I Sumeri. II parte

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I Sumeri. Chi ha letto l’Introduzione Metodologica al NOFELSA nonché la mia Grammatica Storica della Lingua Sarda, è informato della mia scoperta scientifica relativa alla Ursprache Mediterranea, evidenziata proprio dalle tavolette sumeriche e sumero-accadiche. Paradossalmente, nella Mezzaluna Fertile la lingua sumerica scritta svanì attorno al 1000 aev. (nonostante che gli Assiri l’abbiano tramandata per iscritto anche in seguito), mentre in Sardegna la parlata registrata in quelle tavolette si mantiene ancora oggi vivissima e in purezza.

Tutti sanno dove stia la terra dei Sumeri, e nessuno s’azzarda a immaginare che i Sumeri abbiano mai invaso la Sardegna. Giusto. Allora è del tutto ovvio e intuitivo immaginare il contrario: ossia che la lingua sumera in origine non fu altro che la Ursprache Mediterranea, condivisa anche dalla Mezzaluna Fertile a causa del dilagare dell’Homo Sapiens verso Est. E fu proprio in Mesopotamia, per ragioni che parecchi storici ed archeologi hanno evidenziato, che la Ursprache apparve primamente per iscritto, condivisa peraltro dalla coeva apparizione della scrittura geroglifica, entro la quale si appalesa oltre il 50% della stessa lingua sumerica.

Il popolo dei Sumeri (quello delle tavolette) è rimasto assai misterioso a causa delle miopi prospettive d’indagine. Furono chiamati Šumeru dagli Accadici e dai Babilonesi (v. H. Hunger Babylonische und Assyrische Kolophone: AOAT 2).

Beninteso, ogni popolo li aveva chiamati a proprio modo. Scopriamo che gli Egizi li chiamavano Sangar, gli Ebrei Shinar (sono ambedue parole sumeriche, come vedremo). Da sé stessi si chiamavano però Ki-en-gir, (ki ‘terra’, en ‘lord. signore’, gir ‘colto, civilizzato’), cui possiamo attribuire il significato di ‘padroni dei luoghi civilizzati’. Ma qui sorge il primo di alcuni problemi interpretativi, a causa delle numerose opzioni presenti. Anzitutto va detto che i reperti egizi ed ebraici (Sangar e Shinar) attengono all’indicazione del territorio, non all’aggettivale degli abitanti. Ciò impellerebbe ad affrontare la traduzione in altro modo, attribuendo a Ki-en-gir il significato di ‘terra dei signori civilizzati’. Ovviamente a questo “civilizzati” non potè essere attribuito da loro lo stesso valore che noi oggi gli attribuiamo.

Questa prima complicazione (che declasserei a semplice “variabile interpretativa”) non conclude affatto la problematica relativa ai Sumeri. Partendo dalla stessa “variabile” evidenziata si richiedono ulteriori approfondimenti, ad evitare il sorgere di ulteriori obiezioni.

Ad esempio, la grafia ebraica Shinar va analizzata attentamente, a scanso di clamorosi equivoci. Gli Ebrei preferiscono scriverla in altri due modi: Scinear e Sennaàr. Si sa che tale nome indicava il distretto di Babilonia, la vasta pianura comprendente Uruch (o Erec) ed Accad, nella Mesopotamia centrale presso l’odierna Baghdad. Ebbene, le tre scritte ebraiche Shinar-Scinear-Sennaàr, pur essendo il risultato dell’incertezza rabbinica di fronte alla fonetica degli antichi testi biblici, sono molto simili e possono interpretarsi in un solo modo: dall’accadico še, ša ‘quello, esso’ + nāru ‘fiume’. Il composto šen-nāru significò ‘quello (il territorio) dei fiumi’. Il “fiume” per antonomasia in tutta la Mezzaluna Fertile non fu altro che l’Eufrate, cui s’aggiunge il Tigri ad est.

Grazie agli Ebrei, abbiamo colto il nome ed il significato più antico della “Terra dei fiumi”; ma quello dei suoi abitanti (un appellativo auto-attribuitosi dai residenti) si presta ad una lettura più analitica, mancando certezze assolute sulla divisione sillabica dei componenti grafici. Le agglutinazioni dei caratteri sumerici possono prestarsi, a causa del sandhi (agglutinazione), alla “corrosione” dei radicali che vengono giustapposti. Essi si assottigliano talora sin quasi alla scomparsa. Ebbene, se ci attenessimo strettamente all’interpretazione sequenziale sinistrorsa, la stessa privilegiata dalla grammatica sumerica, potremmo tradurre ki-en-gir come ‘terra dei signori civilizzati’, ma anche ki-in-gi (ki ‘terra’, in ‘settore, in’ + gi ‘canna’), e ne sortirebbe una ‘terra dove fioriscono le canne’ (ed infatti le primitive città sumeriche furono create con le canne, un’essenza che risultava molto più robusta rispetto a quella mediterranea. Però il sumerico gi significa pure ‘giudizio’, quindi ki-in-gi può benissimo tradursi come ‘terra dove si esercita la giustizia’ (infatti è noto che le prime leggi furono scritte dai Sumeri).

Il dubbio rimane, e ne dobbiamo tener conto. Quanto agli invasori, ossia agli Accadici, che s’impadronirono della Mesopotamia, il giudizio ch’essi avevano dei Sumeri era talmente alto, che finirono per assumere in toto ogni aspetto di quella civiltà, rispettandola fin quasi alla venerazione. In tal guisa, una prima traduzione laica del trisillabo Šumeru può basarsi sul sumerico šu ‘totality, world’ + me ‘to be’ + re = uru ‘città’: un composto che possiamo tradurre ‘popolo che vive nelle città’ (šu ‘totality, world’, ma anche ‘popolo, insieme di persone aventi un unico fine’; me ‘to be’ ma anche ‘vivere, insediarsi’; re è contrazione di uru ‘città’).

Ma pure per questo caso ci sono altre opzioni da evidenziare. Poniamo attenzione al fatto che in Mesopotamia, nella Mezzaluna Fertile, ed anche in Sardegna, era in uso uno tra i vari epiteti riferiti a Dio. Si tratta della forma sumerica Merre, riferita esplicitamente al ‘Dio Unico Onnipotente’, scomponibile in me ‘essenza divina che determina l’attività del cosmo’ + re ‘quello’ (Mer-re ‘Quello della Prima Essenza Cosmica’). Ciò evidenziato, va rimarcato che in sumerico šu significa anche ‘totalità, mondo, universo’. Quindi šu-me-re poté anche significare ‘Prima Essenza dell’Universo’. Se teniamo ferma la terza sillaba dell’originario Šumeru (ru = ‘architettura, costruire’) giungiamo ad una migliore interpretazione del trisillabo come ‘Prima Essenza Costruttrice dell’Universo’.

Queste interpretazioni relative a Dio sono però eccessive, a mio parere, ed io per primo le ripudio (per quanto siano mie creature), considerandole “scolastiche, accademiche”, buone soltanto nelle esercitazioni della pratica etimologica.

Credo pertanto che la più accettabile interpretazione dela voce Sumeri sia quella precedente da me fornita, ossia ‘Popolo che vive nelle città’. Al riguardo, è indiscusso che i primi costruttori di città furono proprio i Sumeri in Mesopotamia.

Il livello temporale. Le prospettive. L’Homo Sapiens. Tutto ciò acquisito in relazione ai Sumeri, rimangono pur sempre in piedi certe fangosità da cui il pensiero accademico non riesce a depurarsi.

La prima fangosità colpisce nel vivo la tecnica dell’indagine etimologica condotta nell’ambito degli Istituti universitari di glottologia e di filologia romanza, nei quali si stabilisce a priori il livello temporale dove l’indagine deve cessare. Sinora la storia delle lingue tirreniche attuali e di quelle mediterranee in generale è stata indagata a ritroso sino ad attingere al piano della lingua latina, salvo poi introdurre arbitrariamente l’apporto collaterale delle lingue germaniche (in forza della famigerata teoria della Ursprache indo-germanica), nonché una vaga citazione di “residui celtici” dei quali si dice meno che nulla sul piano scientifico.

Osservo che tale metodo non è congruo, non è affatto scientifico, poiché lo scavo etimologico è simile (e deve restare simile) a quello archeologico. Il “metodo dello scavo” non può eludersi giammai, in quanto esso conduce a toccare il livello più basso nel quale si ritrovino dei manufatti (per l’archeologo) nonché il livello più arcaico cui può condurre la manifestazione dei radicali di un vocabolo (per il glottologo).

In linguistica occorre operare confronti lessicali e morfemici sino al più arcaico vocabolo che, in un’area indagata a raggio adeguato, possa credibilmente confrontarsi col vocabolo di oggi. Stabilire che il livello-base delle lingue tirreniche o mediterranee sia la lingua latina, significa rinunciare al criterio storicistico; equivale ad ammettere che prima di Roma la storia nel Mediterraneo non si sia mai svolta oppure (ed è lo stesso) ch’essa sia obiettivamente inconoscibile. Invece la storia del Mediterraneo e dintorni è nota, con soddisfazione generale, fin dai millenni pre-greci. Mentre la conoscenza delle lingue ad essa correlate affonda ancora più lontano nel tempo e nello spazio.

Dalla prima fangosità deriva la seconda fangosità, concernente le prospettive. Affermare de imperio che la storia delle lingue tirreniche e mediterranee abbia una prospettiva di soli 2000 anni significa rinunciare a capire l’evoluzione del linguaggio mediterraneo, il quale è arcaico quanto può essere arcaica la presenza dell’Homo in questo bacino. I dati archeo-antropologici confermano la presenza del Neanderthal e poi del Cro-Magnon; e giacché quegli uomini lasciarono dei manufatti, è ovvio che parlassero, che scambiassero informazioni, che dessero i nomi alle cose, alle persone, al territorio, che usassero quindi la lingua, che avessero un vocabolario condiviso. L’idea nichilista ch’essi comunque parlassero lingue inconoscibili è generata dalle stesse pregiudiziali “latina” ed “ariana” su citate: pregiudiziali liquidatorie che bloccano ogni nuova spinta ad una seria indagine etimologica.

In verità, gli uomini mediterranei del Paleolitico parlavano. E parlavano una sola lingua: appunto la Lingua Mediterranea, per quanto essa fosse pluri-articolata secondo l’antichità e il radicamento degli stanziamenti nei singoli ambiti geografici. Questa lingua è perfettamente conoscibile mediante una semplice induzione, che è la seguente: la Scienza Glottologica ha sempre messo in evidenza un fatto elementare, intuitivo, cioè che le prime formazioni lessicali dell’Homo furono essenzialmente monosillabiche. Questa osservazione è così palmare, che tentarne una dimostrazione (peraltro facile) è ozioso. Ebbene, dalle età arcaiche è sopravvissuta, restituita a noi grazie alla riesumazione delle tavolette cuneiformi, una lingua che si articolava proprio a monosillabi: è la Lingua Sumerica, a tutti resa nota tramite vocabolari e grammatiche pubblicati da numerose Università. Quegli scavi, quelle scoperte hanno messo a disposizione dei glottologi odierni “l’altra metà del mondo”. Perseverare a non indagare quanta storia linguistica mediterranea sia ancorata alla lingua cosiddetta sumerica, non è più accettabile.

Infatti lo scrivente non accetta più di perpetuare la muta ostilità (ch’egli per 31 anni ha purtroppo condiviso) a conoscere l’altra “metà del mondo”. Lo scrivente da 16 anni ha cominciato ad indagare in ambo le sponde, ed ha scoperto che la Lingua Sarda è arcaica, aborigena, risale alle origini del linguaggio, e condivide con la Lingua Sumerica assai più della metà del proprio vocabolario. Come si noterà leggendo oltre nonché nel corpo dell’intero Dizionario, la mia scoperta è scientificamente dimostrata e rimane in attesa, se ce ne fossero, di prove contrarie. Come attende prove contrarie lo stesso dizionario egizio, il quale condivide metà della lingua sumerica.

Insomma, si perviene alla dimostrazione che la lingua (cosiddetta) sumerica era parlata ab origine in un’area molto vasta avente perno nel Mediterraneo centrale, ed entro l’ampia circonferenza roteavano già dai tempi arcaici la lingua egizia, le lingue che poi vengono riesumate in Mesopotamia, la lingua di Canaan compreso l’ugaritico, il fenicio, l’ebraico; inoltre la lingua araba, le lingue ad ovest del Nilo (es. il punico), la lingua che ancora oggi sopravvive in Sardegna, le lingue italiche compreso il latino, le lingue celtiche meridionali comprese quelle iberiche.

Questi vasti ambiti vanno considerati per difetto. Ma è uopo fermarsi per capire intanto la ragione di tale vastità. Per quanto in certi rami scientifici nulla possa considerarsi ultimativo, in relazione all’antropologia s’individua agevolmente un primitivo focus della Ursprache mediterranea. Che il focus possa essere l’Altopiano Etiopico o che altri lo pongano in Croazia (come qualcuno recentemente suggerirebbe), la questione non muta poiché si scopre che dal focus ci si è mossi lungo le coste per racchiudere a tenaglia l’intero Mare Nostrum.

Attenendoci alla corrente antropologica che narra della progenitrice Lucy, l’Homo (ed il linguaggio che ancora oggi ci appartiene) discese dall’Altopiano Etiopico lungo il Nilo, e da lì prese a tenaglia le coste Mediterranee, ad ovest verso la futura Cartagine ed alle Colonne d’Ercole, ed oltre in Andalusia, in Catalogna, in Linguadoca. Ad Est mosse verso Canaan e la Mezzaluna Fertile, e da lì lungo le coste anatoliche, ai Dardanelli, in Grecia, Dalmazia, Italia. Chiusa la tenaglia, toccò alle isole centrali del Mediterraneo. Erano tempi di glaciazioni, e l’arrivo in Corsica-Sardegna avvenne con mari bassi e molto transitabili nella direttrice dell’arcipelago toscano.

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