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GIÓGLI. A fronte di questi reperti etimologici appena sciorinati, sembra oramai appianato e limpido che il celebre fantoccio portato al rogo all’acme del Carnevale sardo, ossia Giógli, ha la base etimologica identica a quella che abbiamo visto per Gioèle.
Infatti anziché la base fonetica proposta ( יואל , pronuncia Yo-El) possiamo usare indifferentemente le forme apofoniche Yoḥ-Eli, che nella pronuncia sarda diviene automaticamente Yoḥ-Eli > Giògli, un arcaico nome santo che racchiude il più antico nome di Dio, ossia El, abbinato a quello di Yhwh, col significato di ‘Yah[wh] è El’, ossia ‘Iaccu è proprio Dio!, è Dio medesimo!’. Esso è un arcaico nome nato ai tempi in cui si cominciava a identificare il nome del Dio siro-mesopotamico (El) col nome del Dio del deserto (Yḥwh). E rieccoci nel pieno della tradizione ebraica, ma trapiantata (o autoctona) in piena terra di Sardegna!
LUNA è il quinto nome del Dio Unico sardiano: anch’esso peraltro condiviso in tutto il Mediterraneo e nel Vicino Oriente. Oggi per noi quell’antico termine indica banalmente la ‘luna’ in quanto materia cosmica. Wagner rimase stupefatto della bellezza poetica dell’espressione lunas de sabone ‘bolle di sapone’. Ma egli non indagò la causa di quel termine identico in tutto il Mediterraneo (salvo allacciare il lemma sardo alla solita idea coloniale di cui tutti i linguisti sono invaghiti (sardo luna < lat. luna, it. luna). In realtà la base etimologica è il sumerico lu ‘divampare’ + nu ‘creatore’, nu ‘sperma, genitali maschili’, col significato di ‘(Padre) creatore luminoso’. Presso i Sumeri la Luna era un Dio, non una Dèa, ed era considerato il Dio fecondatore dell’Universo. Insomma, scopriamo che non dall’Urbe proviene questo magnifico vocabolo sacro, ma ne scopriamo la natura autoctona, condivisa da parecchi millenni nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente.
Considerata l’arcaica antichità dei cognomi sardi, tra quelli riferiti alla Luna c’è pure Musìli, cognome che fu un termine sacro sardiano, con base nel sum. Muš ‘dio della Luna’ (SLCN 318) + akk. Ilu ‘Dio’, col significato di ‘Dio-Luna’. Cfr. sum. muš ‘faccia, apparenza’ (con riferimento all’aspetto del dio).
MERRE è il quarto nome del Dio Unico sardiano. Per discuterlo e capirlo dobbiamo collegarlo proprio al già discusso Iaccu, Santu Jacci, Santu Jaccu. Merre è interpretato da Barreca CFPS 42 come “il Dio Padre universale, presente nell’acqua di vena”, Fecondatore della Dea Madre Terra o Potnia mediterranea. Nel 1861 a S.Nicolò Gerréi in località Santu Jacci (rieccoci!) fu individuato un santuario punico di Eshmun a pianta rettangolare, edificato in blocchi di grandi dimensioni messi in opera a secco. Nell’ambito del santuario si rinvenne una base di colonna in bronzo con iscrizione trilingue (punica, latina, greca) della prima metà del sec. II a.e.v., redatta da Cleone servo dei soci alari, evidentemente delle saline di Karali, ed intestata ad Eshmun-Aescolapius-Asklepios, definito Merre, che secondo Barreca CFPS 315 è «termine del substrato mediterraneo, probabilmente significante ‘maschio’, attribuito a una divinità indigena interpretata dai punici come Eshmun». In fenicio mrr ‘significa ‘forte’, ‘esprimere forza’ (riferito a Ba‛al, il dio unico dei siro-fenici). E così siamo al Kyrios greco.
In sumerico Merre è riferito esplicitamente a Dio Unico Onnipotente: me ‘essenza divina che determina l’attività del cosmo’ + re ‘quello’ (Me-re ‘Quello della Prima Essenza, l’Edificatore dell’Universo’).
Il campo semantico che c’interessa è proprio quest’ultimo: Merre è il Dio Supremo. Da non dimenticare comunque che il dio semitico Mer, attestato nell’età accadica soprattutto nell’onomastica, figura come dio minore, e fu poi adorato principalmente presso gli Amorrei, i semiti nord-occidentali.2 Questa attenuazione della titolatura, riferita poi a Eshmun-Esculapio, non deve indurci a sminuire il fenomeno. Anzitutto ricordo che da Merre deriva il camp. mere, meri ‘padrone’, ‘signore’, il quale è la spia che nell’antichità della Sardegna la forma sumerica relativa al Dio Sommo Onnipotente non tramontò mai. Ma questa è soltanto l’anteprima.
Mi chiedo adesso perché questo tempio eretto in onore del Dio Unico Universale (la Prima Essenza) si trovasse in una località chiamata Santu Jacci. A mio avviso, il termine Santu Jacci (inteso banalmente come ‘San Giacomo’) è una paronomasia indotta, ossia una storpiatura voluta dal clero bizantino per obliterare la tradizione del Dio Unico dei Sardi, il quale veniva pure chiamato, con un termine noto anche agli Ebrei, IḤWH (pronuncia Jaḥuh e non Jahvè, come si sostiene con insulsa ignoranza da parte di molti linguisti nonchè da parte dei Testimoni di Gèova). Il clero bizantino, operando allo stesso modo per tutti gli altri nomi ed epiteti di Dio esistenti in Sardegna, fece intendere, col tempo, che Jaḥwh non era altro che san Giacomo. La stessa forzatura si nota presso gli Ispanici col loro sant’Jago (a Compostela), per quanto sia noto che le ossa di Giacomo l’Apostolo riposano nell’omonima chiesa del quartiere armeno di Gerusalemme. In Sardegna il fenomeno di Jaḥwh era così profondo, che il nome indicante il Dio Sommo e Unico rimase anche nel cognome Giágu. Peraltro tale nome sacro non poteva essere negletto, poiché esisteva già in antico accadico: yāku, ayya(k)ku, eyakku, genere di santuario riservato alle dée, specialmente quello del quartiere di Eanna ad Uruk, dov’era il santuario di Inanna o Ištar. Santu Jagu, Jaccu, Jacci, e il suo collaterale Merre, è quanto rimane oggi della vertiginosa idea dell’Unicità del Creatore, che i Sardi conservano fin dalle più remote età sumeriche, e che poi condivisero con gli Ebrei via via emigrati nell’isola dal 1000 a.e.v. Con tutta evidenza, i Bizantini non riuscirono a obliterare dal sito del tempio il nome dell’Altissimo, ma ebbero la forza, col passare dei secoli, di “santificarlo” (santu Iaccu è una “santificazione” ben riuscita, un declassamento portato magistralmente a segno; ciò riuscì bene in tutta l’isola, ovunque s’adorasse il Dio dei Sardi). Se oltre alla tradizione orale del toponimo di S.Nicolò Gerrei (Iaccu) abbiamo scoperto Merre scritto alla base di una colonna, è solo perché all’occhiuto clero cristiano era sfuggito quel nome scritto tanto in basso.
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