I Sumeri

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I SUMERI. Furono un popolo poco o molto misterioso: la quantità attribuibile all’aggettivo dipende dalla prospettiva d’indagine. Furono chiamati Šumeru dagli Accadici e dai Babilonesi (v. H. Hunger Babylonische und Assyrische Kolophone: AOAT 2).
Beninteso, ogni popolo li chiamò a proprio modo. Scopriamo che gli Egizi li chiamavano Sangar, gli Ebrei Shinar. Da sé stessi si chiamavano ki-en-gir, (ki ‘terra’, en ‘lord. Signore’, gir ‘colto, civilizzato’), cui possiamo attribuire il significato di ‘padroni dei luoghi civilizzati’. Ma qui sorge il primo tra tanti problemi interpretativi, a causa delle numerose opzioni presenti. Anzitutto va detto che i reperti egizi ed ebraici (Sangar e Shinar) attengono all’indicazione del territorio, non all’aggettivale degli abitanti. Ciò impellerebbe ad affrontare la traduzione in altro modo (ed è possibile in ogni caso), attribuendole il significato di ‘terra dei signori civilizzati’.
Questa prima complicazione (che declasserei a semplice “variabile interpretativa”) non conclude affatto la problematica relativa ai Sumeri. Partendo dalla stessa “variabile” evidenziata si richiedono ulteriori approfondimenti, ad evitare il sorgere di parecchie obiezioni.
Ad esempio, la grafia ebraica Shinar va analizzata attentamente, a scanso di clamorosi equivoci. Gli Ebrei preferiscono scriverla in due modi: Scinear e Sennaàr. Si sa che tale nome indicava il distretto di Babilonia, la vasta pianura comprendente Uruch (o Erec) ed Accad, nella Mesopotamia centrale presso l’odierna Baghdad. Ebbene, le tre scritte ebraiche Shinar-Scinear-Sennaàr, pur essendo il risultato dell’incertezza rabbinica di fronte alla fonetica degli antichi testi biblici, sono molto simili e possono interpretarsi in un solo modo: dall’accadico še, ša ‘quello, esso’ + nāru ‘fiume’. Il composto šen-nāru significò ‘quello (il territorio) dei fiumi’. Il “fiume” per antonomasia in tutta la Mezzaluna Fertile non fu altro che l’Eufrate, cui s’aggiunge il Tigri ad est.
Grazie agli Ebrei, abbiamo colto il nome ed il significato più antico della “Terra dei fiumi”; ma quello dei suoi abitanti (un appellativo auto-attribuitosi dai residenti) si presta ad una lettura più analitica, mancando certezze assolute sulla divisione sillabica dei componenti grafici. Le agglutinazioni dei caratteri sumerici possono prestarsi, a causa del sandhi (agglutinazione), alla “corrosione” dei radicali che vengono giustapposti. Essi si assottigliano talora sin quasi alla scomparsa. Ebbene, se ci attenessimo strettamente all’interpretazione sequenziale sinistrorsa, la stessa privilegiata dalla grammatica sumerica, potremmo tradurre ki-en-gir come ‘terra dei signori civilizzati’, ma anche ki-in-gi (ki ‘terra’, in ‘settore, in’ + gi ‘canna’), e ne sortirebbe una ‘terra dove fioriscono le canne’ (ed infatti le primitive città sumeriche furono create con le canne, un’essenza molto più robusta rispetto a quella mediterranea. Però il sumerico gi significa pure ‘giudizio’, quindi ki-in-gi può benissimo tradursi come ‘terra dove si esercita la giustizia’ (infatti è noto che le prime leggi furono scritte dai Sumeri).
Il dubbio rimane, e ne dobbiamo tener conto. Quanto agli invasori, ossia agli Accadici, che s’impadronirono della Mesopotamia, il giudizio ch’essi avevano dei Sumeri era talmente alto, che finirono per assumere in toto ogni aspetto di quella civiltà, rispettandola fin quasi alla venerazione. In tal guisa, una prima traduzione laica del trisillabo Šumeru può basarsi sul sumerico šu ‘totality, world’ + me ‘to be’ + re = uru ‘città’: un composto che possiamo tradurre ‘popolo che vive nelle città’ (šu ‘totality, world’, ma anche ‘popolo, insieme di persone aventi un unico fine’; me ‘to be’ ma anche ‘vivere, insediarsi’; re è contrazione di uru ‘città’).
Ma anche in questo caso ci sono altre opzioni da evidenziare. Poniamo attenzione al fatto che in Mesopotamia, nella Mezzaluna Fertile, ed anche in Sardegna, era in uso uno tra i vari epiteti riferiti a Dio. Si tratta della forma sumerica Merre, riferita esplicitamente al ‘Dio Unico Onnipotente’, scomponibile in me ‘essenza divina che determina l’attività del cosmo’ + re ‘quello’ (Mer-re ‘Quello della Prima Essenza Cosmica’). Ciò evidenziato, va rimarcato che in sumerico šu significa ‘totalità, mondo, universo’. Quindi šu-me-re poté anche significare ‘Prima Essenza dell’Universo’. Se teniamo ferma la terza sillaba dell’originario Šumeru (ru = ‘architettura, costruire’) giungiamo ad una migliore interpretazione del trisillabo come ‘Prima Essenza Costruttrice dell’Universo’.
Queste interpretazioni però sono eccessive, a mio parere, ed io per primo le ripudio (per quanto siano mie creature), considerandole “scolastiche, accademiche”, buone soltanto nelle esercitazioni della pratica etimologica.
Credo pertanto che la più accettabile interpretazione dela voce Sumeri sia quella precedente da me fornita, ossia ‘Popolo che vive nelle città’

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