LA RICERCA SUI COGNOMI SARDI: MARCIÁLIS

Questo cognome campidanese suona bene, e ciò che suona bene diventa familiare; in quanto tale, viene da tutti accettato perché appare comprensibile, persino interpretabile. Purtroppo io, essendo etimologo, debbo richiamare ad una realtà nient’affatto tenera, poiché i cognomi rientrano tra i fenomeni linguistici, per interpretare i quali occorre la massima competenza e la massima prudenza, se non vogliamo esporci al ridicolo ed alla sconfitta. Il mondo della Linguistica (o della Glottologia) è immenso – come peraltro è immenso qualsiasi altro campo scientifico – e più lo si penetra, più ci si sente piccoli, minuscoli, sperduti. Soltanto la tenacia, la determinazione, lo spirito colombiano, uniti al massimo di realismo, a riflessioni culturali di ampio respiro, possono condurre l’analista a un porto sicuro ed amico.
Certi cognomi, ad iniziare dai più melodiosi ed accattivanti – come Marcialis – sono come le trappole che i primi Sapiens tendevano ai mammuth, talmente perfette che il mastodonte ci camminava sopra fiducioso, rimanendo infilzato. Diciamolo pure: il 99% degli analisti è come i mammuth, quindi non è a loro che mi rivolgo ma al restante 1%, quello capace di non tediarsi al ragionamento che gli chiedo di seguire, e magari di commentare, o confutare, se ne hanno gli strumenti.
Questo cognome è campidanese, è tipicamente sardo, ma ho spiegato spesso che “sardo” significa tutto e niente, poiché la “sardità” non va mai pensata come “esclusione”, “originalità regionale distintiva”, “diritto di primazia nel fare la storia più ampia”. La “sardità” non è altro che il modo come la Sardegna colloca se stessa nella vastissima società mediterranea, in rapporto a tutta la società mediterranea; non è dunque una capacità di auto-isolamento ma la capacità di creare uno scibile interconnesso, condiviso anche dagli altri popoli rivieraschi.
In questo senso, Marcialis è un campione linguistico mediterraneo esistente da molti millenni, la cui analisi meriterebbe il concorso di parecchi pensatori, vista la sua complessità.
A questa osservazione segue una prima constatazione scientifica, cioè che un nome, un cognome, un vocabolo, nel momento che ne viene intuita la circolazione mediterranea fin da ere remote, va assunto come campione fonetico unitario catalogabile diacronicamente (e sincronicamente) entro le varie “nicchie” geografiche che si evidenziano storicamente lungo le varie sponde. Nel dire ciò, dobbiamo ammettere che ogni “nicchia” geografica esprime (ed espresse già millenni addietro) una propria pronuncia, talora suddivisa a sua volta in parecchi rivoli dialettali, come ancora oggi succede alla lingua sarda, che è distinta tra logudorese, campidanese ed altre parlate minori, e come fu normale – a maggior ragione – nei 4000 chilometri del Nilo, dove può dirsi che ogni nomos aveva un proprio linguaggio peculiare, peraltro evolutosi nel tempo. Con questa fattispecie, va da sé che rintracciare la comune radice di una parola è possibile soltanto attraverso l’analisi dei processi fonetici che hanno distorto – regione per regione – la pronuncia di quella radice.
Ovviamente, il cognome Marcialis va analizzato partendo anzitutto dalla sua “sardità”. In quanto tale, ha un buon compagno nel nome personale camp. Marciáli, Martziáli ‘Marziale’. E qui salta subito all’occhio il pers. lat. Mārtiālis, nome di un grande poeta vissuto a Roma all’epoca in cui si fabbricava il Colosseo. Nessun filologo ha perduto l’occasione per agganciare quel nome alla base latina Mars, Martis ‘dio della guerra’, di cui Mārtiālis sarebbe aggettivo. Ma questa, a bene osservare, è una procedura monca, addirittura miope, e comunque assai parziale, poiché Mārtiālis era uomo ispanico, talmente innamorato delle proprie origini che torno in Spagna per morirvi.
Ecco che la palla torna a noi, e ci tocca riconoscere in Mārtiālis un nome mediterraneo condiviso, la cui base non può essere affatto latina ma deve essere ricercata ad amplissimo raggio. Viene lecitamente il sospetto che al sardo e ispanico Mārtiālis vada bene la base accadica mārtu ‘figlia’ + alû ‘Toro del Cielo’. Il composto (in stato-costrutto) significherebbe ‘figlia del Dio Sommo’, ‘figlia di Dio fecondatore’. Come arcaico nome muliebre, andrebbe bene. Ma prima di dare lo stop alla ricerca dobbiamo spaziare nel più vasto campo mediterraneo a vedere se, nei tempi più remoti, altre parole potessero entrare in concorrenza con quella accadica. Non solo, ma occorre indagare acutamente se il cgn Marcialis abbia anzitutto parentela con dei cognomi sardi che possano in qualche modo indirizzarci verso somiglianze o campi semantici più saldamente unitari.
Nel fare ciò dobbiamo evitare d’additare soluzioni delle quali, come dicevo, uno studioso può soltanto vergognarsi. Mi rendo conto che lo studioso che mi ha preceduto, Massimo Pittau, gestì l’analisi dei cognomi con procedure ascientifiche, puerili, indubbiamente vergognose. Ad esempio, egli identificò il cognome Puxeddu col sardo ‘piccola pulce’, senza nemmeno badare al fatto che in origine, quando i nomi personali ebbero un senso, una madre non si sarebbe mai azzardata a chiamare il proprio figlio ‘Piccola pulce’. Lo stesso fece con Madeddu, rinviandolo al lat. matellum ‘orinale’; quale madre mai avrebbe chiamato ‘Orinale’ la propria figlia? Lo stesso fece col cognome campidanese Marcìa, cambiandogli addirittura l’accento ed indirizzandolo all’it. ‘màrcia, pus’. Dite voi…!!!
Gli antichi nomi personali, da cui provengono i nostri cognomi, non furono mai offensivi, poiché una mamma e un padre davano ai figli i nomi più belli e altisonanti disponibili. Ad esempio Aurora, di cui nessun linguista è riuscito a trovare l’etimo. Non è difficile indicarlo nell’egizio åur ‘to conceive, be pregnant’ + ur ‘great god’ + Ra ‘Dio Sole’. Il significato fu ‘Colei che partorisce il gran dio Sole’. Oppure prendiamo Rosa (di cui in Sardegna c’è l’identico cognome). Ogni linguista s’appaga nell’indicarne l’identità col lat. rōsa (un fiore), ma nessuno trova poi l’etimo di questo fiore, il quale sta nella lingua babilonese e significa ‘incantesimo’ (ossia procedimento per fare innamorare un uomo). Ulteriore esempio è Elianora (nome della regina che firmò la celebre Carta de Logu). Significa ‘Bagliore del Dio Sole’, e non ‘Pietosa’, come bolsamente si pretende agganciandolo al gr. eleéō ‘ho pietà’.
Se tra i cognomi si scruta anche la sopravvivenza di molti soprannomi, alcuni al limite dell’ingiuria, essi sono tuttavia minoritari e mai scendono all’offesa bieca rintracciata nei tre cognomi citati. Infatti la base originaria dei tre cognomi è la seguente: Puxeddu < sum. pukidu ‘architettura di note musicali’, ossia ‘Sinfonia, Costruzione di note musicali’; Madeddu < bab. mētellu ‘comando, potere, signore’ (cfr. lat. Metellus); Marcìa < accadico marḫum ‘Nata con la camicia’ (vedi anche Marco ed il cognome Marchi).
Invero, i cognomi sardi sono classificabili tematicamente in parecchie caselle. Un settore importante è quello dei “cognomi d’origine” (o, per simiglianza, dei “cognomi di nostalgia”). In quanto tali, sono nomi di alcuni naviganti trapiantati in Sardegna, attribuiti secondo la terra d’origine; oppure nomi di alcuni montanari sardi che scesero in città. Esempio: Tìana significa ‘originario del paese di Tìana’; Soru significa ‘Assiro’; Catte significa ‘Ittita’; Achena è retroformazione da Akhenaton, nome di faraone attribuito per nostalgia ad un figlio; e così via per centinaia di cognomi sardi.
Marcìa può essere d’aiuto nel riprendere il discorso su Marcialis, nel tentativo d’individuare la base etimologica di quest’ultimo e tenendo conto che i due cognomi condividono quasi tutta la trafila fonetica. Ma una serie di considerazioni m’inducono a lasciar perdere. Uguale perdita di tempo sembrerebbe il confronto col già notato Marco ed i relativi cognomi Marchi, Marche, Malche, Marci. Su di essi possiamo soltanto notare un fenomeno linguistico interessante: che in Sardegna, oltre all’opposizione velare/palatale (k/c) tra gli stessi cognomi dislocati in aree diverse, abbiamo anche l’opposizione r/l. Queste due sono leggi fonetiche sarde ma non solo, come vedremo.
Un ulteriore tentativo di affiancare Marcialis al cognome Marce-llo (da cui l’ulteriore sardizzazione Marceddu), trova approdo esclusivamente nell’akk. māru(m) ‘figlio, discendente’ + ṣēllu, ṣēlu ‘costola’. Pertanto Marcello (ivi compreso il lat. Marcellus) pare significare in origine ‘figlio della costola’ (quasi un capovolgimento del mito di Eva).
Per fortuna il cognome Marcialis può trovare più saldo conforto nella lingua egizia, dalla quale provengono le primitive dizioni di parecchi nomi personali, di toponimi, di coronimi mediterranei. Nel tentare tali confronti, dobbiamo però tener conto del fatto che gli Egizi non pronunciavano la /L/ e la trasformavano in /R/. Non solo ma noi, traslando i radicali egizi per il Mediterraneo, dobbiamo tentare di misurarli con le esatte pronunce delle singole regioni, ad evitare pasticci. Operazione nient’affatto semplice, come possiamo verificare in Sardegna, dove la pronuncia egizia, già complessa e variegata di suo, viene traslata in dizioni che, nell’attuale, possono anche non corrispondere più a quelle del lontano passato. Ad esempio, dall’esame della complessa “Questione Fenicia” sappiamo che il logudorese giáiu ‘nonno’ ha un saldo riferimento nel Paese di Giahy (quello che noi chiamiamo Fenicia), così detto dai faraoni. Facile individuare nei primitivi “nonni” coloro che, alla spicciolata, tornavano in patria (nel nostro caso in Sardegna) per commercio. Si trattò né più né meno che dei celebri Nóstoi (i “ritorni”), resi celebri dall’Odissea. In Sardegna, ovviamente, rifluivano i figli ed i nipoti degli Shardana, ossia di coloro che secoli prima avevano composto la coalizione dei Sea Peoples ed avevano tenuto in scacco l’intero Oriente Mediterraneo.
Ebbene, la grafia Giahy (così scritta da alcuni egittologi), è meno gradita ad altri egittologi i quali trascrivono Tchah ‘Fenicia’ (vedi EHD 1064a). Eppure questa seconda grafia (e pronuncia) ci soccorre nel dipanare il cognome Mar-Cial-is, il quale, a parte il suffisso -is retaggio latino, è perfettamente confrontabile con l’eg. mer ‘torre di guardia, posto panoramico, cittadella’ + Tchar ‘Tyro, porto di Tyro’ (EHD 1063b), da leggere Cial (čal). Quindi Mer-Cial-(is) in origine significò ‘cittadella di Tyro’, ‘isola turrita di Tyro’.
Quella /R/ compromettente riappare, guarda caso con pronuncia sardizzata, in Tharros, nota città fenicia della Sardegna, la cui grafia pare spia della grafia egizia (Tchar), ed in tal caso avremmo, per la Sardegna, la replica del toponimo Tyros, evidentemente un nome di nostalgia o, meglio, un nome imperiale, per ricordare ai altri naviganti in approdo che la nuova città era costruzione e patrimonio dei giovani Fenici, ossia dei nipoti degli Shardana trasmigrati stabilmente nella madre-patria.

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