Gli scopritori della scienza antica – Astronomia Costellazioni

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Da tutto quanto precede in questo capitolo relativo all’Astronomia e alle Costellazioni, si noterà che non ho considerato gli aspetti delle misurazioni astronomiche e degli “allineamenti” tra nuraghi e costellazioni, tra fonti sacre e pianeti. Beninteso, gli stimoli a procedere in questa direzione, prodotti da vari autori, sono sufficienti a destare una gran voglia di sapere. Ma essi non sono alla mia portata, e cedo volentieri il campo alle ricerche altrui, sia a quelle che provengano dalle Università sia a quelle – molto più numerose – che si stanno svolgendo fuori delle accademie.

1. Tra gli studi extra accademici, è fortemente suggestivo quello di Piero Piscedda relativo alla celebre Pintadèra di Santu Antìne, da lui presentata come un “calendario nuragico con istruzioni per l’uso”. Le considerazioni fatte da questo studioso privo di laurea specifica sono – secondo come le vogliamo capire – o millimetricamente azzeccate (quindi il prodotto di un geniaccio “self-made”), oppure sono da vedere come una minuziosa e cervellotica elucubrazione di un appassionato, la quale parte da buone letture, ossia dalle acquisizioni degli astronomi attuali sul firmamento attuale, per proiettarle a ritroso e farci credere che gli antichi Babilonesi (e con essi gli astronomi Šardana) ragionassero alla sua maniera (il Piscedda-pensiero), e quindi fossero in grado di sintetizzare in uno strumento fittile o ligneo, tascabile e perfettamente maneggevole, una quantità notevolissima d’istruzioni, ognuna valida, volta per volta, sia per misurare il corso del sole, sia per misurare il corso della luna, sia per stabilire esattamente la lunghezza dei singoli mesi, sia per stabilire i mesi lunghi e quelli corti, sia per stabilire la scadenza esatta del susseguirsi delle stagioni, sia per stabilire gli anni bisestili, sia per stabilire il corso di ciascun pianeta, sia per stabilire i momenti delle intersezioni tra pianeti e zodiaco, sia per stabilire le eclissi di sole e di luna, e tanto altro. A dirla in modo diverso, la celebre Pintadèra (divenuta anche lo stemma di una Banca) sarebbe una sorta di computer portatile, estremamente rimpicciolito, col quale 4000 anni fa gli astronomi precursori di Galileo e Keplero – evidentemente già padroni di tutte le leggi dell’Universo – stabilivano all’istante la conoscenza di ogni e qualsiasi momento astrale capace di dettare ogni sorta di nozione relativa al firmamento nonché alla vita comunitaria dell’uomo. Personalmente mi astengo dal dare un giudizio sulle fatiche del Piscedda.

2. Un altro studio extra accademico è intitolato Monte d’Accoddi, prodotto da Eugenio Muroni. Da questo lavoro, molto più semplice del precedente, apprendiamo che le linee colleganti gli spigoli (i vertici della proiezione ortogonale), nonché gli angoli geometrici, del celebre ziqqurat di Monte d’Accoddi hanno tra di loro gli stessi rapporti (quindi costituiscono la medesima figura) che misuriamo nella costellazione della Croce del Sud. Dalle misure astronomiche moderne, sappiamo che 5-6000 anni fa la croce del Sud era visibile da Monte d’Accoddi. Però Muroni non ha risposto alla domanda: “perché i pre-Nuragici vollero dare allo schema del proprio ziqqurat la figura della Croce del Sud?”; “qual era la profonda ragione astronomica, o religiosa, che impose ai costruttori di questo ziqqurat le stesse misure di quella costellazione e non, per dire, di un’altra?”. Anche qui, come per la fatica del Piscedda, mi astengo dal giudizio.

3. In Sardegna sono ormai numerosi gli archeologi non-accademici (ed archeologi extra-Sovrintendenza Archeologica) che scoprono un “allineamento” tra un nuraghe (o fila di menhirs) con una delle tante costellazioni visibili attualmente, senza dare conto, però, che 4000 anni fa quella costellazione non aveva l’allineamento che ha oggi, quindi non aveva relazione con quel monumento; senza dare conto che a quei tempi quella costellazione era altra cosa (nel senso che non raggruppava le stelle attuali, poiché gli astronomi “ritagliavano” altre figure nello spazio siderale, davano altri nomi, non importa quali), e di quel processo il ricercatore attuale non sa dare alcuna spiegazione; principalmente questi “archeo-astronomi” non danno conto delle ragioni che allora avrebbero postulato un allineamento. Ossia, non ci spiegano per quale ragione ci fosse bisogno di un dato allineamento: forse per dare sacralità a un monumento?, o per adottare una costellazione totemica a protezione della tribù, del villaggio, degli eroi ivi sepolti? Anche su questi “ricercatori” il mio giudizio resta inespresso.

4. Discorso diverso può meritare l’osservazione della Luna. Che la Luna sia stata contemplata e venerata fin dalle origini della civiltà, è testimoniato da un cumulo di dati linguistici, antropologici, etnologici, archeologici che dimostrano, inequivocabilmente, una dimestichezza plurimillenaria dei Terrestri col loro pianeta. Anche in Sardegna sono schiaccianti i dati attestanti il legame con la Luna, vista anche come Dea Mater Universalis, dea avente un’ambigua natura Ying/yang, recettrice del Seme fecondatore (la pioggia) ed a sua volta dispensatrice – tramite le acque di vena – del Seme fecondatore che fa vivere l’uomo, gli animali e – tramite le irrigazioni – le messi e le frutta.

L’astronomo Arnold Lebeuf, professore all’Università di Cracovia, ha pubblicato un libro1 molto serio e molto accurato, i cui risultati confermano scientificamente le intuizioni espresse dagli studiosi sardi Zedda, Maxia e Proverbio e dal veneziano Laner sul pozzo di santa Cristina. «Se vogliamo trovare il più antico antenato dei moderni planetari, la torre di Avignone non arriva affatto al primo posto e ne è ben lontana, dato che S. Cristina la precede di più di due millenni e mezzo, e probabilmente quest’ultimo non fu che il risultato tecnicamente perfetto di una tradizione locale ancora più antica» (Lebeuf, p. 126). Egli premette una lunga lezione per dimostrare che la misura del mese lunare sinodico, dell’Eclittica, della longitudine dei nodi dell’orbita della Luna sull’eclittica, della stessa linea dei nodi, del tempo di rivoluzione della Luna da un nodo allo stesso nodo, richiedono calcoli molto più complessi di quelli relativi ai movimenti del Sole e dei pianeti solari. Calcoli che – in tutta evidenza – i Nuragici erano riusciti a fare perfettamente.

Considerato che il periodo di rivoluzione dei nodi lunari attorno all’eclittica è di 18,61 anni, Lebeuf dimostra che il pozzo sacro di S. Cristina fu costruito 3000 anni fa non solo per dispensare al popolo acque curative e medicamentose, ma principalmente come perfetto strumento di testimonianza, e misurazione plurisecolare, di tale rivoluzione. Nelle 217 pagine del libro Lebeuf dimostra scientificamente l’assoluta perfezione di questo “osservatorio lunare”, nel quale ogni pietra, per essere sovrapposta all’altra in una determinata forma mediante collimature millimetriche, fu scalpellinata e allisciata per parecchi mesi. Fatto che dimostra un lavoro collettivo decennale, prodotto da maestranze altamente specializzate guidate da ingegneri-astronomi muniti di una cultura d’irraggiungibile spessore, nella quale la conoscenza matematica ed astronomica attingeva a vertici altissimi, ancora oggi inspiegabili.

Questo titanico mistero fa il paio col titanico mistero di Su Crutzifissu Mannu, e dimostra quanto miserevole, al confronto degli antichi, sia la cultura scientifica sinora ricuperata dagli studiosi attuali.

1 Il pozzo di Santa Cristina un osservatorio lunare, Tlilan Tlapalan, Cracovia, 2011

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