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I Pani della Sardegna
- Per una storia dei pani della Sardegna 1
2. Etimologie dei pani, ripartiti secondo l’uso antico 3
2a. I pani della Sardegna e il sacrificio cruento 3
2b. Capodanno solare ed equinoziale 6
2c. Riti della produttività 9
2d. Ghirlande, corone, diademi 10
2e. Collane delle prostitute sacre 11
2f. Festività (e certe ricorrenze) 12
2g. Morti, Ricorrenza dei defunti, Moribondi 15
2h. Matrimoni e occasioni correlate 18
2i. Pani giudaici 22
2l. Quaresima 23
2m. Pasqua 24
2n. Strumenti musicali 25
2o. Pani processionali 25
2p. Pani imitanti fiori, frutta (e animali) 26
2q. Provvista per i poveri 27
2r. Per i bambini 27
2s. Per i cani 28
2t. Pani-dolci (in origine) 29
2u. Pani giornalieri 30
2v. Pani settimanali 34
2z. Pani di lunga durata 36
3. Su Pani de is Bagadíus 37
3a. I Riti di Adone 38
3b. I Misteri Eleusìni 42
4. Il grano 44
4a. Scheda tecnica del grano 44
4b. Antichi cereali della Sardegna 45
4c. Breve vocabolario della panificazione 46
5. Materiali, strumenti 52
6. Otto nomi di pasta 53
7. I nomi dei dolci, loro etimologia 54
1. PER UNA STORIA DEI PANI DELLA SARDEGNA
La ricerca sul pane della Sardegna parte dal poco materiale scritto. I libri pubblicati (v. Bibliografia) sono per lo più contenitori d’immagini, mentre l’analisi antropologica non è cospicua ed in più è cristallizzata su un numero limitato e “sigillato” di fonti documentarie, che blindano la visuale entro un campo diacronico ristretto e “provinciale”. La ricerca storica è quasi assente, quella linguistica, sino a ieri, era zero.
Ad osservare i risultati delle etimologie, possiamo affermare che le sovrapposizioni imperiali romane e seriori non hanno influito sui nomi dei pani sardi e sulle loro forme, se non nel periodo catalano-aragonese, che però fu soltanto un periodo di isolamento e scompiglio semantico, non di nascita d’altri vocaboli. Stante l’arcaicità dei nomi dei pani sardi, non è il caso di tentare maldestre attribuzioni di nomi e fatture ai Catalani o agli Aragonesi, come già si è tentato, infelicemente, con i vini ed i vitigni.
Gabriella Pinna (PPSMO), attingendo da Vittorio Angius, ricorda che 180 anni or sono la confezione del pane avveniva ancora con farina d’orzo nei paesi della Barbagia (infatti nelle montagne il grano cresceva poco e male); rarissime confezioni avvenivano con l’Erba Medica (Campidano).
Nell’area cagliaritana il pane era migliore per candore e per gusto, perché c’era la massima quantità di grano. Nel settentrione dell’isola s’usavano le schiacciate, focacce larghe ma sottilissime, ch’erano biscottate e conservate a lungo (quindi è un topos l’idea che la schiacciata sia pertinente soltanto a su pani carasátu). A Nuraminis il pane era cotto per l’intera settimana. A Tempio era fatto con tre tipi di farina, la più scadente delle quali risultava “ancora di notevole bianchezza”. A quei tempi (ancora oggi) il pane era offerto agli ospiti ed ai poveri per la festa principale del paese: così a Baunéi, Gáiro, Osìni, Sorradìle, Oristáno, Olzái, in Barbàgia, in Ogliastra. In occasione delle nozze a Galtellì un pane scelto era il contraccambio dei doni portati dagli invitati. A Muravera un grosso pane fine, artistico, era portato dallo zampognatore (suonatore di launèḍḍas) pendente da un nastro a tracolla, mentre precedeva gli sposi diretti alla casa nuziale. Ad Abbasanta per gli sponsali erano donati pani artistici al prete e alle famiglie dello sposo e della sposa. Ad Oschiri per il Giovedì Santo e per l’ultimo giorno dell’anno si panificava molto grano per distribuire pane dopo i sacri riti. In occasione della prima Messa dei nuovi preti a Chiaramonti erano offerti canestri di pane bianchissimo artisticamente lavorato. Per la commemorazione dei Defunti il pane era distribuito ai poveri a Chiaramonti, Oschiri, Siniscola.
Quanto si evince dall’Angius sono degli spot “a volo d’uccello” che rilasciano una quadro sufficiente delle tradizioni panificatorie sarde e sulle finalità della panificazione. Per contro, questo scenario è troppo generico e discontinuo: non aiuta a costruire un attendibile canovaccio della fenomenologia del pane in tutta l’isola. In ogni modo, quelle notizie “a macchia di leopardo” lasciano intuire quanto fosse ricca e importante la panificazione in ogni villaggio 200 anni fa.
I pani sardi resistono alle facili catalogazioni. Possiamo tentare malamente, all’ingrosso, di catalogarli per settori macro-geografici. Quasi tutto il nord-Sardegna è caratterizzato dall’uso di un pane circolare e schiacciato, diametro medio 30-40 cm e circa 5 mm di spessore, morbido, senza mollica, facilmente suddivisibile in due sfoglie. Conosciuto in italiano regionale come spianata di Ozieri ha nomi locali diversi che talora ne richiamano l’aspetto (pane fine), talora la farina usata (pane e pòḍḍine).
Il pane croccante e sottilissimo (mezzo millimetro), oggi conosciuto – per impropria estensione del nome – come pane carasáu, in italiano carta da musica, fu esclusivo dell’area centrale, in particolare del Nuorese e della Barbagia, dove presenta la tipica forma circolare o ovale (quest’ultima viene poi piegata in due fogli); altre varianti leggermente più spesse sono chiamate fresa (circa 1 mm; ma in parecchi paesi, es. Ovodda e Fonni, la fresa è il pane più fine in assoluto); ancora più spesse, e rettangolari, sono le forme schiacciate dell’Ogliastra (pistoccu). In tutti i casi si tratta di pane lievitato che dopo una prima cottura viene suddiviso in due sfoglie e reinfornato. Pane di lunga conservazione, era principalmente il pane dei pastori erranti, destinati a stare fuori casa sei mesi per due volte all’anno.
Nella variante di semola e fior di farina, il pane era provvista delle famiglie benestanti, mentre nelle varianti di cruschello (kivarzu) e di farina d’orzo era il pane dei meno abbienti, della servitù, dei pastori nella loro permanenza negli ovili o durante la transumanza.
Pani croccanti, biscottati ma non sottilissimi, si trovano in varie altre zone, ma per uso alternativo e stagionale. Piatta, dura, alquanto spessa è la “galletta” dei pescatori (S.Antioco, Carloforte).
Altre forme morbide e piatte, non omologabili alla spianata di Ozieri,sono presenti in molte zone: pane fine spesso circa 1 cm, con vari nomi.
I pani grossi offrono, anche a livello di produzione non festiva, differenze di forme, decorazioni, tecniche di lavorazione, denominazioni, specie nel sud-Sardegna.
Anche le stagioni che comportano disponibilità di certi alimenti (ciccioli, olive, pomodori, ricotta, patate, cipolle) incidono sul ciclo del pane, col quale vengono impastati. Oggi in Sardegna annoveriamo paesi che hanno soltanto uno-due tipi di pane (sono quelli stanziati in montagna, come Sadali); altri paesi producono qualche forma in più, mentre altri arrivano talora a cinque, dieci, quindici, persino a quaranta forme; e non è detto che ci sia tanta differenza tra le aree granarie e quelle non-granarie. Ad esempio, Tresnuraghes ha 40 tipi di pane, nonostante la vocazione agro-pastorale.
Da ciò s’arguisce che le oltre duecentosessanta denominazioni elencate nel presente lavoro, nel mentre che acclarano la ricchezza della tradizione pastaria della Sardegna (nota non solo in epoca punica e romana ma pure – vicino a noi – in epoca spagnola, e come tale celebrata per tutto il Regno di Napoli, al quale perveniva il meglio delle farine e della pasta sarda), acclarano anche la disomogenea affermazione dei pani, una dispersione puntiforme, nel migliore dei casi cantonale, con nomi e forme differenti, sconosciute nei villaggi o nelle sub-regioni limitanee in virtù delle vicende storiche che hanno fortemente cantonalizzato l’isola, impedendo stabili collegamenti.
2. ETIMOLOGIE DEI PANI, RIPARTITI SECONDO L’USO ANTICO
La catalogazione di un certo numero di pani sardi aventi un solo nome, una sola forma e, talora, una sola destinazione, è alquanto rara. La catalogazione della maggioranza dei pani è laboriosa poiché in più subregioni hanno nomi diversi a parità di forme, o parità di nomi ma forme diverse.
Le differenze nella forma, nell’uso e nei nomi sono dovute all’eccessiva cantonalizzazione dell’isola, specie nel centro-est, per la miriade di gole e sprofondamenti. In epoca catalano-spagnola la base geografica fu facile modello per il sistema feudale, che sulla parossistica parcellizzazione dell’isola fece insistere tanti cantoni non-comunicanti, entro i quali inaudite violenze sociali furono perpetrate (compreso il divieto di usare il forno familiare), portando il popolo a condizioni di abbrutimento; mercé gli Spagnoli giunse a compimento la millenaria frantumazione linguistica avviata ab antiquo e protratta nel Basso Medioevo con le lotte di supremazia tra Giudicati.
L’unica catalogazione possibile dei pani oggi è basata sull’etimologia. In questo caso tutto diventa un po’ più chiaro e affidabile, perché ogni nome di pane, a prescindere dalle forme e dalle destinazioni attuali, è inquadrabile in una precisa tematica di base, la quale, per forza di cose, risulta più chiara e più liberamente apprendibile se viene proiettata, come dovrebbesi, nei tempi precristiani.
È ciò che in questo Capitolo viene fatto, attingendo alle schede etimologiche presentate nel Dizionario Enciclopedico annesso a questa Enciclopedia. Soltanto l’etimologo è in grado, oggi, di ricostituire l’antica unità culturale della panificazione. Attraverso l’etimologia siamo in grado di restituire una scheda culturale del vero uso di ogni pane nell’antichità. Partendo da tali significati, oggi purtroppo svaniti, sarà possibile, in molti casi se non in tutti, offrire più sicuri puntelli scientifici agli storici che vorranno tentare, cantone per cantone, di sistemare diacronicamente il fenomeno della panificazione.
Un esempio di classificazione e schedatura etimologica (con corollario di antropologia delle origini) è quello che presento a riguardo de Su Pani de is Bagadíus. Un altro esempio di etimologia-antropologia è contenuto in questo Capitolo a proposito dei pani surroganti l’antico sacrificio cruento.
L’elenco dei pani etimologizzati è suddiviso per 22 temi. Di seguito, ogni tema verrà presentato e commentato adeguatamente. Si noterà che alcuni pani sono registrati contemporaneamente in più elenchi, causa la destinazione multipla cui accennavo all’inizio.
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