ‘arganetta azzurra’. Vedi péi golumbίnu.

PÉI DE LÉPPURI ‘(Trifolium arvense L.). Paulis NPPS 288 traduce alla lettera ‘piede di lepre’ e ricorda che «La metafora è antica: Dioscoride 4,17 usa il termine gr. λαγώπους, propriamente ‘piede di lepre’, che Plinio, N.H. 26,53, e Ps.-Apul. 61,6 adn. adattano come lagopus. Questo tipo lessicale è anche estesamente diffuso: cfr. franc. pied de liévre, (Vaucluse) pato de lapin (Rolland,IV,139); ingl. hare’s foot (BrittHoll. 242); dan. Harefod (DPln. 2,725); sved. Harefot (Lyttk. 719); ted. Hasenfuss (Marzell,IV,765)».
La dimostrazione del Paulis è metodologicamente debole. Per questa piantina egli mira, al solito, ad assicurare una etimologia basata precipuamente sul latino e sul greco nonché sulla tradizione onomasiologia europea, dalla quale veniamo a sapere che pressoché tutti i Paesi europei hanno uguali denominazioni riferite al ‘piede di lepre’, senza eccezione per alcune delle parlate sarde. E fin qui Paulis non ha fatto altro che analizzare i lemmi con metodo auto-referenziale, cioè con dimostrazioni che dimostrano se stesse mediante le molte parole latine ed europee riflettenti serialmente lo stesso significato. Questo è una petitio principii, un sofisma nel quale si assumono come premesse dei semantemi che sono identici alla conclusione che deve ancora essere provata: sono premesse assunte senza prova, come vedremo.
Un modo identico di fare etimologia lo troviamo per erba de sòli ‘eliotropio’ (Heliotropium europaeum L.). Vedi quanto scritto al riguardo. Prima di procedere nella dimostrazione ricordo anche l’etimologia dei seguenti fitonimi:
– δίψακος, termine mediterraneo con base nell’akk. dišpu(m) ‘miele, sciroppo’ + saqqu ‘sacco’ (metatesi: *dips-sacco), col significato di ‘sacco di miele’;
– (erba de) spròni, ispròni, composto sardiano con base nell’akk. esu, eššu ‘sepolcro’ + pûru ‘(stone) bowl’ (stato-costrutto es-puru + suff. sardiano -ni), col significato di ‘(erba per) vasetti da sepolcro’;
– cima de pastori, dall’akk. pātu(m) ‘bordo, orlo’ + urû(m) ‘stalla’, col significato di ‘cardo per recinzioni’.
Questi fitonimi (ma l’elenco sarebbe più lungo) sono mere paronomasie, che li hanno fatti intendere, in greco ed in sardo, il primo accomunato al sole (erba e soli), il secondo accomunato alla sete (διψάω ‘ho sete’), il terzo accomunato allo sprone, il quarto accomunato al (bastone del) pastore.
Invito a capire meglio la problematica leggendo la trattazione di quei lemmi. Non mette infatti conto seguire il filo di certe ragioni, che non rendono conto di ciò che sta alla base del fenomeno da noi percepito, pure negli autori antichi, e pure nelle lingue straniere. Vengono presi per valori reali i lemmi conditi dall’autorità della lingua greca o latina.
Ad esempio, il franc. verge de berger rispecchia la semantica della denominazione neolatina virga pastoris, ma in questo caso le denominazioni neolatine sono influenzate semanticamente da quelle latine, e quelle latine sono già paronomasie, tradotte supinamente alla lettera dall’akk. pātu(m) ‘bordo, orlo’ + urû(m) ‘stalla’, col significato di ‘cingi-stalla’ (composto in pāt-urû, onde la paronomasia lat. pastor).
Qualunque popolo, moderno o antico, è sempre stato vittima della paronomasia. I Greci non se ne salvarono mai, e (tanto per dirne una) il fitonimo sardo erba e soli, da loro chiamato heliotrόpion e dai Romani, per imitazione del significante, solaris herba, non fa eccezione. Rimane così dimostrato che, laddove i Greci hanno prodotto la propria paronomasia, gli altri popoli antichi e moderni, che dai Greci, attraverso i Romani e poi attraverso la cultura neolatina, hanno ripreso spesso molte semantiche, non hanno fatto che ricreare nella propria lingua le formazioni fonetiche connesse alla semantica adottata.
Tale è stato il destino di λαγώπους, tradotto da tutti come ‘piede di lepre’ o simili, mentre la base etimologica è l’akk. laḫu ‘young shoot’ + pû(m) ‘pula, loppa, foraggio’, col significato di ‘erbetta da foraggio’.
Agire in questo modo da parte dei linguisti moderni non crea alcunché di scientifico, continua a produrre paretimologie. Ciò non sarebbe successo se gli scrittori greci, e quelli romani che ne furono i seguaci, e pure i linguisti attuali che ne ricalcano le orme, avessero preso atto che, nonostante l’egemonia culturale della Grecia classica, e poi di Roma, il mondo mediterraneo in quell’epoca rimaneva pervaso dalle antiche lingue semitiche, dall’accadico, dal babilonese, dall’assiro, dall’ebraico, dal fenicio, dall’aramaico. Ed è in tali lingue che già da allora occorreva trovare apparentamenti (non ascendenze, dico apparentamenti), e così scoprire che la grande Lingua Mediterranea non solo esisteva davvero, ma era pure molto variegata ed oltremodo imparentata, concatenata.

PÉI GOLUMBÍNU ‘arganetta azzurra’ (Alkanna tinctoria [L.] Tausch.), paronomasia operata su un composto sardiano con base accadica; si comprende il vero significato se osserviamo il fiore, una specie di trombetta dal calice lungo e stretto che s’allarga di colpo all’estremità (la sua forma richiama, escluse le proporzioni, la tromba dei grammofoni di cent’anni fa, ma è proprio il collo lungo e stretto ad averle dato il nome). Il termine péi golumbίnu ha base nell’akk. pīqu(m) ‘stretto’ + lu’u(m) ‘gola, esofago’ + bīnu(m) ‘figlio’ (piqu-luum-binu), col significato di ‘bimbo dalla gola stretta’ (bimbo riferito alla bellezza del fiore). Per capire l’importanza del termine bimbo, occorre ricordare che ovunque nel mondo un fiore od altra cosa graziosissima è talora chiamato o riferito al bimbo o bimba. Va comunque segnalato che il fitonimo camp. péi golumbínu è pure riferito al ‘geranio’ (Geranium columbinum L.).

PENNULÉRI (Bitti) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.), composto sardiano molto poetico, riferito ai frutti rossi della Rosa canina, mangiati golosamente dai mufloni e dagli altri quadrupedi della montagna in concorrenza con l’uomo, che ne ha sempre fatto delle saporite marmellate. La base è l’akk. pendû (red stone) + lēru (a gold paste), col significato di ‘marmellata di pietre rosse’ (riferita allo splendente colore dei frutti). Per capirci meglio, ricordo che il frutto maturo della Rosa canina è dapprima duro-coriaceo, poi morbido, ed in bocca è sentito proprio come una marmellata leggermente acidula (l’acidità è causata dalla grande quantità di vitamina C).

PERICÒNE log., pericòni, piricòni, pirincòni camp. ‘iperico’ (Hypericum perforatum L.). Paulis NPPS lo traduce dal lat. Hypericum passando per il cat. pericó. L’etimo va bene. Tuttavia vedi l’etimo di ipérico.

PESCÁLI cognome di Santa Teresa che Pittau crede variante del cgn Pascáli. Non è realistico.
Credo che questo in origine sia stato un nome personale di donna, con base nel sum. peš ‘fico’ + kal ‘raro’, col significato di ‘fico raro’ (qualità: ottima considerazione per quei tempi, considerato il valore che si dava a tale produzione).

PETRALÌSCIA (Tempio) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum L. var. rotundifolium Mill.). Petraliscia è costruzione poetica, fatta sulla falsariga di culuèbba, caccarágiu caccaracásu (vedi), tutte formazioni richiamanti una pagnotta rotonda, una frittella, una merlatura. Petralìscia è composto sardiano con base nell’akk. pērtu(m) ‘capelli’ ed anche per traslato ‘germogli’ + līšu ‘impasto’, ‘pasta di frutta (ossia marmellata)’, col significato di ‘marmellata di capelli (ossia di germogli)’, frittatina di germogli’. Per capire meglio l’uso di akk. pērtu(m), va notato che in tale lingua esiste pure una pianta non meglio evidenziata, chiamata pērtu ḫarrāni ‘capelli del bordo stradale’, che è tutto un programma. Dal fitonimo petralìscia, che ha funto da prototipo, si è originato preiderìssa e preiderìna (vedi lemmi).

PIÁNU nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

PIBIRILLÒ (Bolotana) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.), composto sardiano con base nell’akk. pilpilû (amante omosessuale) + lutû ‘ramoscello’ (stato costrutto pilpili-lutû), col significato di ‘gambo, o fiore, dell’omosessuale’. Per capire il significato profondo occorre ricordare che gli amanti omosessuali nel lontano passato avevano uno status positivo, e di essi, sempre in positivo, veniva riconosciuta pure l’avvenenza e l’eleganza. Da qui sortì il nome antico del ciclamino. Una controprova è data dal termine ammoráu ‘innamorato’ con cui in Ogliastra chiamano il ciclamino, ed il termine cícciu coyuátu ‘Ciccio sposo’ forgiato in Gallura; ma anche i nomi di persona che esso riceve a Sorradìle (milláno = Emiliano) ed Escalaplano (pittánu = Sebastiano). Ma a loro volta milláno e pittánu sono paronomasie. Oggi tali fitonimi appaiono come nomi di persona, ma in realtà sono antichi fitonimi sardiani: milláno ha base nell’akk. melammu ‘vestito splendido’; pittánu ha base nell’akk. pitnu (a musical instrument), oppure ‘scrigno’, l’uno e l’altro concetto riferiti alla bellezza del fiore.

PIDDI ‘mandragora’. Piddi è anche toponimo del Supramonte di Baunéi. Per l’etimo abbiamo il bab. pillû ‘mandràgora’; infatti il territorio di Piddi è uno dei rarissimi in Sardegna dove la mandragora alligna.

PÌDIŽI (Nuragus), (Paulilatino) pìttighe, (Solarussa) pìttighi ‘vetrice’ (Salix triandra L.), composto sardiano con base nell’akk. pīdu ‘perdono, indulgenza’ + igû ‘principe, leader’, col significato di ‘(pianta) leader nell’indulgenza’. Per capire l’antica semantica occorre ricordare l’uso dei principi attivi di questa pianta, da cui si estrae pure l’aspirina. Anche gli altri fitonimi sardi relativi al ‘salice’ indicano sinteticamente nel termine le miracolose proprietà della pianta.

PIGALÁTTI ‘robbia selvatica’ (Rubia peregrina L.), composto sardiano con base nell’akk. pigû (a plant) + latû ‘to split, divide’, col significato di ‘pianta separatrice, colatoia’: vedi a colalatti.

PIGULÒSA. Vedi priguròsa.

PILIGHINZU ‘Clematis vitalba L’. Vedi biḍḍighinzu.

PILÌNI una graminacea (Phalaris paradoxa L.), altrimenti detta in sardo coiáttu e scariòla. La base più congrua potrebbe (forse!) essere l’akk. pelu ‘rosso’ + īnu ‘occhio’, col significato di ‘occhio rosso’, a causa della infiorescenza “a coda di coniglio”, che nel seccare tende al color rossiccio. Tuttavia la base più accettabile sembra l’akk. pelû(m) ‘uova’ di uccello, pesce, serpente etc. + enu(m) ‘lord’, col significato sintetico di ‘signora delle uova’ (con riferimento ai numerosi semi ovoidali prodotti dall’infiorescenza, molto appetiti dai ruminanti e dagli uccelli.

PILI PILI ‘aglio selvatico’ (Allium subhirsutum L.). Parecchie alliacee e liliacee sono classificate dagli antichi Accadici come piante richiamanti l’omosessualità; vedi per tutte la presentazione del fitonimo coḍḍigùltu. Anche per pili-pili, come per fila-fila, ci troviamo di fronte ad un epiteto del genere. Infatti i fitonimi pili-pili e fila-fila sono sardiani, con base nell’akk. pilpilû ‘amante omosessuale’. Si badi che anticamente l’aglio era così importante che tramite esso si acquistavano pure gli schiavi.

PĪNU ‘pino’. Semerano (OCE II 518) pensa che originariamente il lat. pīnus fosse una forma aggettivale da lat. pix, picis ‘pece’, akk. peḫûm ‘impeciare, calafatare le navi’, pīḫû, pēḫûm (addetto a impeciare le navi). Ma, pur non sottovalutando l’impostazione di Semerano, a me sembra che la base etimologica sia l’akk. pīnu, pinnu ‘bottone, borchia’, con riferimento non alla pece ma alle pigne. Non a caso anche in latino la pigna è chiamata pīnĕa (nux), il cui ricavo (ossia i pinòli, che erano molto ricercati) dovette essere la vera ragione onde poi il nome del grosso “bottone” indicò l’intero albero da cui cadevano.

PIPIRILÒḌḌI (Lula) ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.), composto sardiano con base nell’akk. pilpilû (amante omosessuale) + lutû ‘ramoscello’, col significato di ‘gambo, o fiore, dell’omosessuale’. Per capire il significato profondo occorre ricordare che gli amanti omosessuali nel lontano passato avevano uno status positivo, e di essi, sempre in positivo, veniva riconosciuta pure l’avvenenza e l’eleganza. Da qui sortì il nome antico del ciclamino. Una controprova è data dal termine ammoráu ‘innamorato’ con cui in Ogliastra chiamano il ciclamino, ed il termine cícciu coyuátu ‘Ciccio sposo’ in Gallura. I nomi che riceve a Sorradìle (milláno = Emiliano), ad Escalaplano (pittánu = Sebastiano) sono, a ben vedere, delle paronomasie, che appaiono come nomi personali, ma in realtà sono antichi fitonimi: milláno ha la base nel sum. mi ‘invocazione’ + la ‘mostrare’ + nu ‘Creatore’: mil-la-nu ‘invocazione manifesta al Creatore’. Questa bellissima figura poetica si capisce meglio per il fatto che ogni invocazione, o preghiera era rivolta al Dio Creatore mediante delle offerte. Pittánu ha base nell’akk. pitnu > pit(a)nu (a musical instrument), o ‘scrigno’, l’uno e l’altro concetto riferiti alla bellezza del fiore.

PIPIXEḌḌAS DE MRAXIÁNI (x = j francese), erba non identificata, usata per curare la scrofolosi (Cossu 220). Escludendo l’analisi di mraxani, margiani ‘volpe’ (il cui etimo è nel Dizionario Enciclopedico), è possibile tradurre questo complesso come ‘muso di volpe che ride’. Infatti la base sembra l’akk. pīpī, pû(m) ‘muso, becco’ + ḫelû(m) ‘allegro’.

PIRA log. e camp. ‘pera’, ‘pero’ (albero delle pere); anticamente a Perdasdefogu sas piras de orίga erano gli ‘orecchini’. Questo frutto pare essere il più arcaico del Mediterraneo, poiché la Sardegna è zeppa di perastri, le basi selvatiche su cui s’innestano ogni genere di peri. In certe aree della Sardegna i perastri dovettero costituire veri e propri boschi, se non foreste, considerati i residui sopravvissuti e le aree selvagge dove resistono, compresi i recetti remoti del Supramonte. La stessa definizione su cennata degli ‘orecchini’ aiuta a richiamare per pira ‘frutto del pero’ la base etimologica dell’akk. per’u (un ornamento di pietra). E siamo all’Era Paleolitica.
Questa voce risale ad epoche di una arcaicità unica, e s’apparenta ad una voce anch’essa arcaica, perla, che oggi è definita come ‘piccolo globo di colore per lo più chiaro, opalescente, che si forma specialmente all’interno dell’ostrica perlifera’. Ma questa definizione si aggancia all’epoca moderna, al viaggio di Magellano, mentre il termine fu usato persino da Dante Alighieri prima del 1321; e già nel 1309-10 nel Costituito del Comune di Siena è registrato pierla; ma scopriamo pure il fr. perle del 1100. Si sa che le perle si trovano anche nei fiumi, da sempre, e la loro forma non è certo uguale a quelle del Pacifico e dell’Oceano Indiano. Quindi non è scandaloso scoprire che il nome primitivo sia mediterraneo. Peraltro questa pietra preziosa di origine organica è detta perna in certi dialetti italici, e come tale rientra nel nostro campo semantico, visto che, andando a ritroso, chiudiamo il cerchio col lat. perna, che significa ‘prosciutto’ (per la forma “a pera”), la cui base etimologica è sempre l’akk. per’u (ornamento di pietra) + sum. na ‘pietra’ (stato costrutto per-na), col significato di ‘pietra ornamentale’. Anche perla ha la stessa origine, dall’akk. per’u (ornamento di pietra) + sum. la ‘appendere’ (stato costrutto per-la), col significato di ‘gioiello da appendere’. Quindi scopriamo che fu proprio la forma della pera a dare spunto alla sequela di denominazioni qui esposte.

PIRICÓCCU ‘perlina minore’ (Bartsia trixago L. o Bellardia trixago L.), composto sardiano con base nell’akk. per’u ’germoglio’ + quqû(m) (designation of a snake), col significato di ‘germoglio dei serpenti’. I Babilonesi usavano spesso il primo membro (per’u) nei composti a indicare un tipo di pianta: vedi ad esempio per’u kalbi = ‘germoglio di cane’.
Diverso problema nasce a riguardo di camp. piricóccu in quanto ‘albicocca’ (Prunus armeniaca, chiamata in Logudoro barracóccu). Per quanto il termine sardo sembri corruzione dell’it. albicocco, va chiarito che è lo stesso lemma italiano a meritare una rigida indagine etimologica. DELI ne pone l’etimo nell’ar. (al)barqūq ‘prugna, susina’, «che pare risalga (attraverso l’aram. bārqūqa) al gr. praikókion, dal lat. persica praecocia». Da quanto scritto, discende che il log. barracóccu deriva direttamente dall’aramaico. A sua volta piricóccu ha subìto l’influsso di píru ‘pero’.

PISEḌḌU ‘pisello’, sardo pisu < lat. pisum ‘pisello’ (Pisum sativum). Possiamo mettere anche questo tra pochi nomi di ortaggio vernacolari, nonostante ci sia la chiara sovrapposizione del suffisso -éḍḍu dall’it. -èllo. Diciamo che il lemma sassarese è metà sardo e metà italiano.
In Sardegna pisu ha alcune varianti, quale prisucci, pisuccre. «In contrapposizione al Pisum sativum, un numero notevole di altre leguminose di scarso o nessun pregio alimentare, ovvero usate come foraggere, ma solitamente non coltivate, riceve la denominazione spregiativa di pisúrci de golόru, pisu de golόvru o pisu kolovrínu con riferimento alla serpe… Si tratta delle seguenti specie: Lathyrus annuus L., Lathyrus aphaca L., Lathyrus articulatus L., Lathyrus cicera L., Lathyrus ochrus D., Lathyrus pratensis L., Lathyrus silvester L., Lathyrus tringitanus L., Vicia benghalensis L., Vicia Bithynica L., Vicia hybrida L., Vicia lathyroides L., Vicia Narbonensis L., Vicia peregrina L., Vicia sativa L.» (Paulis NPPS 272). Anche questo fitonimo, come altri, partecipa sia dell’etimo indoeuropeo (latino o greco, o latino-greco) sia dell’etimo semitico (per pisu vedi pure basόlu). Va in ogni modo riconosciuto il seriore ascendente latino sul termine sardo.
Dopo questa precisazione, va comunque affermato che il termine sardo basόlu ha la base nel latino, e pure nel gr. φάσηλος ‘barca, scialuppa’ (con richiamo evidente alla forma del baccello aperto), la quale riaccosta ai significati originari di lat. faba, un originario duale che denota le due valve: akk. bābu, aramaico bāb ‘porta’. Lo stesso greco φάσηλος è calcato sulla base ebr. p(e)sālā ‘sbucciare’, pāṣa ‘aprire’, pāṣam ‘to split’. Alla base di pêṣum va ricondotto il lat. pīsum (Semerano OCE II 516).
Va da sé che pisùrci, prisùcci, pisùccre ‘pisello’ non è altro che una forma paronomastica e metatetica di un più antico *pisùklu, che in origine significò ‘pisello edule’. Il termine si basa sull’akk. uklu(m) ‘cibo, nutrimento’, sul quale si è esercitata la metatesi e la rotacizzazione (uklu > ulku > urci). Questo fitonimo ha subìto lo stesso processo di murtaùcci ‘mirto’, che un tempo significò ‘nutrimento per giovani bestie femmine’ (vedi).

PISINÁKE ‘vescia di lupo’ (Lycoperdon bovista L.), composto sardiano con base nell’akk. peṣû(m) ‘essere bianco’ + naqû(m) ‘liberarsi di’. Il significato è riferito al fatto che il Lycoperdon è un fungo bianco a palla, che alla maturità libera con un soffio milioni di spore al minimo urto (non a caso il nome greco significa ‘scorreggia di lupo’).

PISSIAGÙLU (Perdasdefogu) ‘ortica’ (Urtica dioica e varianti), paronomasia originata da un composto sardiano basato sull’akk. pirṣu(m), perṣu(m) ‘breccia’ + ḫūlu ‘via, sentiero’, col significato di ‘(pianta delle) brecce e dei sentieri’, ad indicare i suoli alquanto umidi e ricchi di humus (come sono quelli accanto alle brecce) su cui nasce l’ortica.

PISTIḌḌÒRI (Orani) ‘ortica’ (Urtica dioica e varianti). Il termine ha subìto l’influsso fonetico di camp. spistiḍḍài ‘ammazzare un animale tagliandogli la nuca’ (spistiḍḍàda ‘rottura del collo’ deriva dai riti sacri babilonesi, in cui si sgozzava o decapitava l’animale). Il termine è dal bab. pištu(m) ‘far violenza, usare villania’ + idu ‘forza’ + suffisso sardiano -ri: pišt-idu-ri ‘gesto di violenza villana’ (tutto un programma).

PISTINÀGA camp. ‘carota’ (Daucus carota L.). Cfr. lat. pastinaca. Comune discendenza sarda e latina dalla base akk. pištu(m) ‘abuso, scandalo’ + nâqu(m) ‘gridare’, col significato di ‘grido di scandalo’ (con riferimento al fatto che la carota ha forma allusivamente fallica).

PISTURRA erba non registrata nei dizionari. La cita Cossu 167 senza conoscerla, scrivendo ch’era usata contro il mal di gola. Probabilmente era la menta: lo deduco non solo dall’etimo, ma anche dall’uso (veramente appropriato) che si fa della Menta, specie della varietà Piperita, per curare le infiammazioni delle vie respiratorie. Base etimologica è l’akk. pištu(m) ‘abuso, scandalo’, ‘trattare qualcuno in modo immorale’ + urnû ‘menta’, col significato di ‘menta del peccato’ meglio ‘menta contro il peccato’. Per capire il concetto, ricordo che prima dell’Era cristiana, comunque nell’antica Mesopotamia, era considerato peccato qualsiasi modo d’agire contro le divinità. Uno dei peccati era di non avere cura del proprio corpo. Così la pensava anche Gesù Cristo.

PISU ‘pisello’ < lat. pisum ‘pisello’ (Pisum sativum). Ho trattato l’etimologia al lemma piseḍḍu.

PISÙRCI, prisùcci ‘pisello’. Vai alla voce pisu, piseḍḍu.

PITIÓLU (Seùi) ‘digitale’ (Digitalis purpurea L.). Paulis NPPS rinvia il significato a pitiólu, ‘campana schiacciata e bislunga di rame con battaglio fatto di corno’ per capre e pecore, termine che, come pure Wagner, ritiene di probabile origine onomatopeica. Ma l’onomatopea non c’entra. Il termine è un composto sardiano con base nell’akk. pitnu(m) (a musical instrument) + ullû(m) ‘esaltato’, col significato di ‘strumento di esaltazione’ o simili. La figura è ovvia, data la bellezza del fiore.
Da notare la forte affinità con l’altro termine sardo pipiólu ‘zufolo’, strumento a fiato con imboccatura a testa zeppata, usato in diverse misure e timbri; esiste su pipiólu de ossu, su pipiolu de canna (Logudoro e Barbagia), su pipiolu de linna. Quello d’osso è il più antico, ricavato da un semplice osso (stinco d’agnello o grosso uccello) nel quale veniva scavato un semplice foro rettangolare, qualche centimetro sotto la testa dell’osso. È scomparso da millenni ed è stato ritrovato in scavi archeologici. Gli altri sono ancora nell’uso popolare.
La base etimologica è l’akk. pīpī > pû ‘bocca di Dio’ + ullû(m) ‘esaltato’ di deità, col significato di ‘esaltazione della bocca di Dio’. Una forma speciale di pipiólu, chiamata anche pipaiólu, era su sulittu, con una sottospecie di sulittu e tamburinu, chiamata pìffaru nel Logudoro. La cito da pagg. 97 e 101 di Dore per ricordare l’arcaico uso di questo strumento accompagnato dal tamburo. Nonostante che oggi venga sostituito da un moderno piffero, tuttavia l’uso che di questo strumento si fa in accompagnamento del tamburo, nella Festa dei Candelieri di Sassari, è qualcosa di molto arcaico.

PITTÁNU ‘ciclamino’ (Cyclamen repandum L.). Per la discussione e l’etimo vedi al lemma pipirilòḍḍi.

PÌTTIGHE ‘vetrice’. Vedi pìdiži.

PITTSICULÒSA ‘Parietaria’ (Parietaria officinalis). Per discussione ed etimo vedi priguròsa.

PITZIÁNTI nome aggettivale riferito alla ‘ortica’ (Urtica urens, etc.).
Prima di analizzare il lemma dobbiamo interrogarci sulla causa del rarissimo suffisso -ánti per l’Urtica, laddove ci aspetteremmo -ósu = lat. -osus, del tipo marigósu ‘amaro’. A quanto pare, per l’Urtica si è voluto privilegiare il suffisso lat. -ans, -antis del part. presente, quasi a indicare la repentina e momentanea urticazione, che sparisce senza lasciare traccia.
Quanto al radicale pitz-, da cui i verbi pitzigáre, pittigáre, pitzigái ‘‘prendere o stringere tra pollice e indice’; ‘punzecchiare, stuzzicare, molestare, beccare’, l’etimo italiano viene ricondotto a pizzo ‘punta’; Wagner riconduce tutte le forme che ruotano attorno a pitzigàda alla radice pitz-, come per l’italiano, e lì s’arresta. Ma il termine deriva dall’ass.-bab. pitḫu ‘perforazione; ferita da taglio nella carne’. In tal guisa si ebbe, già 2000 anni fa, per stato costrutto, *pitḫi-ans, *pitḫi-antis > *pit(i)ḫanti > pitziánti.

POḌḌINÉḌḌU ARRÙBIU ‘Fumaria’ (Fumaria officinalis L.), composto sardiano con base nell’akk. pūdu(m) (designazione di pecora) + ellu ‘puro, chiaro’ ossia elettivo, col significato sintetico di ‘(pianta) elettiva per le pecore’.

PRAMMA camp. ‘palma’; log. prama, sass. pàimma. Per etimologia e discussione rinvio ai lemmi pàimma e paimitzu.

PREDI OLLA vitigno campidanese. Per l’etimo rinvio al capitolo degli ampelonimi.

PREIDERÌNA (Lula) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum L. var. rotundifolium Mill.). Vedi discussione ed etimo al lemma preiderìssa.

PREIDERÌSSA, preiderìna (Lula), priorìssa (Lollove) (Smyrnium perfoliatum, var. rotundifolium). Anche il termine di Lollove priorìssa rientra nella fattispecie di preiderìssa, con mutamento semantico derivato dal prototipo di cui più oltre dirò. Senonché questi termini, che oggi appaiono riferiti ad una ‘pretessa’ o ad una ‘prioressa’ (quella che organizza la festa di S.Francesco di Lula), sono in realtà paronomasie, formulate quando si era perso il significato originario.
Il prototipo di queste formazioni è petralìscia (Gallura), anch’esso paronomasia, che ha però una più arcaica formazione sardiana, con base nell’akk. pērtu(m) ‘capelli’ e per traslato ‘germogli’ + līšu ‘impasto’, ‘pasta di frutta (ossia marmellata)’, col significato di ‘marmellata di capelli (ossia di germogli)’, ‘frittella di germogli’. Per capire meglio l’uso di akk. pērtu(m), va notato che in tale lingua esiste pure una pianta non meglio evidenziata, chiamata pērtu ḫarrāni ‘capelli del bordo stradale’. Ma vedi tutta la discussione al lemma petralìscia.

PRIGURÒSA sass., priculòsa gall., pigulòsa log., altrove pittsiculòsa ‘parietaria’ (Parietaria officinalis L.). Per la natura delle sue foglie, Wagner fa derivare il termine dal sardo pigulare ‘attaccare’ (a sua volta dal lat. pix, picis). Ma è più congruo l’etimo da pigû (a plant) + lu’’û(m) ‘sporcare, macchiare’ + -sa suffisso sardiano, col significato di ‘pianta che sporca’, in considerazione del fatto che questa piantina ha le foglie ed il fusto ricoperti di una micro-peluria finemente uncinata, ed il passante se ne impregna letteralmente i vestiti, giungendo persino a sporcarli perché la tenacità delle foglie, unita al fatto che sono delicatissime e fortemente pigmentate, rende ardua la loro rimozione senza che lascino sul vestito qualche macchia di verde intenso.

PRIORÌSSA (Lollove) ‘corinoli arrotondato’ (Smyrnium perfoliatum L. var. rotundifolium Mill.). Vedi discussione ed etimo al lemma preiderìssa.

PRISUCCI, pisùrci ‘pisello’. Vedi alla voce pisu.

PRUTTSÈRA, purtsèra ‘cerfoglio’. Vedi burtsèra.

PUBULÌA log. ‘pioppo’ (Populus nigra L., Populus piramidalis Salisb.). Paulis NPPS crede che l’origine sia il lat. populus, ma sbaglia. Il fitonimo è sardiano ed ha base nell’akk. papallu ‘virgulto, germoglio’. Non c’è da discutere sull’importanza della pianta nell’antichità per i suoi virgulti, utili a creare ceste e contenitori di ogni genere. Vedi anche il lemma puglièlma.

PUBÙSA (Sénnori) ‘papavero o rosolaccio’ (Papaver rhoeas L.), sass. pupùža, termine sardiano con la base nell’akk. puṣû(m) (un genere di oro, evidentemente reso rossiccio col rame) ed ha tale nome (con raddoppiamento pu-) a causa del bellissimo colore.

PUBUSÒNE ‘carota selvatica’ (Daucus carota L.), paronomasia, da un composto sardiano con base nell’akk. pû(m) pl.f. ‘bocca’ (raddoppiato al superlativo: pu-pu) + sūnu(m) ‘grembo’ (nel senso di organo sessuale femminile). Questo termine complesso deve essere visto come forte allusione sessuale legata al fatto che il fittone della carota ha la chiara sagoma di un fallo taurino, e in tale foggia richiama il Sacro Fallo del Dio dell’Universo. Pertanto in origine il vero significato nacque da due usi sessuali del membro virile, quello di essere preso per bocca (fellatio) e poi accolto nella vagina (coitus); quindi ricevette il nome sintetico di ‘(frutto per) bocca-vulva’. Vedi pure arigáglia.

PUGLIÈLMA, puyèlma camp. ‘pioppo’ (Populus nigra, Populus piramidalis, etc.), composto sardiano con base nell’akk. pūlu, pīlu ‘pietra candida, calcare’ + elinu (un genere di pianta), col significato di ‘albero candido come la pietra bianca’ (a causa della scorza chiarissima e del candore della pagina inferiore delle foglie di certi pioppi, come il Populus alba).

PURTSÈRA, pruttsèra, burtsèra ‘cerfoglio’ (Anthriscus cerefolium Hoffm.), composto sardiano con base nell’akk. buru (a garden plant) + ṣêru(m) ‘espandersi, allargarsi’, col significato di ‘pianta da giardino espansa’ (basta vederla per capirlo).

RABA log. e camp. ‘rapa’ (pianta delle papaverali); cfr. lat. rāpa che forse è un nt. pl. di rāpum; gr. ράφανος ‘rafano, ravanello’. La base indica la parte grossa, il tubero < akk. rabbûm ‘very big’. (OCE II 542).

RABANELLA sass. ‘varietà di rafano con radici ingrossate, esternamente rosse’ (Raphanus raphanistrum sativus). Vari filologi romanzi disputano ancora se il termine raphanus sia stato introdotto in epoca romana o quando. In realtà è mediterraneo, con base nell’akk. rabû(m) ‘crescere’, ‘diventar grande’ + ni’lu, nīlu ‘umidità, l’essere bagnato, fradicio’ (è proprio ciò che serve a questa pianta per crescere bene).

RÁDICA (Nuoro); ráica (Bitti); ráiχa (Dorgali) ‘radice della vite’ (CdL 43); arráiga (Barbagia); arraίga, arreίga camp ‘radice’, specialmente ‘ramolaccio o ravanello’. In it. rádica è la radice legnosa della ‘saponaria’ (radice di una specie di Erica, adoperata per fabbricare pipe). La base unificante è il lat. rādīx ‘radice’, gr. ράδιξ ‘ramo’; aat. ratich, retich; finn. räätikka; celt. redic; aisl. rot; ags. rōt, ingl. root; gallico gwraidd ‘radici’; got. waurts ‘radice’. La base originaria ha il significato di ‘penetrare, andar giù, to go or come down to lower ground’. Base etimologica è l’akk. warādu ‘to go down, andar giù’ (OCE II 541).

RAMÁSCIU nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

RATTALÌMBA log. ‘robbia selvatica’ (Rubia peregrina L.), ‘attaccamani’ (Galium aparine L.), paronomasia formata su un composto sardiano che ha per base l’akk. rāṭu(m) ‘canale d’acqua’ + lippu ‘pallina, tampone, batuffolo’. Per capirne la semantica (‘pallina dei canali’) occorre tener conto che nella Mesopotamia di 5-4000 anni orsono i canali scavati per l’irrigazione erano colonizzati, lungo le sponde umide, dalla flora amante dell’umido, tipo appunto la robbia selvatica e l’attaccamani. Va inoltre chiarito che il frutto di questa piantina è una capsula quasi sferica, a due teche, ispida per peli uncinati.

RATZA sass., log. ‘salsapariglia o smilace’ (Smilax aspera L.). Paulis NPPS sostiene che la voce non è sarda, «come mostra la distribuzione geografica: cfr. corso raddza ‘specie di edera che cresce fra i lecci’; tosc. raža, rağa; calabr. raja, rájula; lig. razza, rasai; sic. raja vera… Come ha riconosciuto per primo V.Bertoldi…, queste forme si riconducono al fitonimo radia, addotto dallo Pseudo Dioscoride 4,142 RV quale sinonimo etrusco per la nostra pianta». Grato a NPPS per queste citazioni, ho più ragioni per dimostrare che ratza e sue varianti è fitonimo mediterraneo (quindi pure sardiano) con base nell’akk. rādiu(m) ‘guida carovaniera; cercatore di tracce; conduttore, mandriano’. Il fitonimo è termine poetico indicante la vera natura della salsapariglia, che è di arrampicarsi celermente nella selva più fitta, trovando la via per meandri bui e pressoché impraticabili.

RATZÒLA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

REMUNGIÓ, Remmungiáu, varietà d’uva bianca. Per l’etimo rinvio al capitolo degli ampelonimi.

RETAGLIÁDU nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo rinvio al capitolo degli ampelonimi.

RETÁGLIU nome di vite sarda ad uva nera. Per l’etimo rinvio al capitolo degli ampelonimi.

RETTI (Lodè, Lula, Siniscola), rethi (Orani, Sarule, Orgosolo) ‘clematide’ (Clematis vitalba L.); in Logudoro c’è rétiu ‘erba velenosa’. La parola retti è antichissima, appartiene ad un periodo in cui i Sardi non chiudevano i propri recinti con le reti (metalliche o no): chiudevano l’ovile con ramaglie pungenti. Base etim. l’akk. retû(m) ‘fisso, installato,’ fissarsi’ in un posto, ‘installarsi’, con l’evidente significato di ‘(pianta) che si fissa, che s’installa (sulle altre piante)’.

ROSA è il nome di uno dei fiori più belli del mondo, chiamato così anche in Sardegna, fin da tempi remoti, a dispetto di quanti marchino l’origine dal lat. rŏsa, il quale a sua volta è invece, semplicemente, un nome mediterraneo e vicino-orientale, alla pari di quello sardo. Tutti i linguisti indogermanisti richiamano come base del termine latino il gr. ρόδον: ma non si capisce come questo possa esserne la matrice, vista la distanza fonetica. In verità il sardo (e latino) rosa ha la base nell’akk. rusû(m) (un genere d’incantesimo). Nome che è tutto un programma. L’ascendente sumerico è ru ‘architettura’ + sa ‘legame’, ‘rete (da caccia)’, col significato di ‘legame, rete (tramata) per legare’.

ROSA nome di vite sarda ad uve nere. Il termine non attiene ad alcuna rosa, poiché è sardiano, con base nell’akk. rusû(m) (un genere d’incantesimo). L’ampelonimo parla da sé. L’ascendente sumerico è ru ‘architettura’ + sa ‘legame’, ‘rete (da caccia)’, col significato di ‘legame, rete (tramata) per legare’.

ROSANÈRA vite sarda ad uve nere. Per l’etimologia di questo ampelonimo, vedi più su rosa, che significa ‘incantesimo’. L’aggettivale nera è alquanto sospetto, essendo italianizzante. Lo si poteva chiamare nièḍḍa, o no? Evidentemente quello che sembra un aggettivo è in realtà una paronomasia originata su un termine sardiano con base nell’akk. nēru (a tree). Onde rosa nèra significò ‘alberello degli incantesimi’ (a causa della bontà del vino).

RU BUḌḌÉRIGOS (Santu Lussurgiu) ‘rosa di monte’ (Rosa canina L.), composto sardiano con base nell’akk. budû (a cake) + ēru(m) ‘eagle’, col significato complessivo di ‘coccola delle aquile’.

SABÌNU ‘ginepro fenicio’ (Juniperus phoenicea L.). Paulis NPPS lo deriva dall’it. sabina. Ma sbaglia. Anche il termine italiano, al pari di quello sardo, ha base nell’akk. šabium ‘cedro’ + enu(m) ‘signore, sovrano’, col significato di ‘cedro della migliore qualità’. Per capire il significato antico di questo fitonimo, va notato che, tra i ginepri della Sardegna, quello fenicio non è pungente, inoltre è quello che cresce diritto, consentendone un uso proficuo in carpenteria, ad iniziare dalle costruzioni. Occorre ricordare che nell’antichità sarda il ginepro era usato per le travature destinate a durare nei secoli. Anche la cattedrale di Porto Torres, nell’XI secolo, fu trabeata con dei ginepri poderosi che avevano una lunghezza utile di almeno 13 metri, visto che attraversano la navata per 11 metri.

SALAÙSPE, salaùspu ‘resta dell’avena selvatica’. Per l’etimo vedi saraùpu.

SÁLIGHE log., sálike centr., sálixi camp. (Meana ságili, Mogoro sáxibi) ‘salice’. Tenuto conto del fatto che il salice è il classico albero dei luoghi umidi, e può addirittura vivere in mezzo all’acqua, il fitonimo richiama la stessa base etimologica di sala (vedi) nonché salίa log. e camp. ‘saliva’ < lat. salīva. Base etimologica l’akk. šalûm ‘to submerge, immerge’ (OCE II 553). Quindi in origine sálighe, sálike fu un aggettivale di šalûm (+ suff. di stato -ike) indicante la ‘pianta dell’immersione’.

SALÌNA, così chiamata in Ogliastra l’Erica scoparia. Base etim. bab. ša alû (+ suffisso sardiano -na), che significa ‘quella delle pipe (la pianta con cui si fabbricano le pipe)’. Com’è appunto l’erica, che dà le migliori radici.

SAMBĺNZU ‘lentaggine’ (Viburnum tinus L.), ma anche ‘fusaggine’ (Euonymus europaeus L.). Siamo davanti a una paronomasia, la quale per caso già dall’origine ricuperò il concetto di “rosso”, sia pure come parte di un composto. Sambinzu è un composto sardiano con base nell’akk. sāmu ‘red, brown’ of fruit + īnu(m) ‘eye’, col significato di ‘occhio rosso’ (riferito ai frutti).

SAMBĺNZU ‘fusaggine’ (Euonymus europaeus L.). Anche per la ‘fusaggine’ dò lo stesso etimo del precedente sambinzu, a causa del frutto rosso, interpretato dagli antichi come ‘occhio rosso’.

SÁMBULA, sámula gall. ‘specie d’erba lunga a sezione triangolare che ha un certo sapore di aglio, ma è più dolce nei talli’. Paulis NPPS riporta dal Falcucci 306 questa definizione, che sembra essere adatta per l’Allium triquetrum o per l’Allium vineale. Denominazione presente anche in Corsica. L’etimologia si basa su un aggettivo sardiano *sámulu, da akk. šāmu(m) ‘comprare, acquistare’ + suff. sardiano -lu. Per capire questo significato, occorre ricordare che nell’antichità l’aglio era così prezioso che serviva da base monetaria per gli acquisti (al pari del sale). Vedi al riguardo quanto scritto al fitonimo coḍḍigùltu.

SARAÙPU sass. ‘pungitopo’ (Ruscus aculeatus), ‘spiga selvatica’ molto leggera che si attacca alle vesti; anche saraùipu. Base etim. per il ‘pungitopo’ è il sum. šar ‘to make splendid’ + ub ‘corner, recess’; il composto significò ‘splendore dei recessi’ (il pungitopo ama stare appartato all’ombra dei boschi). L’altra piantina quì indicata ha lo stesso nome, per fenomeno analogico.

SARPA, tharpa, tzarpa ‘salice rosso’ (Salix viminalis L., Salix fragilis L., Salix aurita L.). Ma in Sardegna esso talora è chiamato sa sarga. L’origine del termine è dall’assiro ṭarpa’u ‘tamarisco’. Ambedue gli alberi prediligono i suoli molto umidi ed hanno verghe flessibili.

SÁSIMA ‘alaterno’. Vedi ásuma.

SATZAPÓRUS nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

SATTSARÓI ‘gigaro’; chiamato pure aru (vedi), la cui pannocchia pare un “granaio”. In origine il termine sardo doveva essere *satza-aru-i, ed era tutto un programma, derivante da due lemmi accadici giustapposti e in parte fusi: sataru ‘’timo’ o simili’ + arû ‘granaio’, col significato di ‘erba del granaio’. La variante θoθθóriu (vedi) ha diversa etimologia. L’altra variante tattaróyu sembra la commistione di questi due lemmi.

SCOVA DE BÌNGIA ‘ginestrella comune’ (Osyris alba L.), composto sardiano con base etim. nell’akk. isqu ‘lotto di terra (o di altro)’ in quanto eredità, o porzione determinata + ubû ‘spessore’ + ebīḫu (a rope). Lo stato costrutto opera come isq-ub-ebiḫu > *iscob’ebi(n)giu > iscoba e bìngia. Il significato sembra ‘(pianta destinata a) funi spesse’. Infatti questo è un suo uso certo dell’antichità.

SCOVIÒI camp. ‘ginestrella comune’ (Osyrys alba L.). Il fitonimo è sardiano ed ha alla base l’akk. isqu ‘lotto’ particolare + ubû ‘spessore’ + suff. aggettivale sardiano -òni. Il significato completo sembra essere ‘(pianta) di lotti particolari per fare spessori’ ossia funi. Vedi la discussione a scova de bìngia.

SCRAFUḌḌU. Vedi a strapuḍḍu.

SEBÀDA ‘áloe’ (Aloe vera L.). Paulis NPPS mette in evidenza che questo fitonimo campidanese è uguale allo sp. azavara, cat. atzavara, adzebara e sim., dall’arabo maghrebino ṣabbâra, variante del classico ṣubbâr, derivato di ṣábir ‘succo dell’aloe’ (da DES,II,396). Origine prima è indubbiamente il sum. šebar ‘illness’, come dire che questa pianta fu già nota in età arcaica per la miracolosa proprietà di guarire dalle malattie. Ovviamente col tempo il termine è stato reso omologo di sebàda, sardo ‘dolce di formaggio’.

SELABATTU ‘consolida maggiore’ (Symphytum officinale L.): ha l’esatto corrispondente nell’akk. ṣalabittu (a plant).

SELÈBRA log. ‘alimo’ (Atriplex halimus L.), fitonimo sardiano con base nell’akk. šēlebu(m) ‘fox’, col significato di ‘(pianta delle) volpi’. Col passare dei secoli si è perduta la cognizione della prima sillaba e si è interpretato -ebu > -eba come ebra (metatesi di erba).

SÉLLARU sass., log. ‘sedano’ (Apium graveolens), dorgal. séllari; ha i corrispettivi nell’it. sèdano, gr. sélinon. DELI non conosce l’origine del termine greco, dal quale crede derivato quello italiano e tutte le forme dialettali italiane. Ritiene che il centro di diffusione del fitonimo greco sia l’esarcato di Ravenna, data la vitalità che la voce ha nell’area emiliano-romagnola e nella Padana orientale.
Manco a dirlo, Wagner crede che il termine sardo derivi dall’italiano (vedi tosc. sèllero, romanesco sèllaro, piem. séleri). Ma il termine è mediterraneo, ed è talmente espanso che anche gli Inglesi lo chiamano cèlery (pr. sélery). Il fitonimo sassarese-logudorese è la forma più antica in assoluto, ed ha la base etimologica nell’akk. ṣēlu(m) ‘costola’ + aru(m), eru(m) ‘gambo, stelo’, col significato di ‘foglia costolata’ (giusta la figura di tale ortaggio).

SEMIDÁNU tipo di vino bianco e relativo vitigno. Per l’etimo rinvio al capitolo degli ampelonimi.

SENNORÈḌḌA. Vedi al lemma caccasennorèḍḍa.

SÈNSENE, sènzene, sìnzini (Ogliastra) è il ‘Cyperus longus’ nel sud chiamato sèssini (vedi).

SERRÀDA (Laconi) ‘salsapariglia o smìlace’ (Smilax aspera L.). Il fitonimo è nato certamente a causa del comportamento della salsapariglia. Esso è un composto sardiano con base nell’akk. sīru(m) ‘tenda, copertura precaria’ + adû(m) (un genere di copricapo), col significato di ‘(pianta) ricoprente a tenda’: infatti la salsapariglia è un rampicante indomabile, invade e ricopre molti alberi e moltissime piante.

SÈSSINI ‘giunco’ (Cyperus longus). Base etim. l’ant. ass. šēšû (una piccola rete, prodotta ovviamente col giunco) + suffisso sardiano -ni. Séssini è quindi un antico aggettivale col significato di ‘pianta per la creazione delle reti’.

SETTI ENAS (folla de) (erba ignota le cui foglie erano applicate al vespaio: Cossu 213). La base etimologica sembra l’akk. šettu ‘peccato, atto di negligenza’ + enu(m) ‘signore’ (inteso anche come deità). Anche il vespaio, come peraltro tutte le malattie che accadono all’uomo, era visto come l’effetto di un peccato contro il Signore.

SIMINGIÒNI ‘Sonchus oleraceus’. Vedi camingiòni.

SÌNDRIA sass. ‘anguria’, anche sp., cat. e sardo in generale; è l’ortaggio a frutto verde-scuro a forma di grande palla a polpa rossa acquosa e dolcissima; sinora nessuno era riuscito a capirne l’etimo, che ha la base nell’akk. sēdum ‘rosso’ (con seriore epentesi di -n-) + re’û(m), rē’ium ‘pascolo’, ‘pascolare’, con stato-costrutto sardiano *se(n)d-rea > sìndria col significato di ‘nutrimento rosso’. Comunque vedi l’ampia discussione a proposito di cugùmmaru.

SINZILLÓSU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

SÌNTSIRI, sintsùrru ‘correggiola’ (Polygonum aviculare, ma pure Equisetum palustre L.). La base etimologica più antica è l’akk. sînu ‘luna’ + ṭīru ‘cespuglio’ (o ṭīru, ṭūru ‘pianta medicinale’), onde si può avere l’arcaico significato di ‘pianta della luna’. Quanto all’uso, la denominazione si attaglia benissimo in quanto la pianta veniva e viene utilizzata per le metrorragie, le emorragie dall’utero in seguito a parto difficile, l’aborto e qualsiasi rottura di vene. Paulis NPPS, citando uno dei glossari di botanica della tarda grecità pubblicati dal Delatte, nota la raccomandazione di cogliere la pianta in assenza di luna (come dire, che la pianta aveva uno stretto legame con la luna).

SIRI sass. ‘ramolaccio’ (Raphanus raphanistrum), con base nell’akk. ṣīru ‘esaltato, supremo, splendido, fuoriclasse’. Per capire a fondo il significato primitivo, occorre ricordare che in Sardegna i semi di questa pianta, utili per fare la mostarda mediterranea, costituirono per parecchio tempo – in epoca Neolitica – l’unica possibilità di insaporire i cibi, oltre al sale, fino a quando cominciarono ad apparire le spezie orientali. Siri kimma kimma a Sassari è il ramolaccio migliore, da akk. qimmu (forse un mobile di riguardo), qimmatu ‘ciuffo, ciocca, cresta, corona’ (di albero, canna).

SISERBI (Alta Ogliastra) ‘laurotino o lentaggine’ (Viburnum tinus L.). Base etim. l’akk. sisû(m) ‘horse’ + sardiano erbi ‘erba’ (vedi etimo), col significato di ‘erba dei cavalli’.

SITZÌA ‘pratolina’ o ‘margheritina’ (Bellis perennis L.). Nome anche del ‘papavero selvatico’ (Papaver rhoeas L.). Suscita tenerezza che i Greci chiamassero la pratolina margaríta ‘perla’. Il log. concùda, cuncùda non ha attinenza con conca ‘capo’ ma con la base akk. kukku(m), gukku ‘un genere di dolce’ + u’du (un gruppo di lavoranti a corvée); dal che si estrae il significato di ‘gruppo di produttrici di dolci’. Infatti le pratoline nascono in gruppi, talora a migliaia di esemplari. Questo alto senso della poesia è tipico dei popoli orientali, che hanno disseminato della loro arte poetica moltissime parole ed ogni loro testo, a cominciare dai testi di Ugarit per finire con i Salmi della Bibbia.
Quanto a sitzìa in quanto ‘pratolina’ e in quanto ‘papavero selvatico’ (ma è anche cognome), a sua volta ha base etimologica nell’akk. šī ‘ella, colei che, proprio quella che’ + ṭēḫû aramaico plurale ‘propagatore di briciole di pane’, col significato di ‘quella che propaga (nei prati) le briciole di pane’. Nome poetico anche questo, all’altezza della grande vocazione poetica dei Semiti occidentali. Altrimenti rinvio a zizzίa (Fonni, Siniscola) ‘giocattolo’, con base etimologica nel sum. zil ‘to be good, buono’, ripetuto in termini esaltativi: zil-zil. Va da sé che questi etimi vanno bene per ambo i fiori, notoriamente ricchi di polline.

SITZIRÌA de cabòni camp. ‘loto dei prati’ (Lotus tetragonolobus L.). Sitzirìa è composto sardiano con base nell’akk. šītu (a garden plant) + rību(m) (a vessel). Questo loto dà una sorta di pisello edule, il cui fiore è di estrema bellezza. Da qui il nome di ‘vascello dei giardini’, perché evidentemente fu coltivato nel chiuso di recinti fin dall’età della Pietra. “Vascello” è proprio il nome adatto a questo baccello. Vedi l’etimologia di basólu, fasólu.

SÒCCIRI, ciòcciri, thiòccoro, θiòccoro, išòccoro, istiòccoro, artiòccoro ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum L., Dipsacus ferox Lois., Dipsacus sylvester L.). Stranamente, dicono che lo stesso nome appartenga alla ‘aspraggine’ (Picris echioides L. = Helminthia echioides Gaertner), a Sassari detta pabantzóru. Sòcciri è lemma sardiano ed ha base etimologica nell’akk. sukkulu ‘aggrappante, che aggrappa, che trattiene’, causa la struttura di questa carduacea, le cui spine trattengono il passante, onde la denominazione ‘cardo dei lanaioli’. La fantasia popolare sostiene riesca (ma la realtà è diversa) a cardare la lana. Quanto a ciòcciri, è una evidente variante fonetica, e così pure thiòccoro, θiòccoro. Invece artiòccoro può avere base autonoma, che è l’akk. artu, aštu ‘branches, foliage’ + uqquru(m) (a handicapped person, ‘una persona carica di pesi’), col significato sintetico di ‘pianta dai rami simili a una persona che solleva pesi’ (per il fatto che i rametti contrapposti si curvano verso l’alto quasi come le braccia di un sollevatore di pesi). Išòccoro, istiòccoro sono varianti fonetiche di artiòccoro.

SONAGGIÒLOS ‘strígolo’ (Silene inflata), pianta erbacea delle Cariofillacee, con foglie opposte, carnose, verdi glauche e fiori bianchi con calice rigonfio; se ne mangiano i teneri germogli. Questo calice assomiglia, più che a un sonaglio schiacciato, ai fianchi di una donna prosperosa. In tal caso l’etimo sarebbe dall’akk. sūnu(m) ‘fianchi, grembo’ (come luogo di ricezione dell’amore maschile) + ullû ‘esaltato’ (il che è tutto un programma).

SONNURÁSSU log. ‘’favagello’ (Ranunculus ficaria L.). Per la discussione e l’etimologia, vedi culurássu.

SOPÉRI ogliastr. ‘terebinto’ (Pistacia terebinthus). Ebbe un uso antiasmatico, ma fu secondario rispetto a quello primario, in quanto il terebinto fu utilizzato per millenni come resina d’elezione per gl’incensi, per le cerimonie sacre. Sopéri è aggettivale sardiano ed ha la base nell’akk. suppû ‘to pray, supplicate’, supû ‘preghiera, supplica’ + sum. eren ‘cedro’, col significato di ‘cedro delle suppliche’.

SORIGHÌNA log. ‘pungitopo’ (Ruscus aculeatus L.), termine sardiano, precedente l’epoca romana, base nell’akk. ṣurḫu ‘heat, fever’ (> sòrigu sass. ‘topo’), col significato di ‘febbricina o meglio (erba) antifebbre’, in considerazione delle sue numerose virtù terapeutiche, compreso il depurare. La controprova è che in log. e camp. il pungitopo ha nome piscialéttu ‘piscialetto’, per le virtù diuretiche.

SORIXEḌḌA. Vedi ciurixeḍḍa.

SOSSOÌNI camp., sassoìni (Cagliari) (Salicornia fruticosa L., Salicornia herbacea L., Salsola vermiculata L., Suaeda fruticosa Forsk., Suaeda maritima Dum.). Amatore Cossu 208 dà pure il termine lessoìni. Cfr. cat. sosa fina, nome della Suaeda fruticosa L. Ciò non significa che il fitonimo sardo abbia origini catalane. Esso è sardiano, anzi mediterraneo, ed ha base nell’akk. sūsu ‘antilope’ + enu(m) ‘lord’, col significato di ‘(pianta di) elezione per le antilopi’. Ricordiamo sempre che l’accadico è una lingua della Mesopotamia, luogo desertico dove certe antilopi proliferavano. Questa pianta edule ricca di sali doveva essere considerata il loro pasto preferito.

ŠÒVA (Fonni) ‘salice’. Per la discussione e l’etimo vedi θòa.

SPADA cognome corrispondente anche a un oronimo. L’alto Monte Spada, in agro di Fonni (circa 1600 m), significherebbe a tutta prima ‘monte dell’iris, del gladìolo’, vedi it. ‘spada’ (Gladiolus italicum et Gladiolus segetum). Secondo DELI e altri, la base etimologica dell’it. spada, intesa come ‘lama tagliente da guerra’, è il lat. spătha(m) ‘spatola’. È possibile. Ma preciso che in accadico abbiamo la base išpatu ‘faretra’. È possibile che in origine la vera base per ‘spada’ (lama) fosse l’accadico, che poi indicò anche il Gladiolus per il fatto che esso ha le foglie simili alla lama di una spada.

SPAREḌḌA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

SPARTU. Vedi ispártu.

SPERRA-PILLÍTTU ‘borsa del pastore’ (Capsella bursa-pastoris L.). Si osservi che capsella e bursa-pastoris sono paronomasie latine che hanno prodotto una paretimologia. Capsella passa per ‘piccola cassa’, bursa-pastoris passa per ‘borsa di pastore’: e nessuno si è accorto di tale assurdità. Il frutto è una minutissima siliqua triangolare a forma di cuore, non di ‘cassa’, da un originario akk. kapṣu ‘curvato, distorto’ + ellû, elû(m) ‘alto, lungo, elevato’ (stato-costrutto capṣ-ella), in relazione al fatto che il fusto esile, quasi filiforme, della Capsella tende a salire verso lo zenith serpeggiando.
Quanto a bursa-pastoris, le minutissime silique triangolari non somigliano alla bisaccia del pastore. La base etimologica è l’akk. burussu(m) ‘tappo, turacciolo’ + pāštu ‘ascia, scure’, col significato di ‘tappo (o zeppa) a forma di scure’. In questo modo le cose trovano precisa sistemazione, poiché la forma triangolare della siliqua è certamente assimilabile ad una zeppa, così come la stessa sagoma piatta e triangolare è fortemente simigliante alle antiche scuri, ch’erano forgiate in tal guisa per essere strettamente legate al manico. Tutti i popoli medievali che hanno subito direttamente o indirettamente l’influsso della lingua latina hanno adottato la paretimologia della capsella e della bursa pastoris.

SPICCU. In certe parti dell’isola è così chiamata la Lavandula spica, la Lavandula stoechas e la Lavandula latifolia. Spiccu, ispigu non è italianismo. La parola è sardiana ed indica non solo la “spiga” della ‘lavanda’ ma anche quella del grano. L’italiano spiga deriverebbe, si dice, dal latino spīca cui si attribuisce però origine ignota. Il sardo ispigu, spiccu deriva dall’akk. išpiku ‘magazzino di cereali, cestino di grano’. A Quartu S.Elena per spiccu s’intende il ‘rosmarino’.

SPINA CIŽIREḌḌA ‘calcatreppola’ (Centaurea calcitrapa). La calcatreppola non tende a perdere né disperdere i semi; è l’intera pianta ad avere la singolare particolarità, quando è secca, d’indebolirsi e spezzarsi alla base, lasciandosi trasportare del vento poiché è leggerissima. Cresce in quantità infinite nei deserti ed ai loro margini; in Sardegna per fortuna cresce soltanto in climax con le altre carduacee, e la selva ne blocca la corsa. In ogni modo sono le spine del capolino ad essere terribili, essendo le più dure, le più lunghe e le più evidenti tra le carduacee. A questa temibile proprietà della calcatreppola è riferito il nome sardo spina cižireḍḍa. Base etimologica è l’akk. ḫīlū pl.tantum ‘pene del lavoro; dolori del parto’ etc., con raddoppio superlativo (tipico dei superlativi accadici) *ḫi-ḫilu, + rotacizzazione della -l- ed agglutinazione dell’agg. akk. ellû, elu ‘alto’, anche ‘esaltato, eccezionale’, col significato di ‘spina eccezionalmente terribile’ o ‘cardo dalla cima (capolino) terribile’.

SPINA E ARRÒDA ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.); significò un tempo ‘cardo che affligge le pecore’; infatti arròda è un composto sardiano con base nell’akk. arru ‘pecora’ + ūdu ‘dolore, pena, angoscia, ‘stress, afflizione’, ‘cattivi effetti’. Occorre ricordare che questa cardacea è l’unica che si spezza e viene trasportata dal vento. Sono famigerati i racconti che intere tribù nomadi un tempo scappavano nella steppa davanti all’incalzare di enormi quantità di calcatreppole, le quali investivano violentemente i cavalli disperdendoli. In considerazione della millenaria economia ovina della Sardegna, il nome fu forgiato a suo tempo sulla pecora anziché sui cavalli.

SPINA E CORRA ‘calcatreppolo’ (Eryngium campestre L.). Base etimologica l’akk. ḫurru(m) ‘buco’; spina e corra significa ‘cardo che buca’.

SREFFA (Gonnosfanadiga) a prima vista sembra (senza esserlo) una metatesi di serfa; indica l’esca per i cinghiali, ossia il fuoco di sterpi che s’accende la sera prima della battuta, per far capire all’animale la presenza dell’uomo e farlo ritirare in un sito preciso, dove all’alba sarà cacciato. Non può essere un caso che in accadico esista il termine ṣerpu (leggi tzerpu) col significato di ‘macchia rossa, colore rosso’. Ma principalmente abbiamo il perfetto corrispettivo ebraico, che è proprio sreffāh שְׂרֵפָה ‘fuoco’. Indubbiamente il focherello un tempo era così nominato, e solo dopo aver perso memoria dell’antico significato si abbinò a sreffa l’etimologia popolare di s’erba ‘l’erba’.

STASIBÒIS camp. ‘ononide’ (Ononis spinosa L.). Il fitonimo sardiano è solo uno dei quattro fitonimi con cui s’identifica l’ononide, ed al pari degli altri è un inno al suo potere benefico. Stasibòis ha base etimologica nell’akk. šitû(m) (a garden plant) + (w)ašibu ‘dwelling’ (stato costrutto šit-ašibu > *s(i)tasibu + suffisso -is), col significato di ‘pianta che dimora nei giardini coltivati’. Ma vedi i significati ancora più poetici degli omo-fitonimi stragabòis, erba nighedda, ayucca.

STRAGABÒIS camp. ‘ononide’ (Ononis spinosa L.), paronomasia nata da un antico composto sardiano con base nell’akk. sitrāḫu ‘splendido, assai orgoglioso’ di déi, di re + bu’’û ‘ricercato’, col significato di ‘(piantina) splendida e ricercata’. Per capire l’arcaica denominazione vedi al lemma stasibois, dove metto in evidenza i veri usi dell’ononide, la quale non può affatto stancare i buoi che arano per il semplice fatto che non s’insedia nei campi coltivati ma nelle zone incolte. Forse le paronomasie europee sono nate sulla base di it. stancabue, e questo da stracca-bue il quale, a sua volta, o proviene dalla forma sardiana oppure ha ricevuto la stessa base accadica del fitonimo sardo; ciò sarà avvenuto in tempi precedenti l’egemonia romana sugli Etruschi.

STRAPUḌḌU DE GANI ‘reseda’ (Reseda alba L.). Paulis NPPS lo traduce come ‘organo sessuale di cane’, richiamando l’autorità di Wagner (DES,I,663). Ma questi, a dire il vero, parla di scrafuḍḍu, anche se poi non riesce a trovare l’etimo. Osservo che la Reseda alba non assomiglia al ‘cazzo di cane’, e tanto basta per indirizzare altrove l’indagine. Propendo a ritenere come primario il termine indicato dal Wagner, del quale strapuḍḍu sarebbe variante fonetica. In tal guisa, scrafuḍḍu è composto sardiano con base nell’akk. ḫarû ‘germoglio’ + pūdu(m) ‘sheep’, col significato di ‘germoglio delle pecore’. La s- di scrafuḍḍu ha funzione rafforzativa.

SUBÉLVA suèrva, subèlva log., subèiva sass. ‘sorba’, supprèva (Bonorva), supèlva (Oschiri), supélvia (Gallura) ‘sorba (e sorbo) edule’ (riferito alla Sorbus domestica, non al Sorbo degli uccellatori, che in Sardegna non alligna). Wagner impiega due intere colonne del DES (equivalenti a una pagina) per tentare di ricostruire l’etimologia del lemma: e non vi riesce. «Per spiegare le forme log. non vedo che una sola possibilità, un’etimologia popolare, che interpretò l’albero come ‘la superba’». Sforzo eroico… e ridicolo. Dispiace che NPPS lo segua. La base di subèlva sta nell’akk. šubû ‘sazietà’ + elēpu(m) ‘migliorare’, col significato di ‘migliora-sazietà’ (con riferimento al fatto che le sorbe saziano molto, bastando pochi frutti a render contento un affamato).

SUÉRGIU (suérğu) camp. ‘sughera’ (Quercus sūber). Wagner ne suppone l’origine da un lat. sūbereus, lett. ‘di sughero’ (sottinteso albero), senza poi render conto dell’etimo del termine sūber, da cui l’aggettivo deriva. Non sono comunque d’accordo. Il termine latino sūber è un derivato, la cui origine sta proprio in Sardegna, non fosse altro perché le vere foreste di Quercus sūber sono sempre state tipiche della Sardegna, non certo del Lazio. Non è un caso che l’Ernout-Meillet non ha trovato un etimo valido per questo fitonimo, che troppi suppongono latino. Suérgiu (di cui il log. suélzu è il diretto derivato, mentre il nuor. subérğu è contaminato dal termine latino) ha la base nell’akk. šu ‘quello, il citato, esso, proprio lui’ + erḫu ‘aggressivo, provocatorio’ (di soldato), da erēḫu ‘agire aggressivamente’. Su-érgiu significò quindi, in origine, “l’aggressivo” per antonomasia. Perché? Semplicemente perché in origine gli scudi sardi furono fatti di sughero, e furono così chiamati perché soltanto con lo scudo al braccio un soldato è in grado di avanzare, di aggredire. Da qui, per estensione, il nome dell’intero albero, oltreché della sua scorza.

SUGRÀŽA, suriáke, urriáca, frugággia etc. ‘bagolaro’ (Celtis australis L.), fitonimo sardiano con base nell’akk. šugrû(m), šugurû(m) ‘basket’, o šulgum (a container) o šulḫum (a textile). Queste tre opzioni richiamano l’uso peculiare del bagolaro, i cui rami docili ma robustissimi vennero usati per fare ceste e contenitori raffinati; furono fatte pure le fruste dei cocchieri, in ragione della rara flessibilità, robustezza e durevolezza del legno.

SUIMÈLE ‘’scrofularia’ (Scrophularia peregrina L.). Questa pianta, usata dagli antichi nei giardini per la sua bellezza, ebbe il nome di ‘cataplasmo della Luna’, evidentemente per gli effetti benefici. Suimèle è infatti un composto sardiano con base nell’akk. Su’īn, Su’ēn ‘luna, Dio lunare’ + mêlu ‘cataplasmo’.

SURVÁKE ‘equiseto palustre’ (Equisetum palustre). Ha la base nel sum. šur ‘rami’ + baḫar ‘vasaio’, col significato di ‘rami da vasaio’, ‘piantina del vasaio’. La causa di questo nome può forse trovarsi nella forma perfetta della piantina, nel fatto che sta nell’umido (com’è uopo per la creta da lavoro), e per il fatto che il capolino prima della fioritura appare come una boccia, con la forma di vaso panciuto che sta in cima, sulla corolla di foglie disposte a raggiera, quasi come un vaso che sta sulla plancia da lavoro. Il lemma può avere avuto il contagio con l’antico ebr. sūf, סוּף ‘Giunco o Tifa (Typha)’, Is 18,2; 19,6.

SU TZUḌḌU termine contenuto nella definizione erba de su tzuḍḍu, relativa a un’erba o piantina non identificata (Cossu 142), che veniva usata per espellere i vermi dall’intestino. Il termine manca come tale nei dizionari. Base etimologica sembra essere l’akk. suzubtu ‘dono’.

TÀPPARAS. Questo plurale indica il ‘cappero’ (Capparis spinosa). L’evoluzione fonetica da c- a t- è inconsueta in Sardegna. Molto probabile che il termine campidanese si sia evoluto mediante il contagio tra l’it. cappero e l’antico ebraico tzalàf, צַלָף ‘cappero’,Qoel 12,5.

TARABÙTTSULU sass., tarabùcciulu gall. ‘asfodelo’ (Asphodelus ramosus L., Asphodelus phistulosus L.). Paulis NPPS fa notare che il fitonimo così com’è proviene dalla Corsica meridionale, ove l’asfodelo si chiama talabùcciu (nonchè talavéllu, talabéḍḍi). Accolgo l’informazione, facendo notare che questo è comunque un fitonimo sardiano. Quando dico sardiano intendo, almeno per certi lemmi del nord Sardegna e specialmente per quelli della Gallura e di Sassari, che gli antichi Sardi avevano fortissimi rapporti con gli abitanti della Corsica e per certi versi formavano con essi, già da allora, un solo popolo. Il fitonimo ha base nell’akk. tarbûtu ‘germoglio, piantina’, ma può essere pure un composto da akk. tarû ‘sollevare in alto’ + la seconda parte del fitonimo ar-buttsu ‘asfodelo’ (vedi), con la quale si è fusa. È da notare che gli antichi Sardi designavano spesso come “pianta alta” (o che si solleva alta da terra) tutte le piante, come la scilla e l’asfodelo, che hanno la caratteristica di avere le foglie basali e per il resto presentano uno stelo longilineo, eretto e libero da ogni genere di foglia.

TÁSARU, tásuru ‘alaterno’ (Rhamnus alaternus), ma anche ‘tasso’ (Taxus baccata). Ha base etimologica nel sum. tal ‘ampio, espanso’ + šur ‘rami (di albero)’: tal-šur, col significato di ‘(albero) dai moltissimi rami’. Non è un caso se proprio il tasso fu usato nel passato per intrecci vari, grazie alla vigorosa e perenne produzione di rametti flessibili per tutto il tronco.

TATTARÓYU ‘aro o gigaro’. Vedi al lemma θoθθóriu.

TENÁGI RÙBIU nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

TÉTTI è detta una liliacea, la ‘smilace o salsapariglia’ (Smilax aspera L.), téttiu (Bosa), téttu (Gallura), tetiòne (Santulussurgiu), tittiòne (Bonorva, Làconi, Pàdria, Sindìa), tintiòni, tintiôi (Campidano).
Tétti è termine sardiano; la base sembrerebbe a tutta prima l’akk. ṭiṭṭu, ṭīdu, ṭīddu, ebr. tīt ‘cibo dell’oltretomba’, evidentemente per le bacche velenose. Ma è più congruo il composto sum. ti ‘uccello da adorare, uccello sacro’ (raddoppiamento ti-ti indicante la totalità) + unu ‘ornamento’ (agglutinazione ti-ti-unu > titiòni), col significato di ornamento degli uccelli sacri’. In tal guisa, téti, tétti non è altro che un retroformazione sortita nel Medioevo. Vedi l’allotropo visiòni ‘salsapariglia’, che però ha diverso etimo.

TIDOCCO nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

TIRÌA ‘falsa ginestra’ o ‘sparzio villoso’ (Calycòtome villosa). L’accostamento fatto da Amatore Cossu (Flora Pratica Sarda, Gallizzi, Sassari, 1978) tra la tirìa e la città di Tiro è considerato ridicolo da Sardella SLCN 147. Concordo. Per trovare l’etimologia del termine tirìa dobbiamo richiamare alla mente il fastidio e il danno ch’essa produce, che è quello di graffiare, penetrare nell’epidermide, ferire. Tutto ciò è risaputo da chi affronta spesso i sentieri delle montagne sarde, specialmente quelle del Capoterra e del Sulcis. Le colline attorno a Sarroch, poi, ne sono letteralmente zeppe e diventano pressoché impraticabili, persino dal bestiame. Tirìa è termine sardiano con base nell’akk. ṭerû ‘graffiare, penetrare in profondità’.

TITÌMBARU, titìmalu ‘euforbia’ (Euphorbia dendroides et Euphorbia pithyusa L.); composto sardiano con base nell’akk. tittu(m) ‘albero del fico’ + bâru(m) ‘cattivo, ostile’, col significato di ‘fico nemico’ (a causa del copioso lattice, simile a quello del fico, che produce però effetti traumatici, nonché per l’assenza di frutti eduli). La questione si può capire meglio se leggiamo le spiegazioni all’altro lemma sardo tòmbari (esattamente lattùrigu tòmbari), tsòmbaru (Euphorbia characias), la cui etimologia va ricercata considerando bene la caratteristica dell’euforbia, che è quella di cedere il copioso lattice, molto forte e irritante, usato come elemento principe nell’uccisione dei pesci dei fiumi. È sufficiente sfiorare questa pianta per ritrovarsi, nel giro di poche ore, ricoperti da flittene infuocate, quasi un “fuoco di sant’Antonio” che può durare dieci o venti giorni, persino un mese. L’ingestione del lattice, sia pure in piccole quantità, produce conseguenze più gravi, e per prima cosa l’uomo ha conati di vomito.
Quindi non c’è dubbio che tòmbari sia un composto sardiano con basi nell’akk. tumbu (significato ignoto) + arû(m) ‘far vomitare’, ‘vomitare’.

TITTIÀCCA vitigno che produce uva da tavola. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

TITTIÀCCA ‘vajola maggiore’ (Cerinthe major L.). Base etim. nell’akk. tîtum ‘nutrimento, cibo’ + akû ‘umile, di poco conto’.

TITTIÒNI ‘salsapariglia’ (Smilax aspera). Vedi tétti.

TÒA log. ‘salice’. Per la discussione e l’etimo vedi θòa.

TÒMBARI log. (esattamente lattùrigu tòmbari), tsòmbaru (Euphorbia characias). L’etimologia è stata illustrata al lemma titìmbaru. Non c’è dubbio che tòmbari sia composto sardiano con basi nell’akk. tumbu (vocabolo dal significato ignoto) + arû(m) ‘far vomitare’, ‘vomitare’.

TRAMARÌGHE log. ‘viticcio’. Etimo nell’akk. tarammu (a part of body) + aru ‘gambo, stelo’ (stato costrutto taramm-aru > t(a)rammar-) + sum. igi ‘qualità’.

TRAMATZA ‘tamerice’ (Tamarix gallica o africana). Il fitonimo è anche nome di paese, o entra in composizione con nomi di paese (Gonnos-Tramatza). Paulis NPPS produce l’etimologia dal lat. tamerīx. Invece ha base nell’akk. ṭēru(m) ‘terra, fango’ + (w)aṣû(m) ‘fiorire, nascere, germogliare’. Sa tramatza è, per antonomasia, la pianta che nasce nelle cunette e nel limo più fine delle alluvioni recenti.

TREVÙLLU BUMBÓSU ‘trifoglio a vescica’ (Trifolium spumosum L.). Per l’etimo di bumbósu, in assenza di fonti indoeuropee, può bastare l’akk. ūbu ‘spessore’, cui nel tempo fu aggiunta una -m- inorganica, la b- organica, ed il suffisso sardiano -όsu.
Per quanto attiene all’etimologia di trevùllu, vedi al lemma truvulléḍḍu.

TRIGA nome di vite sarda ad uve bianche. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

TRIGU sardo ‘grano, frumento’ (Triticum L.), pianta della famiglia delle Poacee. Cfr. lat. trīticum. Base etimologica è l’akk. ṭerû ‘sfregare, battere, trebbiare’. Il lemma sardo è da ant. aggettivale *ṭericu, mentre la forma latina è da un ant. aggettiv. *ṭeriticum. Vedi simile forma nel gr. τείρω ‘sfrego, tormento’.

TRIGU ANTÍGU. Vedi a trigu de frommìgas.

TRIGU DE FROMMÌGAS ‘gramigna stellata’ (Aegylops ovata L.). La traduzione come ‘grano delle formiche’ è proposta da Paulis NPPS, che ricorda peraltro la stessa denominazione in Toscana per l’Agropyrum repens Beauv. e in Puglia per l’orzo selvatico (Hordeum murinum L.). Ma i tre nomi sono paronomasie basate sull’akk. purmaḫ, pirmaḫ, purmuḫ (designazione di cavalli) (> *purumaḫ > *purumiga > frummìga), col che veniamo a sapere che queste erbe anticamente furono note come ‘erba dei cavalli’.
C’è da sottolineare pure una seconda denominazione sarda dell’Aegylops ovata, che è trigu antígu. In virtù del fatto che il capolino di tale graminacea può somigliare alla spiga dell’orzo, abbiamo l’akk. antu ‘spiga dell’orzo’ + ikû ‘campo, prato’, col significato di ‘orzo dei prati’ ossia selvatico.
Per tornare all’orzo selvatico, chiamato dagli antichi Romani Hordeum murinum L. ‘orzo da topi’, in sardo όrğu e đòppis ‘orzo da topi’, altrimenti noto come (Orgosolo) èrba mùrina, spiga mùrina ‘erba, spiga bruna’, spiga murra ‘spiga grigia’, la base etim. sta nell’akk. mūru(m) ‘puledro’. Col che ritorniamo alla base etimologica già notata per trigu de frommìgas.

TROVOḌḌA, trivoḍḍa, travoḍḍa, tròḍḍa, truveḍḍa ‘verbasco’ (Verbascum thapsus L., ma anche il genere blattaria, conocarpum, creticum, sinuatum, pulverulentum). Nei tempi arcaici sa trovoḍḍa ebbe questo nome per le proprietà curative, che sono parecchie. Trovoḍḍa è infatti composto sardiano con base nell’akk. ṭūru (medicinal plant) + uddu, ūdu ‘distress, affliction’, ‘ill effects’ of scorpion, snake, etc. Gli effetti della pianta oggi son noti attraverso la farmacopea: vedi ad esempio PTPS 710, che indica, tra le altre afflizioni curate in Sardegna, il prurito, i gonfiori, le infiammazioni, i dolori in genere, il mal di denti, le mastiti, l’itterizia etc.

TRÓVULU log. Chenopodium viride L. Base etimologica l’akk. turubla (a plant).

TRUÍSCU camp., truviscu (Lollove, Nuoro), trubissu (Fonni), trubiscu (Logudoro) ‘cocco gnidio’ (Daphne gnidium L.), noto anche come ‘timelea’ o ‘pepe montano’. Paulis NPPS scrive che «La pianta è tossica in tutte le sue parti e soprattutto le radici, ridotte in poltiglia, venivano utilizzate per la pesca di frodo. I rami e le foglie erano impiegati a scopo tintorio, dando diversi colori (giallo tenue, giallo scuro, verde, marrone, nero), a seconda del periodo in cui venivano colti e del diverso mordente con cui erano trattati. Il gnidio era l’essenza vegetale più usata in Sardegna per la tintura dell’orbace. Il contatto con la linfa che fuoriesce strappando i rami può provocare infiammazioni cutanee o mucotiche, per cui la corteccia della pianta serve a preparare pomate e carte vescicatorie. I frutti hanno azione fortemente purgativa». Il sardo truíscu coi relativi allomorfi è un composto sardiano che convisse con la parola latina senza esserne influenzato; ha base nell’akk. ṭīru (un genere di cespuglio) + isqu ‘destino’ (composto: ṭīru-isqu > ṭ(ī)ru-isqu), col significato di ‘pianta del destino’, non tanto per la versatilità economica quanto perché era mortale se ingerita.

TRULLÍU ‘fusto della férula’ (Dorgáli). Per cercare di chiarire l’etimologia della parola, occorre coinvolgere anche il termine di Orgòsolo trullío ‘spirito maligno’, a Fonni chiamato turrío. Dobbiamo partire dalla imprecazione di Fonni ‛anka di čìččada turrío, citata dal Wagner a proposito del lemma trullío. Egli traduce assai male: ‘che si sieda sopra di te il turrío’. Per trullíu ‘fusto di ferula’ esiste anche la forma tullíu, che non si spiega col lat. turbŭlus mentre si spiega come allomorfo del prototipo trullíu. La forma tullíu è conservata ad esempio nel toponimo Funtana sa Tulliu in agro di Villagrande, che significa quindi ‘fontana delle férule’, la quale per quanto dirò appresso ha una forte pregnanza “salvifica”. Prima di passare all’etimologia occorre inquadrare la pianta chiamata férula, tipica della Sardegna e del nord Africa. Mangiata in modica quantità, è persino edule, e per questo ne viene presentata una piacevole pietanza da Siro Vannelli (Erbe selvatiche e commestibili della Sardegna, AM&D, 1998, pag. 122). Anche i cavalli la appetiscono, avendo essa un gusto veramente allettante, talchè è chiamata pure férula cabaḍḍina ‘ferula dei cavalli’. Ma occorre distinguere: i cavalli sardi, nell’eventualità che vogliano mangiarne i germogli, si limitano al solo assaggio, senza farne scorpacciate. Non così accade ad un cavallo importato, che al primo impatto appetisce talmente la pianta da nutrirsene in esclusiva. In questa guisa, 22 anni fa accadde che a Tanca Regia (Paulilátino) siano morti soffocati 1500 cavalli da allevamento importati dalla Polonia. Infatti questa pianta micidiale si gonfia terribilmente nello stomaco, paralizzandolo e bloccandone le funzioni digestive. Ecco la causa lontana del toponimo Funtana sa Tullíu, così nominata perché i cavalli (dei quali a Villagrande ci sono vari allevamenti) vi si recano spesso allo scopo di digerire bene la poca férula che hanno trangugiato indenni.
Allora ecco l’etimologia di trullíu, che è composto sardiano con base nell’akk. ṭūru (una pianta) + lī’um (termine specifico da intendere per ‘cibo’), col significato di ‘pianta-cibaria’, ‘pianta per cibarsi’ (coi limiti precisati). Il termine di Orgòsolo trullío, con la derivata fonnese turrío, significante ‘spirito maligno’, si chiarisce alla luce di quanto spiegato. Infatti gl’indigeni (ed anche i cavalli sardi, e con essi tutto il bestiame indomito che pascola liberamente in Sardegna) mangiano, hanno sempre mangiato, quantità modiche della pianta (la gente faceva ciò specialmente in periodo di carestia), mentre i forestieri (e gli animali estranei all’ambiente sardo) se ne cibano fino a trovare la morte. Da qui il termine trullío ‘spirito maligno’, evidentemente datogli non tanto dagli indigeni quanto dai Fenicio-Punici (ch’erano forestieri, pur parlando una lingua affine a quella sarda).

TRUNCU ERU nell’Oristanese è una pianta non registrata ed ignota, diffusa nelle spiagge. Veniva essiccata, macinata fino alla consistenza del tabacco e fumata contro l’asma (Cossu 172). Per saperne di più, occorre anzitutto evitare di considerare truncu alla stregua d’it. ‘tronco’, poiché si tratta di un’erba; in secondo luogo occorre vedere l’attuale truncu come forma agglutinata. In tal caso possiamo tentare un approccio etimologico dall’akk. tūru, tumru(m) ‘carbone ardente’ + qû(m) ‘lino, filo, stringa; filamento’ + erû(m) ‘pietra da macina’. Questi tre lemmi dovrebbero dare un senso (non certo un senso per noi, ma un senso per gli antichi che utilizzavano l’erba). Si potrebbe interpretare che la base qû (i fili della pianta, o la pianta a fili) sottoposta a combustione (tūru) veniva polverizzata con una pietra da macina (erû).

TRUVULLEḌḌU camp. ‘trifoglino’ (Lotus angustissimus L.) e ‘ginestrino’ (Lotus corniculatus L.). Truvulleddu arrùbiu ‘trifoglino rosso’ è il Lotus tetragonolobus L.
Anche il lat. trifolĭum partecipa della più ampia koiné linguistica che ha base nell’akk. ṭūru ‘opopanax’ (una mirracea: vedi al lemma pabantsόlu, pabantsόru) + būlu(m) ‘bestiame’, col significato di ‘mirra del bestiame’ (causa il grande interesse pabulare dell’erba). Vedi trevùllu.

TÙBARI-TÙBARI log. ‘orchidea’ (Orchis longicornu Poir., Orchis maculata L., Orchis morio L.), composto sardiano con base nell’akk. ṭūbu(m) ‘bontà, felicità, prosperità, soddisfazione’ + aru(m) ‘gambo, stelo’, col significato di ‘stelo della felicità’ (causa la bellezza e la durevolezza della piantina). Il nome iterato rientra nella tradizione accadica del raddoppio che indica l’eccellenza, il superlativo.

TÙMIŽI camp. ‘alabardina’ o ‘sparto’ (Lygeum spartum L.). Base etim. l’akk. tūmu (voce di origine sumera della quale però il significato rimane sconosciuto) + ikû(m) ‘campo’, col significato di ‘tūmu di campo’. Vedi ad ogni modo il lemma tumu.

TUMU ‘timo’ (Thymus dei vari generi). Cfr. gr. θύμος. In accadico abbiamo tūmu (voce di origine sumera della quale però il significato rimane sconosciuto).

TUPPA ‘maquis, boscaglia; gruppo di alberi; fascina per chiudere un varco; folto di alberi o di macchia’; principalmente ‘albero o pianta singola, bassa, a fondo largo con tanti rami’. Wagner cita paralleli spagnoli e siciliani, ma l’origine profonda è dal bab. tuppu ‘marchio sulla pelle, neo’, traslato a significare pure ‘le macchie’ sulla nuda terra, nel territorio. Il camp. tuppadì ‘sta zitto’ è forma traslata, come dire: “tappati la bocca (con una fascina)”.

TUPPITTSA Medicago arabica Huds., varietà di ‘trifoglio’ chiamata appunto tuppittsa a Bortigiadas. Paulis NPPS fa discendere il termine dal sardo tuppa, ed ha ragione. La base non è altro che un composto sardiano con etimologia nell’akk. tuppu ‘marchio sulla pelle, neo’, traslato a significare ‘le macchie’ nel territorio + iṣu, iṣṣu ‘tree, wood’, ‘bosco’. Il significato complessivo sarebbe, secondo la base, ‘pianta di bosco’. Evidentemente a quei tempi con questo composto s’intendeva un altro tipo di piantina. Ma è pure molto probabile che il secondo membro -ittsa non sia altro che il fenicio iṣ’ (izza) ‘fuoriuscire’, aramaico ittsa ‘scaturire’, che sta alla base del camp. mitza ‘sorgente’ (puro esemplare punico, quasi una traslitterazione). In fenicio fa mṣ’ (pro­nun­cia mizza) ‘uscita, scaturigine’, da yṣ’ ‘scaturire’. La forma originaria cananea deriva a sua volta dall’akk. mû ‘acqua’ + (w)iṣu ‘piccolo’, che vale quindi per ‘piccolo (getto di) acqua’. Ma c’è anche l’akk. mūṣū ‘sorgente’. In seguito c’è stata una evidente sovrapposizione tra la forma accadica e la forma fenicia, la quale è pressoché identica a quella ebraica matzà ‘drenare completamente, emungere’ che s’accompagna all’aramaico ittsa ‘fuoriuscire, scaturire’ (יצא). Simbiritzi a sua volta è il nome di uno stagno, alquanto salato, in agro di Quartucciu. L’etimo si basa sull’akk. ṣimru ‘ricchezza, abbondanza’, simru ‘in piena (fiume, stagno)’ + aramaico ittsa, fenicio iṣ’ ‘sorgente’.Vedi lemma Izze Izze. E vedi Baratz.
Questa presentazione con base fenicio-aramaica è necessaria non soltanto per le assonanze col fitonimo tuppitsa ma anche per il fatto che la Medicago arabica, contrariamente a quanto possa far supporre la descrizione di Paulis a proposito della “spinosità” della piantina, in realtà è e resta una cultivar la cui vita e il cui rigoglio dipendono fortemente dall’irrigazione.

TURGUSA, turbùsa, thurgùsa ‘sedano d’acqua’ (Apium nodiflorum). Quest’erba idrofila è buona da mangiare. In altre parti è nota come giùru-giùru (Sassari) e giu-giùru (Nuoro). La base etimologica è l’akk. ṣurḫu ‘calore, febbre’. É probabile che un tempo fosse l’erba d’elezione contro tali eventi.

TUTTURÁTTSU ‘sala o tifa’. Per la discussione e l’etimo vedi a tùtturu.

TÙTTURU, tutturáttsu log. e camp. ‘sala o tifa’ (Typha latifolia L., Typha angustifolia L.). Puddu lo traduce come ‘cosa ridotta a moncherino, corta e grossa, tonda, a cannello; pezzetto di legna tenero e liscio, grosso come una canna, per stendere la pasta del pane’; ma anche ‘fico d’India’ e persino ‘cazzo’. Alla base etimologica del fitonimo c’è il camp. tùtturu, che è il ‘matarello’ ossia il bastone a sezione rotonda col quale si fanno le sfoglie della pasta. In camp. e log. è pure il ‘tratto della canna tra un nodo e l’altro’; per traslato è anche il ‘pene’ (Puddu). Nell’Oristanese indica pure la ‘pannocchia del granturco’; in questo senso, Wagner ricorda che il termine è ampiamente diffuso nell’Italia centro-meridionale. Veniamo quindi a sapere che il termine è d’uso mediterraneo. Wagner e tutti i linguisti indoeuropeisti si sforzano, inutilmente, di rintracciare nell’area indoeuropea o romanza una valida etimologia. Qualcuno considera tùtturu una formazione deverbale da sardo attuturare ‘involgere, arrotolare, accartocciare’, riflessivo ‘raggomitolarsi, rannicchiarsi’, ma Wagner non ci crede (ed ha ragione, perchè è il verbo ad essere invece denominale di tùtturu); altri pensano che il nome derivi dal ciuffo che sovrasta la pannocchia del granturco (dal lat. tutŭlus ‘pettinatura alta, a cono, dovuta alla riunione dei capelli sul cocuzzolo, tenuti da una benda), ma Wagner ricorda che la pianta è di recente importazione e quindi le interpretazioni latineggianti sono da bandire. E sbaglia, poichè il lemma latino rientra nella stessa famiglia semantica che stiamo esaminando. Wagner dà più credito alla parentela col basco tutur e voci affini, ma non s’accorge che pure il termine basco è semanticamente legato alla forma latina ed a tutte le altre forme in esame. Col termine basco abbiamo la prova che il vocabolo è non solo antico-mediterraneo ma pan-europeo, nonché la prova che il termine latino partecipa alla stessa koiné. Ma con ciò non abbiamo ancora l’etimologia di tutta la parentela.
Tornando al Wagner, egli crede all’alta antichità del termine, a causa della sua ripetizione persino nei cognomi sardi: vedi CSNT 164, 166, 239 ecc. Janne Tuturu. Wagner ricorda pure la regione Tutturighe presso Silanus, e il nuraghe Tuturru presso Irgoli. Ma occorre chiedersi a quanto risalga “l’alta antichità” del Wagner: forse all’Alto Medioevo, visto che scarta pure la fase latina.
Wagner non mette neppure in conto che la regione Tuttùrighe prende il nome dal sito umido, adatto alla nascita della sala o tifa (Typha latifolia vel angustifolia, log. e camp. tùtturu, che lui non cita); parimenti non mette in conto che il nuraghe Tuturru ha tale nome per il fatto che è affusolato, slanciato, simile alla tozza parte fiorale della tifa, la quale a sua volta assomiglia perfettamente a un matarello. Quanto al cognome Tuturu, ovviamente nacque per effetto del precedente tùtturu ‘matarello’. Quest’ultimo, a sua volta, è termine sardiano, molto arcaico, con base nell’akk. tūru(m) ‘ritorno, rinvio’, con iterazione, in funzione superlativa, del radicale (tu-tūru). Con ciò veniamo a sapere che pure gli antichi Sardiani utilizzavano il matarello per fare la pasta.
Quanto a tutturáttsu, forma alterata di tùtturu in quanto ‘tifa’, il suffisso sardiano -áttsu sembrerebbe spregiativo, o anche superlativo; ma può essere pure dall’akk. (w)aṣû(m) ‘uscir fuori, scappar fuori, spuntare; ‘che spunta fuori (parte di vegetazione)’. In questo caso, tutturattsu avrà significato propriamente, nell’alta antichità, ‘bulbo che fuoriesce (dalle foglie)’.

TÙVARA1, tùvera, tùfera, tùora, ùvara ‘Erica scoparia’ ed ‘Erica arborea’. Paulis NPPS fa una serie di ipotesi etimologiche, preferendo poi la derivazione dal «log. tuvu ‘prunaio, macchia’, vocabolo proveniente da TUFA ‘cespuglio, pennacchio di fronde’, che occorre in Vegezio 3,5». L’ipotesi sembra buona, e si adatta bene all’altra etimologia da me individuata per una denominazione sarda dell’erica (ghiḍḍostru: vedi), che significa in termini arcaici ‘sito di rifugio per oche’. Evidentemente nell’alta antichità le oche selvatiche, di cui erano certamente pieni i luoghi umidi della Sardegna, preferivano abitare tra le boscaglie di erica.
In sardo la corrispondenza al citato termine lat. tufa è log. tuvu ‘prunaio, macchia’ ed anche tuppa ‘maquis, boscaglia; gruppo di alberi; fascina per chiudere un varco; folto di alberi o di macchia’; principalmente ‘albero o pianta singola, bassa, a fondo largo con tanti rami’. Wagner per tuppa cita paralleli spagnoli e siciliani, ma l’origine profonda è il bab. tuppu ‘marchio sulla pelle, neo’, traslato a significare le macchie nel territorio. Il camp. tuppadì ‘sta zitto’ è una forma traslata, come dire: “tàppati la bocca (con una fascina)”. Quanto al log. tuvu ‘prunaio, macchia’, esso ha base etimologica nell’akk. ṭubû ‘un genere di canna’ (si sa che le canne tendono a creare delle boscaglie in purezza).

TUVARA2 fungo noto come ‘prataiolo’ (Psalliota campestris L.); ma può essere anche il ‘tartufo giallo’ (Terfetia leonis Tul.) o il ‘tartufo di sabbia’. A quanto pare, il nome sardo fu riferito inizialmente al prataiolo, il quale notoriamente cresce sui residui degli escrementi lasciati da ogni tipo di bestiame nei prati aperti e assolati. Se l’ipotesi è giusta, allora la base etimologica è l’akk. tû ‘incantation (formula), formula dell’incantesimo’ + bāru ‘open country, campi aperti’.

UCCÀIA erba non registrata nei dizionari. Cossu 167 la cita tra le erbe che curavano il mal di gola, e pensa essere la Sclarea (Salvia sclarea L.). Base etimologica sembra l’akk. uḫḫu ‘flegma, mucus’, ‘sputo’ + aḫia ‘fuori’ (moto a luogo), come dire ‘erba che toglie il catarro’.

UNGOS è la ‘santolina’ (Santolina chamaecyparissus ma pure la Santolina corsica), così chiamata a Fonni. Paulis NPPS 113-114 fa una lunga disquisizione sul fatto che già Plinio ricordava che una delle esche per accendere il fuoco era il fungo secco. «Il problema etimologico può essere risolto tenendo presente l’affinità intercorrente tra la santolina da una parte e la canapicchia e la betonica glutinosa dall’altra. Tutte queste piante condividono alcuni lessotipi, come abbiamo constatato per le specie già esaminate… Sicché è legittimo ipotizzare che l’etimo del lessema úngos risponda ad una motivazione semantica analoga a quella di altre denominazioni etimologicamente trasparenti in uso per le suddette piante. Una di queste denominazioni è alluevógu ‘accendi-fuoco’ che si applica tanto alla canapicchia quanto alla betonica glutinosa, sulla base dell’utilizzazione che si fa di queste piante ricche di oli essenziali come esca per accendere il fuoco. Perciò ritengo che il misterioso úngos di Fonni derivi da FUNGUS nell’accezione di ‘esca per il fuoco’, documentabile nell’uso fattone dagli autori latini. Particolarmente interessante è la testimonianza di Plinio, N.H. 16,208».
Paulis ritiene che la pronuncia del lemma fonnese sia úngos per fungos < lat. fungus; ed in base alla fonetica di Fonni questo sarebbe un buon indizio, se esso non fosse compromesso dall’ideologia secondo la quale il dialetto di Fonni sarebbe uno di quelli che in Sardegna avrebbe conservato in purezza l’antica parlata latina (il che è assolutamente falso); e pure compromesso dal corollario ideologico che la quasi totalità dei fitonimi sardi derivi dal latino e in misura minore dal greco (anche ciò, assolutamente falso). A parte questo aspetto nientaffatto secondario, dobbiamo dire che Paulis, mercè il suo pregevole studio che poggia sui naturalisti dell’antichità, tende troppo spesso a forzare la mano nell’interpretazione aulica dei fitonimi sardi, e non accetta l’idea – peraltro ovvia – che il popolo sardo abbia forgiato i propri fitonimi in autonomia. Se si scrutasse a fondo, si capirebbe che la millenaria autonomia ha costretto i Sardi a dare alle piantine i nomi più adatti ai propri bisogni. A mio avviso la base etimologica, che è accadica, non porta all’idea di ungos ‘funghi’ (in quanto esche). Infatti l’akk. ugu (successivamente interessato dall’epentesi di -n-) indica la ‘morte’, la ‘paralisi’. Forse il lemma indica le cause contro le quali questa pianta interviene con efficacia.

URTÌCA, urtìga ‘ortica’. Vedi al lemma orciáu.

URTÍGU, ortícu, ortígu, ortíhe, ustríke, cortícu, cortícru, fortícru etc. Ortígu, e varianti, è l’antichissimo nome di una delle quattro querce presenti in Sardegna, precisamente la Quercus suber L. Riconosco che col tempo il fitonimo ed il sughero che dalla pianta viene estratto ebbero lo stesso nome, com’è ovvio, considerato il valore economico del sughero. Ma ciò non avvenne mai a discapito della sopravvivenza del fitonimo, che infatti è vivo e vegeto. Ha persino lasciato traccia di sé nel Monte Urtígu (la vetta del Monte Ferru di Santulussurgiu), che non può giammai prendere il nome dal sughero ma dalle foreste di sughere che lo ammantano. Urtígu e varianti può avere la base etim. nell’akk. uruti (a plant), urṭû, uriṭû (a plant) + suff. sardiano -ícu. Ma sembra più congruo la base sum. ur ‘to collect, confine, imprison’, ‘harness’ + tir ‘bow’ + gu ‘shield, scudo’: ur-tir-gu col significato di ‘(pianta) imprigionata da scudi arcuati’. Va detto con tutta chiarezza che nella più alta antichità gli scudi venivano prodotti dalla demaschiatura del sughero.

URTSÙLA, urthullé ‘salsapariglia’ (Smilax aspera L.), composto sardiano con base nell’akk. urṭû (a plant) + ullû(m) ‘elevata’, col significato di ‘pianta rampicante’.

USCRADÍNU DE PORCU (Bòrore) ‘cardo dei lanaioli’ (Dipsacus fullonum L., Dipsacus ferox Lois., Dipsacus sylvester L.), paronomasia, con relativa paretimologia, originata da un composto sardiano con base nell’akk. uskāru(m) ‘croissant (moon), corno di luna crescente’ + dinnu, tinnu ‘struttura (del letto o di altro)’, col significato di ‘(pianta che ha) struttura, forma di Luna crescente’ (stato-costrutto: uskar-dinnu, metatesi uscra-din[n]u). Questo termine poetico è correlato al fatto che il Dipsacus è un cardo di stupenda bellezza, onde al suo primo seccare viene portato nelle case ad abbellire qualche angolo, dove dura anni. La sua bellezza consiste nello stelo eretto e forte, che verso la cima irraggia due rametti contrapposti formanti un arco perfetto con lo stelo al centro. La sua rara bellezza lo fa somigliare ad una menorah, il candelabro ebraico a sette braccia arcuate, mentre esso, compreso lo stelo centrale, ne ha soltanto tre. È probabile che gli Ebrei abitanti in Sardegna lo utilizzassero sovente per la rara somiglianza col proprio lampadario sacro.

VERMENTÍNO. Vai al capitolo degli ampelonimi.

VERNÀCCIA. Vai al capitolo degli ampelonimi.

VISIÒNI, bisiôi (Goni) ‘salsapariglia’ (Smilax aspera L.), termine sardiano con base nell’akk. biṣu(m) ‘goccioline’ + sum. unu ‘ornamento’, col significato di ‘goccioline ornamentali’ (riferito alla straordinaria bellezza dei piccoli chicchi rossi dei grappoli della salsapariglia).

VITIKINZU ‘Clematis vitalba L.’. Vedi biḍḍighinzu.

ΘÒA (Siniscola, Orosei), θòga (Bitti, Orani), θòba (Nuoro), šòva (Fonni), tòa, attòa log., tsòa camp. ‘salice’ (Salix aurita L., Salix fragilis L., Salix viminalis L.). Il fitonimo con le sue varianti è sardiano, con base nell’akk. ṭubbû ‘inzuppato’, o ṭupu (termine medico nella designazione di pianta), o ṭubû (a kind of reed), o ṭubu(m) ‘bontà, felicità, buone relazioni, pace’, ‘contentezza, soddisfazione’. Ognuno dei quattro lemmi accadici è fungibile e calza alla bisogna, poiché le virtù del salice erano note fin dall’alta antichità, ed a parte ṭubbû ‘inzuppato’ (con riferimento al fatto che l’albero vive nell’acqua) o ṭubû (genere di canna: anch’essa amante dell’acqua), il termine medico riferito a una pianta, od i termini relativi al benessere, calzano perfettamente con la cura delle malattie citate.
Ma per la verità la base etimologica più congrua sembra il sum. zu ‘type of building material’ (e in ciò s’intuisce ciò che già sappiamo, ossia che i ramii di salice furono intrecciati per costruire dei cassoni da riempire con fango o pietre ed elevare muri, case). Un’altra base può essere il sum. tu ‘to beat, weave’, indicante espressamente l’attività della tessitura.

ΘOΘΘÓRIU (Bitti, Orosei), sattsaròi camp., tattaróyu log. ‘aro o gigaro’ (Arum italicum Mill.). Siamo davanti a un iterativo sardiano (θo-θó-riu) con funzione superlativa, basato sull’akk. tarû(m) ‘sollevare’ coda, pene o altro. La figura dell’aro, col suo spadice simile a un pene eretto, parla da sola.

THURGÙSA è allotropo di cugùsa ‘sedano selvatico’ (Apium graveolens var. dulce), fitonimo sardiano con base nell’akk. ṭūru (una pianta medicinale) + ūsu(m) pl.m. e f. ‘goose’, col significato di ‘pianta delle oche’.

ZÈA, žèa nel log. nord-occid. è la ‘bietola’ (Beta vulgaris L.). Wagner recepisce il termine ponendo alla base il genov. giaèa. A mio avviso la base etimologica sta nelle due forme accadiche ze’û (termine sconosciuto) o tī’u ‘nutrimento, sostentamento’. La zèa è infatti nota come il nutrimento d’elezione, il primo nutrimento scelto da chi coglie le erbe selvatiche.

ZIRONE è un vitigno ed il relativo vino. Vedi Girò.

TZACCABINGIÀDAS (Escolca, Gerrei) ‘ginestrella comune’ (Osyris alba L.), tricomposto basato sull’akk. ṭaḫadu(m) ‘sbocciare, fiorire, divenir lussureggiante’ + pigû (a plant) + adû ‘leader’, col significato di ‘pianta leader nella fioritura’. Nulla di più azzeccato a riguardo della bellezza della pianta.

TZACCAREḌḌA nome di vite sarda ad uve nere. Per l’etimo vai al capitolo degli ampelonimi.

TZACCARRÈḌḌA ‘celirosa’ (Lychnis coeli-rosa Desr.). Paulis NPPS la fa derivare dal verbo tsaccarráre ‘scoppiare’ poiché «caratteristica comune delle tre cariofillacee [Lychnis flos-cuculi, Lychnis coeli-rosa, Silene vespertina, e pure Silene cucubalus] è di possedere un fiore dal calice molto rigonfio, di cui i ragazzini provocano lo scoppio, facendone aderire l’apertura al palmo di una mano (o alla fronte) e schiacciandolo con la pressione dell’altra mano. Le formazioni onomatopeiche succitate alludono al rumore così prodotto, come quelle di molte altre lingue europee». Segue la citazione di fitonimi di vari dialetti italiani e di fitonimi europei similari.
Sono d’accordo con Paulis, eccetto che per le onomatopee. Tsaccare in sardo significa ‘fendere, spaccare, scoppiare, crepitare, crepare’ e per estensione ‘screpolare’ e simili; tsaccadura ‘fessura, scoppio, crepitio’ ma anche ‘ragade della cute o dei capezzoli’. Wagner, seguito dai ricercatori seriori (Zonchello e, come vediamo, Paulis NPPS) ritiene che il termine sia rigorosamente onomatopeico. Invece deriva direttamente dall’ass.-bab. ṭaḫadu(m) ‘fiorire, sbocciare, divenir lussureggiante’, ma anche ‘scoppio, esplosione, rottura; spaccare, cedere (riferito specialmente al foruncolo)’. Va notato che tsaccáre, specialmente il camp. tsaccái, ha pure il significato di ‘mettere, introdurre, ficcare, intrufolarsi, intromettersi’ (Puddu). Wagner, anche per questo campo semantico, dà un’origine onomatopeica. Invece questo ha la base nell’akk. šakanum ‘posare, mettere, installare’.
I Sardi hanno usato i due campi semantici per millenni, senza più accorgersi quale fosse l’origine formale dell’uno e dell’altro campo. Anche tsoccáre ha quest’origine.

TZACATÌNA (folla) orist. (pianta non identificata); non è ovviamente registrata neppure nei dizionari. La foglia della folla tzacatina, una volta spellata, era usata per espellere il pus dei foruncoli (Cossu 210). La base etimologica è l’akk. ṣaḫātu(m) ‘pressare, spremere’.

TZACCA-TZACCA log. ‘digitale’ (Digitalis purpurea), anche Silene inflata, due piante di cui i bambini fanno scoppiare i fiori. Wagner presenta il lemma come allomorfo di tsocca-tsocca, letteralmente ‘rumoreggia-rumoreggia’, da tsoccáre ‘crepitare, battere con le noche, il batter delle campane’. Per l’uno e l’altro termine egli dà origine onomatopeica. Invece essi derivano dall’ass.-bab. ṭaḫadu(m) ‘fiorire, sbocciare, divenir lussureggiante’, anche ‘scoppio, esplosione, rottura; spaccare, cedere (riferito specialmente al foruncolo)’. Vedi tsaccáre ‘fendere, spaccare, scoppiare, crepitare, crepare’ e per estensione ‘screpolare’ e simili; tsaccadùra ‘fessura, scoppio, crepitio’ ma anche ‘ragade della cute o dei capezzoli’. Va notato che tsaccáre, specialmente il camp. tsaccái, ha pure il significato di ‘mettere, introdurre, ficcare, intrufolarsi, intromettersi’ (Puddu). Wagner, anche per questo campo semantico, dà un’origine onomatopeica. Invece esso ha la base nell’akk. šakanum ‘posare, mettere, installare’.

TZANDA, θanda, aθanda, θranda, tsantsa ‘papavero’ (Papaver rhoeas L.), fitonimo sardiano con base nel sum. zana ‘bambola’ + dan ‘pura, limpida’, col significato di ‘bambola pura’.

TZARPA, sarpa camp. ‘salice’, anche ‘olivastro di fiume’. Il termine deriva dall’ass. ṭarpa’u (a tamarisk).

TZIBBA camp. ‘porcellana di mare’ (Atriplex portulacoides L. e Halimon portulacoides L.). Paulis NPPS lo collega al sic. scebba, scerba ‘pianta perenne, porcellana marina’, dallo sp. jebe, sp. ant. axebe, enxebe ‘allume’, imprestiti dall’arabo šabb, šabba ‘allume, vetriolo’. L’etimo va bene. La base arcaica sembra l’akk. ṭebû(m) ‘sommergere’, ṭību ‘sommersione’, a causa del fatto che la pianta cresce specialmente nei luoghi paludosi.

TZIKKIRÌA camp. ‘aneto’, ma anche ‘visnaga’ (Ammi visnaga Lam.). Deriva dall’ebraico šekàr כַרשׁ (greco σίκερα).

TZINNÌGA, tzinnìa, thinnìga ‘alabardina’ o popolarmente ‘sparto’ (Lygeum spartum L.). Poiché il lemma è concordemente ammesso dal Pittau e dal Paulis come protosardo, mi piace ripetere integralmente quanto riportato dal Paulis (NPPS 270). «La parola è già attestata nei primi testi medievali in log. ant.: CSP 425: et ruclat s’ena sutta sas thinnigas; CSMS 181: la fuente de sas tinnigas; CSNT 49, 84, ecc.: Zinnicas, Zinnigas (nome di località); CSMB 36: su saltu ki si segat daue sa ciniga de Figos de Milianu. Voce certamente preromana connessa con il berb. tsennît ‘alabardina’, donde anche tsunnît, tsunît ‘cesto intrecciato’ e assennaz ‘specie di cesto usato nella pesca’ (Bertoldi “AGI” XXXVI, 16; “Mus. Helv.” V,80; Hubschmid 1953,21; DES,II,548). Secondo Pittau, Corrente 1991, potrebbe essere apparentato con queste parole anche il lat. funis ‘fune’. Plinio (N.H. 19,26) c’informa che, assieme alla Stipa tenacissima o alfa, quella pianta è un flagello della terra, perché ov’essa cresce nient’altro può spuntare o essere coltivato (id malum telluris est, nec aliud ibi seri au nasci potest). Mentre la varietà africana era piccola e di nessuna utilità (in Africa exiguum et inutile gignitur), assai apprezzata era quella importata dai Punici nella zona di Cartagena, da cui si ricavavano cordami resistenti all’acqua, anche di mare. Plinio puntualizza pure che l’uso dello sparto per questi scopi fu posteriore di molti secoli a quello del lino e non era conosciuto innanzi che i Cartaginesi intraprendessero la prima spedizione militare in Spagna (sparti quidem usus multa post saecula coeptus est, nec ante Poenorum arma, quae primum Hispaniae intulerunt). L’utilizzazione della pianta in Occidente era, quindi, associata originariamente alla diffusione della cultura punica e ciò deve aver favorito la conservazione in Sardegna del nome indigeno, risalente alla componente libica del sostrato paleosardo. Poiché è ipotizzabile che la parola libica ricorresse anche nella bocca delle genti immesse dai Cartaginesi dal nord Africa nella Sardegna meridionale per far fronte alle esigenze dell’agricoltura, dopo che i Protosardi si ritrassero (furono astretti a ritirarsi) nelle regioni dell’interno, non pare inverosimile che la differenziazione tra θinníga, tsinníga da una parte e tsonni, tsónnia dall’altra sia cominciata a formarsi in epoca punica e che quest’ultima forma, essendo circoscritta alle parlate rustiche del Campidano, rifletta una variante usata dai coloni libici al seguito dei Cartaginesi». Fin qui Paulis.
La base del fitonimo sardiano è nell’akk. zinnu ‘pioggia’ + ekû ‘privare (di cibo, acqua)’ un terreno o altro. Quindi il fitonimo tzinnìga significa ‘privo d’acqua’ o ‘che scansa la pioggia’ per la sua capacità di resistere persino all’acqua marina.

TZINNIGRÁŽIA camp. ‘alabardina’ o ‘sparto’. Vedi tzinnìga, da cui deriva per mezzo del suffisso sardiano -áriu.

TZIOḌḌA sass. ‘cipolla’ (Allium cepa). La derivazione dall’it. cipolla < tardo lat. cepŭlla non è affatto scontata. Peraltro il termine latino è considerato prestito da una lingua sconosciuta (DELI 240). Lo stesso vale per il termine scientifico cepa. Ma i termini sass. e sardo hanno origini sardiane, con base nell’akk. qēpu, qīpu ‘affidato, affidabile, credibile, rappresentativo’ + ullû (un vestito) (stato costrutto qēp-ullû), col significato di ‘vestito rappresentativo’, a quanto pare riferito alla bellezza del suo fiore.

TZÍPPIRI camp. ‘rosmarino’; deriverebbe dal punico zibbir, secondo Paulis NPPS. Wagner (La Lingua Sarda) cita lo Pseudo-Apuleio: A Graecis dicitur libanotis, alii ycteritis, Itali rosmari­num, Punici: zibbir. Ma il Dizionario Fenicio non recepisce il semantema, mentre produce la forma zbr (zibbir) che significa ‘coppa, scodella’. In realtà tzippiri deriva dall’ebr. sapīr, safīr ‘lapis lazzuli, zaffiro’ (סַפִיר). Questo nome è stato destinato alla pianta aromatica per il fatto che i fiorellini sono esattamente del colore del lapislazzuli.

TZITZÌA MADÒNNA ‘rosolaccio o papavero selvatico’ (Papaver rhoeas L.), variante fonetica di sitzìa ‘pratolina’; per estensione indica il ‘papavero selvatico’. Sitzìa (che è pure cognome) ha base etimologica nell’akk. šī ‘ella, colei che, proprio quella che’ + ṭēḫû aramaico plurale ‘propagatore di briciole di pane’, col significato di ‘quella che propaga (nei prati) le briciole di pane’. Nome poetico. Altrimenti rinvio a zizzίa (Fonni, Siniscola) ‘giocattolo’, con base etimologica nel sum. zil ‘to be good, buono’, ripetuto in termini esaltativi: zil-zil.
Il sardo madonna è a sua volta una paronomasia medievale basata sull’akk. mādu(m) ‘many, numerous’ + sum. unu ‘ornamento’. Col significato di ornamento numeroso’ (riferito al fatto che i papaveri invadono i campi in grandi quantità). Quindi tzitzìa madònna ebbe originariamente il significato di ‘fiore numerosissimo, pletorico’, a causa del fatto che infesta copiosamente i campi di cereali.

TZITZÌA PÙDIDA ‘rosolaccio o papavero’ (Papaver rhoeas L.), paronomasia basata sull’akk. pūdu(m), būdu(m) (designazione di una pecora). Quanto all’etimo di tzitzìa, vai a tzitzìa madonna. Tzitzìa pùdida significò ‘pratolina delle pecore’.

TZITTZIRIÒPPIS, tsittsiriùpis (Laconi) ‘tapsia’ (Thapsia garganica L.). A mio avviso tsittsiriùpis è un composto sardiano con base nell’akk. zīru, zēru ‘semi’ di pianta (con raddoppiamento che indica la gran quantità: zī-zīru) + uppu(m) ‘orbita’ dell’occhio e simili. Il composto tsìttsiri-òppis indicò in origine dei semi inglobati in una sostanza trasparente, quasi come il tuorlo dell’uovo rispetto alla chiara, o meglio la pupilla dell’occhio rispetto alla sclerotica. Tali sembrarono evidentemente i semi del corimbo della Thapsia garganica all’osservazione dei Sardiani. Ed a pensarci bene, tali sembrano anche a noi questi stranissimi semi.

TZONCA, thonca ‘viola’ (Viola hirta L. var. odorata L.). Preciso che tzonca, tsonka è anhe l’assiolo (Otus scops), rapace notturno che può essere conosciuto etimologicamente soltanto attraverso l’analisi di verbi come tunciáre, tunkiáre, thuncáre, θunkiáre ‘dolersi, singhiozzare, mugolare, grugnire’; intzùnkiu camp. ‘singhiozzo’; thùnkios centr. ‘lamenti, gemiti (compresi quelli d’amore)’; è pure voce gallurese e còrsa, oltreché logudorese. Wagner ascrive queste voci a fenomeni onomatopeici o fonosimbolici. Mentre invece il termine ha la base etimologica nell’akk. ṣuḫu(m) ‘risata sonora’, anche ‘gioco d’amore, orgasmo’, ‘strumento d’incantamento violento (quindi un afrodisiaco)’ < ṣiaḫu(m) ‘ridere, gridare, divertire, far ridere; divertente’. Considerato il verso dell’assiolo, va da sé che pure questo nome ha la stessa base fonetica.

TZUCCA sass. e log. ‘zucca’ (Cucurbita pepo). Wagner lo crede termine prettamente italiano. Ma intanto DELI non sa da dove derivi e ipotizza uno strano lat. cucūtia, quasi che tale fonetica possa andar bene al caso. In realtà il termine è mediterraneo, base etimologica nell’akk. zukû (un genere di frutta od erba).

3. ELENCO ALFABETICO DEI FITONIMI
(nomi sardi, italiani, scientifici)

(I lemmi sardi in neretto sono trattati alfabeticamente nel Dizionario Etimologico annesso alla presente Sezione; gli altri lemmi sardi sono varianti trattate assieme a tale voce)

Abriḍḍa, aspiḍḍa, aspriḍḍa, ‘scilla, squilla’, Urginea maritima
Accòdro, codora, cordra, ‘terebinto’, Pistacia terebinthus
Accùcca, cucca, ‘avena’, Hordeum bulbosum, Phalaris tuberosa, Holcus lanatus, Festuca elatior, Dactylis glomerata, Phalaris canariensis
Àdanu, ‘ginestra dell’Etna’, Genista aetnea
Àddara, làddara, ‘galla della quercia’
Aèna ‘avena’, avena delle varie specie
Aèna murra, ‘avena’, Avena fatua, Avena barbata, Avena sterilis, ‘spigolina’ Bromus hordaceus
Agraxèda (vite)
Ajácciu, giáccia, ‘ginepro’, Juniperus oxycedrus
Aíttho, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Alàse, alási, olòsi, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Alási, olòsi, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Alásu, ‘gramigna’
Alatérru, ladérru, ‘alaterno, fillirea’, Phyllirea angustifolia, Phyllirea latifolia
Alaùssa, ‘senape bianca o selvatica’, Sinapis alba
Alathùcru, ‘marrubio’, Marrubium vulgare
Alba canna (vite)
Alba cápruna, ‘piantaggine var. lanciola’, Plantago lanceolata, Plantago major
Albaparadu (vite)
Albapasàda (vite)
Albarantzéuli, albarantzéllu (vite)
Albegeniádu (vite)
Albicèlla (vite)
Albumánnu (vite)
Alidéḍḍu, ‘lampagione o cipollaccio’ (liliacea), Muscari comosum
Alidérru, alatérru, ‘fillirea’, Phyllirea angustifolia e latifolia
Álimu, ‘alimo’, Helianthemum halimifolium vel Halimium halimifolium
Álinu, élinu, ‘ontano’, Alnus glutinosa
Alitérru, alidérru, alatérru, ‘fillirea’, Phyllirea angustifolia et latifolia
Allelùja, ‘ossalide’, Oxalis acetosa
Allòrgiu malu, lullu malu, ‘zizzania’, Lolium termulentum, Lolium perenne
Alópus (vite)
Alsu, alzu, arìsu, ‘gelso nero, moro nero’, Morus nigra
Altèa, ‘Malva arborea’, Althaea officinalis
Alùssara, ‘salsapariglia’ Smilax aspera, ‘flammola’ Clematis flammula, ‘clematide’ Clematis vitalba
Àlvara atzèsa (vite)
Alvu astiánu (vite)
Alvu signádu (vite)
Alzu, alsu, arìsu, ‘moro nero o gelso nero’, Morus nigra
Amantósu (vite)
Ambruttattsa, ambuattsa, armuratta, ‘rafano selvatico o ramolaccio’, Raphanum raphanistrum
Ambuattsa, armuratta, ‘rafano selvatico o ramolaccio’ Raphanum raphanistrum, ‘senape nera’ Brassica nigra
Amorái, canna de morái, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus ferox, Dipsacus fullonum
Ancatùrra, angatùrra, ‘loto edule’, Lotus edulis
Angatùrra, ‘loto edule’, Lotus edulis
Angùli, angùlias, ‘linaria o soldina’, Linaria elatine var. spuria
Angùli, ‘porcino, Boletus edulis
Angùlias, angùli, ‘linaria o soldina’, Linaria elatine var. spuria
Aniàda, ‘melograno’, Punica granatum
Aniadéḍḍa, ‘piccolo melograno’, Punica granatum
Anna e locu, ‘papavero’, Papaver rhoeas
Annáyu, ‘pruno selvatico’, Prunus spinosa
Annurca (cultivar di melo)
Antùnna, ‘agarico ostreato o pleuroto’ Pleurotus ostreatus var. eryngii o ferulae
Anzòne (bardu de), ‘cicerbita, allattalepre’, Sonchus oleraceus vel arvensis vel tenerrimus
Ap(p)ara, ‘aglio angolare, aglio selvatico’, Allium triquetrum
Apesòrgia (vite)
Aráru, laru, ‘alloro’, Laurus nobilis
Arbiḍḍa, aspriḍḍa, aspiḍḍa, ‘scilla, squilla’, Urginea maritima
Arbutthu, ‘asfodelo’, Asphodelus ramosus vel phistulosus
Arkimissa, ‘lavanda o stecade’ Lavandula stoechas, ‘elicriso’ Helichrysum italicum
Arculéntu, ‘abrotano’ Artemisia abrotanum, ‘achillea’ Achillea ligustica
Arèsta (canna), ‘canna palustre’, Arundo phragmites
Argumánnu (vite)
Arièḍḍa ‘Cardo dei lanaioli’ Dipsacus ferox, Dipsacus fullonum, Dipsacus Sylvester
Arigáglia, aricáglia, ‘carota selvatica’, Daucus carota
Arista (vite)
Arìsu, alzu, alsu, ‘gelso nero o moro nero’, Morus nigra
Arizáru, ‘arisaro, gilico’, Arisarum vulgare
Armiḍḍa, ‘timo’, Thymus serpyllum, Thymus herba-barona
Armulatta, ‘senape bianca o selvatica’, Sinapis alba
Armuratta, ambuattsa, ‘rafano selvatico o ramolaccio’ Raphanum raphanistrum, ‘senape nera’
Brassica nigra
Arramangiánu (vite)
Arrángiu (cardu), ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Arridéli, alatérru, ‘alaterno, fillirea’, Phyllirea angustifolia, Phyllirea latifolia
Arridéllu, alatérru, ‘alaterno, fillirea’, Phyllirea angustifolia, Phyllirea latifolia
Arròda (spina e), cardu arrángiu, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Arrùbiu (trigu), ‘(varietà di) grano’, Triticum
Arrud’e ganis, ‘scrofularia’, Scrophularia canina
Arrullòni, ‘coccola del ginepro’
Artiòccoro, sòcciri, Dipsacus fullonum, ferox, sylvester, e pure Pichris echioides = Elminthia echioides
Aru, ‘gigaro’, Arum pictum
Arvisionádu (vite)
Asciòne, ‘crescione’, Nasturtium officinale
Asculpi (erba de), ‘falaride: graminacea’, Setaria italica
Asmìla, ‘salsapariglia o strappabrache’, Smilax aspera
Aspiḍḍa, aspriḍḍa, arbiḍḍa, abriḍḍa, ‘scilla, squilla’, Urginea maritima
Aspriḍḍa, aspiḍḍa, arbiḍḍa, ‘scilla, squilla’, Urginea maritima
Assangiòni, ‘aglio selvatico’, Allium vineale
Assuḍḍa, ‘sulla o lupinella’, Edysarum coronarium
Assussèna, ‘giglio’, Lilium
Ásuma, sàsima, aladerru, tàsuru, ‘alaterno’, Rhamnus alaternus
Aùrri, ‘carpino nero o bianco’, Carpinus betulus, Ostrya carpinifolia
Aùssa, asciòne, ‘cicuta’ Conium maculatum, ‘crescione’ Nasturtium officinale
Aussàra, attsàra, bidighínzu, ‘clematide, vitalba’, Clematis vitalba
Auttsàra, attsàra, aussàra, ‘clematide, vitalba’, Clematis vitalba
Avenárzu, enárgiu, fenaìle, ‘avena selvatica’, Avena fatua, Avena barbata, Avena sterilis
Ayùcca, stragabòis, stasibòis, ‘ononide’, Ononis spinosa
Attsàra, aussàra, auttsàra, luttsàra, ‘clematide, vitalba’, Clematis vitalba
Attsottalìmba, ‘robbia selvatica’, Rubia peregrina

Baḍḍayólu, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Baḍḍerínos, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Balànzu, guadàngiu, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Barcu, bascu, balcu, Viola hirta, Mathiola incana
Balcu, barcu, bascu, Viola hirta, Mathiola incana
Bandèra de Santu Juanni, ‘verbasco’, Verbascum thapsus
Barbaraxìna (vite)
Barcu, balcu, bascu, Viola hirta, Mathiola incana
Bardòne, gherdòne, ‘sugherone’
Bardu de anzòne, ‘cicerbita, allattalepre’, Sonchus oleraceus vel arvensis vel tenerrimus
Bárgiu, brágiu mannu (vite)
Barracóccu, piricóccu, ‘albicocco’, Prunus armeniaca
Barraccucca, ambuattsa, ‘rafano selvatico’, Raphanus raphanistrum
Barriadòrgia (vite)
Bascu, balcu, barcu, Viola hirta, Mathiola incana
Basòlu, ‘fagiolo’, Vigna sinensis
Battilimba, ‘robbia selvatica’, Rubia peregrina
Bebbéi, ‘coccola del ginepro’
Belléi de caḍḍu, cagarantzu, ‘fior d’oro, bottone d’oro’, Chrysanthemum segetum vel coronarium
Bervekìna (vite)
Biankeḍḍa (vite)
Biarràba, ‘bietola rossa’, Beta vulgaris var. rubra
Biḍḍighinzu, bitichinzu, pilighinzu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Biḍḍùri, buḍḍùri, ‘cicuta’, Conium maculatum
Bide biànca, ‘caprifoglio’, Lonicera implexa
Bilisòne, ‘bacca del corbezzolo’
Billèlla, billèllara, ‘elleboro’, Helleborus lividus
Billòttiri, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum
Binu, tramatzu, ‘tamerigi’, Tamarix africana vel gallica
Bintzillu, attsàra, ‘strappabrache’, Clematis vitalba
Bisìni (vite)
Bitikinzu, biḍḍighinzu, pilighinzu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Bobbolleḍḍa, bòddero, arrullòni, ‘coccola del ginepro’
Bobboriìna, bubbukèḍḍa, ‘galla della quercia’
Bokicabáḍḍu, bocciguáḍḍu, ‘graziola’, Gratiola officinalis
Bocciguáḍḍu, bokicabáḍḍu, ‘graziola’, Gratiola officinalis
Bòḍḍero, bòḍḍoro, arrullòni, bobbollèḍḍa, ‘coccola del ginepro’
Bòḍḍoro, arrulloni, bobbolleḍḍa, ‘coccola del ginepro’
Bolostiu, olostru, colostru, ‘rosa canina’ e ‘agrifoglio’, Rosa canina et Ilex aquifolium
Bonéngia (vite)
Bòrgio (vite)
Bortaláke, ‘uva canina’, Phytolacca decandra
Bovále (vite)
Braba (Erba de, ossia: braghi-braghi), ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Braghi-braghi, erba de braba, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Brágiu mannu (vite)
Brèḍḍula arèsta, ‘salsapariglia’, Smilax aspera
Brenteḍḍa, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Brigantìna, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Brodáu, ‘asparago selvatico’, Asparagus acutifolius
Bronzeḍḍu, coccìci, ‘betonica glutinosa’, Stachis glutinosa
Brundeḍḍa, ‘Ruta caprina’, Hypericum hircinum
Brundìna, brundajòla, ‘genziana’, Gentiana lutea
Bruscia (erba de), ‘erba strega’, Stachys arvensis
Bruscu biáncu (vite)
Brustiàna (vite)
Bubbukeḍḍa, ‘galla della quercia’
Buda, ‘mazzasorda, biodo di palude’, Typha angustifolia et Typha latifolia
Buḍḍùri, biḍḍùri, ‘cicuta’, Conium maculatum
Bulláu, ‘papavero rosso’, Papaver rhoeas
Bumbosu (trevullu), ‘trifoglio’, Trifolium spumosum
Bunnànnaru, -neru ‘querciola maggiore’ Teucrium flavum
Bureḍḍa, ‘lavanda’, Lavandula stoechas
Burràccia, ‘borragine’ Borrago officinalis, ‘buglossa’ Anchusa azurea
Burtsèra, purtsèra, ‘cerfoglio selvatico’, Anthriscus cerefolium
Buscadínu, ‘pungitopo’, Ruscus aculeatus

Caccácu, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Caccaéḍḍu, calarìghe, ‘biancospino’, Crataegus oxyacantha
Caccaracásu, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Caccarágiu, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Caccareḍḍa, cakkeḍḍa, ‘Ovolo buono’, Amanita caesarea
Caccasennorèḍḍa, caccácu, ‘Ciclamino’, Cyclamen repandum
Cakkeḍḍa, caccareḍḍa, ‘Ovolo buono’ Amanita caesarea
Caccu, ‘kaki’, Dyospiros kaki
Cadalàva, ‘calcatreppola, cardo stellato’ Centaurea aspera et C. sphaerocephala
vel horrida, Centaurea calcitrapa
Caḍḍamarídos, ‘Ginestrella’, Osyris alba
Caḍḍíu (vite)
Cadeḍḍa, ‘ranuncolo’, Ranunculus arvensis
Cadòni, ‘chenopodio’, Chenopodium album, murale, polyspermum, vulvaria
Cadrampu, cadumbu, ‘verbasco’, Verbascum thapsus
Cadrámpulu, cadrampu, cadumbu, ‘verbasco’, Verbascum thapsus
Cadranzu, cardángiu, ‘bitorzolo di vite’
Cadrillòni, cardillòni, ‘asfodelo’, Asphodelus ramosus vel phistulosus
Cadumbu, trivoḍḍa, trovoḍḍa, ‘verbasco’, Verbascum thapsus
Cagarantzu, caragantzu, Chrysanthemum coronarium et segetum
Cagliùga, pedruvèghe, ‘senecione’, Senecio vulgaris
Cagnulári (vite)
Calabingiàda, ‘caprifoglio’, Lonicera caprifolium
Calabrésa (vite)
Calábrike, calarìghe, ‘biancospino’, Crataegus oxyacantha et monogyna
Calacásu, locásu, ‘stachide’, Stachys glutinosa
Calarìghe, calábrike, ‘biancospino’, Crataegus oxyacantha et monogyna
Caldhu mignòni , camingiòni, ‘cicerbita’, Sonchus oleraceus
Cáliche, cálighe, sálighe, ‘ombelico di Venere’, Cotyledon Umbilicus-Veneris
Cálighe, sálighe, ‘ombelico di Venere’, Cotyledon umbilicus-Veneris
Caližòne, cadrillòni, ‘asfodelo’, Asphodelus ramosus vel phistulosus
Cambirùya, ‘parietaria’, Parietaria officinalis, ‘Fumaria’ Fumaria capreolata
Camingiòni, ‘cicerbita’, Sonchus oleraceus vel arvensis
Camìsa, ‘gluma che avvolge la cariosside dell’orzo’
Campaneḍḍas, ‘sonaglini’, Briza maxima
Canajòla (vite)
Cani (pei de), ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre,maritimum, tricuspidatum
Canna, ‘canna’, Arundo donax
Canna ávrina, ‘canniccio, canna di palude’, Arundo phragmites
Canna de amorái, amorái, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus ferox, fullonum
Canna de morài, amorái, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus ferox, fullonum
Cannayòni, ‘gramigna’ Cynodon dactylon, ‘caprinella o dente canino’ Agropyrum repens
Cannayòni cambas longas, ‘miglio selvatico’, Millium multiflorum
Cannayòni de aqua, ‘gramignone’, Paspalum distichum var. paspalodes
Cannayòni de cresùri, ‘miglio selvatico’, Millium multiflorum
Canna ùrpina, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum, ferox, sylvester
Cannavàglio, ‘canapa’, Cannabis sativa
Cannonáu (vite)
Carakínu, ‘fagiolo caracalla’, Phaseolus caracolla
Caracùtu, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Caragantzu, cagarantzu, ‘fior d’oro’, Chrysanthemum coronarium et segetum
Caralìghe, calarìghe, calábrike, ‘biancospino’, Crataegus oxyacantha
Caráviu, ‘biancospino’, Crataegus oxyacantha
Carcangiòla (vite)
Carcángiu longu, ‘caprinella, dente canino’, Agriopyrum repens
Carculatzu, ‘steli del saracchio’, Ampelodesma mauritanica
Carcùri, curcùri, ‘saracchio’, Ampelodesma mauritanica
Cardángiu, cadránzu, ‘bitorzolo di vite’
Cardaréllu (vite)
Cardassu, ‘fico immaturo’
Cardedonna, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Cardu, ‘cardo generico’
Cardu anzonínu, cardu de anzòne, ‘scarlina’, Galactites tomentosa
Cardu arrángiu, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Cardu cabíḍḍu, ‘carlina’, Carlina gummifera et Atractylis gummifera
Cardu candèla, ‘carlina, spinello’, Carlina corymbosa et Cirsium scabrum
Cardu cannitzu, ‘cardo asinino’, Onopordon illyricum
Cardu castréḍḍu, ‘cardo mariano’, Silybum marianum
Cardu de casteḍḍu, cardu castreḍḍu, ‘cardo mariano’, Silybum marianum
Cardu de anzòne, ‘calcatreppola’, Eryngium campestre
Cardedonna, cardu donna, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Cardu ilòxe, ‘cardo mariano’, Silybum marianum
Cardulínu, ‘nome generico del fungo’
Cardu mattsone, cardu de anzòne, ‘calcatreppola’, Eryngium campestre
Cardu minzòne, camingiòni, ‘cicerbita’, Sonchus oleraceus
Carduréu, ‘cardo selvatico’, Cynara cardunculus var. silvestris
Cargùri, cruccùri, ‘saracchio’, Ampelodesma mauritanica
Cárica e porcu, ‘aro o gigaro’, Arum italicum
Caricagiòla, carcangiòla (vite)
Carignáno (vite)
Carrisegàda, carrasegàda, (erba non registr.nei diz.sardi: Dòlima fratosa?)
Castanárgiu, ‘erica’, Erica scoparia, arborea
Castangiòla, -zòla, ‘zafferanetto selvatico’, Romulea bulbocodium, ligustica
Castanza, ‘castagno’, Castanea sativa
Casugóttu, ‘orchidea’, Ophrys et Orchis
Catheḍḍìna, ‘cocco gnidio’, Daphne gnidium
Cáura, ‘cavolo’, Brassica oleracea
Cibuḍḍa de coga, ‘scilla, squilla’, Urginea maritima
Cicciulìa, ‘papavero rosso’, Papaver rhoeas
Cigràxia, sugràxia, ‘bagolaro’, Celtis australis
Cima de cibíru, ‘scarlina’, Galactites tomentosa
Cima de pastòri, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Cima goritta, ‘ammi o visnaga’, Ammi majus
Ciòcciri, sòcciri, thiòccoro, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum, ferox, sylvester;
Pichris echioides = Elminthia echioides
Cìppari, ‘rosmarino’, Rosmarinus officinalis
Ciùffi-ciùffi, ‘acanto’, Acantus mollis
Ciurixeḍḍa, sorixeḍḍa, ‘robbia’, Rubia tinctorum
Cixireḍḍu (trigu)
Còa de gattu, ‘reseda’, Reseda alba et lutea, ‘falaride: graminacea’ Setaria italica
Còa de margiáni, ‘lingua’, Echium italicum
Còa e toppi, coedòppi, ‘fleo dei prati’, Phleum pratense
Coccìci, locásu, calacásu, lucréxiu, ‘betonica glutinosa’, Stachis glutinosa
Coccoinìnni, ‘crisantemo selvatico’, Chrysanthemum coronarium et segetum
Coccoreḍḍa, ‘galla della quercia’
Còccoro, ‘noce’, Juglans regia
Coddigultu, ‘campanella maggiore’, Leucojum aestivum
Coddilòina (vite)
Còdora, accòdro, ‘terebinto’, Pistacia terebinthus
Coedòppi, ‘gramigna’, Alopecurus bulbosus et pratensis, Phleum pratense, Cynosurus cristatus
Coga (cibùḍḍa de), ‘scilla, squilla’, Urginea maritima
Cogòdi, ‘afaca’, Lathyrus aphaca
Còi crispa, ‘salvastrella’, Sanguisorba minor
Còi erbèi (vite)
Còi lòriga, ‘viperina maggiore’, Echium italicum
Colalatti, ‘robbia selvatica’, Rubia peregrina
Colombàna (vite)
Colóstru, bolóstiu, Rosa canina, Ilex aquifolium
Compìngiu, oppínu, ‘pino’, Pinus
Concùda, sitzìa, ‘pratolina’ Bellis perennis, ‘calendula o fiorrancio’ Calendula officinalis
Coraxédu, ‘acetosa’ e ‘acetosella’, Rumex acetosella et Oxalis acetosella
Corcorìga, crucurìga, ‘zucca’, Cucurbita sp.v.
Cordra, còdora, ‘terebinto’, Pistacia terebinthus
Coriándru, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Corniòla (vite)
Coròe, crocòe, ‘erba guada’, Reseda luteola
Coròsti, colostru, ‘agrifoglio’ Ilex aquifolium, ‘rosa di monte’ Rosa canina
Corra, spina e corra, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Corrùda (vite)
Coscos, ‘santolina’, Santolina chamaecyparissus et Santolina corsica
Cossu (trigu)
Costi, colostru, ‘acero’ Acer monspessulanus, ‘agrifoglio’ Ilex aquifolium
Costi, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Cotonòsa, ‘viperina azzurra’, Echium vulgare
Crabiòne, ‘siconio immaturo’
Crabufígu, ‘Caprifico, fico selvatico’, Ficus carica var. caprificus
Craccùri, curcùri, ‘saracchio’, Ampelodesma mauritanica
Crannàccia (vite)
Crapikéḍḍu, ‘strigolo’, Silene inflata
Crasta canes, Sparganum lemna
Croccorìga, cruccurìga, curcurìga, ‘zucca’, Cucurbita pepo e sp.v.
Crocòe, coròe, ‘erba guada’, Reseda luteola
Cruccùri, curcùri, ‘saracchio’, Ampelodesma mauritanica
Cucca, accucca, Hordeum bulbosum, Phalaris tuberosa, Holcus lanatus, Festuca elatior,
Dactylis glomerata, Phalaris canariensis
Cucca cucca, accucca, Hordeum bulbosum, Phalaris tuberosa, Holcus lanatus,
Festuca elatior, Dactylis glomerata, Phalaris canariensis
Cukkéḍḍu, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Cuccu, cukkeḍḍu, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Cuccùi, cukkeḍḍu, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Cuccuméḍḍu, cuguméḍḍu (nome generico di fungo)
Cuccummiàu, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Cuguméḍḍu (fungo in generale)
Cugùmmaru, ‘cetriolo’, Cucumis sativus
Cugùsa, ‘cicuta’, ‘crescione selvatico’, ‘sedanino d’acqua’, Apium graveolens (anche come ‘sedano’)
Culpunto (vite)
Culuèbba, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Culurassu, cunnurassu, ‘favagello’, Ranunculus ficaria
Cumpìngiu, ‘pino’ e ‘pinolo’, Pinus
Cunnurássu, culurássu, ‘favagello’, Ranunculus ficaria
Curcùri, ‘saracchio’, Ampelodesma mauritanica
Curcurìga, ‘zucca’, Cucurbita pepo
Curma, cùruma, ‘ruta’, Ruta graveolens
Cuscusèḍḍa (vite)
Cuscusòni, ‘lappolina’, Xanthium spinosum, Bromus sterilis

Èiba crábuna, èrba gràbina, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Èiva de sa Madalèna, ‘acanto’, Acantus mollis
Èlamu, èleme, ‘alimo’, Atriplex halimus
Èleme, èlamu, ‘alimo’, Atriplex halimus
Elva muttsòne, ‘trifoglio striggine’, Trifolium angustifolium
Enárgiu, avenárzu, ‘avena selvatica’, Avena fatua, barbata, sterilis
Éni, ‘tasso’, Taxus baccata
Èra, ‘edera’, Hedera
Erámine, grámene, ‘gramigna’, Cynodon dactylon
Erba, ‘erba’
Erba d’aqua, ‘miglio selvatico’, Millium multiflorum
Erba de asculpi, asculpi, ‘falaride: graminacea’, Setaria italica
Erba de braba (braghi-braghi), ‘barboncino’, Andropogon hirtus
Erba de buḍḍas, Glinus lotoides [Anagallis arvensis]
Erba de cani, ‘sonaglini’, Briza maxima
Erba de coròna, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Erba de fémminas, sperra-pillittu, ‘borsa del pastore’, Capsella bursa-pastoris
Erba de ferru, ‘miglio selvatico’, Millium multiflorum
Erba de nèrbius, nerviàda de abba, ‘erba saetta’, Sparganum sagittaria,
Sparganum alisma, Sparganum damasonium
Erba de piricoccu, ‘iperico’, Hypericum perforatum
Erba de santu Lenardu, ‘digitale’, Digitalis purpurea
Erba de sproni, ‘vedovina’, Scabiosa atropurpurea
Erba de ule, ‘bupleuro cespuglioso’, Bupleurum fruticosum
Erba d’insiccatùri, ‘salvastrella’, Sanguisorba minor
Erba e arràngia, ‘piombaggine’, Plumbago europaea
Erba e cirras, erba e arràngia, ‘piombaggine’, Plumbago europaea
Erba e murènas, ‘cinquefolio’, Potentilla reptans
Erba e perda, ‘paleo comune’, Brachypodium pinnatum
Erba e porcus, ‘viperina piantaggine’, Echium plantagineum
Erba e puḍḍas, ‘erba delle galline o burinella o saggina’, Sagina procumbens,
Spergula arvensis, Stellaria media, Cerastium glomeratum
Erba e pùlighe, ‘pulicaria’, Plantago psyllium
Erba e soli, ‘eliotropio’, Heliotropium europaeum
Erba e ventu, ‘parietaria’, Parietaria officinalis
Erba ferrina, erba de ferru, ‘miglio selvatico’, Millium multiflorum
Erba gabiḍḍùda, ‘spicalora’, Triticum villosum = Haynaldia villosa
Erba gràbina, ‘miglio selvatico’, Millium multiflorum
Erba guaḍḍàra, ‘scagliola’, Phalaris canariensis
Erba lìera (vite)
Erba moḍḍi, ‘valeriana’, Valeriana officinalis et Valerianella olitoria, ‘ciocca’ Fedia cornucopia
Erba nieḍḍa, ‘pulicaria’, Plantago psyllium
Erba nigheḍḍa, ‘ononide’, Ononis spinosa
Erba posàda (vite)
Erba pùdia, ‘avena selvatica’, Avena sterilis
Erba puggionìna, erba e puḍḍas, ‘erba delle galline’ o ‘burinella’ o ‘saggina’,
Sagina procumbens, Spergula arvensis, Stellaria media, Cerastium glomeratum
Erba stulàda (una graminacea), Vulpia geniculata
Erb’e arrùngia, ‘piombaggine’, Plumbago europaea
Erbinèra (vite)
Erbiòi, ‘papavero o rosolaccio’, Papaver rhoeas
Erva luzza, ‘ossalide’, Oxalis acetosa

Faba, faa, ‘fava’, Vicia faba
Farràgine, ferrágine, farráina, ‘erba d’orzo’
Farràina, ferrágine, ‘erba d’orzo’
Farráni, ferrágine, ‘erba d’orzo’
Farre, farri, ‘semolino o farina d’orzo’
Fažóru, ‘fagiolo’, Vigna sinensis
Fenaìle, ‘avena selvatica’, Avena fatua, Avena barbata, Avena sterilis
Fenápu, ‘avena selvatica’, Avena sterilis
Fenáulu, fenaìle, ‘avena selvatica’, Avena fatua, barbata, sterilis
Fénu, ‘fieno’
Fénu ávrinu, (una graminacea), Brachypodium pinnatum
Fénu bónu, ‘paleo odoroso’, Anthoxanthum odoratum
Fénu pùdiu, ‘avena selvatica’, Avena fatua, Avena barbata, Avena sterilis
Fénu traìnu, fénu tranu, ‘ammofila’, Phleum arenarium, Ammophila arenaria
Fénu tranu, fénu traínu, ‘ammofila’, Phleum arenarium
Ferrágine, ‘erba d’orzo’
Férula, ‘ferula’, Ferula
Féurra burda, ‘tapsia’, Thapsia garganica
Feurratzu, ‘basilisco’, Magydaris pastinaca
Figu, ‘siconio e albero di fico’, Ficus carica
Figuèrga, ‘fico polposo, bello’, Ficus carica
Fila-fila, ‘latte di gallina’, Ornithogalum umbellatum
Folla de casarèsa, ‘aro o gigaro’, Arum italicum
Folla de ferru, ‘acanto’, Acantus mollis
Folla de nèrbius, nerviàda de abba, (it.?), Sparganum sagittaria, Sparganum alisma,
Sparganum damasonium
Folla de santu Jorgi, ‘acanto’, Acantus mollis
Folla de santu Nicoláu, ‘acanto’, Acantus mollis
Folla de setti enas, (pianta sconosciuta)
Folla furistèra, (pianta sconosciuta)
Fornaccìna (vite)
Forráni, ferrágine, ‘orzo selvatico’, Hordeum vulgare
Fossòne, ‘campanellino comune’, Leucojum vernum
Fozza ligàda, ‘acanto’, Acantus mollis
Fràmiu, ‘erica’, Erica scoparia, Erica arborea
Franca de tzirulìa, ungra de tzurrulìu, orros’e gogas, ‘peonia’, Paeonia officinalis
Frisa, frissa, ‘ceppita o enula’, Inula viscosa vel Inula graveolens
Frissa, frisa, ‘ceppita o enula’, Inula viscosa vel graveolens
Fruskiayòlos, ‘licnide’, Lychnis alba
Frùscu, frùsciu, ‘pungitopo’, Ruscus aculeatus
Frusticàya, ‘ortica’, Urtica dioica e altre varietà
Fusighíttu, ‘rosa di monte, rosa canina’, Rosa canina

Gàḍḍara, ‘galla della quercia’
Galetta (vite)
Gallaùna, ‘loto edule’, Lotus edulis
Galóppu (vite)
Galu, ‘aloe’, Aloe vera
Géspula ‘terebinto’, Pistacia terebinthus
Gherdòne, bardòne, ‘sugheraccio’
Ghiḍḍóstru, iḍḍóstru, ‘erica’, Erica arborea
Ghinìperu, ‘ginepro’, Juniperus
Gjàccia, jàccia, jacciòne, ‘ginepro fenicio’, Juniperus phoenicea
Giàllara, ‘guaderella’, Reseda lutea
Giampàna, ‘pervinca’, Vinca difformis
Giòrica, ‘chiarella minore o salvia minore’, Salvia verbenaca
Girò, Ziròne (vite)
Giunkìgliu, ‘narciso’, Narcissus tazeta
Giùru, ‘nasturzio, crescione d’acqua’, Nasturtium officinale
Giùspinu, ‘senape bianca’, Sinapis alba
Golóstiu, bolóstiu, colóstru, ‘rosa canina e agrifoglio’, Rosa canina et Ilex aquifolium
Gràḍḍara, gàḍḍara, ‘galla della quercia’
Grámene, rámine, erámine, ‘gramigna’, Cynodon dactylon
Granùdu, ‘ortica’, Urtica dioica
Gravellínu, ‘garofano selvatico’, Dianthus silvestris
Gravéllu, ‘garofano’, Dianthus caryophillus
Grùspinu, gùspinu, ‘nasturzio o crescione d’acqua’, Nasturtium officinale
Guadángiu, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Guádu, ‘erba guado’, Isatis tinctoria
Guréu, carduréu, ‘cardo selvatico’, Cynara cardunculus var. silvestris
Gusáju, ‘aglio angolare’, Allium triquetrum
Gùspinu, grùspinu, òspinu, ‘nasturzio o crescione’, Nasturtium officinale

Ilixi, ixi, ‘leccio’, Quercus ilex
Intertsu, isterzu, ‘vitalba’, Clematis vitalba
Intrettsu, isterzu, ‘vitalba’, Clematis vitalba
Intrittsu, isterzu, ‘vitalba’, Clematis vitalba
Iparra-pacciócciu, sperra pillittu, ‘borsa del pastore’, Capsella bursa-pastoris
Ipérico, pericòne, ‘iperico’, Hypericum perforatum
Irimulatta, ambuattsa, ambulattsa, armuratta, ‘rafano selvatico o ramolaccio selvatico’,
Raphanus raphanistrum
Isáppiu, ‘enante crocata’, Oenanthe crocata
Isciòccoro, sòcciri, istiòccoro, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus ferox, Dipsacus fullonum,
Dipsacus sylvester, pure Pichris echioides = Elminthia echioides
Iscova e préidi, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Iscraréia, iscarèa, ‘asfodelo’, Asphodelus ramosus vel phistulosus (e stelo)
Isculacàcca, ‘euforbia’, Euphorbia dendroides
Isculabadèḍḍa, ‘cocco gnidio’, Daphne gnidium
Ispartu, ‘alabardina o sparto’, Lygeum spartum
Ispéliu, istéli, ‘piombaggine’, Plumbago europea
Isperra-cozzònes, sperra pillittu, ‘borsa del pastore’, Capsella bursa-pastoris
Isperra-culu, sperra-pillittu, ‘borsa del pastore’, Capsella bursa-pastoris
Issòccoro, ‘aspraggine e cardo dei lanaioli’, Elminthia echioides, Dipsacus fullonum
et Dipsacus sylvester
Issópu, ‘isopo’, Hyssopus officinalis
Istéli, ispéliu, ‘piombaggine’, Plumbago europea
Isterzu, sterzu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Istiòccoro, artiòccoro, thiòccoro, sòcciri, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum
Ixi, ìlixi, ‘leccio’, Quercus ilex

Jàccia, gjàccia, jacciòne, ‘ginepro fenicio’, Juniperus phoenicea
Jacciòne, jàccia, gjàccia, ‘ginepro fenicio’, Juniperus phoenicea

Kelleisòne, ‘bacca del corbezzolo’
Kérigu, kìrigu, ‘afaca o pisello selvatico’, Lathyrus aphaca
Kessa, ‘lentisco’, Pistacia lentiscus
Kirièlle, ‘fior d’oro’, Chrysanthemum segetum et coronarium

Labru, laru, ‘alloro’, Laurum nobilis
Lacconarzu, licconardzu, (vitigno)
Làḍḍara, ‘galla della quercia’
Laḍḍèrighe, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Lama, ‘rovo’, Rubus fruticosus
Lampayòni, ‘lampaggine o cipollaccio’, Muscari comosum
Lampathu, lapathu, ‘romice o lapazio’, Rumex conglomeratus vel acetosa
Lándiri marru, ‘quercia spinosa’, Quercus coccifera
Lapatthu, lapattu, lampathu, ‘romice’, Rumex conglomeratus vel acetosa
Laru, láu, ‘alloro’, Laurum nobilis
Laru gràbinu, ‘bupleuro cespuglioso’, Bupleurum fruticosum
Latìtera, letìtera, litìtera, ‘cicerchia selvatica’, Lathyrus sylvester
Lattièḍḍa proceḍḍìna, ‘cicoria selvatica’, Cichorium intybus
Lattòrighe, ‘euforbia’, Euphorbia
Lattùca, ‘lattuga’, Lactuca sativa
Láu, laru, ‘alloro’, Laurum nobilis
Láu, ‘sedanina d’acqua’, Apium nodiflorum
Lavru, laru, ‘alloro’, Laurum nobilis
Léppuri sposu, ‘loto dei prati’, Lotus tetragonolobus, Cyclamen repandum
Letìtera, latìtera, litìtera, ‘cicerchia selvatica’, Lathyrus articulatus
Lìbida, libidàna, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Libidana, lìbida, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Licaríssu, ‘liquirizia’, Glicyrrhiza glabra
Licronáxu, lacconardzu, (un vitigno)
Lidòne, liòni, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Lidòni, liòni, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Lidu, ‘correggiola’, Polygonum aviculare
Ligadòrja, ligadorza, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Lillu, ‘giglio’, Lilium
Lillu sposu, ‘gladiolo’, Gladiolus segetum
Limba de gane, ‘cinoglosso o lingua di cane’, Echium italicum
Limba de puḍḍa, ‘orchidea’, Ophrys et Orchis
Limba e bòes, ‘buglossa azzurra’, Anchusa azurea
Limbòina, ‘borragine comune’, Borrago officinalis
Limbònia, limbòina, ‘borragine comune’, Borrago officinalis
Limbùda, ‘viperina piantaggine’, Echium plantagineum
Limòni, ‘limone’, Citrus limon
Limpidèḍḍa, ‘maggiorana’, Origanum majorana
Limporra, lipòrra, ‘cicerbita’ Sonchus oleraceus, ‘lattaiola’ Chondrilla juncea
Linguaràda, ‘borragine’, Borrago officinalis (Congia)
Linguaràda aresti, ‘buglossa azzurra’, Anchusa azurea
Linguaradèḍḍa, ‘erba-perla azzurra’, Lithospermum purpureocaeruleum
Lingu’e cani, ‘lanciola o piantaggine’, Plantago lanceolata vel major
Linnarbu, ‘orniello’, Fraxinus ornus
Liòni, lidòne, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Lipporra, limporra, ‘cicerbita’ Sonchus oleraceus, ‘lattaiola’ Chondrilla juncea
Lisiriòne, ‘frutto del corbezzolo’, dell’Arbutus unedo
Lisòne, ‘frutto del corbezzolo’ dell’Arbutus unedo
Lisporra, limporra, ‘cicerbita’ Sonchus oleraceus, ‘lattaiola’ Chondrilla juncea
Litìtera, latìtera, letìtera, ‘cicerchia selvatica’, Lathyrus sylvester
Littu ‘macchia’
Locásu, calacásu, ‘betonica glutinosa’, Stachis glutinosa
Loconári (vite)
Locri, ‘verbasco’, Verbascum dei vari generi
Lolloiòsa, ‘viperina piantaggine’, Echium plantagineum
Longufrésu, ‘tasso delle montagne’,Taxus baccata
Lòstia, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Lùa, ‘euforbia’, Euphorbia
Lukkìttu, lucchettu, Globularia cordifolia
Lukèsu, ‘betonica glutinosa’, Stachis glutinosa
Lucrésciu, ‘betonica glutinosa’, Stachis glutinosa
Lullu malu, allòrgiu malu, ‘zizzania’, Lolium termulentum et perenne
*Luttsara, vitichinzu, aussàra, ‘clematide’, Clematis vitalba, Clematis cirrhosa, Clematis flammula

Madrùncula, ‘astragalo’, Astragalus tragacantha
Malamìda, ‘vilucchio’, Convolvolus di ogni genere, Linaria elatine var. spuria
Malayàna, meliàna, ‘viburno’, Viburnum tinus
Malvasìa (vitigno)
Mammaccicca, mammalucca, ‘lattaiola’ ossia ‘cicerbita’, Sonchus oleraceus, Reichardia etc.
Mammalinna, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Mammalucca, ‘soncho’, Sonchus oleraceus, Reichardia picroides, Hyoseris radiata, Crepis vesicaria
Mammaráida, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Mantéḍḍos, muntéḍḍos, ‘elicriso o canapicchia’, Helychrisum italicum
Manzésu (vite)
Mara (vite)
Marmariscu, ‘malva arborea’, Lavatera olbia vel arborea
Marraòla, ‘acetosella’, Rumex acetosa, Rumex acetosella
Marrùbiu, ‘marrubio’, Marrubium
Martigùsa, ‘lerca’, Cytisus villosus vel triflorum, anche Spartium junceum
Martineḍḍa (un genere di Ficus carica)
Masaóccu, ‘rapa selvatica’, Brassica campestris
Massigùssia, martigùsa (v. martinicca), ‘lerca’, Cytisus villosus vel triflorum, [anche Spartium junceum]
Matta ‘albero, pianta, cespuglio’
Mattafalùga, mattafanùga, ‘anice’, Pimpinella anisum
Mattigùsa, martigùsa, mathricùsa (v. martinicca), ‘lerca’, Cytisus villosus vel triflorum,
[anche Spartium junceum]
Mathricùsia, martigùsa (v. martinicca), ‘lerca’, Cytisus villosus vel triflorum [anche Spartium junceum]
Matsunga, ‘astragalo’, Astragalus tragacantha
Matsùngara, matsunga, ‘astragalo’, Astragalus tragacantha
Maθùθuru, ‘nasturzio o sedanino d’acqua’, Nasturtium officinale
Meḍḍacca, ‘acetosella’, Rumex acetosa
Medrulinu (vite)
Meliàna, ‘viburno, laurotino o lentaggine’, Viburnum tinus
Melòni (v. cugùmmaru), ‘popone’, Cucumis melo
Merdiàcca, meddàcca, ‘acetosella’, Rumex acetosa
Mígiu (vite)
Miliàcra, ‘acetosella silvestre’, Rumex acetosella
Miliàna, meliàna, ‘viburno’, Viburnum tinus
Milláno, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Mirinzàna, ‘melanzana’, Solanum melongena
Miròni (v. cugùmmaru), ‘popone’, Cucumis melo
Moḍḍitza, moḍḍitzi, muḍḍitza, ‘lentisco’, Pistacia lentiscus
Mole mole, ‘spino d’asino’, Xanthium spinosum
Molle (vite)
Mònica (vite)
Mora (vite)
Mortu niéḍḍu, ‘bocca di leone’ Antirrhinum majus, ‘gallinaccio’ Antirrhinum orontium
Mostái (vite)
Mùcciu, ‘cisto’, Cistus monspeliensis
Muccu muccu, ‘borragine’, Borrago officinalis
Muḍḍitza, moḍḍitzi, ‘lentisco’, Pistacia lentiscus
Mudégiu, mutréku, ‘cisto’, Cistus
Muíttsu, ‘visnaga’, Ammi visnaga
Mummuéu, murguléu, ‘stachide’, Betonica glutinosa vel Stachys glutinosa
Muntéḍḍos, mantéḍḍos, ‘elicriso o canapicchia’, Helychrisum italicum
Murgulèu, ‘satureja’, Satureja timbra, ‘maro o erba da gatti’ Teucrium marum
Mùrinu (vite)
Muristéllu (vite)
Murmuréu, (o murguléu), ‘santolina’, Santolina insularis
Murràna, murrària, ‘cardo dei lanaioli’, Dypsacus fullonum et sylvester
Murrària, murràna, ‘cardo dei lanaioli’, Dypsacus fullonum et sylvester
Murru básciu (trigu)
Murta, ‘mirto’, Myrtus communis
Murtaùcci, ‘mirto’, Myrtus communis
Muscáu ‘moscato: vite’
Musciurìda, musciurìlla, Carlina acaulis, Carlina gummifera (Cara, Cossu),
Atractylis gummifera (Penzig)
Mussi mussi, ‘piumino’, Lagurus ovatus
Mussòrgia, ‘clematide cirrosa’, Clematis cirrhosa
Mutréku, mudégiu, ‘cisto’, Cistus
Muttùtturu, ‘giusquiamo’, Hyosciamus niger et albus
Muttsòne (elva), ‘trifoglio’, Trifolium angustifolium

Naibùttsa, ‘malva’, Malva silvestris etc.
Nappa, ‘rapa’, Brassica rapa
Narba, ‘malva’, Malva silvestris etc.
Narbeḍḍa (variante di ‘malva’)
Narbòne, marmaríscu, ‘malva arborea’, Lavatera olbia vel arborea
Nasco (vite)
Nasturnu, ‘nasturzio’, Nasturtium officinale
Nartutzu, nasturnu, ‘nasturzio’, Nasturtium officinale
Negravèra (vite)
Nerbiàttsa, ‘spazzaforno’, Thymelaea hirsuta
Nerviàda de abba, Sparganum sagittaria, alisma, damasonium
Neuláke, ‘oleandro’, Nerium oleander
Nìbbaru, ‘ginepro’, Jeniperus
Nìbberu, nìbbaru, ‘ginepro’, Jeniperus
Nièḍḍa (vite)
Nièḍḍa carta (vite)
Nièḍḍa manna (vite)
Nieḍḍèra (vite)
Nieḍḍòne, ‘nigella scapigliata’, Nigella damascena, Agrostemma githago
Niéḍḍu altzu (vite)
Niéḍḍu mannu (vite)
Niéḍḍu nurághe, ‘licnide’, Lychnis alba
Niéḍḍu porkínu (vite)
Niéḍḍu pruniskèḍḍa (vite)
Ninì, ‘veronica’, Veronica hederaefolia, cymbalaria, persica
Ninniéri, ‘rosa di macchia’, Rosa canina
Noroḍḍásile, orodássile, ‘gramigna’, Cynodon dactylon
Nugheḍḍa, ‘carota’, Daucus carota
Nughe-nughe, ‘lingua di cane’, Cynoglossum creticum
Nukki, ‘erba palustre’ non identificata
Nurágus (vite)
Nurìle, ‘poligono o centinodia’, Polygonum aviculare

Occiàu, orciàu, ‘ortica’, Urtica dioica
Occicánu, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Ocru malu, ‘caprifoglio delle macchie’, Lonicera implexa
Oḍḍàna, ‘nocciola’, Corylus avellana
Ogu e bòi, ‘adonide annua’, Adonis annua
Ogu pùssidu (vite)
Olidòne, liòni, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Oliòne, liòni, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Ollastrínu (vite)
Olliòni, olidòne, liòni, ‘corbezzolo’, Arbutus unedo
Olòsi, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Oppínu, compìngiu, ‘pino’, Pinus
Orciàu, occiàu, ‘ortica’, Urtica dioica
Orìga de gani, ‘cinoglosso’, Cynoglossum creticum et officinale
Origa de léppuri, ‘arisaro, gilico’, Arisarum vulgare
Orìga de para, fruskiaiólu, cannugiòni de frùsciu, ‘licnide’, Lychnis alba
Oroḍḍásile, norodássile, ‘gramigna’, Cynodon dactylon
Orroáli, ‘quercia o roverella’, Quercus pubescens
Orrolàriu, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Orròli, ‘quercia o roverella’, Quercus pubescens
Orròsa cullári, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Orrubìna, ‘lampagione o cipollaccio’, Muscari comosum
Ortiéḍḍu e padenti, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Ortígu, urtígu, ‘sughera’, Quercus suber
Ossòne, fossòne, ‘campanellino comune’, Leucojum vernum
Osti, ‘agrifoglio’, Ilex aquifolium
Ozza de casadìna, ‘aro o gigaro’, Arum italicum

Pabantsólu, ‘tarassaco’, Taraxacum officinale
Pabantsólu de colóru, ‘lattaiolo, radicchione selvatico’, Urospermum dalechampii
Pabulósu, ‘viperina maggiore’, Echium italicum
Pádrimu, ‘erba prota’, Achillea ligustica
Pàimma, pramma, ‘palma’, Phoinix dactylifera
Paimítzu, ‘palmizio, palma nana’, Chamaerops humilis
Palmìja (vite)
Panderèḍḍa, ‘digitale’, Digitalis purpurea
Pansále, pantzále (vite)
Pantzále, pansále (vite)
Pantzaliniéḍḍu (vite)
Párdimu, pádrimu, ‘erba prota o achillea’, Achillea ligustica
Parmarèḍḍa, ‘malva’, Malva silvestris
Parmùggia, ‘malva’, Malva silvestris
Pascále (vitigno)
Pastòri (cima de), ‘calcatreppola’, Eryngium campestre
Pebaròni, ‘peperone’, Capsicum annuum
Pedruvèghe, cagliùga, ‘senecione’, Senecio vulgaris
Péi de cani, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre et tricuspidatum
Péi de colùmbu, péi golumbínu, ‘arganetta azzurra’, Alkanna tinctoria
Péi de léppuri, ‘trifoglio’, Trifolium arvense
Péi golumbínu, ‘arganetta azzurra’, Alkanna tinctoria
Pennuléri, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Pericòne, ‘iperico’, Hypericum perforatum
Petralìscia, preiderìssa, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Piánu (vite)
Pibirillò, ‘rosa di monte’, Rosa canina
Piḍḍi, ‘mandragora’, Mandragora autumnalis
Pìdixi, ‘vetrice’, Salix triandra
Pigalátti, ‘robbia selvatica’, Rubia peregrina
Pigulòsa, priguròsa, ‘parietaria’, Parietaria officinalis
Pilighínzu, bidighínzu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Pilìni, (una graminacea), Phalaris paradoxa
Pili pili, ‘aglio selvatico’, Allium subhirsutum
Pinu, ‘pino’, Pinus
Pipirillòḍḍi, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Pipixèḍḍas de mraxiáni, (non identificata)
Piricóccu, ‘perlina minore’, Bartsia trixago vel Bellardia trixago
Piseḍḍu, ‘pisello’, Pisum sativum
Pisináke, ‘vescia di lupo’, Lycoperdon bovista
Pissiagùlu, ‘ortica’, Urtica dioica
Pistiḍḍòri, ‘ortica’, Urtica dioica
Pistinàga, ‘carota’, Daucus carota
Pistùrra (non registrata nei dizionari)
Pisu, pisùrci, ‘pisello’, Pisum sativum
Pisùrci, pisu, ‘pisello’, Pisum sativum
Pitiólu, ‘digitale’, Digitalis purpurea
Pittánu (v. pipirilloḍḍi), ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Pìttighe, pìdixi, ‘vetrice’, Salix sp.v.
Pittsiculòsa, priguròsa, ‘parietaria’, Parietaria officinalis
Poddinéḍḍu arrùbiu, ‘fumaria’, Fumaria officinalis
Pramma, pàimma, ‘palma’, Phoinix dactylifera
Prédi Olla (vite)
Preiderìna, preiderìssa, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Preiderìssa, petralìscia, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Priguròsa, pigulòsa, ‘parietaria’, Parietaria officinalis
Priculòsa, piculòsa, priguròsa, ‘parietaria’, Parietaria officinalis
Priorìssa, preiderìssa, ‘corinoli arrotondato’, Smyrnium perfoliatum var. rotundifolium
Prisùcci, pisùrci, pisu, ‘pisello’, Lathyrus aphaca
Pruttsera, burtsera, purtsèra, ‘cerfoglio’, Anthriscus cerefolium
Pubulìa, ‘pioppo’, Populus nigra et piramidalis
Pubùsa, ‘papavero o rosolaccio’, Papaver rhoeas
Pubusòne, ‘carota selvatica’, Daucus carota
Puglièlma, puyèlma, ‘pioppo’, Populus nigra, Populus piramidalis, etc.
Purtsèra, burtsèra, pruttsèra, ‘cerfoglio’, Anthriscus cerefolium

Rabanella, ‘rafano rosso’, Raphanus raphanistrum
Ramásciu (vite)
Rámine, grámene, ‘gramigna’, Cynodon dactylon
Rattalìmba, ‘robbia selvatica’, Rubia peregrina, Galium aparine
Razza, ‘salsapariglia o smilace’, Smilax aspera
Ratzòla (vite)
Remungiò, Remmungiáu (vite)
Retagliádu (vite)
Retágliu (vite)
Retti, rethi, rétiu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Rétiu, retti, rethi, ‘clematide’, Clematis vitalba
Retti, rethi,retiu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Rosa, ‘rosa’, Rosa
Rosa (vite)
Rosanèra (vite)
Ru buḍḍèrigos, ‘rosa di monte’, Rosa canina

Sabínu, ‘ginepro fenicio’, Juniperus phoenicea
Salaùspe, salaùspu, ‘resta dell’avena selvatica’
Salaùspu, salaùspe, ‘resta dell’avena selvatica’
Sálighe, cálighe, ‘ombelico di Venere’, Cotyledon Umbilicus-Veneris
Salìna, ‘erica’, Erica scoparia
Sambínzu, ‘lentaggine’ Viburnum tinus, ‘fusaggine’ Euonymus europaeus
Sàmbula, sàmula, ‘aglio selvatico’, Allium triquetrum et vineale
Saraùpu, ‘pungitopo’, Ruscus aculeatus
Sarpa, ‘salice rosso’, Salix viminalis, Salix fragilis, Salix aurita
Sásima, ásuma, ‘alaterno’, Rhamnus alaternus
Satzapórus (vite)
Sattsaròi, ‘gigaro’, Arum italicum
Sattsaròi, ‘aro’, Arum pictum
Scova de bìngia, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Scoviòi, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Scrafuddu, scrapuddu, strapuddu, ‘spugnola’, Morchella esculenta Pers.
Sebàda, ‘aloe’, Aloe vera
Selabattu, ‘consolida maggiore’, Symphytum officinale
Sèlebra, ‘alimo’, Atriplex halimus
Sèllaru, ‘sedano’, Apium graveolens
Semidánu (vite)
Sennorèḍḍa, caccasennorèḍḍa, ‘ciclamino’, Cyclamen repandum
Sènsene, sèntzene, séssini, ‘giunco’, Cyperus longus
Serràda, ‘salsapariglia’, Smilax aspera
Séssini, ‘giunco’, Cyperus longus
Setti enas (folla de) (pianta sconosciuta)
Simingiòni, camingiòni, ‘sonco’, Sonchus oleraceus
Sìndria, ‘anguria’, Cucumis citrullus
Sinzillósu (vite)
Sìntsiri, ‘correggiola’, Polygonum aviculare, Equisetum palustre
Siri, ‘ramolaccio’, Raphanus raphanistrum
Sisérbi, ‘laurotino o lentaggine’, Viburnum tinus
Sitzìa, ‘pratolina, margheritina’, Bellis perennis, Papaver rhoeas
Sitzirìa de cabòni, ‘loto dei prati’, Lotus tetragonolobus
Sòcciri, artiòccoro, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum, Dipsacus ferox, Dipsacus sylvester,
Pichris echioides = Elminthia echioides
Sonaggiòlos, ‘strigolo’, Silene inflata
Sonnurassu, culurassu, ‘favagello’, Ranunculus ficaria
Sopéri, ‘terebinto’, Pistacia terebinthus
Sorighìna, ‘pungitopo’, Ruscus aculeatus
Sorixèḍḍa, ciurixèḍḍa, ‘robbia selvatica’, Rubia peregrina
Sossòini, Salicornia fruticosa et erbacea, Salsola vermiculata, Suaeda fruticosa et maritima
Sparèḍḍa (vite)
Spartu, ispartu, ‘sparto’, Lygeum spartum
Sperra pillittu, ‘borsa del pastore’, Capsella bursa-pastoris
Spiccu, ‘lavanda’, Lavandula spica, stoechas, latifolia
Spina cixirèḍḍa, ‘calcatreppola’, Centaurea calcitrapa
Spina e arròda, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Spina e corra, ‘calcatreppolo’, Eryngium campestre
Stasibòis, ‘ononide’, Ononis spinosa
Sterzu, isterzu, ‘clematide’, Clematis vitalba
Stragabòis, ‘ononide’, Ononis spinosa
Strapuḍḍu de gani, ‘reseda’, Reseda alba
Subèlva, ‘sorbo’, Sorbus domestica
Sugraxia, urriàca, ‘bagolaro’, Celtis australis
Suimèle, ‘scrofularia’, Scrophularia peregrina
Surváke, ‘equiseto palustre’, Equisetum palustre, Polygonum aviculare, Polygonum equisetiforme
Su tzuddu (erba de) (pianta non identificata)

Tanda, tzanda, ‘papavero’, Papaver rhoeas
Tarabùcciulu, tarabùttsulu, ‘asfodelo’, Asphodelus phistulosus vel ramosus
Tarabùttsulu, ‘asfodelo’, Asphodelus ramosus vel phistulosus
Tattaròyu, thotthòriu, ‘aro o gigaro’, Arum pictum
Tenagi rùbiu (vite)
Tetti, ‘smilace o salsapariglia’, Smilax aspera
Tidocco (vite)
Tiria, ‘falsa ginestra o spazio villoso’, Calycotome villosa
Titìmbaru, ‘euforbia’, Euphorbia dendroides, Euphorbia pithyusa
Tittiàcca (vite)
Tittiàcca, ‘vajola maggiore’, Cerinthe major
Tittiòni, tétti, ‘salsapariglia’, Smilax aspera
Tòa, thòa, ‘salice’, Salix alba e altri
Tòmbari, ‘euforbia’, Euphorbia characias
Tramarìghe ‘viticcio’
Tramatza, ‘tamerice’, Tamarix africana
Trevùllu bumbósu, ‘trifoglio a vescica’, Trifolium spumosum
Triga (vite)
Trigu antígu, trigu de frommìgas, ‘gramigna stellata’, Aegylops ovata
Trigu de frommìgas, ‘gramigna stellata’, Aegylops ovata
Trivoḍḍa, trovoḍḍa, cadùmdu, cadùmbulu, ‘verbasco’, Verbascum thapsus
Trovoḍḍa, ‘verbasco’, Verbascum thapsus ma anche tutti gli altri generi
Tròvulu, ‘chenopodio’, Chenopodium viride
Truíscu, turbíscu, ‘cocco gnidio’, Daphne gnidium
Trullìu, ‘fusto della ferula’
Truncu eru (pianta ignota)
Truvulléḍḍu, ‘trifoglino’, Lotus angustissimus et corniculatus
Tùbari-tùbari, ‘orchidea’, Orchis longicornu, Orchis maculata, Orchis morio
Tùmixi, ‘alabardina o sparto’, Lygeum spartum
Tumu, ‘timo’, Thymus serpillum, Thymus capitatus, Thymus vulgaris
Tuppa, ‘maquis, boscaglia’
Tuppitsa, ‘trifoglio’, Medicago arabica
Turbíscu, truíscu, ‘cocco gnidio’, Daphne gnidium
Turgùsa, turbùsa, thurgùsa, ‘sedano d’acqua’, Apium nodiflorum
Tutturattsu, tùtturu, ‘sala o tifa’, Typha latifolia et angustifolia
Tùtturu, tutturattsu, Typha latifolia et angustofolia
Tùvara, tùvera, tùora, ‘erica’, Erica scoparia, Erica arborea
Thiòccoro, istiòccoro, artiòccoro, sòcciri, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum etc.

Uccàia (erba non registrata)
Ungos, ‘santolina’, Santolina chamaecyparissus
Urriàka, sugràxia, ‘bagolaro’, Celtis australis
Urtìca, urtìga, orciáu, ‘ortica’, Urtica
Urtìgu, ‘quercia da sughero’, Quercus suber
Ùrtsula, ‘salsapariglia’, Smilax aspera
Uscradínu de porcu, ‘cardo dei lanaioli’, Dipsacus fullonum, Dipsacus ferox, Dipsacus sylvester
Ustricàta, frusticàya, ‘ortica’, Urtica dioica e altre varietà

Vermentíno (vite)
Vernàccia (vite)
Visiòni, ‘salsapariglia’, Smilax aspera
Vitikinzu, biḍḍighinzu, ‘clematide’, Clematis vitalba

Zitzìa madonna, ‘rosolaccio o papavero’, Papaver rhoeas
Zitzìa pùdida, ‘rosolaccio o papavero’, Papaver rhoeas
Tsaccabingiàdas, ‘ginestrella comune’, Osyris alba
Tsaccarèḍḍa (vite)
Tsaccarrèḍḍa, ‘celirosa’, Lychnis coeli-rosa
Tzacatìna (folla) (pianta non identificata)
Tsacca-tsacca, ‘digitale’, Digitalis purpurea, Silene inflata
Tzanda, tanda, ‘papavero o rosolaccio’, Papaver rhoeas
Tzarpa, ‘salice’, Salix sp.v.
Tsibba, ‘porcellana di mare’, Atriplex portulacoides, Halimon portulacoides
Tsikkirìa, ‘aneto’, Ammi visnaga
Tzinnìga, ‘alabardina o sparto’, Lygeum spartum
Tzinnigràžia, ‘alabardina o sparto’, Lygeum spartum
Tziòḍḍa, ‘cipolla’, Allium cepa
Tzìppiri, ‘rosmarino’, Rosmarinus officinalis
Tsittsiriòppis, ‘tapsia’, Thapsia garganica
Thòa, attòa, ‘salice’, Salix sp.v.
Tzonca, ‘viola’, Viola hirta var. odorata
Θoθθòròiu, θoθθòriu, sattsaròi, ‘aro o gigaro’, Arum italicum
Tzucca, ‘zucca’, Cucurbita pepo
Thurgùsa, cugùsa, ‘sedano selvatico’, Apium graveolens var. dulce
Zèa, ‘bietola’, Beta vulgaris
Tzìppiri, ‘rosmarino’, Rosmarinus officinalis
Ziròne, Girò, (vite)

Lemmi sardi trattati 650 (+ varianti)

4. ELENCO ALFABETICO DEI FITONIMI
(nomi italiani, scientifici, sardi)

(I lemmi sardi in neretto sono trattati alfabeticamente nel Vocabolario Etimologico annesso alla presente Sezione; gli altri lemmi sardi sono varianti trattate assieme a tale voce)

Abrotano, Artemisia abrotanum L., Arculéntu
Acacia, Acacia mimosa et sp. v., Gaggìa, gardzìa
Acacia falsa, Gleditsia triacanthos l., Garzìa
Acanto, Acantus mollis L., Ciuffi-ciuffi, èiva de sa Madalèna, folla de ferru,
folla de santu Jòrgi, folla de santu Nicoláu, fozza ligàda
Acero, Acer sp. v., Còstighe
Acero minore, Acer monspessulanus L., Costi, colostru
Acetosa, Oxalis acetosella L., Rumex acetosa L., Allelùja, coraxédu,
Lampathu, lapattu, lapatthu, marraòla, meḍḍacca, merdiàcca, miliàcra
Acetosella, Oxalis acetosella L., Rumex acetosa L., Allelùja, coraxédu,
lampathu, lapattu, lapatthu, marraòla, meḍḍacca, merdiàcca, miliàcra
Achillea, Achillea ligustica All., Arculéntu, pádrimu, párdimu, ‘erba prota’
Achillea, Achillea millefolium L., Erba de fertas
Acoro o coltellaccio o giglio giallo, Iris pseudo-acorus L., Lillu de arríu, lillu grógu
Adonide annua, Adonis annua L., Ogu e bòi
Afaca, Lathyrus aphaca L., Kérigu, kìrigu, cogòdi, pisu, pisùrci, prisùcci
Agarico ostreato o pleuroto, Pleurotus ostreatus var. eryngii vel ferulae, Antùnna
Agave, Agave americana L., Folla de ispréni
Aglio, Allium sativum L., Ácciu, ádzu, állu
Aglio angolare, Allium triquetrum L., Àp(p)ara, gusáju, sàmbula, sàmula
Aglio-porro, Allium ampeloprasum L., Allium ampeloprasum L. var. Porrum
L., Allium porrum L., Porru
Aglio selvatico, Allium roseum L., Allium rotundum L., Allu de carròga, Allium
subhirsutum L., Pili pili, Allium triquetrum L., Allium vineale L., Àp(p)ara,
assangiòni, gusáju, sàmbula, sàmula
Agnocasto, Vitex agnus-castus L., Pèbaru sardu, samùcu de arríu
Agrifoglio, Ilex aquifolium L., Alási, bolóstiu, caracùtu, colóstru, coròsti, costi,
lòstia, olòsi, olóstru, osti
Alabardina, Lygeum spartum l., Ispartu, spartu, tùmixi, tzinnìga, tzinnigràžia
Alaterno, Phyllirea angustofolia L., Phyllirea latifolia L., Rhamnus alaternus
L., Alatérru, arridéli, alidérru, alitérru, ladérru, ásuma, sàsima
Albero di Giuda, Cercis siliquastrum L., Siliqua a frori arrùbiu
Albicocco, Prunus armeniaca L., Barracóccu, piricóccu
Alimo, Atriplex halimus L., Halimium halimifolium, Álimu, èlamu, èleme, sèlebra
Allattalepre, cicerbita, Sonchus arvensis L., Bardu e anzone
Áloe, Aloe vera L., Galu, sebàda
Albero di Giuda, Cercis siliquastrum L., Siliqua a frori arrùbiu
Albicocco, Prunus armeniaca L., Barracoccu, piricoccu
Alfa, Lygeum spartum L., Sònnia, Zinnìa, zinnigràxa
Alimo, Helianthemum halimifolium Pers., Murdégu biancu, álimu
Alipo, Globularia alypum L., Viudèḍḍa arésti
Alisso, Alyssum maritimum Lam., Filogràna
Allattalepre, Sonchus oleraceus L., Bardu e anzone, caldhu mignòni, camingiòni,
cardu minzòne, limporra, lipòrra, lisporra, mammaccicca, mammalucca, simingiòni
Alloro, Laurum nobilis L., Aráru, labru, laru
Alno, Alnus glutinosa L., Ábiu, alzu, mura burda
Aloe, Aloe vera L., Galu, sebàda
Altea, Althaea officinalis L., Althaea rosea Cav., Bastoni de santu Juseppi, Marmariscu
Ammi o visnaga, Ammi majus L., Cima gorìtta
Ammofila, Ammophila arenaria Lk., Phleum arenarium L., Fenu traìnu, fenu tranu
Anagallide, Anagallis arvensis L. (Glinus lotoides), Erba de buḍḍas
Anagiride, Anagyris foetida L., Thilìmba
Aneto, Anethum graveolens L., Tsikkirìa
Aneto selvatico, Ridolfia segetum Moris, Fenùgu de margiáni, tzikkirìa
Anguria, Cucumis citrullus Ser., Sìndria
Anice, Pimpinella anisum L., Mattafalùga, mattafanùga
Antirrino, Antirrhinum majus L., Cadrámpulu
Aparine, Galium aparine, Rattalìmba, piga-piga, pìttiga-pìttiga
Appicca vesti, Stipa tortilis Desf., Erba mustatzùda
Aquilegia, Aquilegia vulgaris L., Tres follas
Arachide, Arachys hypogea L., Nužeḍḍa americana
Arganetta azzurra, Alcanna tinctoria [L.] Tausch., Péi de colùmbu, péi golumbínu
Argentina, Paronychia argentea L., Erba impratiàda
Arisaro o gilico, Arisarum vulgare Targ., Arizáru, origa de léppuri
Aristolochia, Aristolochia clematitis L., Aristolochia rotunda L., Croccorìga burda, curcurìga burda
Armeria, Armeria sp. v., Rosa marina
Aro o gigaro, Arum italicum Mill., Carica ‘e porcu, folla de casarèsa, odza ‘e casadìna, sattsaròi, θoθθòròiu, θoθθòriu, Arum maculatum L., Lingua ‘e
cani, Arum pictum L., Aru, sattsaròi, tattaròyu
Artemisia, Frisa, Frissa
Asfodelo, Asphodelus phistulosus L., Asphodelus ramosus L., Arbutthu, cadrillòni, caližòne, cardillòni, iscarèa, iscraréia, tarabùcciulu, tarabùttsulu
Asparago selvatico, Asparagus acutifolius L., Brodáu
Asparago bianco, Asparagus albus L.
Aspraggine, Helminthia echioides Gaertner., Ciòcciri, artiòccoro, isciòccoro, sòcciri
Assenzio, Artemisia arborescens L., Atténtu
Astragalo, Astragalus tragacantha L.p.p., Madrùncula, matzunga, matzùngara
Astragalo dragante, Astragalus tragacantha L., Matzunga, mattzùngara
Astragalo falciforme, Astragalus baeticus L., Cafféi
Astro della Cina, Aster chinensis L., Regina Margherita
Astro spinoso, Asteriscus spinosus Sch., Spròni de óru
Atreplice comune, Atriplex hastata L., Erba de férru
Atreplice o bietolone rosso, Atriplex hortensis L., Cadòne
Attaccamani, Galium murale All., Galium palustre L., Galium parisiense L.,
Galium schmidii Arr., Galium verum L., Pìga-pìga
Attacca-veste o bardana o lappa, Arctium lappa L., Isprone, piga-bighéddu,
cardayòni, cardu tingiósu, cima de pani, cuscusòne
Avena, Avena, Dactylis glomerata L., Hordeum bulbosum L., Phalaris
tuberosa L., Aèna, accùcca, cucca
Avena selvatica, Avena barbata Brot., Avena fatua L., Avena sterilis L., Hordeum bulbosum L., Phalaris tuberosa L., Aèna murra, avenárdzu, enárgiu, fenaìle, fenáulu, fénu pùdiu
Azzeruolo, Crataegus azarolus L., Lazarola

Baccherone, Cakile maritima L., Arrùcca de mari
Bagolaro, Celtis australis L., Cigràxia, sugràxia, urriàca
Ballotta, Ballota nigra L., Marrùbiu niéḍḍu
Balsamita o erba amara, Chrysanthemum balsamita L., Folla de santa Maria
Bambagiona, Holcus lanatus L., Accùcca, cucca, Erba pilùda
Barba del cappuccino, erba stella, Plantago coronopus L., Erba stérria
Barba di becco, Tragopogon porrifolium L., Limporra
Barboncino, Andropogon hirtus L., Erba de braba (braghi-braghi)
Barba di becco, Tragopogon porrifolius L., Limporra, lisporra
Bardana o lappa, Arctium lappa L., Ispròne
Basilico, Ocymum basilicum L., Afabica, basìle
Basilisco, Magydaris pastinacea Lam., Magydaris tomentosa Koch, Feurratzu
Beccabunga, Veronica beccabunga L., Martuttzu arésti, Veronica anagallis-aquatica, Martuttzu grassu
Bella di giorno, Hemerocallis fulva L., Lillu arrùbiu
Bella di giorno bionda, Hemerocallis flava L., Lillu indoráu
Belladonna, Atropa belladonna L., Erb’i oppus
Bergamotto, Citrus aurantium bergamia Risso et Poit., Bragamotta
Berretta da prete, Evonymus europaeus l., Buládiga, cafféi burdu
Betonica glutinosa o stachide, Stachys glutinosa L., Bronzeḍḍu, calacásu,
coccìci, locásu, lukèsu, lucrésciu, mummuéu, murguléu
Biancospino, Crataegus monogyna, Crataegus oxyacantha L., Caccaéḍḍu,
calàbrike, calarìghe, caráviu
Bieta grappolina, Chenopodium polyspermum L., Cadòne, codòne
Bietola, Beta vulgaris L. var. cicla, Beta vulgaris L. var. perennis, Zèa
Bietolone rosso, Beta vulgaris var. rubra, Biarràba
Biodo di palude o mazzasorda, Typha angustifolia L., Typha latifolia L., Buda, tutturattsu, tùtturu
Biondella, Erythraea maritima Pers., Brundajòla
Bocca di leone, Antirrhinum majus L., Mortu niéḍḍu
Borragine comune, Borrago officinalis L., Burràccia, limbòina, limbònia,
linguaràda (Congia), muccu-muccu
Borsa di pastore, Capsella bursa-pastoris L., Erba de fémminas, iparra-pacciócciu,
isperra-cozzònes, isperra-culu, sperra-pillittu
Bosso, Buxus sempervirens L., Bùssulu
Bosso delle Baleari, Buxus balearica L., Bùsciu, bussu
Botton d’oro, fior d’oro, Chrysanthemum coronarium L., Chrysanthemum
segetum L., Belléi de caḍḍu, cagarantzu, caragantzu, kirièlle, coccoinìnni
Brillantina, Briza minor L., Trémi-trémi
Brionia, Bryonia dioica Jacq., Corcorìga arésti, malamìda burda
Bromo selvatico, Bromus ramosus L., Bromus villosus L., Aèna, aèna burda
Brucia legumi, Orobanche speciosa DC., Lillu de fa
Brunella, Brunella vulgaris L., Brunèḍḍa
Buglossa azzurra, Anchusa azurea Mill., Burràccia, limba ‘e bòes, linguaràda aresti
Bupleuro, Bupleurum falcatum L., Tsikkirìa burda
Bupleuro cespuglioso, Bupleurum fruticosus L., Erba de ule, laru gràbinu
Bupleuro perfoliato, Bupleurum rotundifolium L., Tsikkirìa burda
Burinella, Cerastium glomeratum Thuill., Erba e puḍḍas, erba puggionìna;
anche Spergula arvensis L., Stellaria media Cyr., Erba e puḍḍas, erba
puggionìna, ‘erba delle galline o burinella o saggina’

Caglio o presuola, Galium aparine L., Rattalìmba, piga-piga, pìttiga-pìttiga
Calcatreppola, cardo stellato, Centaurea aspera L., Centaurea calcitrapa L.,
Cadalàva, spina cixirèḍḍa
Calcatreppola gialla, Asteriscus spinosus Sch.-Bip., Spronióru
Calcatreppolo, Eryngium campestre L., Eryngium planum Matth., Eryngium
tricuspidatum L., Eryngium viride Link., Cardedònna, cardu arrángiu,
cardu de anzòne, cardu donna, cardu mattsòne, cima de pastòri,
mammaráida, péi de cani, spina e arròda, spina e corra
Calcatreppolo delle sabbie o marino, Eryngium maritimum L., Cadattu, Spina e corra
Calendula o fiorrancio, Calendula officinalis L., Concùda, sittsìa mòssia
Calendula selvatica, Calendula officinalis var. arvensis, Concùda, sittsìa mòssia
Camedrio, Teucrium chamaedrys L., Camédriu
Camedrio bianco, Prasium majus L., Erba crapa, Menta ‘e conillus
Camomilla bastarda, Anthemis arvensis L. Concùda bianca, Anthemis mixta L., Concùda
Camomilla fetida, Anthemis cotula L., Sittsìa pudéscia
Camomilla precoce, Anthemis precox Lk., Sittsìa pudéscia
Camomilla vera, Matricaria camomilla L., Cabonìglia
Campanella maggiore, Leucojum aestivum L., Coddigultu
Campanelle, Campanula erinus L., Campanèḍḍas
Campanellino comune, Leucojum vernum L., Fossòne, ossòne
Canapa, Cannabis sativa L., Cannavàglio, Canàglia
Canapicchia, Gnaphalium sp. v., Erba de santa Maria, uscradínu
Canna comune, Arundo donax L., Canna
Canna di palude o canniccio, Arundo phragmites L., Canna arèsta, canna ávrina
Cannarecchia, Sorghum halepense Pers., Sainèḍḍa
Cannuccia, Arundo phragmites L., Canna arèsta, canna ávrina
Canutolo o polio, Teucrium polium L., Pòliu
Capelvenere, Adianthum capillus-Veneris, Farzìa
Capobianco, ombrellini di prato, Tordylium apulum L., Muitzéḍḍu
Cappero comune, Capparis spinosa L., Tàpparas
Caprifico, Ficus carica L. var. caprificus Risso, Crabuvígu
Caprifoglio, Lonicera caprifolium, Calabingiàda
Caprifoglio delle macchie, Lonicera implexa Ait., Balànzu, bide biànca,
éiba crábuna, erba crábina, erba de coròna, guadàngiu, ligadòrja,
ligadòrza, mammalìnna, ocru malu
Caprinella, Agropyrum repens Beauv., Agropyrum repens L., Agropyrum repens P.B.,
Cannayòni, carcángiu longu
Carciofo selvatico, Cynara cardunculus var. silvestris Lam., Carduréu
Cardo asinino o scardaccione, Cirsium italicum DC., Onopordon illyricum L. var. arabicum L., Onopordon tauricum L. var. horridum, Bardu candèla, cardu candèla, cardu cannitzu
Cardo benedetto, Cnicus benedictus L., Cardu santu
Cardo dei campi, Carduum pycnocephalus L., Baldu ainínu
Cardo dei lanaioli, Dipsacus ferox Lois., Dipsacus fullonum L., Dipsacus
sylvester L., Elminthia echioides, Pichris echioides L., Amorái, arièḍḍa,
artiòccoro, canna de amorái, canna de morái, canna ùrpina, ciòcciri,
isciòccoro, istiòccoro, sòcciri, uscradínu de porcu
Cardogna, Scolymus hispanicus L., Gardu mèle
Cardo leone, Ptylostemon casabonae [L.] Greuter, Cardu de Castéḍḍu
(v. cardu castréḍḍu), Cima de cibíru
Cardo macchiato, Silybum marianum Gaertn., Cardu castréḍḍu, cardu de casteḍḍu, cardu ilòχe
Cardo mariano, Silybum marianum Gaertn., Cardu castréḍḍu, cardu de casteḍḍu, cardu ilòχe
Cardoncello, Carthamus coeruleus L., Cima cimella
Cardo saettone, Carduus pycnocephalus L., Cardu abbósu, cardu baósu, cardu piscialéttu
Cardo santo, Cnicus benedictus L., Cardusantu
Cardo selvatico, Cynara cardunculus L. var. altilis, Cynara cardunculus L.
var. scolymus L., Cynara cardunculus L. var. silvestris Lam., Carduréu, guréu
Cardo stellato, Centaurea solstitialis L., Centaurea sphaerocephala L., Cadalàva, cadattu
Carlina (Penzig), Atractylis gummifera L., Carlina acaulis L., Carlina
gummifera Less., Cardu cabíḍḍu, musciurìda, musciurìlla; Carlina corymbosa L.
et Cirsium scabrum B. et B.,: Cardu candèla; Carlina corymbosa sp. corymbosa: Cima pastòra
Carlina lanata, Carlina lanata L., Spinàrba
Carlina racemosa, Carlina racemosa L., Spinàrba
Carlina raggio d’oro, Carlina corymbosa, Spinarba
Carota, Daucus carota L. var. sativus DC., Arigáglia, aricáglia, pistinàga
Carota coltivata, Daucus carota L. var. sativus DC., Arigáglia, aricáglia, pistinàga
Carota selvatica, Daucus carota L., Arigáglia, aricáglia, nugheḍḍa, pistinàga, pubusòne
Carpino bianco, Carpinus betulus, Aùrri
Carpino nero, Ostrya carpinifolia Scop., Aùrri
Carrubo, Ceratonia siliqua L., Tilìmba
Carrubo selvatico, Ceratonia siliqua L., Tilìmba
Cartamo, Carthamus tinctorius L., Zafferanòni
Castagno, Castanea sativa Mill., Castanza
Catapuzia, Euphorbia lathyris L., Cagamèngias, Lùa
Cavolaccio, Lactuca virosa L., Lattia e bròccus
Cavolo, Brassica oleracea L., Cáule, Cáura
Cavolo di mare o convolvolo delle sabbie, Convolvolus soldanella L., Melamìda
Cece, Cicer arietinum L., Basolu pitzudu, Fasolu tundu
Cedrina, limoncina, erba Luisa, Lippia citriodora Kunth., Maria Luisa
Cedro, Citrus medica L., Cirdu, Pompìa
Celidonia, Chelidonium majus L., Erba de tzerras
Celirosa, Lychnis coeli-rosa Desr., Tsaccarrèḍḍa
Celsia, Celsia cretica L., Cadùmbu froríu
Cencio molle, Cerastium glomeratum Thuill., Erba de puddas
Centaurea maggiore, Centaurea sphaerocephala L., Panecuccu
Centinodia, Polygonum aviculare L., Lidu, nurìle, sìntsiri, surváke
Centonchio, Stellaria media Cyr., Erba de puddas
Ceppita o enula, Dittrichia viscosa L. = Inula viscosa Ait., Frisa, frissa;
anche Inula graveolens L., Frissa pudéscia
Cerchia pisellina o veccia selvatica, Vicia sativa L., Pabasólu, pisu de colóru
Cerfoglio selvatico, Anthriscus cerefolium Hoffm., Burtsèra, pruttsèra, purtsèra
Cetriolo, Cucumis sativus L., Cugùmmaru
Chiarella minore, Salvia verbenaca L., Giòrica
Chenopodio, Chenopodium album L., Chenopodium Bonus Henricus L.,
Chenopodium murale L., Chenopodium opulifolium Schrad., Chenopodium
polispermum L., Chenopodium vulvaria L., Cadòni; Chenopodium viride L., Tròvulu
Cicerbita o allattalepre, Sonchus arvensis L., Sonchus oleraceus L., Bardu e
anzòne, Caldhu mignòni, camingiòni, cardu minzòne, limporra, lipòrra,
lisporra, mammaccicca, mammalucca, simingiòni
Cicerbita crespina, Sonchus arvensis L., Camingiòni, bardu minzòne
Cicerbita dei muri, Sonchus tenerrimus L., Camingiòni, bardu minzòne
Cicerchia, Lathyrus cicera L., Inchìsa, pisu de colóru; anche Lathyrus sativus
L., Ankìscia, denti di béccia, tresàtzas
Cicerchia pisellina, Lathyrus ochrus D., Pisu de colóru
Cicerchia selvatica, Lathyrus annuus L., Lathyrus sylvester L., Pisu de
colóru; anche Lathyrus articulatus L., Letìtera, latìtera, litìtera
Ciclamino, Cyclamen repandum S. et S., Caccácu, caccasennorèḍḍa,
cukkéḍḍu, cuccu, cuccùi, cuccummiáu, léppuri sposu, ortiéḍḍu e
padenti, pipirillòḍḍi, pittánu, sennorèḍḍa
Ciclamino primaverile, Cyclamen repandum S. et S., Caccácu,
caccasennorèḍḍa, cucchéḍḍu, cuccu, cuccùi, cuccummiáu, léppuri sposu,
ortiéḍḍu ‘e padenti, pipirillòḍḍi, pittánu, sennorèḍḍa
Ciclamino selvatico, Cyclamen repandum S. et S., Caccácu,
caccasennorèḍḍa, cukkéḍḍu, cuccu, cuccùi, cuccummiáu, léppuri
sposu, ortiéḍḍu e padenti, pipirillòḍḍi, pittánu, sennorèḍḍa
Cicoria, Cichorium intybus L., Lattièḍḍa proceḍḍìna
Cicoria falsa, Crepis vesicaria L., Lattòsa
Cicoria selvatica, Cichorium intybus L., Lattièḍḍa proceḍḍìna
Cicuta, Conium maculatum L., Aùssa, biḍḍùri, buḍḍùri
Cicuta acquatica, Conium maculatum L., Aùssa, biḍḍùri, buḍḍùri
Cicuta maggiore, Conium maculatum L., Aùssa, biḍḍùri, buḍḍùri
Cicuta rossa, Geranium robertianum L., Geranium rotundifolium L., Erba de sánguni, erba de fogu
Ciliegio, Prunus cerasus L., Cariàsa, ceràxa
Ciliegio selvatico, Prunus avium L., Cariàsa, ceràxa
Cimbalaria, Linaria cymbalaria Mill., Ninì
Cinoglosso, Cynoglossum officinale L., Orìga de gani
Cinquefoglio, Potentilla reptans L., Erba e murènas
Ciocca, Fedia cornucopia Gaertn., Erba moḍḍi
Ciombolino trilobo, Cymbalaria aequitriloba Cheval., Erba e funtaneḍḍas
Cipolla, Allium cepa L., Chibùḍḍa, tziòḍḍa
Cipolla marina, scilla, squilla, Urginea maritima Bak., Arbiḍḍa, aspriḍḍa, aspiḍḍa, cibuḍḍa de coga
Cipollaccia gialla, Gagea arvensis Dum., Lillixéḍḍu grogu
Cipollaccio o lampagione (liliacea), Muscari comosum Mill., Alidéḍḍu, lampayòni, orrubìna
Cipresso, Cupressus sempervirens L., Zipréssu
Cirsio, Cirsium syriacum Gaertn., Cardu biancu, ispìna bianca
Cisto, Cistus incanus L., Cistus montpeliensis L., Cistus salvifolius L., Mùcciu, mudégiu, mutréku
Cisto a foglie di salvia, Cistus salvifolius L., Mudégiu, mutréku
Cisto di Montpellier, Cistus monspeliensis L., Mùcciu, mudégiu, mutréku
Citiso o ginestra bianca, Cytisus monspessulanus L., Martigùsa, semegùsa
Citiso di Montpellier, Cytisus monspessulanus L., Corramusa, martigùsa, semegùsa
Citiso virgiliano, Medicago arborea L., Trevùllu furistéri
Clematide, Clematis vitalba L., Alùssara, aussàra, auttsàra, attsàra, biḍḍighínzu, bintzillu,
intértsu, intréttsu, istérzu, luttsàra, pilighínzu, retti, rethi, rétiu, stérzu, vitikínzu
Clematide cirrosa, Clematis cirrhosa L., Luttsàra, aussàra, mussòrgia, vitikinzu
Clinopodio volgare, Satureja vulgaris Fritsch, Isópu
Cocco gnidio, Daphne gnidium L., Catheḍḍìna, isculabadèḍḍa, truíscu, turbíscu
Cocomero asinino, Ecballium elaterium A. Rich., Cucùmbiri arésti (v. Cugùmmaru)
Coda cavallina, Equisetum arvense L., Còa de guáḍḍu
Colchico, Colchicum autumnale L., Ossòne, fossòne
Colchico autunnale, Colchicum autumnale L., Ossòne
Coltellaccio o acoro o giglio giallo, Iris pseudo-acorus L., Lillu de arríu, lillu grógu
Colutea, Colutea arborescens L., Erba de bucciùccas, sena
Consolida delle rocce, Symphytum tuberosum L.
Consolida maggiore, Symphytum officinale L., Selabattu
Convolvolo, Convolvolus althaeoides L., Convolvolus arvensis L., Ligadolza, campaneddas, malamìda
Convolvolo marino o delle sabbie, Convolvulus soldanella L., Melamìda e mari
Convolvolo nero, Polygonum convolvulus S. et S., Melamìda manna
Corbezzolo, Arbutus unedo L., Aíttho, braghi-braghi, erba de braba, lidòne, liòni, olidòne, olliòni
Coriandolo, Coriandrum sativum L., Coriándru
Corinoli arrotondato, Smyrnium perfoliatum L., Brenteḍḍa, caccaracásu,
caccarágiu, coriándru, culuèbba, occicánu, petralìscia, preiderìssa
Corona imperiale, Scilla peruviana L., Lillu persiánu
Correggiola, Polygonum aviculare L., Lidu, nurìle, sìntsiri, surváke
Correggiola minore, Equisetum palustre, Erba de centu nùus, sintzùrru, sìntziri
Cota buona, Chrysanthemum leucanthemum L., Margarìda
Cotogno, Pyrus cydonia L., Cydonia vulgaris Pers., Mela kidònza
Cotula fetida, Anthemis cotula L., Sitzìa pudéscia
Crepide, Crepis foetida L., Cicòria pùdida
Crescione selvatico, Apium graveolens L., Cugùsa
Crescione d’acqua o nasturzio o sedanino d’acqua, Apium graveolens L.,
Cugùsa, Nasturtium officinale L., Asciòne, giùru, giùru-giùru, grùspinu,
gùspinu, maθùθuru, nasturnu, nartutzu, òspinu
Crespino, Berberis vulgaris L., Spina de Cristu
Crisantemo dei campi, Chrysanthemum sp. v.,
Crisantemo selvatico, Chrysanthemum sp. v.,

Dafne o cocco gnidio, Daphne gnidium L., Catheḍḍìna, isculabadèḍḍa, truíscu, turbíscu
Dafne gnidio o cocco gnidio, Daphne gnidium L., Catheḍḍìna, isculabadèḍḍa, truíscu, turbíscu
Dente canino, Agropyrum repens Beauv., Agropyrum repens L., Agropyrum
repens P.B., Cannayòni, carcángiu longu
Dente cavallino, Sorgum halepense Pers., Sainèḍḍa
Dente di leone, Taraxacum officinale L., Cicòria burda
Digitale, Digitalis purpurea L., Erba de santu Lenardu, panderèḍḍa, pitiólu, tsacca-tsacca
Digitale, strigolo, Silene inflata, Crapichéḍḍu, sonaggiòlos, tsacca-tsacca
Dipsaco o cardo dei lanaioli, Dipsacus ferox Lois., Amorái, arièḍḍa,
artiòccoro, canna de amorái, canna de morái, canna ùrpina, ciòcciri,
isciòccoro, istiòccoro, sòcciri, uscradínu de porcu
Dipsaco feroce o cardo dei lanaioli, Dipsacus ferox Lois., Amorái, arièḍḍa,
artiòccoro, canna de amorái, canna de morái, canna ùrpina, ciòcciri,
isciòccoro, istiòccoro, sòcciri, uscradínu de porcu
Doricnio, Dorycnium rectum Ser., Trevùllu de arríu, Trivozzu cabaḍḍínu
Dulcamara, Solanum dulcamara L., Dulciamàra

Edera, Hedera, Èra
Edera terrestre, Glechoma hederacea L., Erba de funtanèḍḍas
Elicriso o canapicchia, Helichrysum italicum G. Don., Arkimissa, mantéḍḍos, muntéḍḍos
Elicriso a foglie strette, Helichrysum italicum G. Don., Arkimissa, mantéḍḍos, muntéḍḍos
Eliotropio, Heliotropium europaeum L., Erba e soli
Elleboro, Helleborus lividus Ait., Billèlla, billèllara
Elleboro verde, Helleborus lividus Ait., Billèlla, billèllara, sabadìglia
Enante crocata, Oenanthe crocata L., Isáppiu
Endivia (vedi: Indivia)
Enula (vedi: Inula)
Enula baccici, Inula crithmoides L., Erba pùdida
Equiseto o coda cavallina, Equisetum maximum Lam., Còa de guáḍḍu
Equiseto massimo, Equisetum telmateja Ehrh., Pilu e yàna
Equiseto palustre, Equisetum palustre L., Polygonum equisetiforme S. et S., Sìntsiri, surváke
Erba aglio, Teucrium scordium L., Iscórdiu
Erba amara, balsamita, Chrysanthemum balsamita L., Folla de santa Maria
Erba bacaja, Ononis natrix L., Erba appiccigòsa
Erba bozzolina, Nigella damascena L., Nieḍḍòni, fiori de passiòni
Erba calderina, Senecio leucanthemifolius L., Erba de cardanèras
Erba cannella, Apium nodiflorum Lag., Appiéḍḍu, cugùsa, giùggiuru, láu de arríu
Erba caprina o camedrio bianco, Prasium majus L., Erba crapa, menta e conillus
Erba cedrina, Melissa officinalis L., Amenta ‘e abis
Erba cimicina, Geranium robertianum L., Geranium rotundifolium L., Erba de sánguni, erba de fogu
Erba cornacchia, Sisymbrium officinale Scop., Alaùssa, erba de esca, grabistu, tribulìa
Erba da calli, Sempervivum arboreum L., Erba de callus
Erba da gatti, Teucrium marum L., Erbiáttus, archemìssa, arunèḍḍa, manteḍḍàda, mummuléu
Erba da vetro, Suaeda fruticosa Fprsk., Suaeda fruticosa L., Suaeda maritima Dum., Sossòini
Erba dei gatti o maro, Teucrium marum L., Murguléu
Erba dei porri, Chelidonium majus L., Erba de tzerras
Erba del cucco, bubbolini, strigoli, Silene cucubalus Wib., Crabighéḍḍu, erba de sonajólus
Erba della madre o matricaria, Chrysanthemum parthenium Bernh.,
Tanacetum parthenium L., Erba ‘e arrùgas, erba ‘e murus, Elva da santa Palònia
Erba delle galline, Cerastium glomeratum Thuill., Stellaria media Cyr., Erba e puḍḍas, erba puggionìna
Erba fragolina, Sanicula europea L., Fraulèḍḍa
Erba galletta o cicerchia, Lathyrus cicera L., Inkìsa, pisu de colóru; anche Lathyrus sativus L.,
Ankìscia, denti di béccia, tresàtzas
Erba guado o guaderella, Isatis tinctoria L., Guádu; Reseda luteola L., Còa
de gattu, coròe, crocòe, giàllara
Erba lombrica comune, Scorpiurus muricatus L., Sémini trottoxiáu
Erba Luisa, cedrina, limoncina, Lippia citriodora Kunth., Maria Luisa
Erba morella, Solanum nigrum L., Magaidràxa, tomàta arésti
Erba perla-azzurra, Lithospermum purpurocaeruleum L., Linguaradèḍḍa
Erba prota, Achillea ligustica All., Arculéntu, pádrumu
Erba puzzolana, Chenopodium vulvaria L., Cadòni pudésciu
Erba rossa, Cyperus rotundus L., Mamma de séssini
Erba saetta, Sparganum alisma, Sparganum damasonium, Sparganum
sagittaria, Erba de nèrbius, folla de nérbius, nerviada de abba
Erba sardonia, Oenanthe crocata L., Appiù arèste, Láu guaḍḍínu, turgusòne, Trivùsa másciu
Erba serpentaria, Dracunculus muscivorus Parl., Pappamusca
Erba serponi, Dracunculus muscivorus Parl., Pappamusca
Erba stella, Plantago coronopus L., Erba stérria
Erba strega, Stachys arvensis L., Erba de brùscia
Erba vajola maggiore, Cerinthe major L., Tittiàcca
Erba vetturina, Melilotus officinalis Lam., Trevullu de cuáḍḍu
Erica arborea, Calluna vulgaris L., Castanárju, ghiḍḍóstru, iḍḍóstru, tùora, tùvara, tùvera
Erica scoparia, Calluna vulgaris L., Erica terminalis L., Castanárju,
castanárgiu, ghiḍḍóstru, iḍḍóstru, tùora, tùvara, tùvera
Erigero, Erigeron canadensis L., Erba ‘e arrùgas, erba ‘e murus, erba de santa Palònia
Eringio, Eryngium maritimum L., Cadattu, Spina e corra
Eringio campestre o calcatreppolo, Eryngium campestre L., Cardedònna,
cardu arrángiu, cardu de anzòne, cardu donna, cardu mattsòne, cima
de pastòri, mammaráida, péi de cani, spina e arròda, spina e corra
Eringio tricuspidato, Eryngium tricuspidatum L., Erba de su mali a póntziu
Erisimo, Sisymbrium officinale Scop., Alaùssa, erba de escas, grabístu, tribulìa
Erodio, Erodium botrys Bert., Erodium ciconium L’Hér., Erodium cicutarium L’Hér., Erodium
malacoides L’Hér., Erodium moschatum L’Hér., Agullas de S.Maria, arrellògius, erba de agullas
Eucalipto, Eucalyptus sp. vv., Eucarittu
Euforbia, Evonymus europaeus L., Lattòrighe
Euforbia, Euphorbia characias L., Euphorbia dendroides L., Euphorbia helioscopia L., Euphorbia
peplis L., Euphorbia pithyusa L., Lattòrighe, lùa, tòmbari
Euforbia arborea, Euphorbia characias L., Lattòrighe, lùa, tòmbari
Euforbia bastarda, Euphorbia characias L., Euphorbia dendroides L.,
Euphorbia helioscopia L., Euphorbia peplis L., Euphorbia pithyusa L., Lattòrighe, lùa, titìmbaru
Euforbia latiride, Euphorbia lathyris L., Lattòrighe, lùa, titìmbaru
Fagiolo, Phaseolus vulgaris var. communis, Vigna sinensis Edl., Basólu, Asólu, Fažóru
Fagiolo caracalla, Phaseolus caracalla L., Carakínu
Fagiolo dell’occhio, Vigna unguiculata Walp., Basólu brent’e mòngia
Faggio, Fagus silvatica L., Fággiu, fáu
Falaride (graminacea), Setaria italica P.B. var. verticillata, Setaria italica P.B.
var. viridis P.B., Asculpi, còa de gattu, erba de asculpi
Falsa acacia, Robinia pseudo-acacia L., Gaggìa, garzìa
Falsa cicoria, Crepis vesicaria L., Lattòsa
Falsa ginestra o sparzio villoso, Calycotome villosa Link, Tirìa
Falso convolvolo o convolvolo nero, Polygonum convolvolus S. et S., Melamìda
Farinaccio, Sorbus aria Crantz, Lazzarólu de monte
Farro, Triticum turgidum dicoccum, Trigu grussu
Fava, Vicia faba L., Faba, fàa
Favagello, Ranunculus bulbosus L., Ranunculus bullatus L., Ranunculus
ficaria l., Culurassu, cunnurassu, sonnurassu, erba de arrànas
Felce, Polypodium vulgare L., Pteris aquilina L., Asplenium adianthum-nigrum L., Fìlighe, fìlixi
Ferula, Ferula communis L. Férula
Ferula comune, Ferula communis L. Férula
Flammola, Clematis flammula L., Bentzìgliu, mussòrgia, ùrtzula
Fienarola d’acqua, Poa pratensis L., Erba lepporìna
Fico, Ficus carica, Fígu
Fico coltivato, Ficus carica, Fígu
Fico degli Ottentotti, Mesembhryanthemum acinaciforme L., Gravellu de seda
Fienarola d’acqua, Glyceria distans Wahl., Lullu de àqua
Fieno greco, Trigonella foenum-graecum L., Pisu molentínu
Fillirea, Phyllirea angustofolia L., Phyllirea latifolia L., Alatérru, arridéli, alidérru, alitérru, ladérru
Finocchio, Foeniculum sativum Bert., Fenùcru, fenùgu
Finocchio forte, Foeniculum piperitum Sweet, Fenùgu agru, fenùgu marigósu
Finocchio selvatico, Foeniculum vulgare Mill., Fenùcru
Fiordaliso, Centaurea cyanus L., Fiordalísu
Fiordaliso grande, Centaurea napifolia L., Panecuccu
Fior d’oro, botton d’oro, Chrysanthemum coronarium L., Chrysanthemum
segetum L., Belléi de caḍḍu, cagarantzu, caragantzu, kirièlle, coccoinìnni
Fiore di cuculo, Lychnis flos-cuculi L., Gravellínu de gampu
Fiorrancio, Calendula arvensis L., Concùda, fròri de dogna mési
Flammola, Clematis flammula L., Alùssara, luttsara, vitikinzu, aussàra
Fleo dei prati, gramigna, Phleum pratense L., Còa e toppi, coedòppi
Forasacco, Bromus sterilis L., Cuscusòni
Frassino, Fraxinus excelsior l., Frassu, ollastu de arríu
Fritillaria, Fritillaria persica L., Lillu persiánu
Fumaria (v. Parietaria officinalis), Fumaria capreolata L., Cambirùya
Fumaria bianca, Fumaria capreolata L., Cambirùya
Fumaria officinale, Fumaria officinalis L., Poddinéḍḍu arrùbiu
Fungo porcino, Boletus edulis Bull., Angùli
Fusaggine, Euonymus europaeus L., Sambínzu

Galla della quercia, sardo Áddara, làddara
Galletta, Lathyrus articulatus L., Letìtera
Gallinaccio, Antirrhinum orontium L., Mortu niéḍḍu
Gallinella, Antirrhinum orontium L., Bucca de liòni, mortu niéḍḍu, Porceḍḍéḍḍus
Garofanata, Geum urbanum L., Erba beneditta
Garofano, Dianthus caryophillus L., Gravéllu
Garofano di montagna o selvatico, Dianthus silvestris, Gravellínu
Garofano indiano, Tagetes erecta L., Gravellu giapponésu
Garofolino, Tunica prolifera Scop., Gravelléḍḍu arésti
Gelso, Morus alba L., Gessa, mura, muragessa bianca
Gelso bianco, Morus alba L., Gessa, mura, muragessa, murighessa
Gelsomino, Jasminum sp. varr., Gelsomínu
Gelsomino arabo, Jasminum sambac L., Gesmèlla
Gelso nero, Morus nigra L., Alsu, alzu, arìsu
Genziana, Gentiana lutea L., Brundìna, brundajòla
Geranio, Geranium sp. v., Erba de agallus, Frokkittèḍḍas
Geranio campestre, Erodium moschatum L’Her., Fila-fila
Giacinto alto, Hyacinthus fastigiatus L., Giassíntu
Giacinto comune, Hyacinthus orientalis L., Giassíntu
Giaggiolo, Iris sp. v., Lillu campéstri
Gigaro o aro, Arum italicum Mill., Carica e porcu, folla de casarèsa, ozza
e casadìna, sattsaròi, θoθθòròiu, θoθθòriu, Arum maculatum L., Lingua
e cani, Arum pictum L., Aru, sattsaròi, tattaròyu
Giglio, Lilium candidum L., Assussèna, líllu
Giglio bianco, Lilium candidum L., Assussèna
Giglio giallo, Iris pseudo-acorus L., Lillu de arríu, Lillu grógu
Giglio marino, narciso marino, Pancratium maritimum L., Lillu de mari
Giglio stellato, Pancratium illyricum L., Lillu de saltu
Giglio turco o Bella di giorno, Hemerocallis fulva L., Lillu arrùbiu
Gilico o arisaro, Arisarum vulgare Targ., Arizáru, orìga de léppuri
Ginepro nano, Juniperus communis L. var. nana Willd., Ghinìperu, nìbbaru, nìbberu
Ginepro fenicio, Juniperus phoenicea L., Gjàccia, jàccia, jacciòne, nìbbaru, nìbberu, sabínu
Ginepro rosso, Juniperus oxycedrus L., Ajácciu, gjáccia, nìbbaru, nìbberu
Ginestra, Genista ephedroides DC., Abbruschiadínu, tirìa
Ginestra bianca o citiso, Cytisus monspessulanus L., Martigùsa, semegùsa
Ginestra corsa, Genista corsica [Loisel.] DC., Sorighìna
Ginestra dei carbonai, Cytisus scoparius Lk., Ginestra
Ginestra dell’Etna, Genista aetnea DC., Àdanu
Ginestra di Spagna, Spartium junceum L., Giuncarésti, martigùsa
Ginestra feroce, Genista corsica [Loisel.] DC., Genista ferox Poir., Genista
morisii Colla, Ispìna sorighìna, sorighìna
Ginestra sarda, Genista acanthoclada DC. ssp. sardoa, Ciurexìna, sorighìna
Ginestra spinosa, Calycotome villosa Lk., Tirìa, iscorravòe
Ginestrella, ginestrella comune, Osyris alba L., Brigantìna, caḍḍamarìdos,
iscova e préidi, lìbida, libidàna, scova de bìngia, scoviòi, tsaccabingiàdas
Ginestrella comune, ginestrella, Osyris alba L., Brigantìna, caḍḍamarìdos,
iscova ‘e préidi, lìbida, libidàna, scova de bìngia, scoviòi, tsaccabingiàdas
Ginestrino, Lotus corniculatus Pers., Trevulléḍḍu, truvulléḍḍu
Ginestrino giallo, Lotus corniculatus L., Mole-mole
Gittaione, Agrostemma githago L., Nieḍḍòne
Giunchiglia, Narcissus Jonquilla L., Giunkìgliu
Giunco, Juncus articulatus L., Tzinnìga
Giunco, Cyperus longus L., Sènsene, sènzene, séssini
Giunco marino, Juncus maritimus L. Tzinnìga
Giunco spinoso, Juncus acutus L., Tzinnìga
Giusquiamo, Hyosciamus albus L., Muttùtturu
Giusquiamo bianco, Hyosciamus albus L., Muttùtturu
Giusquiamo nero, Hyosciamus niger L., Muttùtturu
Gladiolo dei campi, Gladiolus segetum L., Lillu sposu
Gladiolo selvatico, Gladiolus segetum Ker-Gawl., Ispadòne
Gramigna, Cynodon dactylon Pers., Cannayòni, erámine, grámene,
noroḍḍásile, orodássile, rámine; Cynosurus cristatus L., Coedòppi
Gramigna bionda, Phleum pratense L., Còa ‘e toppi, coedòppi
Gramigna dei viottoli, Koeleria phleoides Pers., Erba e canis
Gramigna stellata, Aegylops ovata L., Trigu antígu, trigu de frommìgas Alopecurus bulbosus L.,
Alopecurus pratensis L., Coedòppi
Gramigna fusaiola, Festuca elatior L., Accùcca, cucca
Gramignetta, Melica ciliata L., Erba mustatzùda
Gramignone, Paspalum distichum L. var. paspalodes Thell., Cannayòni de aqua
Grano, Triticum, Trigu
Grano duro, Triticum durum L. vel Triticum turgidum vel Triticum turgidum durum, Trigu
Grano farro, Triticum spelta L., Trigu farru
Grano polonico, Triticum polonicum L., Trigu
Grano tenero, Triticum aestivum L., Trigu o martsále o martsólu
Grano turco, Zea mays L., Trigu moriscu
Graziola, Gratiola officinalis L., Bokkicabáḍḍu, bocciguáḍḍu
Guaderella, Reseda luteola L., Còa de gattu, coròe, crocòe, giàllara

Ieracio, Hieracium auricula L., Cicòria burda
Imenocarpo, Hymenocarpus circinnatus Savi, Assuḍḍixèḍḍa burda
Impia, seppola, Erigeron canadensis L., Erigeron crispus Pourr., Erba de arrùgas, erba de muru
Ingrassabue, Chrysanthemum segetum L., Cagarántzu
Indivia, Cichorium endivia L., Indìria
Iperico, Hypericum perforatum L., Erba de piricoccu, Ipéricu, pericòne
Inula, Dittrichia viscosa L. = Inula viscosa Ait., Frisa, frissa
Iride fiorentina, Iris florentina L., Spada
Iris o giaggiolo, Iris germanica L., Lillu asùlu
Iris dai fiori violacei, Iris planifolia Dur. et. Schinz., Lillu asùlu
Isopo, Hyssopus officinalis L., Issópu; anche Satureja graeca L., Mammuléu (v. Murguléu)
Iva moscata, Ajuga iva Schreb., Erba e fríus, erba pesa callentùra

Jeracio bulboso, Crepis bulbosa Tausch, Mammaccìcca

Kaki, Dyospiros kaki, Caccu

Laburno fetido, Anagyris foetida L., Thilìmba
Lamio, Lamium amplexicaule L., Pitzianti masédu
Lampagione o cipollaccio (liliacea), Muscari comosum Mill., Alidéḍḍu,
lampayòni, orrubìna
Lapazio, Rumex sp. v., Alabáttu, lampátzu
Lappa o bardana, Arctium lappa L., Ispròne
Lappa inversa, Xanthium strumarium L., Cuscusòne
Lappola, Xanthium sp. v., Cuscusòni
Lappola carota, Caucalis daucoides L., Cuscusonéḍḍu
Lappolina, Xanthium spinosum L., Cuscusòni
Lappolone, Xanthium italicum Mor., Cuscusòne
Lattaiola o cicerbita o allattalepre, Chondrilla juncea L., anche Sonchus
oleraceus L., Sonchus tenerrimus L., Limporra, lipòrra, lisporra; bardu ‘e
anzone, caldhu mignòni, camingiòni, cardu minzòne, mammaccicca, mammalucca, simingiòni
Lattaiolo o radicchione selvatico, Urospermum Dalechampii Desf., Pabantsólu de colóru
Latte di gallina, Ornithogalum umbellatum L., Fila-fila
Latticrepolo, Reichardia picroides Roth., Lattaredda, limporra
Lattuga, Lactuca scariola L. var. sativa, Lattùca, làttia
Lattuga pungente o cicerbita, Sonchus oleraceus L., Gardu mindzòne
Lattuga selvatica, Lactuca saligna L., Lactuca scariola L. var. silvestris Lam.,
Làttia arruffàda, lattùca areste
Lattuga velenosa, Lactuca virosa L. Làttia arésti
Laurotino, Viburnum tinus L., Malajàna, meliàna, sambucu arésti
Lavanda selvatica, Lavandula officinalis Chaix, Lavandula spica L., Spiccu;
Lavandula stoechas L., Arkimissa, bureḍḍa, spiccu
Lavanda vera, Lavandula latifolia L., Spiccu
Lazzeruolo, Crataegus azarolus L., Lazaròla
Leccio, Quercus ilex L., Ilixi, ixi
Legno di aloe, Aquilaria agallocha, Aquilaria malaccensis, Galu
Lentaggine o viburno, Viburnum tinus L., Malayàna, meliàna, miliàna, sambínzu, sisérbi
Lenticchia, Vicia lens Coss. et. Germ., Gentilla
Lentisco, Pistacia lentiscus L., Chessa, muḍḍitza, moḍḍitzi
Lerca, Cytisus triflorus L’Her., Cytisus villosus Pour., Martigùsa, massigùssia
Lerca, Spartium junceum L., Martigùsa, massigùssia, matricùsia
Licnide, Lychnis flos-cuculi L., Lychnis vespertina Sibth., Gravelléḍḍu de campu (v. Gravellínu)
Licnide bianca, Lychnis alba Mill., Fruschiayòlos, niéḍḍu nurághe, orìga de para
Limoncina, cedrina, erba Luisa, Lippia citriodora Kunth., Maria Luisa
Limone, Citrus limon, Limòni
Linaria o soldina, Linaria elatine Mill. var. spuria Mill., Linaria reflexa Chaz.,
Linaria triphylla Mill., Linaria vulgaris L., Angùli, angùlias, malamìda
Linaria comune, Linaria sp. v., Angùlias, bucchixedda e liòni
Lingua o viperina maggiore, Echium italicum L., Còa de margiáni, còi
lòriga, limba de gane, pabulósu
Lingua di cane, Cynoglossum creticum L., Nughe-nughe, orìga de gani
Lingua di cane a fiori variegati, Cynoglossum creticum L., Limba e gane, fundu grassu, nughe-nughe
Linguella, Helminthia echioides Gaertner., Ciòcciri, artiòccoro, isciòccoro, sòcciri
Liquirizia, Glycyrrhiza glabra L., Licaríssu, arregalìtzia
Loglio, Lolium italicum L., Lullu
Loglio italico, Lolium italicum L., Lullu
Loglio palustre, Carex muricata L., Sega dídus
Loto cretico, Lotus creticus L., Piséḍḍu di sálpi
Loto dei prati, Lotus tetragonolobus L., Léppuri sposu, sitzirìa de cabòni
Loto edule, Lotus edulis L., Ancatùrra, angatùrra, gallaùna
Lucernicchia, Saxifraga tridactylites L., Erba de perda
Lunaria, Lunaria annua L., Folla e prata
Lupinella o sulla, Edysarum coronarium, Assuḍḍa
Lupinella selvatica, Hedysarum capitatum L., Assuḍḍixèḍḍa
Lupino azzurro, Lupinus angustifolius L., Asólu caḍḍínu
Lupino bianco, Lupinus albus L., Asólu caḍḍínu
Lupino giallo, Lupinus luteus L., Asólu caḍḍínu
Luppolo, Humulus lupulus L., Lùpulu
Luzula, Luzula Forsteri DC., Erba luzza

Macerone, Smyrnium olusatrum L., Alisandru, cacalacásu, chirièlle,
macciarròni, preiderìna, preiderìssa
Madreselva, Lonicera implexa Ait., Guadangiu, mammelìnna
Maggiorana, Origanum majorana L., Meiràna, pérsiga, prensa
Malva, Lavatera cretica L., Lavatera maritima L., Lavatera triloba L., Lavatera trimestris L., Malva nicaeensis L., Malva parviflora L., Malva silvestris L., Naibùttsa, narba, narbeḍḍa
Malva arborea, Althaea officinalis L., Altèa, Lavatera arborea L., Lavatera olbia vel arborea L.,
Malvárburi
Malvarosa, Pelargonium radula Ait., Malvarosa
Malvone, Althaea rosea L., Bastòni de santu Juséppi
Mandarino, Citrus nobilis Lour., Mandarinu
Mandragora, Mandragora autumnalis L., Piḍḍi
Margherita arbustiva, Chrysanthemum frutescens L., Margarìda
Margherita selvatica, Chrysanthemum leucanthemum L., Sitzìa
Margheritina, Anthemis sp. v., Sitzìa
Maro o erba dei gatti, Teucrium marum L., Murgulèu
Marrubio, Marrubium alysson L., Marrubium creticum Mill., Marrubium vulgare L., Marrùbiu
Marrubio acquatico, Lycopus europaeus L., Marrùbiu burdu
Marrubio bastardo o ballotta o marrubio nero, Ballotta nigra L., Marrùbiu burdu o Marrùbiu niéḍḍu
Marrubio comune, Marrubium vulgare L., Alattuéru, marrùbiu
Masticogna, Atractylis gummifera L., Carbu cabiḍḍu, musciurìda
Matricale, Chrysanthemum parthenium Bernh., vel Tanacetum parthenium L., Cabumìlla
Matricaria, Chrysanthemum parthenium Bernh., vel Tanacetum parthenium L., Cabumìlla
Mazzasorda o biodo di palude, Typha angustifolia L., Typha latifolia L., Buda, tutturattsu, tùtturu
Mazzettino, Silene gallica L., Gravellínu
Mazzolina, Dactylis glomerata L., Accukkixeḍḍa
Medicagine, Medicago sp. v., Trevullu, trivoḍḍu, tuppittsa
Melanzana o petronciano, Solanum melongena L., Mirinzàna, pedringiàna
Melica, Sorghum vulgare Pers., Saìna
Meliloto, Melilotus sp. v., Trevullu de cuaḍḍu
Meliloto falso, Astragalus hamosus L., Erba de gamu
Melissa, Melissa officinalis L., Amenta e abis
Melo, Pyrus malus L., Mela, pumu
Melo cotogno, Pyrus cydonia L., Mela kidònza
Melograno, Punica granatum L., Aniàda; (Piccolo melograno: Aniadéḍḍa)
Melone, Cucumis melo L., Miròni
Menta, o menta buona, Mentha viridis L., Menta de pappái
Menta coltivata o menta buona, Mentha viridis L., Menta de pappái
Menta piperita, Mentha piperita L., Amenta piperìna
Menta selvatica, Mentha rotundifolia Huds., Amenta
Mentastro, Mentha aquatica L., Mentha longifolia Huds., Amenta e arríu
Mentuccia, pulegio, Mentha pulegium L., Abuléu, abuéu
Mercorella, Mercurialis annua L., Cadoni burdu
Mesembriantemo, Mesembhryanthemum chrystallinum L., Erba cristallina
Miglio nostrale o miglio selvatico, Millium multiflorum Cav., Cannayòni cambas longas,
cannayòni de cresùri, erba d’aqua, erba de ferru, erba férrina, erba grábina
Millefoglio, Achillea millefolium L., Erba de gorpu apertu, erba de ferìdas
Mirto, Myrtus communis L., Murta, murtaùcci
Morisia, Morisia hypogaea J. Gay, Morisia monantha Asch., Erba de oru
Moro gelso o moro bianco, Morus alba L., Gessa, mura, muragessa, murighessa
Moro nero, Morus nigra L., Alsu, alzu, arísu
Moscino, Dorycnium pentaphyllum Scop., Trevulléḍḍu
Mughetto, Convallaria majalis L., Giunkìglia (v. Giunkìgliu)
Muschio, Tillaea muscosa L., Lanèḍḍa, Nuscu

Narciso, Narcissus tazeta L., Giunchìgliu
Narciso marino, Pancratium maritimum L., Lillu de mari
Nasturzio o crescione d’acqua o sedanino d’acqua, Nasturtium officinale L.,
Asciòne, giùru, giùru-giùru, grùspinu, gùspinu, maθùθuru, nasturnu, nartutzu, òspinu
Navone, Brassica napus L., Napu, nappa
Navone selvatico, Bunias erucago L., Alaùssa
Nepitella, Satureja calamintha Scheele, Nébida, nebidèḍḍa
Nespolo, Mespilus germanica L., Néipura de jérru
Nigella scapigliata, Damascella arvensis L., Nigella damascena L., Nieḍḍòne, Frori de passiòni
Nigella scapigliata, Agrostemma githago L., Nigella damascena L., Nieḍḍòne
Ninfea, Nymphaea alba L., Corcorìga de àcua (v. Curcurìga)
Nocciolo, Corylus avellana L., Oḍḍàna
Noce, Juglans regia L., Còccoro
Nontiscordardimé, Myosotis palustris Hill., Orìga de topi

Oleandro, Nerium oleander L., Neuláche
Oleastro, Olea europaea var. sylvestris Brot., Agliastru, ozzastru, ollastu
Olivo, Olea europaea var. europaea L., Ariba, olìa
Olmo, Ulmus campestris L., Ùlumu
Ombelico di Venere, Cotyledon umbilicus-Veneris L., Cálike, cálighe, sálighe
Ombrellini di prato, capobianco, Tordylium apulum L., Muitzéḍḍu
Ononide, Ononis spinosa L., Ayùcca, erba nigheḍḍa, stragabòis, stasibòis
Onopordo maggiore, Onopordon tauricum L., Cardu cannitzu
Ontàno, Alnus glutinosa L., Álinu, élinu
Ontàno nero, Alnus glutinosa L., Ábiu, Álinu
Orchidea, Ophrys, Casugóttu, limba de puḍḍa
Orchidea selvatica, Orchis longicornu Poir., Orchis maculata L., Orchis morio L.,
Casugóttu, limba de puḍḍa, tùbari-tùbari
Origano, Origanum majorana L., Origanum vulgare L., Limpidèḍḍa
Orniello, Fraxinus ornus L., Linnarbu
Orobanche, Orobanche ramosa L., Lillu
Ortica, Urtica dioica L., Urtica pilulifera L., Urtica urens L., Frusticàya,
granùdu, occiàu, orciàu, pissiagùlu, pistiḍḍòri, ustricàta
Orzo coltivato, Hordeum distichum L., Hordeum tetrastichum L., Òrju, òrgiu
Orzo coltivato a spina corta, Hordeum exastichum L., Òrgiu furistéri
Orzo marino, Hordeum marinum Huds., Orgixéḍḍu ‘e tòpis
Orzo selvatico, Hordeum murinum L., Hordeum vulgare L., Ferrágine, forráni, òrgiu e tòpis
Ossalide, Oxalis acetosa L., Oxalis acetosella L., Allelùja, erva luzza
Ovolo buono, Amanita caesarea, Caccareḍḍa, cakkeḍḍa

Paglia marina, Zostera marina L., Áliga e mari, lándiri de mari
Paleo odoroso, Anthoxanthum odoratum L., Fenu bónu
Paleo comune o paleo dei prati (una graminacea), Brachypodium pinnatum P.B.,
Erba e perda, fenu ávrinu
Palma, Phoinix dactylifera L., Pàimma, pramma
Palma nana, Chamaerops humilis L., Paimítzu
Palmizio, Chamaerops humilis L., Paimítzu
Panico, Panicum miliaceum l., Mìgliu
Papavero cornuto, Glaucium corniculatum Curt., Babaòi currùdu
Papavero da oppio, Papaver somniferum L., Atzanda, babaòi, pabaùle, pubùsa, tzanda
Papavero giallo, Glaucium flavum Crantz, Babaòi currùdu
Papavero rosso, Papaver rhoeas L. (var. pinnatifidum), Anna e locu,
bulláu, cicciulìa, erbiòi, pubùsa, sitzìa, tanda, tzanda, zizzìa madonna, zizzìa pùdida
Papavero selvatico, Papaver rhoeas L., Anna ‘e locu, bulláu, cicciulìa,
erbiòi, pubùsa, sitzìa, tanda, tzanda, zizzìa madonna, zizzìa pùdida
Papavero sonnifero o papavero da oppio, Papaver somniferum L., Papaver
somniferum L. var. setigerum DC., Tanda, tzanda
Parietaria, Parietaria officinalis L., Cambirùya, Erba e ventu, piculòsa,
pigulòsa, pittsiculòsa, Priculòsa, priguròsa
Pastinaca, Pastinaca sativa L., Pistinàga era
Pastinaca domestica, Pastinaca sativa L., Pistinaga bèra o groga
Patata, Solanum tuberosum L., Patátu, patàta
Pelosella ramosa, Hieracium auricula L., Orìga pilùda
Peonia, Paeonia officinalis L., Franca de tzirulìa, ungra de tzurrulìu, orros’e gogas
Pepe d’acqua, Polygonum hidropiper L., Pìbiri de arríu
Pepe montano o timelea, Daphne gnidium L., Truíscu
Peperone, Capsicum annuum L., Pìbere moriscu, Pebaròni
Pepolino, Thymus serpillum L. var. herba barona Lois., Armiḍḍa, aspriḍḍa, nedideḍḍa, tumbu
Perfoliata, Bupleurum rotundifolium L., Tsicchirìa burda
Perlina maggiore, Bartsia viscosa L.
Perlina minore, Bartsia trixago L., Bellardia trixago L., Piricóccu; Euphrasia officinalis L., Eufrágia
Perlina rossiccia, Bartsia latifolia S. et S., Eufrágia
Pero, Pyrus communis L. var. sativa Lam. et DC., Pira
Pero selvatico, Pyrus amygdaliformis Vill., Pirastu
Pesarone, Setaria glauca P.B., Còa de gattu
Pesco, Prunus persica Stokes, Péssighi, préssiu
Pervinca, Vinca difformis Pourr., Giampàna
Petronciano o melanzana, Solanum melongena L., Milinzàna, pedringiàna
Pettine di Venere, Scandix pecten-Veneris L., Erba de agullas
Piantaggine, Plantago lanceolata L., Alba cápruna, lingua e cani
Piantaggine maggiore o lanciola, Plantago major L., Alba cápruna
Piede anserino, Chepodium sp. v., Cadòne
Piede di corvo, Plantago coronopus L., Erba stérria
Piede di lupo o marrobio acquatico, Lycopus europaeus L., Marrùbiu burdu
Pilini, Phalaris paradoxa L. (una graminacea), Pilìni
Pino da pinoli, Pinus pinea, halepensis, pinaster etc., Compìngiu, oppínu, pinu
Pino marittimo e sp.v., Pinus maritima, Compìngiu, Oppínu, pinu
Piombaggine, Armeria fasciculata W., Rosa marina; Plumbago europaea L.,
Erba ‘e arràngia, erb’e arrùngia, erba e cirras, ispéliu, istéli
Pioppo, Populus (piramidalis Salisb. etc.), Albaru, alvaru, fustialvu, costiarvu,
pustiarvu, pubulìa, puglièlma, puyèlma
Pioppo bianco, Populus alba L., Albaru, alvaru, fustialvu, costiarvu,
pustiarvu, pubulìa, puglièlma, puyèlma
Pioppo nero, Populus nigra L., Fustialvu, linnarbu, pubulìa, puglièlma, puyèlma
Pioppo tremulo, Populus tremula, Fustialvu, Linnarbu, pubulìa, puglièlma, puyèlma
Pisello, Pisum sativum L., Pisu, pisùrci, piséḍḍu
Pisello selvatico, Lathyrus aphaca L., Chérigu, chìrigu, cogòdi, pisu,
pisùrci, prisùcci; anche Lathyrus odoratus L., Pisum arvense L., Pisu de colóru
Pistacchio, Pistacia vera L., Pistácciu
Piumino, Lagurus ovatus L., Mussi mussi
Pleuroto, Pleurotus ostreatus var. eryngii vel ferulae, Antùnna
Poligono o centinodia, Polygonum aviculare L., Lidu, nurìle, sìntsiri, surváke
Polio, Teucrium polium L., Pòliu
Pomi d’amore, Solanum pseudo-capsicum Hort., Ceréxia dama
Pomo di Sodoma, Solanum sodomaeum L., Pilardèḍḍa, tamàtiga arésti
Pomodoro, Solanum lycopersicum L., Tomàta, pumàtta
Popone, Cucumis melo L., Melòni (v. cugùmmaru)
Porcellana, Portulaca oleracea L., Erba de porcus, Proceḍḍàna
Porcellana di mare, Atriplex portulacoides L., Halimon portulacoides L., Tsibba
Porcino (fungo), Boletus edulis Bull., Angùli
Porrandello, Allium ampeloprasum L. var. Porrum L., Porru
Porro, Allium porrum L., Porru
Portulaca, Portulaca grandiflora Hook., Porceḍḍàna
Posidonia, Posidonia oceanica Del., Áliga e mari, lándiri e mari
Pratolina, Bellis perennis L., Concùda, sitzìa
Pratolina annuale, Bellis annua L., Margheritèḍḍa
Pratolina autunnale, Bellis sylvestris Cyr., Margheritèḍḍa
Presuola o caglio, Galium aparine L., Rattalìmba, piga-piga, pìttiga-pìttiga
Prezzemolo, Petroselinum hortense Hoffm., Perdusímbula, perdusémini
Prezzemolo selvatico, Petroselinum ammoides Rchb. f., Perdusémini arésti
Prugnolo, Prunus spinosa L., Annágiu, prunìtza, prunitzèḍḍa
Pruno selvatico, Prunus spinosa L., Annáyu
Pulegio, Mentuccia, Mentha pulegium L., Abuléu, abuéu
Pulicaria, Plantago psyllium L., Erba e pùlighe, Erba nieḍḍa
Pungitopo, Ruscus aculeatus L., Buscadínu, frùscu, frùsciu, saraùpu, sorighìna
Puzzoline, Tagetes patula L., Gravellínu vellutáu
Puzzolone, Tagetes erecta L., Gravellu giapponésu

Quercia o roverella, Quercus pubescens Willd., Orroáli, orròli
Quercia spinosa, Quercus coccifera, Lándiri marru
Quercia da sughero, Quercus suber L., Urtìgu
Querciola, Teucrium chamaedrys L., Isto’a padeḍḍas
Querciola maggiore, Teucrium flavum L., Bunnànnaru, bunnànneru

Radichiella, Hypochaeris cretensis Chaub. et Bory, Cicòria burda
Radicchio scotellato, Crepis vesicaria L., Cicòria bona o durci
Radicchio selvatico, Hyoseris radiata L., Mammalùcca, chimèḍḍa, ciccòria, pabantsólu
Radicchione selvatico o lattaiolo, Urospermum Dalechampii Desf., Pabantsólu de colóru
Rafano selvatico o ramolaccio, Raphanus raphanistrum L., Ambruttàttsa,
ambuàttsa, ambulàttsa, armuràtta, barraccucca, irimulatta
Ramolaccio o ravanello, Raphanus sativus L., Aligàrdza, arraìga
Ramolaccio selvatico o rafano selvatico, Raphanus raphanistrum L.,
Ambruttàttsa, ambuàttsa, ambulàttsa, armuràtta, barraccucca, irimulatta, siri
Ranuncoletto, Ranunculus bullatus L., Erba ‘e arrànas
Ranuncolo, Ranunculus arvensis L., Cadeḍḍa
Ranuncolo acre, Ranunculus acer L., Erba e ranas
Ranuncolo scelerato, Ranunculus sceleratus L., Áppiu burdu
Ranuncolo selvatico, Ranunculus arvensis L., Cadeḍḍa
Rapa, Brassica rapa L., Nappa, napu arésti, raba
Rapa selvatica o colza, Brassica campestris L. var. oleifera DC., Cauli arésti, nappòni
Ravanello, Raphanus sativus L., Aligarza, arràiga, rabanèlla
Ravizzone matto, Rapistrum rugosum All., Alaussa
Renaiola, Spergularia arvensis L., Spergularia rubra J. et C. Presl., Erbixedda e puḍḍa
Reseda bianca, Reseda alba L., Còa de gattu, strapuḍḍu de gani
Reseda gialla, Reseda lutea L., Còa de gattu
Reseda giallognola, erba guada, guaderella, Reseda luteola L., Còa de gattu, coròe, crocòe, giàllara
Ricino, Ricinus communis L., Cagaméngia, ollarricci
Ridolfia, aneto, Ridolfia segetum Moris, Fenùgu de margiáni, tzikkirìa
Riscolo, erba cali, soda, Salsola kali L., Salsola soda L., Curamarídus, erba de cristallu
Riso, Oryza sativa L. Arrósu, rísu
Rizzetta, Brassica adpressa Boiss., Alaùssa
Robbia, Rubia tinctorum L., Ciurixeḍḍa, sorixeḍḍa
Robbia coltivata, Rubia tinctorum L., Sorixèḍḍa
Robbia selvatica, Rubia peregrina L., Attsottalìmba, battilìmba,
ciurixèḍḍa, colalátti, pigalátti, rattalìmba, sorixèḍḍa
Robinia, Robinia pseudo-acacia L., Gaggìa, garzìa
Romice crespo o lapazio, Rumex conglomeratus L., Lampathu, lapathu
Romice d’acqua, Rumex bucephalophorus L., Melagréḍḍa
Romulea o zafferanetto selvatico, Iris selvatico, Iris sisyrinchium L., Castangiòla
Rosa, Rosa, Rosa
Rosa canina o rosa di monte, Rosa canina L., Baḍḍayólu, baḍḍerínos,
bolòstiu, colóstru, coròsti, fusighíttu, golóstiu, laḍḍèrighe, ninniéri,
olóstru, orrolàriu, orròsa cullári, pennuléri, pibirillò, rù buḍḍèrigos
Rosa di macchia o rosa selvatica, Rosa sempervirens L., Arròsa burda
Rosmarino, Rosmarinus officinalis L., Cìppari, tzìppiri
Rosolaccio, Papaver rhoeas L., Anna ‘e locu, bulláu, cicciulìa, erbiòi,
pubùsa, sitzìa, tanda, tzanda, zizzìa madonna, zizzìa pùdida
Roverella, Quercus pubescens Willd., Orroáli, orròli
Rovo, Rubus fruticosus L., Lama
Ruca o rucola, Dyplotaxis erucoides DC., Dyplotaxis muralis DC., Dyplotaxis
viminea DC., Eruca sativa Mill., Rucca, ambuàtza, armuratta, arrùcas, grozitta
Ruchetta o rucola, Dyplotaxis erucoides DC., Dyplotaxis muralis DC.,
Dyplotaxis viminea DC., Ambuàtza, armuratta
Ruta, Ruta graveolens, Curma, cùruma
Ruta caprina, Hypericum hircinum L., Brundeḍḍa
Ruta d’Aleppo o ruta sfrangiata, Ruta Halepensis L., Cùrma, cùruma

Saggina; o saggina da scope: Cerastium glomeratum Thuill., Sagina
procumbens L., Erba ‘e puḍḍas, erba puggionìna; anche Sorghum
saccharatum Moench., Saìna de scovas; anche Spergula arvensis L.,
Stellaria media Cyr., Erba e puḍḍas, erba puggionìna, ‘erba delle galline o burinella o saggina’
Salice, Salix alba, Tòa, thòa, tzarpa
Salice rosso, Salix aurita L. sp. vv., Salix fragilis L., Salix pentandra L., Salix
triandra L., Salix viminalis L., Attòa, sarpa, tzarpa
Salicornia, Salicornia herbacea L., Salicornia fruticosa L., Salsola vermiculata L., Sossòini
Salsapariglia, Clematis vitalba L., Alùssara, aussàra, auttsàra, attsàra, biḍḍighínzu, bintzillu,
intértsu, intréttsu, istérzu, luttsàra, pilighínzu, retti, rethi, rétiu, stérzu, vitikínzu
Salsapariglia nostrana, Smilax aspera L., Asmìla, brèḍḍula arèsta, razza,
serràda, tetti, tittiòni, ùrtsula, visiòni
Salvastrella, Sanguisorba minor Scop., Coi crispa, erba d’insiccatùri
Salvastrella maggiore, Sanguisorba officinalis L., Pimpinella spinosa
Salvia domestica, Salvia officinalis L., Folla salvia
Salvia minore o chiarella minore, Salvia verbenaca L., Luccàya pittìca
Salvia ortense, Salvia officinalis L., Salvia
Sambuco, Sambucus nigra L., Sabùcu, samùcu
Sambuco ebbio, Sambucus ebulus L., Sabùcu berbekínu
Sanguinaria, Panicum sanguinale L., Órgiu de arríu
Santolina, Santolina chamaecyparissus L., Santolina corsica, Coscos,
ungos; anche Santolina insularis, Murmuréu, (o murguléu)
Santoreggia, Satureja thymbra L., Murgulèu
Santoreggia coltivata, Satureja hortensis L., Tumu, tumbu
Santoreggia greca, Satureja graeca L., Mammuléu
Santoreggia sarda, Satureja thymbra L., Issòpo
Saponaria, Saponaria officinalis L., Erba e sabòni
Saponaria officinale, Saponaria officinalis L., Sabunária
Saponella, Saponaria officinalis L., Sabunária
Saracchio (e relativi steli), Ampelodesma mauritanica Dur.Schinz.,
Carculatzu, carcùri, cargùri, craccùri, cruccùri, curcùri
Sardonica o erba sardonia o ranuncolo, Ranunculus sceleratus L., Erba sardònia
Sassifraga, Asplenium trichomanes
Sassifraga bianca, Saxifraga granulata L., Erba de arrocca
Scagliola, Phalaris canariensis L., Accùcca, cucca, cucca cucca, erba guaḍḍàra
Scardiccione, scardaccione, Carthamus lanatus L., Cardumèle;
anche Scolymus hispanicus L., Cardu spinósu
Scarlina, Galactites tomentosa [L.] Moench, Cardu andzonínu, cardu de anzòne, cima de cibíru
Scilla o squilla, Urginea maritima Bak., Arbiḍḍa, aspriḍḍa, aspiḍḍa, cibuḍḍa de coga
Scilla maggiore, scilla d’autunno, Scilla autumnalis L., Ciccirríu
Sclarea o salvia sclarea o scanderona, Salvia sclarea L., Luccáia
Scopa da ciocco, Erica, Castanárgiu, fràmiu, salìna, tùora, tùvara, tùvera
Scordio, Teucrium scordium L., Iscòrdiu
Scorzonera selvatica, Scorzonera laciniata L., Crabiolìna
Scrofularia annuale, Scrophularia peregrina L., Suimèle
Scrofularia comune, Scrophularia aquatica L., Orciáu masédu, pitziánti masédu; anche Scrophularia
canina L., Arrud’e ganis; anche Scrophularia peregrina L., Suimèle; anche Scrophularia trifoliata L.,
Orciáu masédu, pitziánti masédu
Scuderi angustifolio, Phagnalon saxatile L., Erva e incóntru
Scuderi comune, Phagnalon rupestre, Phagnalon saxatile, Allùi fogu
Sedanina d’acqua, Apium nodiflorum [L.] Lag., Helosciadium nodiflorum Koch., Láu,
turbùsa, turgùsa, thurgùsa
Sedanino d’acqua o nasturzio o crescione d’acqua, Apium graveolens L., Cugùsa, Nasturtium
officinale L., Asciòne, giùru, giùru-giùru, grùspinu, gùspinu, maθùθuru, nasturnu, nartutzu, òspinu
Sedano, Apium graveolens L., Cugùsa, sèllaru
Sedano da coste, Apium graveolens L. var. dulce Mill., Thurgùsa, cugùsa, Sèllaru
Sedano selvatico, Apium graveolens L., Thurgùsa, cugùsa
Sedum, Sedum album L., Áxina de colóru
Sedum, Sedum caeruleum L., Erba de teulàda
Senapaccia selvatica, Sisymbrium irio L., Alaùssa
Senape bianca, Brassica adpressa Boiss., , Sinapis alba, Alaùssa, armulatta, giùspinu
Senape nera, Brassica nigra Koch., Ambuàttsa, armuràtta
Senape selvatica, Brassica arvensis Rabenh., Masaóccu
Senecio o erba calderina, Senecio leucanthemifolius L., Erba de cardanèras o pedruvèghe
Senecione, Senecio vulgaris L., Cagliùga, pedruvèghe
Senecione costiero, Senecio leucanthemifolius L., Erba de cardanèras
Seppola, Erigeron canadensis L., Erigeron crispus Pourr., Erba de arrùgas, erba de muru
Serpentaria, Arum dracunculus L., Frisa
Serpentaria, Dracunculus muscivorus Parl., Pappamusca
Serpillo, Thymus serpyllum L., Armiḍḍa, aspriḍḍa, nebidèḍḍa, tumu
Settembrina, Aster novi-Belgi Ness, Gravéllu de Orri
Silene, Silene sericea All., Gravéllu de mari
Smilace, Smilax aspera L., Tétti, tintiòni
Smirnio di Candia o corinoli arrotondato, Smyrnium perfoliatum L. var.
rotundifolium Mill., Girièlle, lisándru, brentèḍḍa, caccarágiu, culuèbba,
preiderìssa, petralìscia, occicánu, coriándru
Soda, riscolo, erba cali, Salsola kali L., Curamarídus, erba de cristallu
Soffione, Taraxacun officinale Web., Cicòria burda
Solano nero o erba mora, Solanum nigrum L., Magaidràxa, tomàta arésti
Sonaglini, Briza maxima L., Campaneḍḍas, erba de cani
Sonco, Reichardia picroides Roth., Mammaccicca, mammalucca
Sorbo, Sorbus domestica L., Subèlva
Sorbo domestico, Sorbus domestica L., Subèlva
Sorbo montano, Pyrus aria Ehrh., Lazzarólu de monte
Sorbo selvatico, Sorbus torminalis Crantz., Murikèssa
Sorgo, Sorghum vulgare Pers., Saìna
Sparto, Lygeum spartum L., Sonnia, tinnìa, tzinnigráxia
Sparto pungente, Ammophila arenaria Lk., Fenutraìnu
Sparzio villoso, Genista ferox Poir., Ispìna sorighìna
Spazzaforno, Thymelaea hirsuta Endl., Nerbiàttsa
Specularia, Specularia hybrida L., Campanèḍḍas
Spergola, Spergula arvensis L., Erbixèḍḍa e puḍḍas
Spicalora, Haynaldia villosa Schur., Erba gabiddùda; anche Triticum
villosum L., Erba gabiddùda
Spigolino, Bromus hordaceus L., Aèna murra
Spinaccio, Spinacea oleracea L., Spinácciu
Spinacristi, Lycium europaeum L., Prunacristi, ispìna santa
Spina porci, Poterium spinosum L., Spina ‘e topis
Spina santa comune, Berberis vulgaris L., Berberis aetnensis C.Presl., Spina Cristi
Spinello o carlina, Cirsium scabrum B. et B., Cardu candèla
Spinettoni, Scandix pecten-Veneris L., Erba de agùllas
Spolpagalline, Thymelaea tartonraira All., Erba de purgas
Sportellacchio, Portulaca oleracea L., Erba de porcus, proceḍḍàna
Spugnola, Morchella esculenta Pers., Scrafuddu, scrapuddu, strapuddu
Stachide, Betonica glutinosa vel Stachys glutinosa, Mummuéu, murguléu
Stafisagria, Delphinium Ajacis DC., Delphinium orientale J.Gay, Delphinium peregrinum L., Delphinium staphisagria L., Ammattsabiógu, Spròni de cavagliéri, pruèllas
Stramonio, Datura stramonium L., Erba pudéscia
Strappabrache o salsapariglia, Smilax aspera L., Asmìla, brèḍḍula arèsta,
razza, serràda, tetti, tittiòni, ùrtsula, visiòni
Strigoli, Silene cucubalus Wib., Crabighéḍḍu, Erba sonayòla
Strope o giunco, Juncus maritimus L. Tzinnìga
Sughera, Quercus suber L., Ciuréxiu, Còrtigu, Ortìgu, Sùara, Suélzu
Sulla o lupinella, Edysarum coronarium, Assuḍḍa
Susino, Prunus domestica L., Pruna

Tabacco, Nicotiana tabacum L., Tabaccu
Tamaro, Tamus communis L., Ligadòlza, piscialéttu, rétti
Tamerici, Tamarix africana Poir., Tamarix gallica L., Binu, tramatzu
Tanaceto, Chrysanthemum vulgare Barnh., Folla de santa Maria
Tanaceto riccio, Pyrethrum vulgare (var. a foglie riccie), Arindu
Tapsia, Thapsia garganica L., Féurra burda, tsittsiriòppis
Tarassaco, Taraxacum officinale L., Pabantsólu
Tasso, tasso delle montagne, Taxus baccata L., Éni, longufrésu
Tasso barbasso, Verbascum thapsus L., Vrìssa
Tentennino, Briza media L., Trémi-trémi
Terebinto, Pistacia terebinthus L., Accòdro, còdora, cordra, géspula, sopéri
Terebinto di Saporta, Pistacia saportae Burn., Kessa èra
Teriaca, Ononis viscosa L., Erba appiccigòsa, tiriacca
Testa di medusa, Elymus caput-medusae L., Spiga pilòsa
Teucrio, Teucrium massiliense L., Amentatzu
Teucrio giallo, Teucrium flavum L., Cramédiu e istròppios
Teucrio marsigliese, Teucrium massiliense L., Muguòes
Tignamica, Gnaphalium sp. v., Scova de santa Maria
Timelea, Thymelaea sp. v., Nerbiazza, scova de forru
Timo, Thymus capitatus H. et Lk., Thymus herba-barona, Thymus serpyllum
L., Thymus vulgaris L., Tumu
Timo arbustivo, Thymus capitatus H. et Lk., Tumu
Tombalo selvatico, Phagnalon rupestre, Phagnalon saxatile, Allùi fogu
Tornasole, Chrozophora tinctoria Raf., Erba de soli
Tribolo, Tribulus terrester L., Basapéis
Trifoglino, Lotus angustissimus L., Lotus corniculatus L., Truvulléḍḍu
Trifoglio, Medicago arabica Huds., Tuppitsa
Trifoglio a vescica, Trifolium spumosum L., Trevùllu bumbósu
Trifoglio bituminoso, Psoralea bituminosa L., Trevullu malu
Trifoglio di prato, Trifolium arvense L., Péi de léppuri
Trifoglio femminino, Medicago scutellata Mill., Trevullu arroliáu
Trifoglio striggine, Trifolium angustifolium L., Elva muttsòne
Trinciatella, Hyoseris radiata L., Chimèḍḍa, cicòria burda, pabantzòlu
Trippa di pecora, Hypochaeris radicata L., Cicòria burda
Tussilagine, Tussilago farfara L., Péi de molénti

Ulivo selvatico, Olea europaea L. var. oleaster, Arialthru, ollastu, agliastru
Ulivo coltivato, Olea europaea L. var. sativa Hoff. Lk., Arìba, olìa
Uva canina, Phytolacca decandra L., Bortaláke
Uva orsina, Arctostaphylos uva-ursi L., Artcostaphylos uva-ursi Spr.
Uva taminia, Tamus communis L., Ipparáu de ganníttu, ìde bianca, brodáu
coluvrínu, áxina de margiáni, ligadolza, tsucca marìna

Vaiola maggiore, Cerinthe major L., Tittiàcca
Valeriana, Valeriana officinalis L., Valerianella olitoria Polich, Erba moḍḍi
Vaniglia d’inverno o vaniglione, Petasites fragrans Presl., Péi de áinu, péi de bòi
Vaniglione o vaniglia d’inverno, Petasites fragrans Presl., Péi de áinu, péi de bòi
Veccia, Vicia sativa L., Pabasòlu, pispisi
Veccia di Narbona, Vicia narbonensis L., Fa burda (v. Faba)
Veccia selvatica, Vicia sativa L., Pabasólu, pisu de colóru
Veccione, Vicia cracca L., Faixèḍḍa arésti
Vedovelle celesti, Jasione montana L., Viudèḍḍa asùla
Vedovina, Knauthia integrifolia Bert., Viudèḍḍa arésti; anche Scabiosa atropurpurea L., Erba e sproni
Verbasco, Verbascum blattaria L., Verbascum conocarpum Moris,
Verbascum creticum (L.) Cav., Verbascum pulverulentum Vill., Verbascum sinuatum L., Locri
Verbasco maschio, Verbascum thapsus L., Bandèra de Santu Juanni,
cadrampu, cadrámpulu, cadùmbu, cadùmbulu, locri, trivoḍḍa, trovoḍḍa
Verbena, Verbena officinalis L., Brebèna
Verbenaca o chiarella minore o salvia minore, Salvia verbanaca L., Giòrica
Veronica, Veronica cymbalaria Bod., Veronica hederaefolia L., Veronica persica Pourr., Ninì
Vescia di lupo, Lycoperdon bovista L., Pisináke
Vescicaria, Colutea arborescens L., Erba de bucciùccas, sena
Vetrice, Salix alba L., Sálighe, sarpa, zrapa
Viburno o lentaggine, Viburnum tinus L., Malayàna, meliàna, miliàna, sambínzu, sisérbi
Vigna cinese, Vigna sinensis Edl., Fasólu de forággiu
Vilucchiello, Convolvolus cantabrica L., Melamidèḍḍa
Vilucchio, Convolvolus althaeoides L., Convolvolus arvensis L., Convolvolus
sepium L., Convolvolus soldanella L., Malamìda
Vilucchio fagiolino, Polygonum convolvolus S. et S., Melamìda manna (v. Malamìda)
Vilucchio maggiore, Calystegia sepium L. = Convolvolus sepium L., Malamìda
Viola, Viola hirta var. odorata L., Balau (bascu), balcu, tzonca
Viola del pensiero, Viola tricolor L., Pensiéris
Violacciocca, Mathiola incana L., Mathiola incana R. Br., Bascu
Violacciocca gialla, Cheiranthus cheiri L., Viola groga
Violacciocca marina, Viola marina, Mathiola tricuspidata R. Br., Bascu marínu, Berbèsa
Viola mammola, Viola hirta var. odorata L., Balcu
Viola vellutata, Tagetes patula L., Gravelléḍḍu vellutáu
Viperina azzurra, Echium vulgare L., Cotonòsa
Viperina maggiore o lingua, Echium italicum L., Còa de margiáni,
còi lòriga, limba de gane, pabulósu
Viperina piantaggine, Echium plantagineum L., Erba e porcus, limbùda, lolloiòsa
Visnaga, Ammi majus L., Cima gorìtta, muíttsu, tsikkirìa
Visnaga maggiore, Ammi majus L., Cima gorìtta, pistinàga arésti
Vitalba, Clematis vitalba L., Alùssara, aussàra, auttsàra, attsàra,
biḍḍighíndzu, bintzillu, intértsu, intréttsu, istérzu, luttsàra, pilighínzu,
retti, rethi, rétiu, stérdzu, vitikínzu
Vite bianca o brionia (cucurbitacea), Bryonia dioica Jacq., Melamìda, malamìda
Vulneraria annuale, Anthyllis tetraphylla L., Assuḍḍa burda
Vulneraria comune, Anthyllis vulneraria L., Assuḍḍa burda
Vulpia, Vulpia geniculata Lk., Vulpia ligustica Lk. (graminacee), Erba mustatzùda, erba stulàda

Zafferanetto comune, Romulea bulbocodium Seb. et M. var. ligustica Parl., Castangiòla
Zafferanetto selvatico (Romulea), Iris selvatico, Iris sisyrinchium L., Romulea
bulbocodium Seb.et M. var.ligustica, Castangiòla
Zafferano bastardo, Carthamus tinctorius L., Zafferanòni
Zafferano coltivato, Crocus sativus L., Tanfaránu
Zafferanone selvatico, Carthamus lanatus L., Spina nièḍḍa
Zizzania, Lolium perenne L., Lolium termulentum L., Allòrgiu malu, lullu malu
Zucca, Cucurbita maxima L., Cucurbita moschata Duch., Corcorìga, crucuriga
Zucca a frutto grosso, Cucurbita maxima L., Cucurbita moschata Duch., Corcorìga, crucuriga
Zucca da vino, Cucurbita lagenaria L. (Lagenaria vulgaris), Corcorìga de bínu, crucurìga
Zucca da zucchini, Cucurbita pepo L., Corcorighèḍḍa, tzucca
Zucca torta, Cucurbita moschata Duch., Corcorìga spagnòla

5. ELENCO ALFABETICO DEI FITONIMI
(nomi scientifici, sardi, italiani)

(I lemmi sardi in neretto sono trattati alfabeticamente nel Dizionario Etimologico annesso a questa Sezione; gli altri lemmi sardi sono varianti trattate assieme a tale voce)

Acantus mollis L., Ciuffi-ciuffi, èiva de sa Madalèna, folla de ferru, folla de
santu Jòrgi, folla de santu Nicoláu, fozza ligàda, ‘acanto’
Acer monspessulanus L., Costi, colostru, ‘acero’
Achillea ligustica All., Arculéntu, pádrimu, párdimu, ‘erba prota’, ‘achillea’
Achillea millefolium L., Erba de fertas, ‘achillea’
Adonis annua L., Ogu e bòi, ‘adonide annua’
Aegylops ovata L., Trigu antígu, trigu de frommìgas, ‘gramigna stellata’
Agropyrum repens Beauv., Cannayòni, carcángiu longu, ‘caprinella o dente canino’
Agropyrum repens L., Cannayòni, carcángiu longu, ‘caprinella o dente canino’
Agropyrum repens P.B., Cannayòni, carcángiu longu, ‘caprinella o dente canino’
Agrostemma githago L., Nieḍḍòne, ‘nigella scapigliata’
Alcanna tinctoria [L.] Tausch., Péi de colùmbu, péi golumbínu, ‘arganetta azzurra’
Allium ampeloprasum L., Porru, ‘aglio-porro’
Allium ampeloprasum L. var. Porrum L., Porru, ‘aglio-porro’
Allium cepa L., Chibùḍḍa, tziòḍḍa, ‘cipolla’
Allium porrum L., Porru, ‘aglio-porro’
Allium roseum L., Allu e carròga, ‘aglio selvatico’
Allium rotundum L., Allu e carròga, ‘aglio selvatico’
Allium subhirsutum L., Pili pili, ‘aglio selvatico’
Allium triquetrum L., Àp(p)ara, gusáju, sàmbula, sàmula, ‘aglio angolare, aglio selvatico’
Allium vineale L., Assangiòni, sàmbula, sàmula, ‘aglio selvatico’
Alnus glutinosa L., Álinu, élinu, ‘ontàno’
Aloe vera L., Galu, sebàda, ‘àloe’
Alopecurus bulbosus L., Coedòppi, ‘gramigna’
Alopecurus pratensis L., Coedòppi, ‘gramigna’
Althaea officinalis L., Altèa, ‘malva arborea’
Althaea rosea L., Bastòni de santu Juséppi, ‘malvone’
Alyssum maritimum Lam., Filogràna, ‘alisso’
Amanita caesarea, Caccareḍḍa, cakkeḍḍa, ‘ovolo buono’
Ammi majus L., Cima gorìtta, ‘ammi o visnaga’
Ammi visnaga [L.] Lam., Muíttsu, tsikkirìa, ‘aneto’, ‘visnaga’
Ammophila arenaria Lk., Fenu traìnu, fenu tranu, ‘ammofila’
Ampelodesma mauritanica Dur.Schinz., Carculatzu, carcùri, cargùri,
craccùri, cruccùri, curcùri, ‘saracchio’ e ‘steli del saracchio’
Anagallis arvensis L. (Glinus lotoides), Erba de buḍḍas, ‘anagallide’
Anagyris foetida L., Thilìmba, ‘anagiride o laburno fetido’
Anchusa azurea Mill., Burràccia, limba e bòes, linguaràda aresti, ‘buglossa azzurra’
Andropogon hirtus L., Erba de braba (braghi-braghi), ‘barboncino’
Anethum graveolens L., Tsikkirìa, ‘aneto’
Anthemis arvensis L., Concùda bianca, ‘camomilla bastarda’
Anthemis cotula L., Sittsìa pudéscia, ‘camomilla fetida’
Anthemis mixta L., Concùda, ‘camomilla bastarda’
Anthemis precox Lk., Sittsìa pudéscia, ‘camomilla precoce’
Anthoxanthum odoratum L., Fenu bónu, ‘paleo odoroso’
Anthriscus cerefolium Hoffm., Burtsèra, pruttsèra, purtsèra, ‘cerfoglio selvatico’
Anthyllis tetraphylla L., Assuḍḍa burda, ‘vulneraria annuale’
Anthyllis vulneraria L., Assuḍḍa burda, ‘vulneraria comune’
Antirrhinum majus L., Mortu niéḍḍu, ‘bocca di leone’,
Antirrhinum orontium L., Mortu niéḍḍu, ‘gallinaccio’
Apium graveolens L., Cugùsa, ‘crescione selvatico’, ‘sedanino d’acqua’ (anche come ‘sedano’)
Apium graveolens L. var. dulce Mill., Thurgùsa, cugùsa, sèllaru, ‘sedano selvatico’, ‘sedano’
Apium nodiflorum [L.] Lag., Láu, , turbùsa, turgùsa, thurgùsa, ‘sedanina d’acqua’
Aquilaria agallocha, Galu, ‘legno di àloe’
Aquilaria malaccensis, Galu, ‘legno di àloe’
Aquilegia vulgaris L., Tres follas, ‘aquilegia’
Arachys hypogea L., Nužeḍḍa americana, ‘arachide’
Arbutus unedo L., Aíttho, braghi-braghi, erba de braba, lidòne, liòni, olidòne, olliòni, ‘corbezzolo’
Arctium lappa L., Ispròne, ‘bardana o lappa’
Arctostaphylos uva-ursi L., ‘uva orsina’
Arctostaphylos uva-ursi Spr., ‘uva orsina’
Arisarum vulgare Targ., Arizáru, origa de léppuri, ‘arisaro, gilico’
Aristolochia clematitis L., ‘aristolochia’
Aristolochia rotunda L., Croccorìga burda, Curcurìga burda, ‘aristolochia’
Armeria fasciculata W., Rosa marina, ‘piombaggine’
Artemisia abrotanum L., Arculéntu, ‘abrotano’
Artemisia arborescens L., Atténtu, ‘assenzio’
Arum dracunculus L., Frisa, ‘serpentaria’
Arum italicum Mill., Carica e porcu, folla de casarèsa, ozza e casadìna,
sattsaròi, θoθθòròiu, θoθθòriu, ‘aro o gigaro’
Arum maculatum L., Lingua e cani, ‘aro o gigaro’
Arum pictum L., Aru, sattsaròi, tattaròyu, thotthòriu, ‘gigaro’
Arundo donax L., Canna, ‘canna’
Arundo phragmites L., Canna arèsta, canna ávrina, ‘canniccio, canna di palude’
Asparagus acutifolius L., Brodáu, ‘asparago selvatico’
Asparagus albus L.
Asphodelus phistulosus L., Arbutthu, cadrillòni, caližòne, cardillòni,
iscarèa, iscraréia, tarabùcciulu, tarabùttsulu, ‘asfodelo’
Asphodelus ramosus Gay, Arbutthu, cadrillòni, caližòne, cardillòni, iscarèa,
iscraréia, tarabùcciulu, tarabùttsulu, ‘asfodelo’
Asphodelus ramosus L., Arbutthu, ‘asfodelo’
Asplenium trichomanes, ‘sassifraga’
Aster chinensis L., Regina Margherita, ‘astro della Cina’
Aster novi-Belgi Ness, Gravéllu de Orri, ‘settembrina’
Asteriscus spinosus Sch.-Bip., Spronióru, ‘calcatreppola gialla’
Astragalus baeticus L., Cafféi, ‘astragalo falciforme’
Astragalus hamosus L., Erba de gamu, ‘meliloto falso’
Astragalus tragacantha L.p.p., Madrùncula, matsunga, matsùngara, ‘astragalo’
Atractylis gummifera L., Cardu cabíḍḍu, musciurìda, musciurìlla ‘carlina’
Atriplex halimus L., Èlamu, èleme, sèlebra, ‘alimo’
Atriplex hastata L., Erba de férru, ‘atreplice comune’
Atriplex hortensis L., Cadòne, ‘atreplice o bietolone rosso’
Atriplex portulacoides L., Tsibba, ‘porcellana di mare’
Atropa belladonna L., Erb’i oppus
Avena barbata Brot., Aèna murra, avenárzu, enárgiu, fenaìle, fenáulu, fénu pùdiu, ‘avena selvatica’
Avena fatua L., Aèna murra, avenárzu, enárgiu, fenaìle, fenáulu, fénu pùdiu, ‘avena selvatica’
Avena sterilis L., Aèna murra, avenárzu, enárgiu, erba pùdia, fenaìle,
fenápu, fenáulu, fenu pùdiu, ‘avena selvatica’

Ballota nigra L., Marrùbiu niéḍḍu, ‘ballotta’
Bartsia latifolia S. et S., Eufrágia, ‘perlina rossiccia’
Bartsia trixago L., Piricóccu, ‘perlina minore’
Bartsia viscosa L., ‘perlina maggiore’
Bellardia trixago L., Piricóccu, ‘perlina minore’
Bellis annua L., Margheritèḍḍa, ‘pratolina annuale’
Bellis perennis L., Concùda, sitzìa, ‘pratolina’
Bellis sylvestris Cyr., Margheritèḍḍa, ‘pratolina autunnale’
Berberis vulgaris L., Spina de Cristu, ‘crespino’
Beta vulgaris L. var. cicla, Zèa, ‘bietola’
Beta vulgaris L. var. perennis, Zèa, ‘bietola’
Beta vulgaris var. rubra, Biarràba, ‘bietola rossa’
Betonica glutinosa vel Stachys glutinosa, mummuéu, murguléu, ‘stachide’
Boletus edulis Bull., Angùli, ‘porcino’
Borrago officinalis L., Burràccia, limbòina, limbònia, linguaràda, muccu-muccu, ‘borragine’
Brachypodium pinnatum P.B., Erba e perda, fenu ávrinu, ‘paleo comune’ (una graminacea)
Brassica adpressa Boiss., Alaùssa, ‘senape bianca’
Brassica arvensis Rabenh., Masaóccu, ‘senape selvatica’
Brassica campestris L. var. oleifera DC., Masaóccu, ‘rapa selvatica’
Brassica campestris L. var. rapa
Brassica napus L., Brassica rapa, Napu, nappa, ‘navone’
Brassica nigra Koch., Ambuàttsa, armuràtta, ‘senape nera’
Brassica oleracea L., Cáule, cáura, ‘cavolo’
Briza maxima L., Campaneḍḍas, erba de cani, ‘sonaglini’
Briza media L., Trémi-trémi, ‘tentennino’
Briza minor L., Trémi-trémi, ‘brillantina’
Bromus hordaceus L., Aèna murra, ‘spigolina’
Bromus ramosus L., Aèna, aèna burda, ‘bromo selvatico’
Bromus sterilis L., Cuscusòni
Bromus villosus L., Aèna, aèna burda, ‘bromo selvatico’
Brunella vulgaris L., Brunèḍḍa, ‘brunella’
Bryonia dioica Jacq., Melamìda, malamìda, ‘vite bianca’ (cucurbitacea)
Bunias erucago L., Alaùssa ‘navone selvatico’, Sinapis alba ‘senape bianca’
Bupleurum falcatum L., Tsikkirìa burda, ‘bupleuro’
Bupleurum fruticosus L., Erba de ule, laru gràbinu, ‘bupleuro cespuglioso’
Bupleurum rotundifolium L., Tsikkirìa burda, ‘bupleuro perfoliato’
Buxus sempervirens L., Bùssulu, ‘bosso’

Cachrys libanotis, ‘libanotide’
Cakile maritima L., Arrùcca de mari, ‘baccherone’
Calendula officinalis L., Concùda, sittsìa mòssia, ‘calendula o fiorrancio’
Calendula officinalis var. arvensis, Concùda, sittsìa mòssia, ‘calendula selvatica’
Calluna vulgaris L., Castanárju, ‘erica’ (arborea, scoparia)
Calycotome villosa Link, Tirìa, ‘falsa ginestra o sparzio villoso’
Calystegia sepium L. = Convolvolus sepium L., Malamìda, ‘vilucchio maggiore’
Campanula erinus L., Campanèḍḍas, ‘campanelle’
Cannabis sativa L., Cannavàglio, ‘canapa’
Capparis spinosa L., Tàpparas, ‘cappero’
Capsella bursa-pastoris L., Erba de fémminas, iparra-pacciócciu, isperra-
cozzònes, isperra-culu, sperra-pillittu, ‘borsa del pastore’
Capsicum annuum L., Pìbere moriscu, pebaròni, ‘peperone’
Carduum pycnocephalus L., Baldu ainínu, ‘cardo dei campi’
Carex muricata L., Sega dídus, ‘loglio palustre’
Carlina acaulis L., Musciurìda, musciurìlla, ‘carlina’
Carlina corymbosa L., Cardu candèla,
Carlina corymbosa sp. corymbosa, Cima pastòra, ‘carlina, spinello’
Carlina gummifera Less., Cardu cabíḍḍu, musciurìda, musciurìlla, ‘carlina’
Carlina lanata L., Spinàrba, ‘carlina’
Carlina racemosa L., Spinàrba, ‘carlina’
Carpinus betulus, Aùrri, ‘carpino bianco’
Carthamus coeruleus L., Cima cimella, ‘cardoncello’
Carthamus lanatus L., Cardumèle, ‘scardaccione’
Carthamus tinctorius L., Zafferanòni, ‘zafferano bastardo’
Castanea sativa Mill., Castanza, ‘castagno’
Caucalis daucoides L., Cuscusonéḍḍu, ‘lappola carota’
Celsia cretica L., Cadùmbu froríu, ‘celsia’
Celtis australis L., Cigràxia, sugràxia, urriàca, ‘bagolaro’
Centaurea aspera L., Cadalàva, ‘calcatreppola, cardo stellato’
Centaurea calcitrapa L., Cadalàva, spina cixirèḍḍa, ‘calcatreppola, cardo stellato’
Centaurea cyanus L., Fiordalísu, ‘fiordaliso’
Centaurea napifolia L., Panecuccu, ‘fiordaliso grande’
Centaurea solstitialis L., Cadattu, ‘cardo stellato’
Centaurea sphaerocephala L., Cadalàva, ‘calcatreppola, cardo stellato’
Cerastium glomeratum Thuill., Erba ‘e puḍḍas, erba puggionìna, ‘erba delle galline
o burinella o saggina’
Ceratonia siliqua L., Tilìmba, ‘carrubo’
Cercis siliquastrum L., Siliqua a frori arrùbiu, ‘albero di Giuda’
Cerinthe major L., Tittiàcca, ‘vajola maggiore’
Chamaerops humilis L., Paimítzu, ‘palmizio, palma nana’
Cheiranthus cheiri L., Viola groga, ‘violacciocca gialla’
Chelidonium majus L., Erba de tzerras, ‘celidonia, erba dei porri’
Chenopodium album L., Cadòni, ‘chenopodio’
Chenopodium Bonus Henricus L., Cadòni, ‘chenopodio’
Chenopodium murale L., Cadòni, ‘chenopodio’
Chenopodium opulifolium Schrad., Cadòni, ‘chenopodio’
Chenopodium polispermum L., Cadòni, ‘chenopodio’
Chenopodium viride L., Tròvulu, ‘chenopodio’
Chenopodium vulvaria L., Cadòni, ‘chenopodio’
Chondrilla juncea L., Limporra, lipòrra, lisporra, ‘lattaiola’
Chrozophora tinctoria Raf., Erba de soli, ‘tornasole’
Chrysanthemum balsamita L., Folla de santa Maria, ‘erba amara, balsamita’
Chrysanthemum coronarium L., Belléi de caḍḍu, cagarantzu, caragantzu,
chirièlle, coccoinìnni, ‘fior d’oro, bottone d’oro’
Chrysanthemum leucanthemum L., Sitzìa, ‘margherita selvatica’
Chrysanthemum segetum L., Belléi de caḍḍu, cagarantzu, caragantzu,
chirièlle, coccoinìnni, ‘fior d’oro, bottone d’oro’
Chrysanthemum vulgare Barnh., Folla de santa Maria, ‘tanaceto’
Cichorium endivia L., Indìria, ‘endivia’
Cichorium intybus L., Lattièḍḍa proceḍḍìna, ‘cicoria selvatica’
Cirsium italicum DC., Bardu candèla, cardu candèla, ‘cardo asinino, scardaccione’
Cirsium scabrum B. et B., Cardu candèla, ‘carlina, spinello’
Cistus incanus L., Mudégiu, mutréku, ‘cisto’
Cistus monspeliensis L., Mùcciu, mudégiu, mutréku, ‘cisto’
Cistus salvifolius L., Mudégiu, mutréku, ‘cisto’
Citrus limon, Limòni, ‘limone’
Clematis cirrhosa L., Luttsàra, aussàra, mussòrgia, , vitikinzu, ‘clematide’
Clematis flammula L., Alùssara, luttsàra, vitikinzu, aussàra, ‘flammola’
Clematis vitalba L., Alùssara, aussàra, auttsàra, attsàra, biḍḍighínzu,
bintzillu, intértsu, intréttsu, istérzu, luttsàra, pilighínzu, retti, rethi, rétiu,
stérzu, vitikínzu, ‘clematide, vitalba’, ‘strappabrache’
Cnicus benedictus L., Cardu santu, ‘cardo benedetto’
Colchicum autumnale L., Ossòne, fossòne, ‘colchico’
Colutea arborescens L., Erba de bucciùccas, sena, ‘colutea, vescicaria’
Conium maculatum L., Aùssa, biḍḍùri, buḍḍùri, ‘cicuta’
Convallaria majalis L., Giunchìglia (v. Giunkìgliu), ‘mughetto’
Convolvolus althaeoides L., Malamìda, ‘vilucchio’
Convolvolus arvensis L., Malamìda, ‘vilucchio’
Convolvolus sepium L., Malamìda, ‘vilucchio’
Convolvolus soldanella L., Malamìda, ‘vilucchio’
Corylus avellana L., Oḍḍàna, ‘nocciola’
Cotyledon umbilicus-Veneris L., Cáliche, cálighe, sálighe, ‘ombelico di Venere’
Crataegus azarolus L., Lazaròla, ‘lazzeruolo’
Crataegus monogyna, Calàbrike, calarìghe, ‘biancospino’
Crataegus oxyacantha L., Caccaéḍḍu, calábrike, calarìghe, caráviu, ‘biancospino’
Crepis bulbosa Tausch, Mammaccìcca, ‘jeracio bulboso’
Crepis vesicaria L., Lattòsa, ‘cicoria falsa’
Crocus sativus L., Tanfaranu, ‘zafferano’
Cucumis citrullus Ser., Sìndria, ‘angùria’
Cucumis melo L., Melòni (v. cugùmmaru), ‘popone’
Cucumis sativus L., Cugùmmaru, ‘cetriolo’
Cucurbita maxima L., Corcorìga, crucuriga, ‘zucca’
Cucurbita moschata Duch., Corcorìga, crucurìga, ‘zucca’
Cucurbita pepo L., Croccorìga, cruccurìga, curcurìga, tzucca, ‘zucca’
Cyclamen repandum S. et S., Caccácu, caccasennorèḍḍa, cukkéḍḍu,
cuccu, cuccùi, cuccummiáu, léppuri sposu, ortiéḍḍu e padenti,
pipirillòḍḍi, pittánu, sennorèḍḍa, ‘ciclamino’
Cynara cardunculus L. var. altilis, Carduréu, guréu, ‘cardo selvatico’
Cynara cardunculus L. var. scolymus L., Carduréu, guréu, ‘cardo selvatico’
Cynara cardunculus L. var. silvestris Lam., Carduréu, guréu, ‘cardo selvatico’
Cynodon dactylon Pers., Cannayòni, erámine, grámene, noroḍḍásile, orodássile, rámine, ‘gramigna’
Cynoglossum creticum L., Nughe-nughe, orìga de gani, ‘lingua di cane’
Cynoglossum officinale L., Orìga de gani, ‘cinoglosso’
Cynosurus cristatus L., Coedòppi, ‘gramigna’
Cyperus longus L., Sènsene, sènzene, séssini, ‘giunco’
Cyperus rotundus L., Mamma de séssini, ‘erba rossa’
Cytisus monspessulanus L., Martigùsa, Semegùsa, ‘citiso, ginestra bianca’
Cytisus scoparius Lk., Ginestra, ‘ginestra dei carbonai’
Cytisus triflorus L’Her., Martigùsa, massigùssia, ‘lerca’
Cytisus villosus Pour., Martigùsa, massigùssia, ‘lerca’

Dactylis glomerata L., Accùcca, cucca, ‘avena’
Damascella arvensis L., Frori de passiòni, ‘nigella scapigliata’
Daphne gnidium L., Catheḍḍìna, isculabadèḍḍa, truíscu, turbíscu, ‘cocco gnidio’
Datura stramonium L., Erba pudéscia, ‘stramonio’
Daucus carota L., Arigáglia, aricáglia, nugheḍḍa, pistinàga, pubusòne, ‘carota selvatica’
Daucus carota L. var. sativus DC., Arigáglia, aricáglia, pistinàga, ‘carota coltivata’
Delphinium Ajacis DC., Spròni de cavagliéri, pruèllas, ‘stafisagria’
Delphinium orientale J.Gay, Spròni de cavagliéri, pruèllas, ‘stafisagria’
Delphinium peregrinum L., Spròni de cavagliéri, pruèllas, ‘stafisagria’
Delphinium staphisagria L., Ammattsabiógu, ‘stafisagria’
Dianthus caryophillus L., Gravéllu, ‘garofano’
Dianthus silvestris, Gravellínu, ‘garofano selvatico’
Digitalis purpurea L., Erba de santu Lenardu, panderèḍḍa, pitiólu, tsacca-tsacca, ‘digitale’
Dipsacus ferox Lois., Amorái, arièḍḍa, artiòccoro, canna de amorái, canna de morái,
canna ùrpina, ciòcciri, isciòccoro, istiòccoro, sòcciri, uscradínu de porcu, ‘cardo dei lanaioli’
Dipsacus fullonum L., Amorái, arièḍḍa, artiòccoro, billòttiri, canna de
amorái, canna de morái, canna ùrpina, ciòcciri, isciòccoro, issòccoro,
istiòccoro, murràna, murrària, sòcciri, thiòccoro, uscradínu de porcu, ‘cardo dei lanaioli’
Dipsacus sylvester L., Arièḍḍa, artiòccoro, canna de morái, canna ùrpina, ciòcciri, isciòccoro,
issòccoro, istiòccoro, murràna, murrària, sòcciri, uscradínu de porcu, ‘cardo dei lanaioli’
Dittrichia viscosa L. = Inula viscosa Ait., Frisa, frissa, ‘ceppita o enula’
Dorycnium pentaphyllum Scop., Trevulléḍḍu, ‘moscino’
Dorycnium rectum Ser., Trevùllu de arríu, trivozzu cabaḍḍínu, ‘doricnio’
Dracunculus muscivorus Parl., Pappamusca, ‘erba serponi, serpentaria’
Dyospiros kaki, Caccu, ‘kaki’
Dyplotaxis erucoides DC., Ambuàtza, Armuratta, ‘rughetta selvatica, rucola selvatica’
Dyplotaxis muralis DC., Ruchitta, Rughitta, ‘ruca, ruchetta’
Dyplotaxis viminea DC., Ruchitta, Rughitta, ‘ruca, ruchetta’

Ecballium elaterium A. Rich., Cucùmbiri arésti (v. Cugùmmaru), ‘cocomero asinino’
Echium italicum L., Còa de margiáni, còi lòriga, limba de gane, pabulósu,
‘viperina maggiore’, ‘lingua’
Echium plantagineum L., Erba ‘e porcus, limbùda, lolloiòsa, ‘viperina piantaggine’
Echium vulgare L., Cotonòsa, ‘viperina azzurra’
Edysarum coronarium, Assuḍḍa, ‘sulla o lupinella’
Elminthia echioides, Artiòccoro, ciòcciri, issòccoro, sòcciri, ‘cardo dei lanaioli’
Elymus caput-medusae L., Spiga pilòsa, ‘testa di medusa’
Equisetum arvense L., Còa de guáḍḍu, ‘coda cavallina’
Equisetum maximum Lam., Còa de guáḍḍu, ‘equiseto o coda cavallina’
Equisetum palustre L., Sìntsiri, surváche, ‘equiseto’
Equisetum telmateja Ehrh., Pilu ‘e yàna, ‘equiseto massimo’
Erica arborea L., Castanárgiu, ghiḍḍóstru, iḍḍóstru, tùora, tùvara, tùvera, ‘erica’
Erica scoparia L., Castanárgiu, fràmiu, salìna, tùora, tùvara, tùvera, ‘erica’
Erica terminalis L., Castanárgiu, fràmiu, salìna, tùora, tùvara, tùvera, ‘erica’
Erigeron canadensis L., Erba de arrùgas, erba de muru, ‘impia, seppola’
Erigeron crispus Pourr., Erba de arrùgas, erba de muru, ‘impia, seppola’
Erodium botrys Bert., Agullas de S.Maria, arrellògius, erba de agullas, ‘erodio’
Erodium ciconium L’Hér., Agullas de S.Maria, arrellògius, erba de agullas, ‘erodio’
Erodium cicutarium L’Hér., Agullas de S.Maria, arrellògius, erba de agullas, ‘erodio’
Erodium malacoides L’Hér., Agullas de S.Maria, arrellògius, erba de agullas, ‘erodio’
Erodium moschatum L’Hér., Agullas de S.Maria, arrellògius, erba de agullas, ‘erodio’
Eruca sativa Mill., Arrùcas, grozitta, rucca, ‘ruchetta, rucola’
Eryngium campestre L., Cardedònna, cardu arrángiu, cardu de anzòne,
cardu donna, cardu mattsòne, cima de pastòri, mammaráida, péi de
cani, spina e arròda, spina e corra, ‘calcatreppolo’
Eryngium maritimum L., Cadattu, spina e corra, ‘calcatreppola marina, eringio’
Eryngium planum Matth., Cardedònna, cardu arrángiu, cardu de anzòne,
cardu donna, cardu mattsòne, cima de pastòri, mammaráida,
péi de cani, spina ‘e arròda, spina e corra, ‘calcatreppolo’
Eryngium tricuspidatum L., Péi de cani, ‘calcatreppolo’
Eryngium viride Link., Cardedònna, cardu arrángiu, cardu de anzòne, cardu donna, cardu mattsòne,
cima de pastòri, mammaráida, péi de cani, spina e arròda, spina e corra, ‘calcatreppolo’
Erythraea maritima Pers., Brundajòla, ‘biondella’
Eucalyptus sp. Vv., Eucarittu, ‘eucalipto’
Euonymus europaeus L., Sambínzu, ‘fusaggine’
Euphorbia characias L., Lattòrighe, lùa, tòmbari, ‘euforbia’
Euphorbia dendroides L., Isculacàcca, lùa, titìmbaru, ‘euforbia’
Euphorbia helioscopia L., Lattòrighe, lùa, ‘euforbia’
Euphorbia lathyris L., Lattòrighe, lùa, ‘euforbia’
Euphorbia peplis L., Lattòrighe, lùa, ‘euforbia’
Euphorbia pithyusa L., Lattòrighe, lùa, titìmbaru, ‘euforbia’
Euphrasia officinalis L., Eufrágia, ‘perlina minore’

Fagus sylvatica L., Fággiu, fáu, ‘faggio’
Fedia cornucopia Gaertn., Erba moḍḍi, ‘ciocca’
Ferula communis L. Férula, ‘ferula’
Festuca elatior L., Accùcca, cucca, ‘gramigna fusaiola’
Ficus carica L. var. caprificus Risso, Crabuvígu, ‘caprifico’
Ficus carica L. var. sativus Fior., Figu, ‘siconio e albero di fico’
Foeniculum piperitum Sweet, Fenùgu agru, fenùgu marigósu, ‘finocchio forte’
Foeniculum sativum Bert., Fenùcru, fenùgu, ‘finocchio’
Fraxinus excelsior l., Frassu, ollastu de arríu, ‘frassino’
Fraxinus ornus L., Linnarbu, ‘orniello’
Fritillaria persica L., Lillu persiánu, ‘fritillaria’
Fumaria capreolata L., Cambirùya, ‘fumaria’ (v. Parietaria officinalis)
Fumaria officinalis L., Poddinéḍḍu arrùbiu, ‘fumaria’

Gagea arvensis Dum., Lillixéḍḍu grogu, ‘cipollaccia gialla’
Galactites tomentosa [L.] Moench, Cardu andzonínu, cardu de anzòne, cima de cibíru, ‘scarlina’
Galium aparine L., Rattalìmba, piga-piga, pìttiga-pìttiga, ‘caglio, presuola’
Galium murale All., Pìga-pìga, ‘attaccamani’
Galium palustre L., Pìga-pìga, ‘attaccamani’
Galium parisiense L., Pìga-pìga, ‘attaccamani’
Galium schmidii Arr., Appòḍḍa-appòḍḍa, ‘attaccamani’
Galium verum L., Ciurixèḍḍa, sorixèḍḍa, ‘robbia selvatica’
Genista acanthoclada DC. ssp. Sardoa, Ciurexìna, Sorighìna, ‘ginestra sarda’
Genista aetnea DC., Àdanu, ‘ginestra dell’Etna’
Genista corsica [Loisel.] DC., Sorighìna, ‘ginestra corsica, ginestra feroce’
Genista ephedroides DC., Abbruskiadínu, tirìa, ‘ginestra’
Genista ferox Poir., Ispìna sorighìna, ‘sparzio villoso’
Genista morisii Colla, Sorighìna, ‘ginestra corsica, ginestra feroce’
Gentiana lutea L., Brundìna, brundajòla, ‘genziana’
Geranium robertianum L., Erba de sánguni, erba de fogu, ‘cicuta rossa, erba cimicina’
Geranium rotundifolium L., Erba de sánguni, erba de fogu, ‘cicuta rossa, erba cimicina’
Gladiolus segetum Ker-Gawl., Ispadòne, ‘gladiolo selvatico’
Gladiolus segetum L., Lillu sposu, ‘gladiolo’
Glaucium corniculatum Curt., Babaòi currùdu, ‘papavero cornuto’
Glaucium flavum Crantz, Babaòi currùdu, ‘papavero giallo’
Glechoma hederacea L., Erba de funtanèḍḍas, ‘edera terrestre’
Gleditsia triacanthos l., Garzìa, ‘acacia falsa’
Glinus lotoides L. (Anagallis arvensis), Erba e buḍḍas, ‘anagallide’
Globularia alypum L., Viudèḍḍa arésti, ‘alipo’
Globularia cordifolia L., Lukkìttu, lukkettu
Glyceria distans Wahl., Lullu de àqua, ‘fienarola d’acqua’
Glycyrrhiza glabra L., Licaríssu, arregalìtzia, ‘liquirizia’
Gratiola officinalis L., Bokkicabáḍḍu, bocciguáḍḍu, ‘graziola’

Halimium halimifolium, Álimu, ‘alimo’
Halimon portulacoides L., Tsibba, ‘porcellana di mare’
Haynaldia villosa Schur., Erba gabiddùda, ‘spicalora’
Hedera, Èra, ‘edera’
Hedysarum capitatum L., Assuḍḍixèḍḍa, ‘lupinella selvatica’
Hedysarum coronarium L., Assùḍḍa, ‘lupinella, sulla’
Helianthemum guttatum Mill., Rudèḍḍa de monte, (cistacea)
Helianthemum halimifolium Pers., Murdégu biancu, álimu, ‘alimo’
Helichrysum italicum G. Don., Arkimissa, mantéḍḍos, muntéḍḍos,
‘elicriso o canapicchia’
Heliotropium europaeum L., Erba e soli, ‘eliotropio’
Helleborus lividus Ait., Billèlla, billèllara, ‘elleboro’
Helminthia echioides Gaertner., Ciòcciri, artiòccoro, isciòccoro, sòcciri, ‘aspraggine, linguella’
Helosciadium nodiflorum Koch., Láu, , turbùsa, turgùsa, thurgùsa, ‘sedanina d’acqua’
Hemerocallis flava L., Lillu indoráu, ‘bella di giorno bionda’
Hemerocallis fulva L., Lillu arrùbiu, ‘bella di giorno, giglio turco’
Hieracium auricula L., Cicòria burda, ‘ieracio’
Holcus lanatus L., Accùcca, cucca, erba pilùda, ‘bambagiona’
Hordeum bulbosum L., Accùcca, cucca, ‘avena’
Hordeum distichum L., Òrju, òrgiu, ‘orzo coltivato’
Hordeum exastichum L., Òrgiu furistéri, ‘orzo coltivato a spiga corta’
Hordeum murinum Huds., Orgixéḍḍu e tòpis, ‘Orzo murino’
Hordeum murinum L., Òrgiu e tòpis, ‘orzo selvatico’
Hordeum tetrastichum L., Òrgiu, ‘orzo coltivato’
Hordeum vulgare L., Forráni, ferrágine, ‘orzo selvatico’
Humulus lupulus L., Lùpulu, ‘luppolo’
Hyacinthus fastigiatus L., Giassíntu, ‘giacinto alto’
Hyacinthus orientalis L., Giassíntu, ‘giacinto comune’
Hymenocarpus circinnatus Savi, Assuḍḍixèḍḍa burda, ‘imenocarpo’
Hyosciamus albus L., Muttùtturu, ‘giusquiamo’
Hyosciamus niger L., Muttùtturu, ‘giusquiamo’
Hyoseris radiata L., Kimèḍḍa, cicòria burda, pabantzòlu, ‘trinciatella’
Hypericum hircinum L., Brundeḍḍa, ‘ruta caprina’
Hypericum perforatum L., Erba de piricoccu, ipéricu, pericòne, ‘iperico’
Hypochaeris cretensis Chaub. et Bory, Cicòria burda, ‘radichiella’
Hypochaeris radicata L., Cicòria burda, ‘trippa di pecora’
Hyssopus officinalis L., Issópu, ‘isopo’

Ilex aquifolium L., Alási, bolóstiu, caracùtu, colóstru, coròsti, costi, lòstia, olòsi, olóstru, osti, ‘agrifoglio’
Inula crithmoides L., Erba pùdida, ‘enula baccici’
Inula graveolens L., Frissa pudéscia, ‘ceppita’
Inula graveolens, Frisa, frissa, ‘ceppita o enula’
Inula viscosa Ait., Frisa, frissa, ‘ceppita o enula’
Iris florentina L., Spada, ‘iride fiorentina’
Iris germanica L., Lillu asùlu, ‘iris o giaggiolo’
Iris planifolia Dur. et. Schinz., Lillu asùlu, ‘iris dai fiori violacei’
Iris pseudo-acorus L., Lillu de arríu, lillu grógu, ‘acoro, coltellaccio, giglio giallo’
Iris sisyrinchium L., Castangiòla, ‘iris selvatico’, ‘zafferanetto selvatico’ (Romulea)
Isatis tinctoria L., Guádu, ‘erba guado’

Jasione montana L., Viudèḍḍa asùla, ‘vedovelle celesti’
Jasminum sambac L., Gesmèlla, ‘gelsomino arabo’
Jasminum sp. varr., Gelsomínu, ‘gelsomino’
Jeniperus (vedi Juniperus)
Juglans regia L., Còccoro, ‘noce’
Juncus acutus L., Tzinnìga, ‘giunco spinoso’
Juncus articulatus L., Tzinnìga, ‘giunco’
Juncus maritimus L. Tzinnìga, ‘giunco, strope’
Juniperus communis L. var. nana Willd., Ghinìperu, nìbbaru, nìbberu, ‘ginepro’
Juniperus oxycedrus L., Ajácciu, gjáccia, nìbbaru, nìbberu, ‘ginepro’
Juniperus phoenicea L., Gjàccia, jàccia, jacciòne, nìbbaru, nìbberu, sabínu, ‘ginepro fenicio’

Knauthia integrifolia Bert., Viudèḍḍa arésti, ‘vedovina’
Koeleria Phleoides Pers., Erba e canis, ‘gramigna dei viottoli’; Briza maxima, ‘sonaglini’

Lactuca saligna L., Lattùca areste, ‘lattuga selvatica’
Lactuca scariola L. var. sativa, Lattùca, làttia, lattùca, ‘lattuga’
Lactuca scariola L. var. silvestris Lam., Làttia arruffàda, ‘lattuga selvatica’
Lactuca virosa L. Làttia arésti, ‘lattuga velenosa’
Lagenaria vulgaris Ser., Corcorìga de bínu (v. Curcurìga), ‘zucca da vino’
Lagurus ovatus L., Mussi mussi, ‘piumino’
Lamium amplexicaule L., Pitzianti masédu, ‘lamio’
Lathyrus annuus L., Pisu de colóru, ‘cicerchia selvatica’
Lathyrus aphaca L., Kérigu, kìrigu, cogòdi, pisu, pisùrci, prisùcci, ‘afaca o pisello selvatico’
Lathyrus articulatus L., Letìtera, latìtera, litìtera, ‘cicerchia selvatica’
Lathyrus cicera L., Inkìsa, pisu de colóru, ‘cicerchia, erba galletta’
Lathyrus ochrus D., Pisu de colóru, ‘cicerchia pisellina’
Lathyrus odoratus L., Pisu de colóru, ‘pisello selvatico’
Lathyrus sativus L., Ankìscia, denti di béccia, tresàtzas, ‘cicerchia, erba galletta’
Lathyrus sylvester L., Latìtera, letìtera, litìtera, ‘cicerchia selvatica’
Laurus nobilis L., Aráru, labru, laru, ‘alloro’
Lavandula latifolia L., Spiccu, ‘lavanda’
Lavandula officinalis Chaix, Spiccu, ‘lavanda’
Lavandula spica L., Spiccu, ‘lavanda’
Lavandula stoechas L., Arkimissa, bureḍḍa, spiccu, ‘lavanda o stecade’
Lavandula vera DC., Spiccu, ‘lavanda’
Lavatera arborea L., Malvárburi, ‘malva arborea’
Lavatera cretica L., Narba, ‘malva’
Lavatera maritima L., Narba, ‘malva’
Lavatera olbia vel arborea L., Marmariscu, narbòne, ‘malva arborea’
Lavatera triloba L., Narba, ‘malva’
Lavatera trimestris L., Narba, ‘malva’
Leucojum aestivum L., Coddigultu, ‘campanella maggiore’
Leucojum vernum L., Fossòne, ossòne, ‘campanellino comune’
Lilium candidum L., Assussèna, líllu, ‘giglio’
Linaria cymbalaria Mill., Ninì, ‘cimbalaria’
Linaria elatine Mill. var. spuria Mill., Angùli, angùlias, malamìda, ‘linaria o soldina’
Linaria reflexa Chaz., Angòlia (v. Angùli), ‘linaria’
Linaria triphylla Mill., Angòlia (v. Angùli), ‘linaria’
Linaria vulgaris L., Angòlia (v. Angùli), ‘linaria’
Lippia citriodora Kunth., Maria Luisa, ‘cedrina, limoncina, erba Luisa’
Lithospermum purpurocaeruleum L., Linguaradèḍḍa, ‘erba-perla azzurra’
Lolium italicum L., Lullu, ‘loglio’
Lolium perenne L., Allòrgiu malu, lullu malu, ‘zizzania’
Lolium termulentum L., Allòrgiu malu, lullu malu, ‘zizzania’
Lonicera caprifolium, Calabingiada, ‘caprifoglio’
Lonicera implexa Ait., Balàndzu, Bide biànca, éiba crábuna, erba crábina, erba de coròna,
guadàngiu, ligadòrja, ligadòrza, mammalìnna, ocru malu, ‘caprifoglio delle macchie’
Lotus angustissimus L., Truvulléḍḍu, ‘trifoglino’
Lotus corniculatus L., Truvulléḍḍu, ‘trifoglino’
Lotus corniculatus Pers., Trevulléḍḍu, Truvulléḍḍu, ‘ginestrino’
Lotus edulis L., Ancatùrra, angatùrra, gallaùna, ‘loto edule’
Lotus tetragonolobus L., Léppuri sposu, sitzirìa de cabòni, ‘loto dei prati’
Lunaria annua L., Folla e prata, ‘lunaria’
Lupinus albus L., Asólu caḍḍínu, ‘lupino’
Lupinus angustifolius L., Asólu caḍḍínu, ‘lupino’
Lupinus luteus L., Asólu caḍḍínu, ‘lupino’
Luzula Forsteri DC., Erba luzza, ‘luzula’
Lychnis alba Mill., Fruskiayòlos, niéḍḍu nurághe, orìga de para, ‘licnide’
Lychnis coeli-rosa Desr., Tsaccarrèḍḍa, ‘celirosa’
Lychnis flos-cuculi L., Gravelléḍḍu da campu (v. Gravellínu), ‘licnide’
Lychnis vespertina Sibth., Gravelléḍḍu de campu (v. Gravellínu), ‘licnide’
Lycium europaeum L., Prunacristi, ispìna santa, ‘spinacristi’
Lycoperdon bovista L., Pisináke, ‘vescia di lupo’
Lycopus europaeus L., Marrùbiu burdu, ‘marrobio acquatico’
Lygeum spartum l., Ispartu, spartu, tùmixi, tzinnìga, tzinnigràžia, ‘alabardina o sparto’

Magydaris pastinacea Lam., Feurratzu, ‘basilisco’
Magydaris tomentosa Koch, Feurratzu, ‘basilisco’
Malva nicaeensis L., Naibùttsa, narba, narbeḍḍa ‘malva’
Malva parviflora L., Naibùttsa, narba, narbeḍḍa ‘malva’
Malva silvestris L., Naibùttsa, narba, narbeḍḍa, parmarèḍḍa, parmùggia, ‘malva’
Mandragora autumnalis L., Piḍḍi, ‘mandragora’
Marrubium alysson L., Marrùbiu, ‘marrubio’
Marrubium creticum Mill., Marrùbiu, ‘marrubio’
Marrubium vulgare L., Alathucru, marrùbiu, ‘marrubio’
Mathiola incana L., Bascu, ‘Violacciocca’
Mathiola incana R. Br., Bascu, barcu, balcu, ‘viola, violaciocca’
Mathiola tricuspidata R. Br., Bascu marínu, berbèsa, ‘viola marina’
Matricaria camomilla L., Cabonìglia, ‘camomilla vera’
Medicago arabica Huds., Tuppitsa, ‘trifoglio’
Medicago arborea L., Trevùllu furistéri, ‘citiso virgiliano’
Medicago hispida Gaertn. var. apiculata
Medicago scutellata Mill., Trevullu arroliáu, ‘trifoglio femminino’
Melica ciliata L., Erba mustatzùda, ‘gramignetta’
Melilotus officinalis Lam., Trevullu de cuáḍḍu, ‘erba vetturina’
Melissa officinalis L., Amenta ‘e abis, ‘erba cedrina’
Mentha aquatica L., Amenta e arríu, ‘mentastro’
Mentha longifolia Huds., Amenta e arríu, ‘mentastro’
Mentha piperita L., Amenta piperìna, ‘menta peperina’
Mentha pulegium L., Abuléu, abuéu, ‘mentuccia, pulegio’
Mentha rotundifolia Huds., Amenta, ‘menta’
Mentha viridis L., Menta de pappái, ‘menta buona’
Mercurialis annua L., Cadoni burdu, ‘mercorella’
Mesembhryanthemum acinaciforme L., Gravellu de seda, ‘fico degli Ottentotti’
Mesembhryanthemum crystallinum L., Erba cristallina, ‘mesembriantemo’
Mespilus germanica L., Néipura de jérru, ‘nespolo’
Millium multiflorum Cav., Cannayòni cambas longas, cannayòni de
cresùri, erba d’aqua, erba de ferru, erba férrina, erba grábina, ‘miglio selvatico’
Morchella esculenta Pers., Scrafuddu, scrapuddu, strapuddu, ‘spugnola’
Morisia hypogea J. Gay, Erba de oru, ‘morisia’
Morisia monantha Asch., Erba de oru, ‘morisia’
Morus alba L., Gessa, mura, muragessa, murighessa, ‘gelso bianco, moro bianco’
Morus nigra L., Alsu, alzu, arìsu, ‘gelso nero, moro nero’
Muscari comosum Mill., Alidéḍḍu, lampayòni, orrubìna, ‘lampagione o cipollaccio’
Myosotis palustris Hill., Orìga de topi, ‘nontiscordardimè’
Myrtus communis L., Murta, murtaùcci, ‘mirto’

Narcissus Jonquilla L., Giunkìgliu, ‘gionchiglia’
Narcissus tazeta L., Giunkìgliu, ‘narciso’
Nasturtium officinale L., Asciòne, giùru, giùru-giùru, grùspinu, gùspinu,
maθùθuru, nasturnu, nartutzu, òspinu, ‘crescione d’acqua o nasturzio o sedanino d’acqua’
Nerium oleander L., Neuláke, ‘oleandro’
Nicotiana tabacum L., Tabaccu, ‘tabacco’
Nigella damascena L., Nieḍḍòne, ‘nigella scapigliata’
Nymphaea alba L., Corcorìga de àcua (v. Curcurìga), ‘ninfea’

Ocymum basilicum L., Afabica, basìle, ‘basilico’
Oenanthe crocata L., Isáppiu, ‘enante crocata’
Olea europaea L. var. oleaster, Arìba, olìa, ‘ulivo’
Olea europaea L. var. sativa Hoff. Lk., Arìba, olìa, ‘ulivo’
Ononis natrix L., Erba appiccigòsa, ‘erba bacaia’
Ononis spinosa L., Ayùcca, erba nigheḍḍa, stragabòis, stasibòis, ‘ononide’
Ononis viscosa L., Erba appiccigòsa, tiriacca, ‘teriaca’
Onopordon illyricum L. var. arabicum L., Cardu cannitzu, ‘cardo asinino’
Onopordon tauricum L. var. horridum, Bardu áinu, ‘cardo asinino’
Ophrys, Casugóttu, limba de puḍḍa, ‘orchidea’
Orchis longicornu Poir., Casugóttu, limba de puḍḍa, tùbari-tùbari, ‘orchidea’
Orchis maculata L., Casugóttu, limba de puḍḍa, tùbari-tùbari, ‘orchidea’
Orchis morio L., Casugóttu, limba de puḍḍa, tùbari-tùbari, ‘orchidea’
Origanum majorana L., Limpidèḍḍa, ‘maggiorana’
Origanum vulgare L., Arégumu, ‘origano’
Ornithogalum umbellatum L., Fila-fila, ‘latte di gallina’
Orobanche ramosa L., Lillu, ‘orobanche’
Orobanche speciosa DC., Lillu de fa, ‘brucia legumi’
Oryza sativa L. Arrósu, rísu, ‘riso’
Ostrya carpinifolia Scop., Aùrri, ‘carpino nero’
Osyris alba L., Brigantìna, caḍḍamarìdos, iscova e préidi, lìbida, libidàna,
scova de bìngia, scoviòi, tsaccabingiàdas, ‘ginestrella comune’, ‘ginestrella’
Oxalis acetosa L., Allelùja, erva luzza, ‘ossalide’
Oxalis acetosella L., Allelùja, coraxédu, ‘acetosa’ e ‘acetosella’, ‘ossalide’

Paeonia officinalis L., Franca de tzirulìa, ungra de tzurrulìu, orros’e gogas, ‘peonia’
Pancratium illyricum L., Lillu de saltu, ‘giglio stellato’
Pancratium maritimum L., Lillu de mari, ‘giglio marino, narciso marino’
Panicum miliaceum l., Mìgliu, ‘panico’
Papaver rhoeas L. (var. pinnatifidum), Anna e locu, bulláu, cicciulìa,
erbiòi, pubùsa, sitzìa, tanda, tzanda, dzidzìa madonna, zitzìa pùdida, ‘papavero rosso’
Papaver somniferum L., Tanda, tzanda, ‘papavero da oppio’
Papaver somniferum L. var. setigerum DC., Tanda, tzanda, ‘papavero da oppio’
Parietaria officinalis L., Cambirùya, erba e ventu, piculòsa, pigulòsa,
pittsiculòsa, priculòsa, priguròsa, ‘parietaria’
Paronychia argentea L., Erba impratiàda, ‘argentina’
Paspalum distichum L. var. paspalodes Thell., Cannayòni de aqua, ‘gramignone’
Pastinaca sativa L., Pistinàga era, ‘pastinaca’
Pelargonium radula Ait., Malvarosa, ‘malvarosa’
Petasites fragrans Presl., Péi de áinu, péi de bòi, ‘vaniglia d’inverno, vaniglione’
Petroselinum ammoides Rchb. f., Perdusémini arésti, ‘prezzemolo selvatico’
Petroselinum hortense Hoffm., Perdusímbula, perdusémini, ‘prezzemolo’
Phagnalon rupestre, Allùi fogu, ‘scuderi, tombalo selvatico’
Phagnalon saxatile, Allùi fogu, ‘scuderi, tombalo selvatico’
Phalaris canariensis L., Accùcca, cucca, cucca cucca, erba guaḍḍàra, ‘scagliola’, ‘avena’
Phalaris paradoxa L. (graminacea), Pilìni
Phalaris tuberosa L., Accùcca, cucca, ‘avena’
Phaseolus caracalla L., Carakínu, ‘fagiolo caracalla’
Phaseolus vulgaris var. communis, Basólu, Asólu, ‘fagiolo’
Phleum arenarium L., Fenu traìnu, fenu tranu, ‘ammofila’
Phleum pratense L., Còa e toppi, coedòppi, ‘fleo dei prati’, gramigna’
Phoinix dactylifera L., Pàimma, pramma, ‘palma’
Phyllirea angustofolia L., Alatérru, arridéli, alidérru, alitérru, ladérru, ‘alaterno, fillirea’
Phyllirea latifolia L., Alatérru, alidérru, arridéli, alitérru, ladérru, ‘alaterno, fillirea’
Phytolacca decandra L., Bortaláke, ‘uva canina’
Pichris echioides L., Artiòccoro, ciòcciri, sòcciri, ‘cardo dei lanaioli’
Pimpinella anisum L., Mattafalùga, mattafanùga, ‘anice’
Pinus halepensis Mill., Compìngiu, oppínu, pinu, ‘pino’
Pinus pinaster Aiton, Cumpìngiu, oppínu, pinu, ‘pino’
Pinus pinea L., Cumpìngiu, oppínu, ‘pino’
Pistacia lentiscus L., Kessa, muḍḍitza, moḍḍitzi, ‘lentisco’
Pistacia terebinthus L., Accòdro, còdora, cordra, géspula, sopéri, ‘terebinto’
Pistacia vera L., Pistácciu, ‘pistacchio’
Pisum arvense L., Pisùrci arésti, ‘pisello selvatico’
Pisum sativum L., Pisu, pisùrci, piséḍḍu, ‘pisello’
Plantago coronopus L., Erba stérria, ‘barba del cappuccino, erba stella’
Plantago lanceolata L., Alba cápruna, lingua e cani, ‘piantaggine var. lanciola’
Plantago major L., Alba cápruna, ‘piantaggine var. lanciola’
Plantago psyllium L., Erba e pùlighe, erba nieḍḍa, ‘pulicaria’
Pleurotus ostreatus var. eryngii vel ferulae, Antùnna, ‘agarico ostreato o pleuroto’
Plumbago europaea L., Erba e arràngia, erb’e arrùngia, erba e cirras, ispéliu, istéli, ‘piombaggine’
Poa trivialis L., Erba lepperìna, (graminacea)
Polygonum aviculare L., Lidu, nurìle, sìntsiri, surváke, ‘poligono o centinodia’, ‘correggiola’
Polygonum convolvolus S. et S., Melamìda manna (v. Malamìda), ‘vilucchio fagiolino’
Polygonus equisetiforme S. et S., Surváke, ‘equiseto palustre’
Polygonum hydropiper L., Pìbiri de arríu, ‘pepe d’acqua’
Populus nigra L., Pubulìa, puglièlma, puyèlma, ‘pioppo’
Populus piramidalis Salisb., Pubulìa, puglièlma, puyèlma, ‘pioppo’
Portulaca oleracea L., Erba de porcus, proceḍḍàna, ‘porcellana, sportellacchio’
Posidonia oceanica Del., Áliga e mari, lándiri e mari, ‘posidonia’
Potentilla reptans L., Erba e murènas, ‘cinquefolio’
Poterium spinosum L., Spina e topis, ‘spina porci’
Prasium majus L., Erba crapa, menta ‘e conillus, ‘camedrio bianco, erba caprina’
Prunus armeniaca L., Barracóccu, piricóccu, ‘albicocco’
Prunus avium L., Cariàsa, ceràxa, ‘ciliegio selvatico’
Prunus cerasus L., Cariàsa, ceràxa, ‘ciliegio’
Prunus domestica L., Pruna, ‘susino’
Prunus persica Stokes, Péssighi, Préssiu, ‘pesco’
Prunus spinosa L., Annáyu, ‘pruno selvatico’
Psoralea bituminosa L., Trevullu malu, ‘trifoglio bituminoso’
Ptylostemon casabonae [L.] Greuter, Cardu de Castéḍḍu (v. Cardu
castréḍḍu), cima de cibíru, ‘cardo leone’
Punica granatum L., Aniàda, ‘melograno’, Aniadéḍḍa, ‘piccolo melograno’
Pyrethrum vulgare (var. a foglie riccie), Arindu, ‘tanaceto’
Pyrus aria Ehrh., Lazzarólu de monte, ‘sorbo montano’
Pyrus communis L. var. sativa Lam. et DC., Pira, ‘pero’
Pyrus cydonia L., Mela kidònza, ‘melo cotogno’
Pyrus malus L., Mela, pumu, ‘melo’

Quercus coccifera, Lándiri marru, ‘quercia spinosa’
Quercus ilex L., Ilixi, ixi, ‘leccio’
Quercus pubescens Willd., Orroáli, orròli, ‘quercia o roverella’
Quercus suber L., Urtìgu, ‘quercia da sughero’

Ranunculus arvensis L., Cadeḍḍa, ‘ranuncolo’
Ranunculus bulbosus L., Culurassu, cunnurassu, sonnurassu, erba de arrànas, ‘favagello’
Ranunculus bullatus L., Culurassu, cunnurassu, sonnurassu, erba de arrànas, ‘favagello’
Ranunculus ficaria l., Culurassu, cunnurassu, sonnurassu, erba de arrànas, ‘favagello’
Ranunculus sceleratus L., Erba sardònia, ‘ranuncolo, sardonica’
Raphanus raphanistrum L., Ambruttàttsa, ambuàttsa, ambulàttsa,
armuràtta, barraccucca, irimulatta, siri, ‘rafano selvatico o ramolaccio’
Raphanus sativus L., Aligàrza, arraìga, rabanella, ‘ramolaccio, ravanello’
Reichardia picroides Roth., Mammaccicca, mammalucca, ‘sonco’
Reseda alba L., Còa de gattu, strapuḍḍu de gani, ‘reseda’
Reseda lutea L., Còa de gattu, ‘reseda’
Reseda luteola L., Còa de gattu, coròe, crocòe, giàllara, ‘erba guada o guaderella’, ‘reseda’
Rhamnus alaternus L., Ásuma, sàsima, aladérru, tàsuru, ‘alaterno’
Ricinus communis L., Cagaméngia, ollarricci, ‘ricino’
Ridolfia segetum Moris, Fenùgu de margiáni, tzikkirìa, ‘aneto, ridolfia’
Robinia pseudo-acacia L., Gaggìa, garzìa, ‘falsa acacia, robinia’
Romulea bulbocodium Seb.et M. var.ligustica, Castangiòla, -zòla, ‘zafferanetto selvatico’
Rosa, Rosa, ‘rosa’
Rosa canina L., Baddayólu, baḍḍerínos, bolòstiu, colóstru, coròsti,
fusighíttu, golóstiu, laḍḍèrighe, ninniéri, olóstru, orrolàriu, orròsa
cullári, pennuléri, pibirillò, rù buḍḍèrigos, ‘rosa di monte o canina’
Rosa sempervirens L., Arròsa burda, ‘rosa di macchia, rosa selvatica’
Rosmarinus officinalis L., Cìppari, tzìppiri, tzìppiri, ‘rosmarino’
Rubia peregrina L., Attsottalìmba, battilìmba, ciurixèḍḍa, colalátti,
pigalátti, rattalìmba, sorixèḍḍa, ‘robbia selvatica’
Rubia tinctorum L., Ciurixeḍḍa, sorixeḍḍa, ‘robbia’
Rubus fruticosus L., Lama, ‘rovo’
Rumex acetosa L., Coraxédu, lampathu, lapathu, marraòla, meḍḍacca,
merdiàcca, ‘acetosella’, ‘acetosa’
Rumex acetosella L., Lampathu, lapattu, lapatthu, marraòla, meḍḍacca,
merdiàcca, miliàcra, ‘acetosella’, ‘acetosa’
Rumex bucephalophorus L., Melagréḍḍa, ‘romice’
Rumex conglomeratus L., Lampathu, lapathu, ‘romice o lapazio’
Ruscus aculeatus L., Buscadínu, frùscu, frùsciu, saraùpu, sorighìna, ‘pungitopo’
Ruta graveolens, Curma, cùruma, ‘ruta’

Sagina procumbens L., Erba e puḍḍas, erba puggionìna, ‘erba delle galline o burinella o saggina’
Salicornia erbacea L., Sossòini, ‘salicornia’
Salicornia fruticosa L., Sossòini, ‘salicornia’
Salix alba, Tòa, thòa, tzarpa, ‘salice’
Salix aurita L. sp. vv., Sarpa, tzarpa, ‘salice rosso’
Salix fragilis L., Attòa, tarpa, tzarpa, ‘salice rosso’
Salix pentandra L., Attòa, tzarpa, ‘salice’
Salix triandra L., Pìdixi, tòa, thòa, tzarpa, ‘salice’, ‘vetrice’
Salix viminalis L., attòa, sarpa, tzarpa, thòa, ‘salice rosso’
Salsola kali L., Curamarídus, erba de cristallu, ‘erba cali, riscolo, soda’
Salsola soda L., Curamarídus, erba de cristallu, ‘erba cali, riscolo, soda’
Salsola vermiculata L., Sossòini, ‘salicornia’
Salvia officinalis L., Folla salvia, ‘salvia’
Salvia sclarea L., Luccaia, ‘scanderona, sclarea’
Salvia verbanaca L., Giòrica, ‘chiarella minore o salvia minore’
Sambucus ebulus L., Sabùcu berbechínu, ‘sambuco ebbio’
Sambucus nigra L., Sabùcu, samùcu, ‘sambuco’
Sanguisorba minor Scop., Còi crispa, erba d’insiccatùri, ‘salvastrella’
Sanguisorba officinalis L., Pimpinella spinosa, ‘salvastrella maggiore’
Sanicula europea L., Fraulèḍḍa, ‘erba fragolina’
Santolina chamaecyparissus L., Coscos, ungos, ‘santolina’
Santolina corsica, Coscos, ‘santolina’
Santolina insularis, Murmuréu, (o murguléu), ‘santolina’
Saponaria officinalis L., Erba e sabòni, ‘saponaria’
Satureja calamintha Scheele, Nébida, Nebidèḍḍa, ‘nepitella’
Satureja graeca L., Mammuléu (v. Murguléu), ‘isopo’
Satureja hortensis L., Tumu, tumbu, ‘santoreggia’
Satureja thymbra L., Murgulèu, ‘satureja o santoreggia’
Satureja vulgaris Fritsch, Isópu, ‘Clinopodio volgare’
Saxifraga granulata L., Erba de arrocca, ‘sassifraga bianca’
Scabiosa atropurpurea L., Erba de sproni, ‘vedovina’
Scandix pecten-Veneris L., Erba de agùllas, ‘spinettoni’
Scilla autumnalis L., Ciccirríu, ‘scilla d’autunno’
Scilla peruviana L., Lillu persianu, ‘corona imperiale’
Scolymus hispanicus L., Cardu spinósu, ‘scardaccione’
Scorpiurus muricatus L., Sémini trottoxiáu, ‘erba lombrica’
Scorzonera laciniata L., Crabiolìna, ‘scorzonera selvatica’
Scrophularia aquatica L., Orciáu masédu, pitziánti masédu, ‘scrofularia’
Scrophularia canina L., Arrud’e ganis, ‘scrofularia’
Scrophularia peregrina L., Suimèle, ‘scrofularia’
Scrophularia trifoliata L., Orciáu masédu, pitziánti masédu, ‘scrofularia’
Sedum album L., Áxina de colóru, ‘sedum’
Sedum caeruleum L., Erba de teulàda, ‘sedum’
Sempervivum arboreum L., Erba de callus, ‘erba da calli’
Senecio leucanthemifolius L., Erba de cardanèras, ‘erba calderina, senecio’
Senecio vulgaris L., Cagliùga, pedruvèghe, ‘senecione’
Setaria glauca P.B., Còa de gattu, ‘pesarone’
Setaria italica P.B. var. verticillata, Asculpi, còa de gattu, erba de asculpi, ‘falaride: graminacea’
Setaria italica P.B. var. viridis P.B., Erba de asculpi, ‘falaride: graminacea’
Silene cucubalus Wib., Crabighéḍḍu, erba de sonajólus, ‘bubbolini, erba del cucco, strigoli’
Silene gallica L., Gravellínu, ‘mazzettino’
Silene inflata, Crapichéḍḍu, sonaggiòlos, tsacca-tsacca, ‘digitale’, ‘strigolo’
Silene sericea All., Gravéllu de mari, ‘silene’
Silybum marianum Gaertn., Cardu castréḍḍu, cardu de casteḍḍu, cardu ilòχe, ‘cardo mariano’
Sinapis alba L., Alaùssa, armulatta, giùspinu, ‘senape bianca o selvatica’
Sisymbrium irio L., Alaùssa, ‘senapaccia’
Sisymbrium officinale Scop., Alaùssa, erba de esca, grabistu, tribulìa, ‘erba cornacchia’
Smilax aspera L., Asmìla, brèḍḍula arèsta, razza, serràda, tetti, tittiòni,
ùrtsula, visiòni, ‘salsapariglia o strappabrache’
Smyrnium perfoliatum L., Brenteḍḍa, caccaracásu, caccarágiu,
coriándru, culuèbba, occicánu, petralìscia, preiderìssa, ‘corinoli arrotondato’
Smyrnium rotundifolium Mill., Brenteḍḍa, caccaracásu, caccarágiu,
coriándru, culuèbba, occicánu, petralìscia, preiderìssa, ‘corinoli arrotondato’
Solanum dulcamara L., Dulciamàra, ‘dulcamara’
Solanum lycopersicum L., Tomàta, pumàtta, ‘pomodoro’
Solanum melongena L., Milinzàna,mirinzàna, pedringiàna, ‘melanzana, petronciano’
Solanum nigrum L., Magaidràxa, tomàta arésti, ‘erba mora, solano nero’
Solanum pseudo-capsicum Hort., Ceréxia dama, ‘pomi d’amore’
Solanum sodomaeum L., Pilardèḍḍa, tamàtiga arésti, ‘pomo di Sodoma’
Solanum tuberosum L., Patátu, patàta, ‘patata’
Sonchus arvensis L., Bardu e andòne, ‘cicerbita, allattalepre’
Sonchus oleraceus L., Bardu e anzòne, caldhu mignòni, camingiòni, cardu minzòne, limporra,
lipòrra, lisporra, mammaccicca, mammalucca, simingiòni, ‘cicerbita, allattalepre o lattaiola’
Sonchus tenerrimus L., Bardu ‘e andzone, ‘cicerbita, allattalepre’
Sorbus domestica L., Subèlva, ‘sorbo’
Sorghum saccharatum Moench., Saìna de scovas, ‘saggina da scope’
Sorghum vulgare Pers., Saìna, ‘sorgo’
Sparganum alisma, Erba de nèrbius, folla de nérbius, nerviada de abba,
‘erba saetta’
Sparganum damasonium, Erba de nèrbius, folla de nérbius, nerviada de abba, ‘erba saetta’
Sparganum lemna, Crasta canes
Sparganum sagittaria, Erba de nèrbius, folla de nérbius, nerviàda de abba, ‘erba saetta’
Spartium junceum L., Martigùsa, massigùssia, matricùsia, ‘lerca’
Specularia hybrida L., Campanèḍḍas, ‘specularia’
Spergula arvensis L., Erba ‘e puḍḍas, erba puggionìna, ‘erba delle galline o burinella o saggina’
Spinacea oleracea L., Spinácciu, ‘spinaccio’
Stachys arvensis L., Erba de brùscia, ‘erba strega’
Stachys glutinosa L., Brondzeḍḍu, calacásu, coccìci, locásu, luchèsu, lucrésciu, mummuéu, murguléu, ‘stachide’, ‘betonica glutinosa’
Stellaria media Cyr., Erba ‘e puḍḍas, erba puggionìna, ‘erba delle galline o burinella o saggina’
Stipa tortilis Desf., Erba mustatzùda, ‘appicca vesti’
Suaeda fruticosa Fprsk., Sossòini, ‘erba da vetro’
Suaeda fruticosa L., Sossòini, ‘erba da vetro’
Suaeda maritima Dum., Sossòini, ‘erba da vetro’
Symphytum officinale L., Selabattu, ‘consolida maggiore’

Tagetes erecta L., Gravellu giapponésu, ‘garofano indiano’
Tagetes patula L., Gravelléḍḍu vellutáu, ‘viola vellutata’
Tamarix africana Poir., Binu, tramatzu, ‘tamerigi’
Tamarix gallica L., Binu, tramatzu, ‘tamerigi’
Tamus communis L., Ágina de margiáni, aspàragu de canníttu, ligadòrza, piscialéttu, rétti, ‘vite nera’
Taraxacum officinale L., Pabantsólu, ‘tarassaco’
Taxus baccata L., Éni, longufrésu, ‘tasso delle montagne’
Teucrium chamaedrys L., Camédriu, ‘camedrio’
Teucrium flavum L., Bunnànnaru, bunnànneru, ‘querciola maggiore’
Teucrium marum L., Murgulèu, ‘maro o erba da gatti’
Teucrium massiliense L., Amentatzu, ‘teucrio’
Teucrium polium L., Pòliu, ‘canutolo, polio’
Teucrium scordium L., Iscòrdiu, ‘scordio’
Thapsia garganica L., Féurra burda, tsittsiriòppis, ‘tapsia’
Thymelaea hirsuta Endl., Nerbiàttsa, ‘spazzaforno’
Thymelaea tartonraira All., Erba de purgas, ‘spolpagalline’
Thymus capitatus H. et Lk., Tumu, ‘timo’
Thymus capitatus L., Tumu, ‘timo’
Thymus herba-barona, Armiḍḍa, ‘timo’
Thymus serpyllum L., Armiḍḍa, tumu, ‘timo’
Thymus vulgaris L., Tumu, ‘timo’
Tillaea muscosa L., Lanèḍḍa, nuscu, ‘muschio’
Tordylium apulum L., Muitzéḍḍu, ‘capobianco, ombrellini di prato’
Tragopogon porrifolium L., Limporra, ‘barba di becco’
Tribulus terrester L., Basapéis, ‘tribolo’
Trifolium angustifolium L., Elva muttsòne, ‘trifoglio striggine’
Trifolium arvense L., Péi de léppuri, ‘trifoglio’
Trifolium spumosum L., Trevùllu bumbósu, ‘trifoglio’
Trigonella foenum-graecum L., Pisu molentínu, ‘fieno greco’
Triticum aestivum L., Trigu, ‘frumento, grano’
Triticum durum L., Trigu, ‘frumento, grano’
Triticum polonicum L., Trigu, ‘frumento, grano’
Triticum spelta L., Trigu farru, ‘grano farro’
Triticum turgidum L., Trigu, ‘frumento, grano’
Triticum villosum L., Erba gabiḍḍùda, ‘spicalora’
Tunica prolifera Scop., Gravelléḍḍu arésti, ‘garofolino’
Tussilago farfara L., Péi de molénti, ‘tussilaggine’
Typha angustifolia L., Buda, tutturattsu, tùtturu, ‘mazzasorda, biodo di palude’
Typha latifolia L., Buda, tutturattsu, tùtturu, ‘mazzasorda, biodo di palude’

Ulmus campestris L., Ùlumu, ‘olmo’
Urginea maritima Bak., Arbiḍḍa, aspriḍḍa, aspiḍḍa, cibuḍḍa de coga, ‘scilla, squilla’
Urospermum Dalechampii Desf., Pabantsólu de colóru, ‘lattaiolo, radicchione selvatico’
Urtica dioica L., Frusticàya, granùdu, occiàu, orciàu, pissiagùlu, pistiḍḍòri, ustricàta, ‘ortica’
Urtica pilulifera L., Frusticàya, occiàu, orciàu, ustricàta, ‘ortica’
Urtica urens L., Frusticàya, occiàu, orciàu, ustricàta, ‘ortica’

Valeriana officinalis L., Erba moḍḍi, ‘valeriana’
Valerianella olitoria Polich, Erba moḍḍi, ‘valeriana’
Verbascum blattaria L., Locri, ‘verbasco’
Verbascum conocarpum Moris, Locri, ‘verbasco’
Verbascum creticum (L.) Cav., Locri, ‘verbasco’
Verbascum pulverulentum Vill., Locri, ‘verbasco’
Verbascum sinuatum L., Locri, ‘verbasco’
Verbascum thapsus L., Bandèra de santu Juanni, cadrampu, cadrámpulu,
cadùmbu, cadùmbulu, locri, trivoḍḍa, trovoḍḍa, ‘verbasco’
Verbena officinalis L., Brebèna, ‘verbena’
Veronica cymbalaria Bod., Ninì, ‘veronica’
Veronica hederaefolia L., Ninì, ‘veronica’
Veronica persica Pourr., Ninì, ‘veronica’
Viburnum tinus L., Malayàna, meliàna, miliàna, sambíndzu, sisérbi, ‘lentaggine o viburno’
Vicia cracca L., Faixèḍḍa arésti, ‘veccione’
Vicia faba L., Faba, faa, ‘fava’
Vicia lens Coss. et. Germ., Gentilla, ‘lenticchia’
Vicia narbonensis L., Fa burda (v. Faba), ‘veccia di Narbona’
Vicia sativa L., Pabasólu, Pisu de colóru, ‘cerchia pisellina, veccia selvatica’
Vigna sinensis Edl., Basòlu, fažóru, ‘fagiolo’
Vigna unguiculata Walp., Basólu brent’e mòngia, ‘fagiolo dell’occhio’
Vinca difformis Pourr., Giampàna, ‘pervinca’
Viola hirta var. odorata L., Balau (bascu), balcu, tzonca, ‘viola’
Viola tricolor L., Pensiéris, ‘viola del pensiero’
Vitex agnus-castus L., Pèbaru sardu, samùcu de arríu, ‘agnocasto’
Vulpia geniculata Lk., Erba stulàda (graminacea)
Vulpia ligustica Lk., Erba mustatzùda, ‘vulpia’

Xanthium spinosum L., Cuscusòni, ‘lappolina’

Zea mays L., Trigu moriscu, ‘granturco’
Zostera marina L., Áliga ‘e mari, lándiri de mari, ‘paglia marina’

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