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L’indagine sui vari popoli sardi dimostra che tali genti non furono generate dal seme di antiche armate d’invasione ma da pacifiche tribù autoctone, montanare e litoranee (tra queste ultime Karénsioi, Šardana, Fenici). Logica vuole che pure i nove nomi di Dio, lungi dal costituire un pantheon (un sistema politeistico) accattato o imposto dall’esterno, siano stati un fenomeno monoteistico concresciuto, generato dalle viscere della civiltà sarda.
Se questa asserzione merita di assurgere a verità, come dimostrerò nella discussione, allora è possibile dimostrare che i nove nomi di Dio non sono altro che la descrizione dei vari aspetti (tutto sommato pochi) coi quali Dio si manifestava al suo popolo. Che il nome di Dio non sia uno soltanto, è un fatto normale in ogni civiltà. Non dimentichiamo che gli stessi Ebrei, portatori di monoteismo, ebbero a gestire almeno quattro nomi di Dio (YHWH, Elohim, Adonai, Shaddai), oltre al nome della paredra Ištar, chiamata propriamente Ašerah.
ANI. Andando in ordine alfabetico, osservo che nel Campidano (ad es. a Quartu) è così chiamato san Giovanni (santu Ani). La persona chiamata Giovanni viene invece detta Giuánni. La differenza non può essere spiegata con ragioni di eufonia, di contrazione all’incontro di due parole, di sandhi. Il parlante crede inconsciamente che santu Ani sia l’effetto di un troncamento eufonico da scrivere esattamente sant’Uáni, ma non è così. Ammesso che lo fosse, sarebbe da spiegare perché *Uáni appaia soltanto collegato a santu, mentre non appare nella normale catena parlata, e nemmeno negli appellativi del tipo tzíu Giuánni ‘zio Giovanni’.
In realtà, santu Ani è un relitto nominale riferito al dio sumero An (il Dio sommo del Cielo, espresso quasi sempre dal dio Sole, con base etimologica nel sum. an ‘luce, splendore’), poi divenuto Anu presso i Semiti. Fu impegno dei preti bizantini “aggiustare” foneticamente il fenomeno, trasformando il dio Anu in san Giovanni, il quale non a caso viene celebrato il 24 giugno, al massimo dello splendore dell’astro. Si badi che gli Egizi per An, Ani indicavano il Dio-Luna. Anu peraltro sopravvive in Sardegna proprio in questa forma, e appartiene a un cognome che i Bizantini non ebbero il potere di far sparire dalla storia linguistica.
BABÁY termine che forse dovrebbe scriversi Baby (v. Meloni SR); è uno degli appellativi del Sardus Pater venerato nel tempio punico-romano di Antas. SG 446 lo dà come termine shardana ’b’ab-y. C’è del vero in quest’asserzione, anche se la ricostruzione è lambiccata.
Babay è voce shardana ancora viva nel sardo antico e attuale babbu, babbáy, con tutte le conseguenze del caso. Vedi dunque a questa voce. Va osservato che Babay o Baba (chiamata anche Nintu o Geštinanna, principalmente Ninkhursag) è una grande divinità femminile sumerica corrispondente alla Inanna di Uruk e di altri centri come Nippur. Era la grande dea madre che presiedeva alla fecondità universale dell’umanità, delle greggi, dei campi, ma nella cui personalità, forse particolarmente in alcune città importanti quale Uruk, sono presenti rilevanti aspetti astrali. Da questi ultimi dipendono le connessioni con Anu e soprattutto l’identificazione con la stella del mattino e del tramonto.1 Baba era dea principale anche a Lagash, altra città sumerica, dove all’inizio della primavera era onorata per diversi giorni. Nell’età neosumerica a Lagash essa si festeggiava anche all’inizio dell’autunno; per assicurare la fecondità universale c’erano le nozze sacre tra il grande dio della città e Baba in un’unione che effettivamente veniva consumata dal re con una sacerdotessa.
Notisi la strabiliante trasformazione di questo appellativo, inizialmente femminile, che poi è arrivato a denotare una entità maschile, ivi compreso l’appellativo che ancora oggi rivolgiamo al genitore.
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