ARIANI
Razza Ariana. Ai tempi di Hitler essa comprendeva i Tedeschi e, concessivamente, qualche altro “popolo germanico”. Poi l’infinita “tela di Penelope” dell’Unione Europea, tessuta e disciolta, secondo convenienza, dai poteri forti sia interni che esterni, ha imposto altra espressione, e il termine razza subisce lo sfrego rosso dalla scuola perché scandalosamente sbagliato. S’impone stirpe, o altri termini sempre più vaghi, distillati volta a volta dall’alambicco delle accademie, le stesse che ai tempi di Hitler inneggiavano alla “razza”, secondavano le politiche di pulizia etnica, sorreggendo orgogliosamente le “leggi razziali”. Quante volte abbiamo letto sulle vetrine “questo è un negozio ariano”?
La seconda metà del secolo XX ha impegnato allo spasimo le accademie delle “democrazie” occidentali per riformulare decine di parole politically uncorrect. Pulizia linguistica. Ne è sortito il “teatro beckettiano”, la pantomima dell’assurdo e dell’alienazione, con la schisi tra il sentire e il parlare. Oggi il nostro linguaggio è scrizofrenico, un prodotto disumano imposto da un mondo violento (dove la “Pubblicità” è solo la punta dell’iceberg), il quale demonizza la parola negro sostituendola con l’equivalente nero, mentre in America e altrove i negri vengono assiduamente ammazzati nell’iimmobilità delle coscienze. La schizofrenia spunta anche per operatore ecologico al posto di spazzino; vale per non-vedente al posto di cieco, per diversamente abile al posto di invalido, per signore ( oppure per: scusi…!) al posto di cameriere, e per tante locuzioni imposte col marchio dell’imbecillità.
Vien detto: “Il mondo che abbiamo creato è il risultato del nostro pensiero; non possiamo cambiarlo senza cambiare il nostro pensiero”. Esatto. E allora, signori, cambiate il pensiero, non le parole che lo esprimono! Nessuno ancora capisce che ogni parola ha radici profonde, si è fatta carne nel corso di decine di millenni senza mai mutare; essa non può essere sradicata dalla coscienza perché è nata con la coscienza stessa. Invece un vocabolo nuovo imposto ex cathedra è come l’abito di moda, che i vanesi mutano al mutar di stagione, senza mai mutare la propria anima. Non si vuole capire che il pensiero è un universo arcaico eppure sempre pulsante e presente. Non possiamo cambiarlo inventando parole nuove, quando il nostro animo custodisce già migliaia di modelli, tutti antichissimi, fedeli come sposa castissima, ognuno fattosi carne, che non possiamo estirpare o sostituire senza violare la nostra essenza.
Nostro malgrado, i persuasori occulti irrompono con bieca violenza nel nostro vissuto calando parole nuove che mirano ad alienare il pensiero. Non a caso la gente clinicamente pazza aumenta senza freno. Non a caso i femminicidi giganteggiano ed avanzano impipandosi delle ramanzine della psicologa largite ogni ora in televisione e nei corsi popolari pianificati dalla Polizia.
Per domare le nostre coscienze lorsignori introducono pure i concetti della biologia e dell’antropologia, e rincarano l’impeto assoldando psicologi e psichiatri. Ciononostante, l’animo nostro rimane immutabile da decine di millenni.
Non si vuole capire che razza per se stessa è parola innocua, e persino espressiva, per di più è arcaica quanto la stessa civiltà. Deriva dal sumerico ra ‘puro’ + za ‘uomo’, col significato di ‘uomo puro’. Perché una tale parola dovrebbe far paura? Essa nacque, evidentemente, quando i primi gruppi umani cominciavano a disseminarsi col vēr sācrum, col “distacco sacro”, andando a concretizzare nuovi gruppi e nuove nazioni. Di qui la parola razza, che denota ‘l’insieme degli individui di una specie animale, vegetale che si differenziano dagli altri gruppi della stessa specie per uno o più caratteri trasmissibili ai discendenti’; significa anche ‘suddivisione degli abitanti della terra secondo determinati caratteri fisici, tipici di ogni gruppo’, ‘generazione, discendenza, schiatta’.
Ciononostante, razza è uno dei vocaboli più bistrattati e incompresi dai linguisti i quali, ignorandone l’origine e paralizzati dal politically correct, considerano la formula come “continuazione per aferesi del lat. generatio ‘generazione’”; altri pensano che razza derivi dal lat. ratio ‘natura, qualità, ragione’. I linguisti che si contendono i due campi sono stati Ferrari, Salvioni, Spitzer, Canello, Prati, Contini, Sabatini, Merk (DELI). Sappiamo che questa parola apparì in Italia col maschile razzo, spesso scritto razo (da cui l’agg. raziale, ingl. racial), e lo si credette derivato dal fr. haratz, haras ‘allevamento di cavalli, deposito di stalloni’ (DELI). Anche G. Semerano (FI IX) si è lasciato trascinare da questa deriva, dicendo che il lemma francese aveva la sua discendenza dall’assiro ḫaršâ ‘allevamento di cavalli’, mentre invece ḫaršâ diede corpo esclusivamente all’ingl. horse.
Sin qui abbiamo discusso tanto della voce razza e niente dell’aggettivale ariano, il quale fu imposto sia ai primi invasori dell’India sia ai baldi giovanotti nati in terra germanica, facendo trapelare l’identità tra i due gruppi e quindi rendendo tetragona la narrazione nazista che gli Ariani non fossero altro che Germani.
Prima di proporre la facile comprensione del termine ariano faccio una premessa importante. Per via etimologica (parlo di una etimologia che s’imponga per serietà e concretezza) è possibile stabilire l’originario reale significato dei nomi dei popoli apparsi alla storia come invasori. Almeno su una cosa possiamo infatti convenire: che gli Ariani fossero invasori. Ciò è ammesso universalmente. Di seguito intendo parlare soltanto dei “popoli invasori” (o comunque dei popoli prevaricatori). E posso confermare che nella storia dell’Umanità ogni popolo invasore o prevaricatore fu nominato e tramandato sui nostri libri proprio con l’appellativo della sopraffazione. Vediamo qua appresso un elenco incompleto e le relative dimostrazioni.
1. Gli Ariani sono detti in antico indiano aryàḥ ‘signore, lord, Herr’ (v. tra gli altri DELI I 72); possiamo tradurre l’epiteto anche come ‘dominatore’; ma quest’ultimo è un concetto seriore, più “dolce” rispetto all’epiteto originario. Essendo notoriamente ‘invasori’ (in quanto tali, erano armati), pare congrua per gli Ariani la base eg. åri ‘soldato, chi serve nell’esercito’ + suffisso sum. d’origine –an. Ma nulla osta a sostituire l’eg. åri con l’akk. ḫarû ‘to overcome, vincere, prevalere’. Ed ancora, nulla osta a considerare l’akk. ḫarû come forma già corrotta dello stesso eg. åri. Quindi occorre dare un colpo di spugna a tutte le illazioni relative agli Ariani (ivi compresa l’ideologia “lunare” creata dai Nazisti) poiché l’etimo più consono rimane quello accadico e significa ‘sopraffatori’.
2. Esaminiamo adesso gli Arabi, noto popolo invasore. Furono gli stessi Egiziani (o i sacerdoti egiziani), orgogliosamente consapevoli dei bagliori lanciati dalla propria civiltà, la quale già 5000 anni fa era considerata la più alta e inarrivabile del mondo (vedi Erodoto), a chiamare i Bèrberi stanziati nelle vastità desertiche della Libia ‘quelli senza parola’ (dall’eg. re ‘muover la bocca’ + bu ‘not’: Re-bu), forse perché i Berberi non usavano scrivere. Ricordo che in lingua egizia il bisillabo agglutinato Rebu significò storicamente ‘Libio’ (ossia “africano”). L’etnico (l’appellativo) di Arabi si sposa con quello dei Bèrberi, lo vedremo.
3. L’etnico Bèrbero corrisponde concettualmente (ed anche foneticamente) al gr. βάρβαρος. Non solo, apprendiamo che l’etnico eg. Rebu (‘Libio, Bèrbero’) fu talmente potente da ripercuotersi non solo nel gr. βάρβαρος ma pure in tutto il Vicino Oriente. Infatti anche gli Arabi mantengono nel proprio etnico la stessa parola egizia, che ritroviamo poi nell’akk. ḫarābu ‘essere o diventare deserto’; però disagglutinandola abbiamo ḫa–rābu, ḫa–rēbu, che in eg. significa ‘Invasori analfabeti’, da ha ‘to invade a country’ + Rēbu ‘senza parola’). Quindi va da sé che il concetto accadico di ‘deserto’ è seriore rispetto a quello primamente concepito dagli Egizi.
Rebu è parola autenticamente egizia, lo sappiamo. Fu proprio il popolo egizio a far emergere alla storia i Bérberi (i Rēbu), registrandone le spinte invasive negli “annali” dei faraoni. Gli Egizi ingaggiarono ripetute guerre contro i Berberi, i quali a ondate tentarono d’entrare nel Delta (gli episodi più noti sono le invasioni tentate dai Bèrberi uniti con i Sea Peoples)[9].
4. Bárbaros: scrutiamo più d’appresso questo appellativo. Il termine antico-greco è considerato specificamente “indoeuropeo” anche per il raffronto formale col skr. barbarah ‘balbuziente’; significò primamente ‘non greco, straniero, di lingua dura e incomprensibile’; passò presto a significare anche ‘incolto, incivile, zotico’ e infine ‘crudele’. Ma ricordiamo che Paolo di Tarso lo usò ancora, per i Maltesi, col significato di ‘gente parlante lingua non greca e non latina’. Qualcuno lo apparenta, con evidente difficoltà, al gr. βάζω ‘dico, parlo, discorro’, e con maggiore difficoltà al gr. βαμβακίζω ‘balbetto’. Sembra invece che la base, comune anche al sanscrito, sia stata l’ant. akk. barbaru(m) ‘wolf’. Il lupo era per antonomasia l’animale selvaggio più presente e quindi più pericoloso, ed il suo “parlare” era quantomai differente da quello umano. Originariamente, comunque, il termine oggi noto per barbaro non indicava la ‘parlata differente’, e nemmeno la possibile ‘balbuzie’ connessa all’uso d’una lingua poco conosciuta. Indicava semplicemente il ‘diverso’, lo ‘straniero’, la ‘persona sconosciuta nei suoi usi, nei rapporti socio-culturali’, appunto come può essere il ‘lupo’, animale libero e poco socievole che insidia gli armenti. Semerano (OCE, Dizionario Etimologico Greco 48) ricorda l’origine prima della parola accadica, dal sumero bar-bar-ra ‘straniero’, con la base in bar ‘che si trova accanto, confinante’. In accadico però abbiamo anche l’allotropo ḫarḫaru(m) ‘villano, rozzo, mascalzone’.
5. Ebrei. Una delle guerre di occupazione più note è descritta nel libro di Giosuè. Non a caso pure gli Ebrei nascondono nel proprio etnico il significato di ‘mascalzoni, malandrini’ (cfr. akk. ḫābilu, ḫabbilu ‘criminale, malfattore’, la cui pronuncia egizia è Ḫabiru, il più antico nome indicante il popolo ‘Ebreo’: Mario Liverani: Oltre la Bibbia, 2003).
6. Cabili, Cabilli. L’epiteto degli Ebrei stan in buona compagnia con quello dei Barbaricini in Sardegna, chiamati ancora oggi Cabilli (proprio come gli Ebrei) per la loro abitudine, nel passato, di operare grassazioni ed assalti contro i villaggi della pianura, quelli occupati dai Romani. Lo stesso avvenne con i Cabili dell’Atlante, detti appunto “mascalzoni”. Infatti Cartagine si lamentò più volte con Roma perché le genti di Masinissa (i Numidi, ch’erano bèrberi) scendevano spesso al piano per grassare le terre cartaginesi. Considerata la loro indole ribelle, l’epiteto dei Cabìli fu eternato dagli Arabi, e sino ad oggi il popolo montanaro della Cabilia ha conservato un nome ostico.
7. Barbaricini. Sono gli abitanti delle aree montuose della Sardegna centrale. La radice del loro etnico può essere analizzata pianamente come quella dei Barbari, Bèrberi, Arabi. Quindi anche i Barbaricini possono essere classificati come ‘invasori analfabeti’, poiché, in odio ai Romani, essi rifiutavano la lingua latina (un epiteto carico di odio, non di spocchia). Le assidue bardane – cominciate sin dai primi anni dell’occupazione romana, come ricorda Cicerone Pro Scauro – mosse dai Barbaricini contro i villaggi agricoli di pianura e di bassa collina, furono la causa del secondo membro dell’epiteto Barbari-cini, avente base nell’eg. tcha (leggi ča) ‘to strike down, oppose, resist; abbattere, opporsi, resistere’ + suffisso di appartenenza accadico-sumero-egizio –nu. In tal caso Barbaricini significò ‘Barbari resistenti, Barbari-analfabeti che si oppongono (alla conquista romana)’. Altrimenti disponiamo dell’eg. tchai (leggi čai) ‘to steal, theft; rubare, furto’: in questo caso per Barbaricini dobbiamo intendere ‘Ladri senza-parola’. Ma tchai significa anche ‘diavolo, nemico’: quindi abbiamo ‘Diavoli senza-parola’ o ‘Nemici senza-parola’.
8. Accadi. Tra i popoli oppressori (o comunque invasori) annoveriamo gli Accadi. Esattamente, fu questo l’epiteto che gli abitanti dell’Arabia si erano meritati già 5000 anni fa, in forza della loro millenaria tendenza ad occupare le terre fertili già colonizzate dai popoli stanziali. Furono proprio gli Arabi a soppiantare i Sumeri in Mesopotamia, ed ancora prima che si trapiantassero s’erano guadagnati la nomea di Accadi, dall’eg. aq, aqa, aqu ‘destruction, ruin’ + at ‘harm, violence, wrath; danno, violenza, ira’, ‘evil doer, enemy; malfattore, nemico‘: Aq-at ‘malfattore che arreca morte e distruzione’.
9. I Galli (detti anche Galati) derivano il nome dall’akk. galātu, galādu ‘incubo, terrore; to tremble, be afraid; tremare, aver paura, rabbrividire’. Questa parola antichissima ebbe largo uso nel Mediterraneo e fu certamente alimentata dalle ripetute invasioni dei Celti in Italia, nei Balcani, in Anatolia, dove si forgiò il nome di Galli, Galati. Chi non ricorda il “Galata morente”, copia di Epigono (220 aev.) conservata nei Musei Capitolini? Gia presso i Babilonesi il gallūm era un démone malvagio’ e rappresentava il ‘nemico’ per antonomasia, galtu ‘fearful, che incute terrore’.
10. Anche gli Etruschi ricevettero il proprio epiteto dagli altri (tra di loro si chiamavano Rasenna). Base etimologica dell’etnico Etruschi è l’eg. åṭer (leggi ether) ‘to destroy’ + usha ‘herdsman, pasturer or fattener of cattle’. A quanto pare, gli Etruschi in origine furono esclusivamente un popolo di pastori che s’allargò con azione lenta ma invasiva nel centro-nord Italia, specialmente a nord del Tevere. Se accettiamo l’ipotesi di Massimo Pittau ed altri, che indica gli Etruschi come costola proveniente dalla Sardegna e mossasi forse nel II millennio a.C., l’epiteto pare adeguato.
11. Greci. Lo stesso possiamo dire dei Greci, un etnico da loro sempre ignorato (preferirono quello di Héllenes). Pare che Aristotele considerasse i Graekoi una tribù della Grecia primitiva (Wikipedia). Altra ipotesi è che quest’etnico fosse usato dagli Illiri (ipotesi riportata da DELI, oltre che da Wikipedia). È certo che l’epiteto fu preferito dai Romani, ed essendo molto antico, va da sé che abbia una indiscussa dignità storica. Base etimologica è l’eg. har ‘to oppress’, ḥaå ‘enmity, war, fight’. Il composto significò ‘nemici oppressivi’ (e siamo alla celebre “Discesa dei Dori”).
12. Germani. Tacito, Germania 2, precisa che il termine «Germania è di recente importazione: i primi che, passato il Reno, cacciarono dalle loro sedi i Galli, furono allora chiamati Germani… Così tutti furono chiamati col nuovo nome di Germani, prima per paura, dato che era il nome degli invasori, poi per averli essi stessi fatto proprio» (Ceterum Germaniae vocabulum recens et nuper additum, quoniam qui primi Rhenum transgressi Gallos expulerint, ac nunc Tungri, tunc Germani vocati sint: ita nationis nomen… ut omnes primum a victore…).
Conosciamo bene questo popolo che diede filo da torcere ai Romani. Quindi è possibile che la base etimologica possa essere, stando al suggerimento tacitiano, l’akk. gērum ‘ostile’ + mān ‘companion, compagno d’arme’. Quindi Germani significò ‘guerrieri stranieri ostili’: nome inizialmente celtico.
13. Ungari. Questi invasori provennero dall’Asia centrale nei secc. IX-X, e con parola gotica furono chiamati ‘I Famelici’. Cfr. infatti got. huggrjan (leggi ungrian) ‘aver fame’ = ted. hungern, ingl. hunger ‘fame’, ags. hungor, hungur, aat. asass. hungar, afris. hunger, ol. honger; norr. hungr, dan. sved. hunger. Di questi termini germanici s’ignorò l’origine. Eppure la base etimologica è semplice da reperire: è il sum. ḫunu ‘to be weak, helpless’ + GARUD ‘bread’. Il composto ḫun-garud in origine significò ‘senza speranza di mangiare’.
14. Alamanni. Una delle prima nozioni sugli Alamanni fu il cognomen che Caracalla volle per sé: Alamannicus. Si sa che in origine erano un’alleanza di tribù germaniche, tra cui Catti, Naristi, Ermunduri, Iutungi, parte dei Semnoni, stanziate attorno alla parte superiore del fiume Meno. Nient’altro può arguirsi su questi guerrieri, chiamati in tal modo dal sum. ala ‘demon, essere malvagio’ + man ‘companion’. Il composto in origine significò ‘guerrieri indemoniati’.
15. Russi. Un forte dubbio sorge a proposito di questo popolo il quale – stando alle prevalenze morfologiche degli attuali abitanti – si presume di razza originariamente caucasica, perciò europea. Ma andiamo con ordine. Rùssia (territorio) = РОССИЯ, Russo (aggettivo) = РУССКИЙ, Russa (aggettivo) = РУССКOЙ. Noto che gli aggettivi “russo”, “russa” hanno esiti fonetici mediterranei: con alfabeto latino abbiamo: russkij, russkoj, con suffisso –kij, –koj. Nessun dubbio che il suffisso femminile sia identico a quello di Africa (parola mediterranea), la quale in arabo è detta Iifriqia, aggettivale in –a dal sumerico ki ‘terra, territorio’.
Nella lingua mediterranea gli esiti dei suffissi sono tra loro uguali, salvo il fatto che essa mantiene saldi legami con lo stato costrutto semitico, per cui il suffisso –co, –ca è introdotto dal legante –i-. Quindi dal lat. pudeō ‘ho vergogna’ > pud-ī-cus ‘che mostra vergogna’; it. antipàt-i-co (dal gr. anti-path-i-kós), gr. mágos > mág-i-kos. Così pure nel sd. -icu, –igu, –iga (suffisso di qualità: cfr. sum. igi ‘qualità, quality’.
Basta poco a scoprire l’origine comune (sponda Sud) di tanta parte del linguaggio europeo. In ogni modo, torno all’origine del radicale Rus’, sul quale serve ampliare la riflessione. Se la primitiva genia russa fu indiscutibilmente di razza caucasica, dobbiamo ammettere che la seriore commistione con razze mongoliche è storicamente evidente, almeno nei territori che dal Volga si perdono verso Est. Ciò è segno che il baluardo europeo degli Urali potè essere superato ad libitum dai “Popoli dell’Est”: basterebbe citare Attila e Tamerlano.
I Russi così chiamati appaiono alla storia intorno al periodo di Carlo Magno e risultano i fondatori di Novgorod prima e di Kiev poi. Facile pensare che in precedenza i Russi non fossero altro che Popoli delle steppe (dobbiamo pensare inzialmente ai Cimmeri, poi noti come Sciti: Erodoto). Potremmo supporre pure arcaiche commistioni con i “Popoli della taiga” e, perché no?, con i popoli provenienti dai vasti territori finnici.
Scaturisce opacità dall’arcaica mobilità di questi popoli pastorali, che non furono mai propriamente stanziali perché abituati a sentirsi “a casa” tra gli smisurati spazi delle pianure fluviali. Ciò non aiuta ad etimologizzare l’etnico. Però non c’è problema ad accettare Rus’ come l’etnico che infine prevalse, adottato autonomamente da un popolo ch’era ampiamente catalogato quale invasore. Tutto sommato, questo è lo stesso fenomeno dei soprannomi, i quali furono inventati da gente estranea al nucleo familiare, ma spesso furono adottati dal nucleo familiare come cognome, per essere meglio riconosciuto nel villaggio.
Stanti così le cose, rimane aperta la questione se il nome Rus’ sia nato propriamente nel territorio al centro-nord dell’Europa o – come spessissimo accade – sia un nome proveniente da altre zone, specialmente dall’amplissima zona Sud, la più abitata e – specie ai tempi dell’impero di Bisanzio – la più “civilizzata”, quindi la più autorevole nell’attribuire gli epiteti.
Sembra congrua la base eg. ruu ‘to frighten away, spaventare’ + shu (šu) ‘to rise up, sollevarsi, insorgere’, ma anche ‘shade, shadow, ombra’; oppure shuā (šuā) ‘to kill’. S’indica quindi la radice di Rus’ nell’eg. ruu–šuā ‘assassini che terrorizzano’.
16. Goti. Detti pure Gotones, furono nominati in tal modo dai popoli limitrofi, evidentemente dopo ch’essi, avendo attraversato il Baltico, risalirono il corso della Vistola durante il periodo imperiale, respingendo con tutta evidenza i popoli che ci abitavano. Il proprio etnico si basa sul sum. gud ‘to jump on, attack’. Secondo la nomea prevalente degli Ariani, furono nominati anche ‘guerrieri’, sempre da gud, che significa pure ‘hero, warrior’. L’altro etnico Gotones deriva dal sum. gud + una ‘wild’. Pertanto gud-una significò ‘invasore selvaggio’, ‘guerriero selvaggio’.
Come si può notare, non c’è popolo invasore che non abbia ricevuto il suo bravo epiteto a causa delle sopraffazioni etniche da lui prodotte. Gli Ariani scesi nella pianura dell’Indo provenivano quasi certamente dall’attuale Iran, o dall’Afghanistan. Quanto ai ghiacci da cui erano sortiti, bastano e avanzano quelli del vicino Hindu Kush. E, se volessimo indugiare sul colore della loro pelle (come a molti piace fare), non c’è ragione per dipingerli biondi con occhi di gatto (secondo il mito della “discesa ariana”) ma dobbiamo vederli realisticamente come gente di razza caucasica, quella che stava più accosta all’India, quella che generò gli stessi Persiani e gli Afgani. L’invasione dell’India avvenne, com’è opinabile, all’inizio della civiltà neolitica. Le troppe elucubrazioni fatte sul Ṛgveda, nel tentativo di stabilire razza e tempi degli invasori, non hanno mai beneficiato di addentellati scientifici.
Va da sé che oggi (anzi da 200 anni) la Linguistica Comparativa viene strangolata da teorie che l’azzoppano, che ne rendono impresentabili e indimostrabili certi risultati. In questo libro sento il dovere di denunciare quelle teorie poiché nel mondo sta montando una domanda corale di chiarezza. È giunto il momento di chiedere prove adamantine a molti cattedratici.