In ogni Carnevale c’è musica, canto, danza. Lo stesso avveniva nelle processioni fertilistiche, per solennizzare i riti di Adone. Durante le cerimonie orfiche erano cantati degli inni propiziatori, dei quali 87 restano raccolti dal Kern. Nell’idillio XV, Teόcrito narra che nel tempio di Afrodite una ragazza dalla voce bellissima canta l’inno ad Adone presso la statua del Dio morente. È la stessa ragazza che nell’anno precedente aveva cantato, uscendo prima dell’alba dal palazzo-tempio, la lamentazione per la morte di Adone.
Le danze per Adone morto dovevano essere particolari. In quanto tali, esse sono trascorse col tempo a connotare integralmente il Carnevale della Sardegna. Peraltro un’eco dei canti e balli delle processioni fertilistiche echeggia anche nella processione dei Candelieri di Sassari, arcaico rito-processione di nove immensi phálloi portati con grande euforia attraverso la città a passo di danza, preceduti dal festoso e arcaico suono del flauto e dal frenetico rullo dei tamburi sonati con ritmi identici a quelli noti nelle feste dell’antica Grecia.
BÌKKIRI. Significa ‘ballo zoppo, sciampitta’. Dolores Turchi1 dà gli elementi antropologici per inquadrare il fenomeno nell’ambito del Carnevale sardo. «Tra le maschere tradizionali, antico retaggio del culto dionisiaco, la vittima sacrificale si muove mimando uno squilibrio deambulatorio. Questo risulta molto evidente soprattutto nella maschera del mamuthone di Mamoiada che esegue una sorta di danza zoppicante. In alcuni paesi in cui il Carnevale tradizionale è scomparso già dall’Ottocento è rimasta la danza che si svolgeva prima del sacrificio della vittima, in genere simboleggiata da un fantoccio arso su un rogo. Questa danza, in paesi come Sarule e Orani, era chiamata “su ballu tzoppu”, a Ollolai “s’indassia”, altrove “bikkiri” o “ballu bikkirinu”, tutte danze caratterizzate da un certo passo claudicante, fatte con compostezza, in silenzio, con lo sguardo perduto nel vuoto. Pur non conoscendone il significato, è presumibile che tali danze simboleggiassero il passaggio della vittima sacrificale dal mondo dei vivi a quello dei morti».
La Turchi ricorda che lo stesso Dioniso ebbe l’epiteto di Búcheros, mentre i Sardi lo chiamavano su bikku e oro ‘il vitello d’oro’ (che secondo lei è poi lo stesso vitello venerato dagli Ebrei quando Mosè salì al Sìnai). Gli abbinamenti della Turchi sono incongrui, perché in sardo biccu significa soltanto ‘becco, beccuccio, spigolo’, e pure ‘brandello di veste’: s’es tota a biccos ‘il tuo vestito pende sciattamente qua e là’. Quindi bikk-’e-oro, a intenderlo nel senso proposto, va visto come paronomasia. Però la preziosa indicazione della Turchi sull’epiteto di Dioniso ci fa sapere che tale lemma era quasi identico in tutto il Mediterraneo.
Chiaramente il residuo sardo di bìkkiri, o bikk-e-oro non può che agganciarsi alle antiche lingue semitiche, essendo mancato in Sardegna l’influsso ellenico. Infatti il lemma bìkkiri, rimasto sinora senza comprensione, ha base nell’akk. beḫēru ‘selezionare; scegliere animali’. Sembra di capire che bìkkiri indicasse in origine l’animale sacrificale (nel caso sardo inquadrato nel Carnevale, ma comunque scelto in tutta Europa e specialmente nel Vicino Oriente durante le cerimonie della Primavera: vedi il capro espiatorio degli Ebrei).
INDASSA, indàssia (Ollolai). Relitto di danza carnevalesca. La vittima sacrificale mima uno squilibrio deambulatorio. Base etimologica è il sum. im ‘pioggia’ + akk. dāšû ‘fiorente’, dešû ‘germogliare’, ‘far fiorire’ la natura, deššû ‘opulenza eccezionale’. Il significato fu quindi ‘(danza della) pioggia che fa fiorire la natura’.
SCIAMPITTA è una sorta di danza di Quartu, oramai relegata alle feste paesane ma presumo che un tempo fosse rigidamente legata ai riti sacri del Carnevale e alle danze fertilistiche di Adone. Oggi la sua rappresentazione non ha alcunché di logico né di magico né di allusivo. Semplicemente, un uomo mascherato viene tenuto saldamente per le braccia da altre due maschere, ed egli si capovolge a mezz’aria, scalciando al cielo freneticamente. Questa è, per i Quartesi, sa sciampitta, una non-danza simile a certe scene della neuro-delirii. In realtà la vera origine della danza, e la sua movenza coreica, ha un senso soltanto se ricondotta al suo modello ancora conservato dai Mamuthones di Mamoiada. Forse è proprio sa sciampitta il nome più arcaico richiamante la danza zoppa dei Carnevali sardi. La base etimologica pare il sum. ša ‘to snap off, rompere con un colpo secco’ o šab ‘articolazione inguinale’ + akk. ittu ‘caratteristica, natura speciale, condizioni ominose’: šab-ittu indicò in origine la ‘(danza) caratterizzata dall’articolazione inguinale’. Insomma, essa si riferiva ancora e sempre al Dio Adone ferito mortalmente all’inguine, che arranca zoppicando verso la sua fine.
1 Lo sciamanesimo in Sardegna 186